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Autore: _unknown_    23/06/2016    4 recensioni
una raccolta sulla coppia StingxMinerva realizzata a partire dai prompt della Stinerva week 2016 indetta su Tumblr:
Day 1 Reunion
Day 2 gift
Day 3 nightmare
Day 4 light
Day 5 movie night
Day 6 AU
Day 7 promise
saranno missing moment e what if e spazierò fra più generi
spero che il risultato vi piaccia
realizzata grazie alla collaborazione di _cercasinome_ (ho un debito di ispirazione nei suoi confronti)
buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Minerva, Sting Eucliffe
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.  NIGHTMARE


Camminava stancamente trascinando i piedi sull’asfalto.
Completamente ricoperta di graffi ed ematomi, non riusciva a muovere un muscolo senza che esso iniziasse a tirare forsennato. Fronteggiare quel branco di banditi armati di tutto punto da sola non era stata un’idea da annoverare tra le più geniali che avesse avuto.
Aveva dolore ovunque, a stento ricordava l’ultima volta che qualcuno l’aveva conciata così.
Con i vestiti sbrindellati, i capelli arruffati e il volto pallido e segnato da profonde occhiaie nere, si ritrovava a varcare il vialetto ghiaioso che l’avrebbe condotta dentro la gilda.
A casa sua.
Al cospetto di suo padre.
Si trascinava controvoglia verso la propria meta, certa di quello che avrebbe ricevuto al suo ritorno.
Tutt’altro che un comitato d’accoglienza.
Si impose tuttavia di darsi un contegno e, drizzando le spalle e il capo, camminò a passi ben distesi dritta verso la gilda.
Non appena varcata la soglia tutti si voltarono verso di lei non nascondendo la loro espressione esterrefatta e costernata nel vederla così ferita. Così vulnerabile.
“Ma guarda chi si vede! Già di ritorno, Minerva?”
Era stata quella la frase di bentornato di suo padre. Non si scompose Minerva, aveva già visto fin troppe volte quella scena per provare il benché minimo sentimento di delusione. Fissò lo sguardo sul pavimento – come le aveva insegnato a fare lui – e pronunciò il suo assenso con tono freddo e monocorde.
Jiemma sorrise sadico, visibilmente compiaciuto. Alzò il tono della voce, affinché tutti lo sentissero.
“Allora, figliuola” iniziò calcando di proposito l’ultima parola “Come è andata la missione?”.
Il silenzio che seguì fu abbastanza eloquente a tutti i maghi presenti nella gilda.
Minerva tentennò per istanti lunghi quanto l’eternità, poi  il suo orgoglio iniziò a urlare dentro di lei spronandola a risvegliarsi da quel suo torpore.
Le mani che cadevano mollemente lungo i fianchi si raccolsero in due pugni serrati, il collo curvo all’ingiù si drizzò istantaneamente, i suoi occhi si strizzarono appena rendendole lo sguardo fiero e sprezzante e la gola secca fino a quel momento vibrò concedendole finalmente la parola.
“Fallita”
Lo disse con tono trionfante, quasi come stesse dando una notizia che tutti si aspettavano già.
E il silenzio nella gilda divenne assordante.
Gli occhi di tutti i maghi di Sabertooth si sgranarono contemporaneamente all’inverosimile.
Minerva, il vanto più grande delle tigri, era stata sconfitta.
Nessuno avrebbe mai lontanamente pensato che ciò sarebbe potuto mai cadere. Minerva non perdeva. Non falliva mai.
Eppure, il volto di Jiemma non si era per nulla dipinto di stupore.
Era fermo sul suo trono, impassibile e perfettamente in silenzio. Come se nessuno avesse parlato.
La maga scrutò a lungo la sua figura, per nulla sorpresa da quell’ atteggiamento.
Fissò gli occhi nei suoi non trovandovi dentro alcuna traccia di delusione.
Tutto ciò che vide fu ira.
Una rabbia nera celata quasi perfettamente sotto uno sguardo vitreo.
Tremò impercettibilmente, ma si impose di farsi coraggio.
L’uomo scattò improvvisamente in piedi attirando su di sé l’attenzione di tutti i presenti
“Oh Minerva” mormorò fintamente dispiaciuto  “ Sai già cosa ti spetta, no? Non posso trattarti diversamente dai tuoi compagni”
Le aveva parlato strascicando le parole, come a canzonarla, come se non aspettasse altro.
Minerva abbassò ancora lo sguardo, sapeva cosa le sarebbe successo e sapeva che sarebbe stato doloroso. Sapeva cosa le sarebbe successo e avrebbe voluto impedirlo con tutte le sue forze.
Il master camminò lentamente verso di lei, le sollevò il mento con due dita per guardarla in faccia.
“Fuori di qui! Tutti voi!” tuonò verso i suoi maghi che si affrettarono ad uscire da quel posto in cui si sarebbe a breve scatenato il putiferio.
Alcuni non poterono evitare però, di rivolgere uno sguardo di compassione verso la maga, perfettamente  consci di quello che il padre le avrebbe fatto.
Minerva si sentì ribollire; spostò il peso da un piede all’altro e schioccò la lingua più volte  facendo appello a tutto il suo autocontrollo per evitare di piangere come una bambina davanti a lui.
Quel gesto avrebbe solo peggiorato le cose, se possibile.
Jiemma attese che la gilda si svuotasse del tutto prima di iniziare il suo lavoro.
Il primo schiaffo tagliò l’aria infrangendosi inesorabile contro la guancia di lei che fu costretta dal potente urto a ruotare il capo. Strizzò gli occhi soffocando un gemito di dolore.
L’uomo però non si sarebbe fermato così presto;  le artigliò i capelli scagliandola contro al muro, mentre lei ancora teneva gli occhi serrati.
Le si avvicinò prendendola dal collo.
“Mia Minerva…è così che ripaghi tuo padre dopo tutto quello che ha fatto per te?” sibilò contro il suo orecchio ghignando sadico e privo di scrupoli. La donna ingoiò quel groppo che le si era formato nella gola; dovette fare violenza contro se stessa per evitare di reagire. Era troppo debole e sapeva che qualsiasi suo tentativo di ribellione non sarebbe stato nient’altro che un ulteriore passo verso quel terribile baratro di dolore.
“Cos’è? Ti hanno mangiato la lingua?”
Continuava a istigarla, voleva che facesse il suo gioco, ma lei non ci sarebbe cascata. Aveva sbagliato altre volte e non sarebbe successo ancora. Rimase immobile e perfettamente in silenzio, puntando però gli occhi in quelli di lui, affondandoli in quel suo sguardo sdegnoso e perverso.
Il sorriso di Jiemma si allargò deformandosi in un ghigno sadico. Le tirò un pugno allo stomaco, facendola cadere in ginocchio per  il troppo dolore. Il suo fisico, già consumato durante la missione, non avrebbe retto un altro colpo del genere.
A suo padre però, sembro non importare perché non esitò neanche un istante prima di tirarle un calcio che la fece rotolare più in là.
“Sei un fallimento, Minerva, il più grande errore della mia vita”
Lo disse con tono cupo, scandendo bene le parole, come a volerle imprimere nella mente di lei, come a volergliele scolpire nel cuore.
E per la maga, fu esattamente quella frase il colpo più doloroso.
Non era la prima volta che veniva costretta a udire quelle parole, ma non era mai riuscita ad incassarle e lasciarsele scivolare addosso.
Avevano continuato a ferire ogni volta come la prima volta, ogni volta più della prima volta.
E Jiemma sapeva.
E colpiva senza pietà sull’unico punto debole della sua inutile figlia.
Rise sguaiatamente nel sentire il primo singhiozzo abbandonare le labbra di lei. Poi si avvicinò posando un piede sulle sue costole già pericolosamente incrinate.
“Hai deluso il tuo Master, sai già cosa devi fare. Spogliati.”
Si scostò da lei per farla rimettere in piedi.
E ghignò ancora.
Il meglio doveva ancora arrivare.
Minerva si alzò tremando per lo sforzo, gli si pose di fronte e iniziò ad abbassare con mano esitante la prima spallina del suo vestito divenuto ormai cencioso. Lo sfilò facendolo scivolare ai suoi piedi mentre lui la osservava con sguardo avido e predatore.  Fu poi il turno della biancheria che fece pochi istanti dopo la stessa fine del suo lungo abito.
Rimase ferma con lo sguardo fisso sul pavimento davanti a se – le guance già prepotentemente imporporate – mentre lui le si avvicinava coprendola con la sua imponente figura.
Le fu addosso ancora e riprese a colpirla con più forza, accecato dalla sua ira di padrone disonorato; le colpì il volto con un pugno e la costrinse, tirandola dai capelli, a sdraiarsi in terra.
Il suo sguardo si riempì di soddisfazione nell’udirla gemere sommessamente, ormai incapace di trattenersi.
Il viso di lei era ormai coperto da una mistura di sangue e lacrime e il suo corpo era ridotto a un’ accozzaglia di ferite riaperte e ossa frantumate. Le braccia e le gambe ricoperte di tagli grondavano di vermiglio che denso colava sul pavimento bianco su cui era adagiata.
Quale padre non avrebbe provato dolore nel ritrovarsi davanti al corpo di una figlia ridotta ormai a un cumulo di macerie?
Jiemma non lo aveva fatto. Neanche per un istante.
Per questo le era montato sopra a cavalcioni incombendo con tutto il suo peso su di lei.
E fu proprio in quel momento che il contegno che Minerva si era imposta con violenza crollò inesorabilmente.
Lanciò con forza un urlo disperato, sentendo improvvisamente le membra come spaccarsi in sue per l’eccessivo dolore. Gridò buttando fuori tutto il poco fiato che le era rimasto.
Urlò e pianse, dimenandosi con tutta sé stessa per scrollarselo di dosso.
Jiemma sorrise euforico, come se attendesse solo quello
Le bloccò i polsi con uno scatto repentino bloccandoglieli con una sola mano sopra la testa.
“ Abbiamo tirato fuori le unghie, principessina” disse ridacchiando “Beh, potevi pensarci prima di deludermi, adesso è troppo tardi, ti pare?” e strinse ancora la presa su di lei strappandole un gemito di puro dolore.
Iniziò a schiaffeggiarla con la mano libera imbrattandosi del suo sangue mentre lei subiva passivamente, incapace di muoversi e di fermare quel fiume di lacrime che aveva iniziato a scorrere giù dai suoi occhi.
Si chiese cosa avesse fatto di male per meritarsi quel trattamento tanto rude che, in fin dei conti, veniva riservato solo a lei. Sapeva di aver fallito, di esser venuta meno a un suo dovere, ma aveva iniziato a chiedersi già da tempo  se davvero la sua fosse una giusta punizione.
Cercò di schiudere le labbra secche e incrostate di sangue ormai rappreso per potergli parlare.
Voleva chiedergli perdono e far cessare quel supplizio che la stava devastando, ma non appena provò ad articolare i primi suoni un dito le pressò con forza la bocca.
“Non crederai di poterla passare liscia in questo modo”  tuonò lui con ira “Non saranno le tue moine a salvarti, non ho ancora finito con te” e detto questo le artigliò il collo stringendo convulsamente la sua trachea.
Minerva sgranò gli occhi, sentendosi mancare. Le forze iniziarono a scivolarle via dal corpo; smise di dimenarsi e iniziò a mugolare suoni scomposti cercando disperatamente aiuto.
Jiemma sembrò approfittare del suo indebolimento: le lasciò i polsi percorrendo con la mano ormai libera il corpo di lei.
“Ti ho fatta bella, Minerva” sussurrò roco mentre passava la punta delle dita dall’incavo dei seni al ventre di lei facendola rabbrividire di terrore “Forse avrei dovuto destinarti a un altro genere di mansioni”.
Lo disse con tono allusivo e perverso, Minerva lo aveva capito fin troppo bene, e si ritrovò costretta a reprimere un conato di vomito mentre lui indugiava lascivo sul suo ventre martoriato.
Sentì la presa sul suo collo farsi un tratto più salda, impedendole completamente il respiro, sgranò gli occhi colmi di lacrime verso di lui che sghignazzava perfidamente, con una luce sinistra a illuminargli lo sguardo spietato.
Minerva si sentiva pericolosamente vicina alla fine.
Provò a muoversi con tutte le sue forze, ma le sue membra ormai intorpidite sembravano non volerne sapere minimamente di risponderle; cercò di parlare, di chiamarlo per nome e implorare la sua clemenza, ma tutto ciò che abbandonò le sue labbra fu un rantolo roco e disarticolato.
Sentiva suo padre ridere sempre più forte.
Lo sentiva ridere di lei.
Lei, quel grande disastro che era, buona a nulla, continua fonte di delusioni.
Ma ormai non aveva neanche più la forza di piangere per questo.
La vista aveva già iniziato ad offuscarsi e i sensi ad assopirsi. Socchiuse appena gli occhi mentre le figure intorno a lei sbiadivano piano piano e tutto sprofondava nel buio.
 
 

 
Minerva sgranò gli occhi di scatto trovandosi immersa nel silenzio e nel buio della notte. Il suo volto era imperlato di sudore, il respiro affannato e tremante e le labbra dischiuse in un urlo che non aveva trovato la forza di uscire.
Giaceva distesa comodamente su un letto stretta in un caldo abbraccio.
A lei però sembrava di impazzire.
Tutte quelle scene strazianti, i suoi tormenti, le sue torture, il suo dolore, continuavano a riproporsi davanti ai suoi occhi che ormai erano già pieni di lacrime.
Si sentiva soffocare, le mancava il respiro e la testa vorticava furiosamente.
si divincolò bruscamente  da quella morsa che la stringeva non curandosi troppo neanche del mugolio infastidito che le era giunto in risposta.
Si mise seduta sul letto accorgendosi solo dopo essersi toccata le guance ormai bagnate, di essersi sciolta in un pianto disperato. Si portò alla svelta le mani al capo immergendole tra i capelli e iniziando a tirare frustrata le ciocche corvine.
Cominciò ad ansimare cercando di prendere respiri profondi, inutilmente, però, perché quel gesto contribuì solo ad agitarla ancora. L’aria sembrava non volerne sapere di circolare nel suo corpo e lei si sentiva bruciare, come inghiottita da molteplici lingue di fuoco.                                                                                                                                         La voce di suo padre, la sua risata diabolica, i suoi insulti e le sue frasi continuavano a rimbombarle nella testa come un mantra senza fine.
Lasciò fuoriuscire il suo primo singhiozzo disperato, mentre le mani scendevano a graffiare le braccia; e quell’iniziale singulto fu seguito da molti altri, sempre più forti, sempre più dolorosi. Raccolse le ginocchia al petto e iniziò a dondolarsi lentamente mentre le unghie seviziavano a sangue gli avanbracci, lo sguardo liquido e perso nel vuoto le guance continuamente rigate e le labbra secche e tremanti, incapaci di trattenere i suoi lamenti di dolore.
Si sentiva persa, come intrappolata in un vicolo cieco. Per lei non c’era via d’uscita.
Quando suo padre era morto lei si era sentita certa del fatto che nessuno avrebbe più potuto farle del male, che nessuno le avrebbe più rovinato la vita.
Ma si era sbagliata: lui l’avrebbe perseguitata per l’eternità. L’avrebbe tormentata sempre nei ricordi e nei sogni.
Non l’avrebbe mai lasciata libera.
Il suo sguardo la seguiva, la sua voce la opprimeva.
Lui, semplicemente, la distruggeva. Lo aveva fatto mentre era ancora in vita e aveva trovato un modo per farlo anche dagli inferi.
E lei non poteva far altro che subire ancora, come sempre aveva fatto, perché troppo debole e impotente.
Ma mentre era immersa nel suo dolore sentì distintamente due forti braccia avvolgerla da dietro e appoggiarsi sulle sue spalle tremanti e scosse dagli spasmi. Sì sentì stringere possessivamente e poté avvertire due labbra sottili premersi con forza alla base del suo collo.
Sting, realizzò in un attimo.
Anche quella volta era corso a salvarla, a bendare delicatamente le sue ferite, squarciando con la sua luce le tenebre che la avvolgevano.
Continuava a piangere, Minerva, incapace di smettere, mentre lui cercava disperatamente di calmarla con i suoi baci e le sue carezze.
Non era nuovo purtroppo a quella spiacevole situazione. Era trascorso quasi un anno dalla morte di Jiemma, ma lei subiva ancora le sue torture quasi tutte le notti. E ogni volta, Sting raccoglieva delicatamente tutti i suoi pezzi e poi con pazienza li rimetteva assieme, senza esitare mai.
La voltò verso di se prendendola per le spalle e se la tirò contro, poggiando la schiena al capezzale del letto, per poi abbracciarla forte intenzionato a non lasciarla andare per nessuna ragione al mondo.
Minerva affondò il viso nel suo petto ampio e caldo soffocandoci contro le proprie urla disperate, lui poté giurare di sentire il proprio cuore stretto crudelmente in una morsa e gli mancò il respiro.
Prese ad accarezzarla lentamente lasciandole centinaia di baci tra i capelli scuri.
Odiava vederla così.
La Minerva di cui si era perdutamente innamorato era fiera e forte, coraggiosa e temeraria e non sopportava di vederla in quello stato: spaventata, tremante e colma di dolore.
Maledisse con rabbia quel bastardo che l’aveva rotta, che l’aveva rovinata senza farsi alcuno scrupolo come se avesse avuto a che fare con una bestia da macello piuttosto che con il sangue del suo sangue.
Ma lui lo aveva punito a dovere.
Lo aveva sconfitto una volta, poteva farlo ancora. E stavolta per sempre.
Strinse ancora la presa su di lei respirando a pieni polmoni il suo profumo e prese a cullarla piano, deciso a tranquillizzarla.
“È tutto finito Minerva, ci sono io qui con te. Ti giuro che non ti torcerà più un solo capello”
Glielo sussurrò all’orecchio, in modo che nessuno potesse sentire, e lei sembrò rilassarsi un poco capendo forse di non essere sola, di essere salva.
Sting non riuscì a trattenere un sorriso. Le prese il volto tra le mani scostandolo dal suo petto per poterla guardare.
Gli occhi smeraldini erano stanchi, costellati di venuzze rosse e cerchiati da due profonde occhiaie, le guance erano arrossate e le labbra screpolate e gonfie, ma lui non riusciva a non trovarla perfetta, anche se straziata e spossata dal dolore.
La guardò intensamente facendola perdere nei suoi occhi color del mare, le sorrise per poi posare piano le labbra sulle sue bollenti e rese salate dalle lacrime che finalmente avevano cessato di scendere.
Minerva allacciò con le braccia il suo collo istantaneamente e si aggrappò a lui con tutte le sue forze, come fosse la sua ancora. Dischiuse timidamente le labbra dandogli libero accesso alla sua bocca. Le loro lingue si intrecciarono iniziando una danza perfetta e sensuale. Sting poteva sentire perfettamente quel bisogno di protezione che non gli avrebbe mai confessato a parole, sentiva in quel bacio tutte le ferite di lei, tutte le sue debolezze e desiderava soltanto accoglierle tutte. Desiderava soltanto proteggerla. Desiderava soltanto amarla sopra ogni altra cosa.
Sciolsero quel bacio solo quando i polmoni iniziarono a reclamare il tanto amato e odiato ossigeno e a entrambi sembrò comunque troppo presto. Si guardarono negli occhi, ansimanti. Minerva distese le labbra in un timido sorriso  e Sting non riuscì a frenare l’impulso di baciarglielo un centimetro alla volta.
Se la tirò ancora contro e lei nascose il volto nell’incavo del suo collo, mentre accarezzava la sua nuca. La strinse forte mentre una mano correva ad immergersi tra i suoi capelli corvini e si sistemò meglio tra le lenzuola tenendosela ancorata sul petto.
L’alba era ormai alle porte, il buio della notte aveva lasciato il posto a una timida luce rosata che aveva iniziato a filtrare dalle finestre.
Minerva ebbe la sensazione di essere ormai al sicuro: la paura e la disperazione si stavano spegnendo lentamente, cancellate a forza da quell’uomo che adesso la teneva tra le braccia riempendola di carezze e parole dolci. Riuscì finalmente a rilassarsi sotto ai suoi tocchi delicati, chiuse piano gli occhi e scivolò lentamente in un sonno tranquillo, mentre Sting la osservava attento e vigile, godendo della sua espressione quieta e beata.
Sistemò meglio le coperte sopra di sé e sorrise nell’udire il suo sospiro appagato.
Lui l’avrebbe sorretta sempre.
L’avrebbe salvata da qualunque cosa.
Anche dai suoi sogni.
   
 
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