Serie TV > The Walking Dead
Segui la storia  |       
Autore: Silvianap    23/06/2016    3 recensioni
[Dal Capitolo 1] "Sulla parte destra della sua schiena vedo dei segni che prima mi erano sfuggiti. Conosco bene quei segni e so anche cosa potrebbe averli provocati. Il cuoio di una cintura usata come una frusta sulla pelle umana può lasciare dei segni così netti, così marcati, che anche a distanza di molti anni, riguardandoli, potrai sentire il dolore perpetrarsi su ogni centimetro del corpo. Ora riesco davvero ad immaginare che razza di figlio di puttana fosse suo marito. Lo stesso genere di figlio di puttana che era mio padre"
(IL CAPITOLO 6 PROBABILMENTE NON VEDRA' MAI LA LUCE, PERDONATEMI.)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carl Grimes, Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
---> PICCOLA PREMESSA: come sempre vi chiedo perdono per tutto il tempo che impiego ad aggiornare i capitoli e vi ringrazio per tutte le recensioni e le visualizzazioni! Siete davvero tantissimi e questo non può che farmi un piacere immenso!
Non so ancora bene quanti capitoli scriverò, uno o due, non sono ancora sicura. Quello che è sicuro è che questo non è l'ultimo e spero che continuiate ad avere la pazienza che avete avuto finora nell'attendere il prossimo aggiornamento!
Grazie ancora, soprattutto alle mie colleghe Carol, Sam e Ste per le assistenze tecniche e gli aiuti nell'ispirazione! 
- Silvia
 

SCARS – Capitolo 5
 

Come prevedevo.
Persone bisbigliano negli angoli dell’infermeria, guardando verso Tracy e Cody.
Provo ad osservare proprio quegli angoli con la coda dell’occhio mentre il dottor Carson mi fa tenere alta la testa cosicché la mia gola sia ben esposta alle sue cure.

Il taglio che il mio aguzzino mi ha arrecato col suo coltello, brucia. Ogni volta che viene anche solo sfiorato e soprattutto ogni volta che provo a girare la testa, manda fitte di bruciore brevissime ma molto intense a fior di pelle in tutto il mio corpo.

Sono stata l’ultima ad essere curata, in questa lunga notte.
Ovviamente, Carson ha adempiuto al suo dovere medico in ordine di gravità.
Il braccio sinistro di Daryl, ancora abbastanza sanguinante a causa dello sparo, è stato ricucito con uno spesso filo nero che mi ha messo i brividi. Proprio lui ha chiesto espressamente di farsi mettere i punti a crudo, per non usare ‘invano’ l’anestetico. Altruista fino al midollo, come al solito. Tenevo la sua mano mentre si sottoponeva a quella tortura e in certi momenti sembrava che stessi soffrendo più io di lui. Per ovvi motivi, immagino. Dopo essere stato preso a cinghiate da bambino, la soglia del suo dolore deve essersi decisamente alzata.
D’accordo col dottore, mi occuperò io più tardi della ferita che Daryl ha sulla fronte. Essendo, tra le altre, la ferita meno grave di tutte, potrò pensarci io con tranquillità.
Poi è stata la volta del taglio nella parte interna del braccio di Tracy, la causa dell’urlo con cui tutto è cominciato. Nel viaggio di ritorno, Daryl mi ha detto che ha sentito anche lui il suo urlo e, pur avendo capito che quella non era la mia voce, ha comunque corso come un pazzo per controllare cosa stesse accadendo. E di nuovo torna in gioco l’altruismo.
Per Tracy, l’anestetico è servito eccome. Ha coperto tutti i dolori fisici che provava in quel momento. Per quelli psicologici… beh, per quelli non esiste medicina.
Mentre aspettavamo il nostro turno per la visita, Carl mi ha raccontato tutta la storia che Tracy gli aveva rivelato poco prima che Daryl li trovasse legati laggiù e li liberasse. Povera ragazza. Sono certa del fatto che nessuna delle persone presenti qui dentro riesca davvero a capire quello che lei sta provando in questo momento… non quanto potrei capire io.
La lingua di Cody ha richiesto l’attenzione maggiore. Secondo il dottore, è stata tagliata così di netto che sembrava quasi essere opera di un chirurgo e che quindi, col tempo, sarebbe guarita da sola. Ha dovuto però comunque pulire la ferita, disinfettarla e, anche questa volta usando l’anestetico, apporre dei punti.
Sua sorella non lo ha lasciato solo nemmeno per un secondo. È una fortuna per entrambi il fatto di non trovarsi da soli in questa situazione. Possono darsi forza a vicenda e possono contare sull’appoggio di qualcuno che conoscono.
Anche la ferita alla testa di Carl ha necessitato di qualche punto. Tuttavia, secondo quanto ha detto Carson, la sua era nettamente meno grave rispetto a quelle di Aaron e Rick, fortunatamente.
Appena abbiamo fatto ritorno a casa, Carl è letteralmente volato fuori dall’auto, in cerca di suo padre. Non ha fatto i conti, però, con i capogiri che la sua ferita avrebbe potuto causargli e così, dopo non molti passi di corsa, è caduto a terra proprio sulla soglia dell’infermeria. Una preoccupatissima Michonne gli è corsa incontro e, tra le lacrime, lo ha aiutato a rialzarsi per poi abbracciarlo.
Ci sono persone che ogni tanto ancora hanno da bisbigliare sulla relazione tra Rick e Michonne, nonostante siano passati anni. Una donna che, in tempi come questi, sacrifica se stessa per amore di un uomo e che si occupa dei suoi figli è ancora considerata una pazza, a quanto pare. Questa epidemia avrà anche ucciso una miriade di persone, ma non ha di certo ucciso il bigottismo, non qui almeno. Probabilmente il mio giudizio è di parte, ma quando vedo Michonne relazionarsi con Carl oppure occuparsi di Judith, non riesco davvero a vedere la differenza tra loro e una madre con i suoi figli naturali.

Bisbigli, di questo si tratta. Gli stessi bisbigli che avverto adesso, negli angoli, finché il dottore non si rivolge a me mentre ancora controlla la mia ferita.
“Mmmh Carol, questo taglio non è abbastanza profondo per apporre delle suture, ma non è nemmeno un graffietto da niente. Abbiamo finito i cerotti di grande taglia quindi, appena disinfetterò tutto, preparerò una fasciatura, d’accordo? Ti circonderà il collo, spero che non ti dia fastidio...”
“Non preoccuparti, Harlan. Fai quello che devi” gli rispondo con calma.
Carson disinfetta e fascia il mio collo nello stesso momento il cui Daryl esce dalla stanza in cui si trova Rick, una delle stanze da letto che si trovano qui in infermeria.
Mentre si avvicina a noi, provo ad incrociare il suo sguardo, ma non ci riesco perché sta fissando la mia medicazione, quasi con dolore. Conoscendolo, in questo momento dentro di sé si starà dando la colpa di tutto quello che ci è capitato dentro quella casa. Si starà dannando l’anima pensando di non aver agito in tempo per salvaguardare la sicurezza mia e di Carl. Senza contare il dolore che sicuramente sta provando dopo aver visto Rick in quello stato e per il fatto che non si sia ancora risvegliato. Probabilmente preferirebbe essere lui al suo posto, piuttosto che vederlo così.
Testardo ed altruista. Quali aggettivi migliori per descriverlo?
La mia seduta di medicazione è terminata. Ringrazio Harlan e poi afferro una garza, un cerotto di medie dimensioni e del disinfettante. Mi giro verso Daryl e gli chiedo di seguirmi, a voce bassa, cosicché solo lui possa sentirmi.
Voglio allontanarmi da quei bisbigli quindi mi dirigo verso una delle stanze libere. Voglio stare per qualche minuto sola con lui. Soltanto noi. Io e Daryl.
Lo faccio entrare davanti a me, mi richiudo la porta alle spalle e lo faccio sedere sul piccolo letto di cui questa camera è provvista. Mi posiziono in piedi tra le sue gambe e controllo la sua fronte.
“Sta fermo”.
Tengo una mano sulla sua tempia sinistra per tenergli spostati i capelli e con l’altra avvicino la garza imbevuta di disinfettante al taglio che ha sulla fronte.
Curioso… il taglio che ha ricevuto stava quasi per sovrapporsi alla cicatrice di una vecchia ferita.
Passo il pollice su quella cicatrice, ripensando a quando Andrea per sbaglio gli sparò, scambiandolo per un vagante.
Lo stesso giorno in cui, dopo essere andato a cercare mia figlia tra i boschi intorno alla fattoria, tornò indietro con la sua bambola.
Lo stesso giorno in cui riuscii a vedere alcune delle sue cicatrici sulla schiena e cominciai a capire davvero chi fosse Daryl Dixon.
Penso a quanto la mia vita sia cambiata da quel periodo, a quante cose sono successe…
Sembra una vita fa.
Forse lo è.
“Ehi?”.
Daryl, vedendomi imbambolata, immobile con la garza in mano, mi dà una piccola spinta sulla gamba col ginocchio e mi riporta alla realtà, al presente.
Ecco. L’unica cosa che non è cambiata. L’unica costante presente nella mia vita, da allora.
L’uomo che in questo momento è seduto vicino a me.
Mi distacco un attimo da lui per guardarlo negli occhi, per rendermi davvero conto di cosa rappresenta Daryl per me. Faccio scivolare la mano sinistra sul suo viso e lui ricambia il mio sguardo in modo curioso, ma confuso.
Gli rivolgo un breve sorriso, poi riporto l’attenzione al taglio sulla sua fronte e comincio a disinfettarlo lentamente.
“Ah!” esclama piano Daryl. Probabilmente il disinfettante pizzica.
“Scusa” sussurro io, velocizzando il processo ma mantenendo comunque dei tocchi lievissimi. Avverto che comincia ad irrigidirsi ed innervosirsi e non mi meraviglio. Daryl è abituato ad essere libero di fare quello che vuole, e anche una cosa semplice come essere costretto a rimanere fermo per cinque minuti a farsi medicare è una tragedia per lui, quindi diventa nervoso.
Senza rendermene conto, ho cominciato ad accarezzargli la testa, aspettando che il disinfettante si asciugasse. Un riflesso involontario per farlo tranquillizzare un po’.
Appongo il cerotto sul taglio e ricopro tutto con i capelli che avevo spostato inizialmente. Non tolgo le mani dalla sua testa, però. Rimango ferma così per qualche momento, accarezzando i suoi capelli, percependo il modo in cui si sta rilassando pian piano sotto le mie carezze. E io con lui.
Daryl appoggia la testa addosso a me, all’altezza dello stomaco, e porta le mani sui miei fianchi. Poi, dopo non molto, alza lo sguardo. Fissa prima sulla fasciatura che ho attorno al collo e poi, con estrema fatica, i suoi occhi continuano il percorso in salita fino ad incontrare i miei.
E conosco questo suo sguardo, lo sguardo con il quale indaga i dolori della mia anima. Lo sguardo con il quale chiede punizione e perdono, allo stesso tempo. Come prevedevo, si ritiene responsabile di quello che mi è successo, nonostante la colpa sia la mia. Lui mi aveva detto di non ritornare da sola a cercare Carl e io non gli ho dato retta. Quella che dovrebbe sentirsi colpevole delle ferite dell’altro sono io. Ed effettivamente, mi ci sento eccome.
Non riesco più a reggere questo sguardo spento quindi chiudo gli occhi e appoggio la fronte alla sua, portando le mani ai lati del suo viso. Un lungo sospiro lascia le mie labbra poco prima che io cominci a parlare.
“Oh Daryl… non puoi prenderti tutte le colpe del mondo, soprattutto se non sono tue…”.
Lui stringe un po’ più forte le sue mani su di me. Ho toccato un nervo scoperto, lo sapevo.
Sostituisco la mia fronte con le mie labbra e gli do un bacio, stando attenta a non toccare il cerotto. Ma non c’è bisogno che io stia attenta per molto perché sento la sua fronte scivolare via verso l’alto e le sue labbra raggiungono le mie per baciarmi in modo quasi disperato.
Lo sento tremare sotto di me e vorrei riuscire a staccarmi da lui per parlargli, per chiedergli di sfogarsi, ma proprio non ci riesco. Le sue labbra sono come calamite per le mie.
Un lieve bussare alla porta ci fa staccare un pochino e mentre Daryl appoggia di nuovo la fronte sul mio stomaco e mi circonda totalmente la vita in un abbraccio, io porto le mani tra i suoi capelli e lo stringo per un momento.
“Si?” dico con un tono di voce non troppo alto, ma comunque udibile al di fuori della stanza.
La porta si apre quel tanto che basta per scorgere il viso di Maggie. 
“Ehi… oh! Scusatemi, non volevo interrompere nulla…” dice con una voce flebile, ma colpevole, e fa per andarsene.
“No, non preoccuparti. Abbiamo finito di incerottarci” le dico per farla restare. Io e Daryl avremo di nuovo modo di stare da soli più tardi. Spero.
Maggie entra nella piccola stanza, si chiude la porta alle spalle e vi si appoggia contro, di spalle.
Io provo molto delicatamente a divincolarmi dall’abbraccio di Daryl ma lui non ha la minima intenzione di lasciarmi andare. La cosa che mi meraviglia, e non poco. È sempre molto restio ai gesti d’affetto, soprattutto quando non siamo da soli, eppure eccolo qui, che mi abbraccia come se niente fosse e resta immobile così com’è, con il volto sepolto su di me.
Visto che la situazione non cambierà, riprendo ad accarezzargli i capelli per tranquillizzarlo e poi mi volto verso Maggie. Faccio un piccolo cenno d’assenso con la testa per farle capire che sono pronta ad ascoltarla.
“State bene?” ci chiede semplicemente.
“Si. Si, stiamo bene. Abbiamo passato di peggio” le rispondo con un piccolo sorriso.
Lei lo ricambia e poi riprende a parlare. “Ho parlato con molte persone tra ieri e oggi e tutti pensiamo che sia più che necessario un giorno di riposo generale. Prendiamoci una pausa dal mondo e riposiamo… Che ne dite?”.
Io non posso che essere d’accordo, sono così stanca…
“Sono decisamente a favore di questa idea” le dico con convinzione, sollevata dalle sue parole. Guardo un attimo in basso verso la testa di Daryl e vedo che la sta muovendo su e giù, un movimento quasi impercettibile che mi fa capire che anche lui è d’accordo. Questo suo modo di comportarsi, così fanciullesco, non può che farmi sorridere.
“Siamo decisamente a favore di questa idea” dico a Maggie, enfatizzando la parola ‘siamo’.
Lei sorride di nuovo, ma non mi sfugge la tristezza che per un attimo le attraversa gli occhi. E quella tristezza è esattamente il motivo per cui volevo allontanare Daryl da me, poco fa. Sono quasi sicura che vederci abbracciati e così in sintonia, le ricordi in qualche modo Glenn.
Abbasso lo sguardo quando una fitta di dolore torna a ricordarmi il destino a cui è andato incontro quel povero ragazzo. Per fortuna, però, è proprio Maggie quella che mi porta indietro da quel pensiero.
“Daryl?” chiede, con un po’ di incertezza.
Lui mugugna una specie di ‘Mmmh’ per farle capire che la sta ascoltando, ma non si muove dalla sua posizione.
“Le persone con cui ho parlato in giro per Alexandria mi hanno anche detto che…” e si blocca per un attimo, credo che stia cercando le parole giuste per un discorso importante. Discorso che riprende subito dopo. “Nessuno sa quali siano esattamente le condizioni di Rick, nemmeno Harlan ne è ancora sicuro, e sono tutti così spaventati… così spaventati da dirmi, di loro spontanea volontà, che vorrebbero te come leader, se Rick non dovesse farcela”.
Sento Daryl irrigidirsi di colpo e ne ha tutte le ragioni. Mai ci saremmo aspettati che il discorso prendesse una piega simile.
Maggie guarda a terra per tutto il tempo, anche lei sa bene che questo è un tasto delicato. Siamo tutti preoccupati per Rick e ci facciamo forza a vicenda, ma dentro ognuno di noi aleggia il pensiero che lui non possa farcela.
Finalmente Daryl si discosta un po’ da me e si gira a guardare Maggie. Io faccio un passo indietro per appoggiarmi ad un piccolo comodino mentre aspetto un impeto di rabbia da parte sua, che però non arriva.
“Perché?” chiede invece. Semplicemente una domanda. “Perché me lo dici adesso?”
“Perché preferisco che tu lo venga a sapere da me e che tu sia pronto a tutto quello che potrebbe accadere” dice Maggie con sincerità.
Daryl sospira pesantemente e non smette di tormentarsi il mento con la mano, segno evidente del suo nervosismo. Poi alza lo sguardo verso di me. “Che ne pensi?” mi chiede.
Aspettavo che chiedesse il mio parere, lo fa sempre quando si tratta di situazioni importanti.
“Io… io non lo so” dico spontaneamente. “Insomma, non è quello che vorresti, giusto?” gli chiedo, conoscendo già la risposta, dentro di me. Il solo pensiero di Daryl come nuovo leader mi fa alterare, decisamente alterare.
“Non fa per te prendere decisioni a nome di tutti oppure assumerti responsabilità che non vorresti! Questo non sei-” mi blocco e mi appoggio di nuovo al comodino dietro di me, il taglio alla gola mi brucia da morire. In reazione al bruciore, chiudo gli occhi.
“Ehi!”. Daryl afferra velocemente la mia mano sinistra tra le sue, per cercare di calmarmi. “Non abbiamo ancora deciso nulla” dice a bassa voce.
Quando riapro gli occhi, mi accorgo che Maggie si è avvicinata, probabilmente per assicurarsi che io stia bene. Daryl continua a restare seduto sul piccolo letto, la mia mano ancora stretta saldamente tra le sue.
“Carol, calmati. Troveremo una soluzione tutti insieme” mi dice Maggie dolcemente. In un impeto di franchezza, mi lascio sfuggire un pensiero che soltanto per un secondo ha occupato la mia mente.
“Sarebbe meglio trovare soluzioni tutti insieme sempre, come quando eravamo alla prigione…”.
L’espressione di Maggie cambia radicalmente, facendomi capire che quello che ho detto non le era proprio passato per la mente. Daryl, come lei, è perso nei suoi pensieri.
“Potrebbe essere davvero quello di cui avremo bisogno. Un consiglio di poche persone, esattamente come abbiamo già fatto”. Maggie è pensierosa ma mi guarda mentre lo dice, di sicuro si aspetta che le dica anche chi dovrebbe far parte del consiglio.
Poco dopo guarda sia me che Daryl con una luce diversa negli occhi. Eccoci. Maledetta me.
“Voi due e Sasha siete tutto quello che rimane del vecchio consiglio…” dice lei, stando ben attenta a non nominare né Hershel, né Glenn. “Potremmo chiedere ad Heath di aggiungersi oppure ad Abraham. Michonne sarebbe troppo scossa per farsi carico di queste cose”.
“Maggie, è ancora presto per parlarne” dico io sottovoce, ma il mio tono lascia intendere benissimo che non è proprio il momento adatto per fare un discorso del genere, non quando Rick sta ancora lottando tra la vita e morte in una delle stanze accanto a quella dove ci troviamo adesso.
“Si… si hai ragione. Perdonatemi, volevo solo prepararvi a quello che potrebbe succedere stasera” dice Maggie, avvicinandosi alla porta per uscire dalla stanza.
“Stasera?” chiede Daryl, perplesso proprio come lo sono io.
Lei si gira di nuovo verso di noi. “Oh giusto, non ve l’ho più detto, il discorso ha preso una piega diversa. Stasera Harlan visiterà Rick e potrà accertarsi delle sue condizioni. Dopodiché, sapremo cosa fare e come agire. Per adesso riposatevi, ok?”.
Detto questo, Maggie esce dalla stanza e ci lascia di nuovo soli.
Io e Daryl ci guardiamo per qualche secondo, un pensiero in più che grava su entrambi.
La stanchezza causata da tutto quello che abbiamo vissuto, però, si fa sentire come un macigno all’improvviso e un piccolo sbadiglio mi sfugge dalle labbra.
“Stai dormendo in piedi” mi sussurra lui, portando via entrambi da chissà quali pensieri. Nessuno dei due ha la forza, né tantomeno la voglia di continuare il discorso di poco fa.
In effetti, rendendomi conto di come realmente sto, non ricordo di aver mai avuto le palpebre così pesanti in vita mia. Non ho nemmeno più la forza di parlare e così, con una mezza risata, annuisco con un cenno della testa.
“Abbiamo bisogno di dormire” dice Daryl, mentre si stiracchia un po’, stando sempre attento alla fasciatura che ha sul braccio. Cerca i miei occhi con i suoi per afferrare una qualsiasi reazione alla sua affermazione, ma stavolta trovo la forza sia di parlare che di muovermi.
“Andiamo a dormire, allora” dico con una certa ovvietà, lasciando la sua mano e avviandomi verso la porta, ma poi mi volto e vedo che lui non mi segue e resta seduto lì dov’è.
“No io intendevo… io voglio restare qui. Non voglio allontanarmi…” dice con un tono piuttosto cupo. Mi ci vuole un attimo per capire il suo desiderio di restare qui in infermeria, pronto ad agire, qualsiasi cosa dovesse accadere.
Mi riavvicino a Daryl e gli prendo le mani tra le mie. “Va bene” gli dico. Lui si sdraia sul letto, col braccio destro prova a darsi una spinta per spostarsi e farmi posto. Io però lo blocco subito, non ce la faccio a restare qui, devo assolutamente allontanarmi dall’infermeria.
Decido di inginocchiarmi e di poggiarmi sul letto quel tanto che basta per avvicinare il mio viso al suo. Voglio essere sincera con lui, non inventerò una storiella per andarmene, una a cui lui comunque non crederebbe. “Ma io non ce la faccio a rimanere qui” dico, molto vicina alle sue labbra. A Daryl basta uno sguardo per capire che non mi sento assolutamente a mio agio qui dentro e, quando fa per alzarsi, la mia mano afferra subito il suo fianco per farlo stare fermo.
“Tu resta qui. Io ho assolutamente bisogno di una doccia e non appena avrò riposato un pochino, tornerò qui da te, d’accordo?” gli dico dolcemente.
“D’accordo” sussurra. Non appena riesco a trovare la forza di alzarmi di nuovo, mi chino su di lui e gli do un piccolo bacio sulla punta del naso. Mentre sento ancora i suoi occhi su di me, mi avvio verso la porta, poi esco dall’infermeria e mi dirigo verso casa.
La luce del sole comincia a spuntare all’orizzonte dando vita ad un nuovo giorno. Un giorno diverso, il giorno della verità.

 
                                                                               *****
 

Questa è una delle sensazioni più brutte che una persona possa provare.
Aspettare senza avere certezze e non poter fare nulla è straziante, mi sta mandando lentamente fuori di testa.
Cammino avanti e indietro nella stanza dove mio padre è incosciente, ma non essendo questa molto grande, dopo aver fatto qualche passo sono costretto a sedermi di nuovo su questa maledetta poltrona che sto cominciando ad odiare, per poi rialzarmi qualche minuto dopo.
Michonne è stata accanto a lui per tutto il tempo, da quando Carol l’ha riportato a casa, e poco fa ho insistito perché andasse a rinfrescarsi e a riposare. Ha fatto un po’ di resistenza inizialmente, ma poi sono riuscito a convincerla.
In realtà anche io dovrei riposarmi, ma proprio non ci riesco.
Ho provato a dormire un po’, ma il pensiero di mio padre bloccato in questo letto, privo di sensi e con una grave ferita alla testa, non mi ha fatto chiudere occhio. Quindi sono venuto qui, a fare… niente. Non faccio niente, se non camminare per la stanza o stare seduto e guardare verso il letto ogni tanto, in cerca di un movimento o di un qualsiasi segnale che mi faccia capire che lui è vivo, reattivo e sta bene.
Questo però non accade.

Mio padre si è trovato nella stessa situazione in cui ora mi trovo io per ben due volte, a causa mia. Le mie mani vanno automaticamente a toccare il fianco destro, dove attraverso il tessuto leggero della maglietta posso sentire lo spessore della cicatrice causata da un colpo di fucile mentre guardavo un cervo, nei boschi vicino casa di Hershel, anni fa. In quell’occasione persi spesso i sensi, me lo ricordo, ma non ci misi molto a rimettermi.
Quando invece, durante l’invasione di Alexandria da parte di un’orda di vaganti, Ron sparò il colpo che mi face perdere l’occhio, rimasi senza sensi per molti giorni e solo adesso posso davvero capire quello che mio padre poteva provare in quei momenti. Solo adesso mi rendo davvero conto di quanto la mia vita potrebbe cambiare se mio padre morisse qui, in questo letto. Solo adesso mi rendo davvero conto di quanto mi mancherebbero tutti i momenti che passiamo insieme…
La mia vita cambierebbe radicalmente così come quella di Michonne. Lei è sempre, sempre accanto a mio padre, appoggia le sue scelte e lo aiuta in qualsiasi situazione. Ogni tanto discutono, soprattutto in situazioni non facili, ma è normale, succedeva anche con mia madre. Il rapporto che lui e Michonne hanno, però, è diverso da quello che mio padre aveva con mia madre, totalmente. Ma, col senno di poi, posso affermare che lui era destinato a finire insieme a Michonne, lo è sempre stato.
Il discorso, invece, sarebbe diverso per Judith. Lei sta crescendo con le cure di tutta la nostra grande famiglia e, se nostro padre non dovesse farcela, lei non risentirebbe della sua mancanza. È ancora troppo piccola per comprendere come funziona realmente il mondo.

No, non ce la faccio. Sento il bisogno di alzarmi di nuovo e di camminare, come se questo mi aiutasse a non pensare. Provo ad affacciarmi alla piccola finestra, aperta per far entrare un po’ d’aria in questa stanza così piccola e satura di odori tipici di un ospedale, alcool in primis. Odio l’odore dell’alcool.
Fuori è nuvoloso, ma il caldo che ci sta opprimendo in questi giorni non accenna a diminuire.
In giro per Alexandria non c’è nessuno. So che per oggi è stata indetta una giornata di riposo per tutti, ma probabilmente è la paura di ciò che potrebbe accadere che ha spinto le persone a prendersi un giorno di calma. La morte di mio padre graverebbe su di me, su Michonne e su tutta la nostra famiglia, ma sarebbe un duro colpo anche per tutti gli abitanti di Alexandria. La perdita del loro leader porterebbe al caos, di sicuro.
In realtà, non voglio nemmeno pensare a cosa potrebbe succedere in quel caso perché mio padre si risveglierà, lo so, ma in questo momento ha solo bisogno di un momento di stallo.
Mentre mi rigiro a guardarlo, ho come la sensazione di vivere un dejà-vu. Io in piedi al capezzale di mio padre, svenuto e ferito gravemente. Questa volta però non gli urlerò contro tutta la rabbia né la paura che sto provando. So che lui ha davvero bisogno di questa pausa dal mondo, lo capisco, quindi faccio un cenno d’assenso con la testa per fargli capire che per me va bene, che non ce l’ho con lui per nessun motivo in particolare. Improvvisamente però, mi ricordo che lui non può vedermi, quindi l’unica cosa che posso fare è parlargli, sperando che possa sentirmi.
“Va bene, papà. D’accordo. Solo… svegliati. Ok?”.
 

                                                                                 *****
 

Mi sono appena risvegliata da un sonno profondo e per niente riposante. Anzi, mi sento quasi più stanca di prima, per quanto sia possibile. Non appena sono tornata a casa, stamattina, mi sono sdraiata per qualche secondo sul letto, poi non ricordo più niente. Ero così stanca che sono crollata a dormire immediatamente, con le gambe a penzoloni fuori dal bordo.
Il collo mi fa ancora male, ma è un dolore un po’ più leggero rispetto a quello che la ferita mi provocava stamattina.
Mi alzo e guardo fuori dalla finestra, ma non c’è anima viva. L’unica cosa che noto è che è quasi sera. Quanto ho dormito? Devo sbrigarmi a farmi una doccia e andare di nuovo in infermeria, sperando che la situazione lì dentro sia migliorata.


La porta dell’infermeria è aperta. Non so se prendere questa cosa come un cattivo o un buon segno. Entro e trovo Carson che sta sistemando alcune bende e medicazioni, probabilmente le sta preparando per Rick. È di spalle, ma deve avermi sentita entrare perché si gira quasi subito.
“Ehi Carol! Se ti stai chiedendo perché la porta sia aperta, la risposta è che sono appena tornato. Ero a visitare la signora Miller. Come va la ferita?” mi chiede gentilmente.
“Meglio. Va un po’ meglio. Rick?” chiedo velocemente.
“È ancora tra noi. Stavo giusto preparando il necessario per visitarlo e cambiargli le bende”.
“Bene… e Daryl? L’ho lasciato dormire in una delle stanze. Sai se è ancora lì?”.
“Credo di si, non avendolo visto in giro, ma in realtà ho avuto parecchie cose da fare oggi quindi non ne sono certo”.
“Non preoccuparti, andrò a controllare di persona” gli dico, mentre mi avvio verso la porta chiusa della stanza in cui Daryl è voluto rimanere a dormire stamattina.
Busso leggermente, ma non ricevendo risposta comincio ad aprirla, piano.
La stanza è vuota, Daryl non c’è.
Non mi faccio prendere dal panico perché posso benissimo immaginare dove si trova. Mi avvio verso la stanza di Rick, sicura di trovarci dentro anche Daryl. So bene che è estremamente preoccupato per lui e che vuole tenere sotto controllo la situazione da vicino, uno dei motivi per cui è voluto rimanere a riposare qui.
Mi avvicino alla porta socchiusa e sento il rumore di voci che parlano, bassissime. Faccio il mio ingresso nella stanza e la prima persona che vedo è Carl, addormentato sulla poltrona nell’angolo.   Daryl, appoggiato al muro opposto, parla con Michonne, che è seduta in fondo al letto di Rick. Entrambi si girano verso la porta vedendomi entrare, contemporaneamente sussurrando un “Ehi”.
“Ehi” rispondo al loro saluto, appannando leggermente la porta per poi incrociare subito lo sguardo di Daryl.
Ci basta guardarci negli occhi e subito tra noi scatta una conversazione silenziosa. Nel tempo che impiego a raggiungerlo e ad appoggiarmi al muro accanto a lui, entrambi abbiamo compreso dagli occhi dell’altro che stiamo bene, ma anche che ovviamente potremmo stare meglio.
“Come ti senti?” mi chiede Michonne, sempre sottovoce.
“Meglio, ti ringrazio. Com’è la situazione qui?” le chiedo io, mentre sposto le mie attenzioni verso Rick, immobile nel letto. La fasciatura sulla sua testa è così vistosa che a vederla è quasi disturbante.
“Non migliora e non peggiora. Non vedo l’ora che Harlan lo visiti per bene, così da darci qualche novità” dice lei, portandosi poi le mani sul viso, sospirando.
“E tu come stai? Hai provato a riposare un po’, oggi?” le chiedo preoccupata. La stanchezza che Michonne ha addosso si percepisce a miglia di distanza.
“Si. Carl ha insistito per farmi andare a casa a dormire, o almeno a provarci…” dice lei, girandosi per qualche secondo a guardare Carl, con un sorriso triste dipinto sul volto.
“Tosto come sempre, il ragazzo… sa il fatto suo” dice Daryl, con una nota di ammirazione nella voce. “Mi ha salvato la vita, là fuori”.
“Noi dovevamo salvare lui, ma alla fine è lui che ha salvato noi” dico io, guardando prima Carl e poi girandomi lentamente verso Daryl, finchè la ferita al collo irradia una fitta di dolore nel mio corpo.
Chiudo gli occhi di scatto e a quanto pare a Daryl non sfugge il dolore che provo. Porta una mano sul mio braccio e me lo stringe lievemente. Io non posso che fare un piccolo cenno d’assenso per fargli capire che va tutto bene.
Dalla porta socchiusa fanno il loro ingresso Maggie e Abraham.
“Oh bene, ci siete anche voi…” sussurra Maggie appena si guarda intorno.
Io  Daryl salutiamo Abraham con un cenno e poi, mentre i nuovi arrivati si avvicinano per parlare con Michonne, ci allontaniamo e ci avviciniamo alla finestra.
“Ti prego, dimmi che almeno hai dormito un po’…” mi dice subito lui, mettendomi una mano al lato del viso. “Le tue occhiaie fanno paura” sussurra, mentre passa delicatamente il pollice sotto il mio occhio sinistro.
“Grazie per il complimento… ” gli rispondo ridacchiando “…e si, ho dormito un po’, ma sono ancora molto stanca”.
Lui mi guarda con un misto di tristezza e comprensione e poi torna a fissare la fasciatura intorno al mio collo con una nota di dolore nello sguardo, quella nota di dolore che mi trafigge, così lascio andare il peso della testa sul palmo della sua mano e chiudo gli occhi. Non voglio essere testimone di altro dolore da parte sua, non ora.
Non molto tempo dopo l’arrivo di Maggie e Abraham nella stanza, Harlan fa il suo ingresso chiedendoci di uscire per prendersi tempo e spazio per visitare attentamente Rick, così non ci resta che svegliare Carl, uscire e aspettare. Sono passate quarantotto ore da quando siamo stati attaccati al centro residenziale, il tempo sufficiente, secondo il medico, per capire bene le condizioni di Rick e cosa potrebbe succedere nel prossimo futuro.
Attendiamo il responso della visita fuori dall’infermeria, tutti quanti in silenzio, seduti, o appoggiati al muro, o camminando avanti e indietro. Il tempo sembra non trascorrere mai, è una cosa snervante. Ogni tanto ci lanciamo sguardi preoccupati, chiedendoci se tutta questa attesa sia normale, se sia un buon segno.
Vedendoci aspettare fuori dall’infermeria, altre persone ci hanno raggiunti, chiedendoci informazioni, attendendo con noi. L’ultimo arrivato è Gabriel, che si è unito a noi mentre stava passeggiando per le strade con Judith. Guardando la piccola mentre corre e chiacchiera un po’ con tutti, non posso che provare compassione per lei. Ha perso sua madre, poi ha avuto la fortuna di trovarne una acquisita… ma non ha avuto molto tempo per rendersi conto dell’amore che il suo nuovo nucleo familiare prova per lei perché quel nucleo familiare rischia di sgretolarsi.
Il buono in tutto questo è che la sua spensieratezza e la sua allegria ci distraggono mentre siamo qui fuori in attesa. Ogni tanto chiede dov’è il suo papà, ma Carl e Michonne sono sempre pronti e preparati per distrarla e deviare il discorso, per quanto possibile.

Dopo un’ora, forse poco meno, Harlan appare sulla soglia dell’infermeria e con un umilissimo cenno di assenso e un piccolo sorriso, ci fa capire che andrà tutto bene, che Rick sta bene e che sopravvivrà.
Il sollievo che provo in questo preciso istante è una di quelle sensazioni che negli ultimi anni non ricordo di aver mai provato, se non in un paio di occasioni. Chiudo gli occhi mentre un sospiro lascia il mio corpo, e con quel sospiro scompaiono tutti i pensieri e le preoccupazioni che erano nati in me nelle ultime ore. Tutto il discorso che Maggie stamattina ha fatto a me e a Daryl non ha più valore e, sinceramente, non potrei esserne più contenta.
Intorno a me, gli altri si abbracciano, ridono e si scambiano pacche sulle spalle, si avvicinano a Carl e Judith. Michonne va verso Harlan e lo abbraccia, ringraziandolo. Lui ricambia il gesto e la invita a seguirlo nella stanza di Rick.
Non passa molto tempo prima che Carson ritorni fuori e ci raggiunga, probabilmente per spiegarci alcune cose.
“La tempestività con cui avete curato Rick sul luogo dell’incidente è stata di grande aiuto. La ferita è davvero brutta, ma grazie al vostro aiuto lui ce la farà” dice, e ovviamente è rivolto soprattutto a me, Daryl e Aaron. Quest’ultimo è proprio accanto a me e mi stringe il braccio, sorridendo. Per un attimo ci scambiamo uno sguardo sereno, rendendoci davvero conto che l’unione fa la forza, e mai come adesso potremmo esserne più consapevoli.
Maggie ci raggiunge, seguita poco dopo da Daryl, che si avvicina di più a noi con uno sguardo visibilmente più rilassato, ma non ancora tranquillo… qualcosa ancora lo sta tormentando. Fa ad Harlan una domanda quasi banale, ma a cui nessuno ancora aveva pensato.
“Tra quanto tempo si sveglierà?”.
Pone la domanda in modo che solo noi quattro in questo gruppetto possiamo sentirla e Harlan risponde con lo stesso tono di voce, assecondando la richiesta silenziosa di Daryl di non agitare gli animi di nessuno con la risposta che ci darà. “Non qui”.
Il medico poi si guarda intorno per qualche secondo e ci fa cenno di seguirlo all’interno dell’infermeria. È esattamente quello che facciamo e ad ogni passo che mi conduce dentro, il mio cuore accelera i battiti. Perché tutta questa segretezza? C’è qualcosa che non ci dice?
Aaron entra per ultimo e si chiude la porta alle spalle.
“Posso dirvi che si risveglierà e che probabilmente non avrà serie conseguenze alla ferita… ma non so dirvi quando succederà” ammette Carson, guardandoci uno ad uno.
“Ma tu sei assolutamente certo che si risveglierà?” chiede Daryl con urgenza. Il dubbio lo sta consumando pian piano.
“Si, si assolutamente. Ma io penso che sia meglio non alimentare false speranze sul fatto che questo possa avvenire in tempi brevi..” risponde Carson. “Potrebbero volerci minuti, ore oppure giorni”.
Cala un silenzio di tomba tra noi, ma con la consapevolezza che Rick si sveglierà, prima o poi, questo silenzio non è assolutamente disturbante.
“Domani torneremo ad Hilltop, vero Maggie? Quindi ho fatto vedere a Michonne quello che deve fare e come deve comportarsi non appena Rick si sveglierà. Può farlo vedere anche a voi, nel caso lei non sia presente quando accadrà” riprende a parlare il medico.
“Dov’è lei adesso?” chiede Maggie, guardandosi intorno.
“Sta cambiando la fasciatura a Rick, le ho fatto vedere come fare anche quello”. Harlan poi sorride e poco dopo riprende a parlare. “Gli avete salvato la vita, ragazzi”.
Questa frase ci fa decisamente bene, e si vede. Una risatina nervosa parte da Aaron, contagiando Maggie me e persino Daryl, che a modo suo sorride e prova a rilassarsi. Vederlo sorridere mi fa stare decisamente meglio, è così bello quando lo fa.
Harlan si unisce alla nostra risata e poi, mentre si avvicina ad un mobile per sistemare alcuni flaconi di medicinali, si rivolge di nuovo a noi. “Vorrei suggerirvi di tenere più persone sempre presenti qui, cosicché non appena Rick si sveglierà, ci sarà chi si occuperà di lui e chi invece farà il giro di Alexandria per avvisare le persone del suo risveglio”.
“E se invece dovesse risvegliarsi di notte? Non possiamo di certo svegliare tutti quanti e non è un bene che tante persone restino sveglie per rimanere qui in infermeria” dico io spontaneamente.
Il medico si guarda un po’ intorno e dopo non molto si ferma a fissare una lampada all’angolo della stanza. Si avvicina a quell’angolo, prende la lampada e la poggia su un tavolino vicino ad una delle finestre. “Se dovesse risvegliarsi di notte, chi si troverà qui accenderà questa luce e chiunque sia sveglio in giro per Alexandria, dopo il tramonto, saprà che Rick è di nuovo tra noi. Che ne pensate?”.
Noi tutti ci troviamo a fissare quella lampada e annuiamo. Io non posso fare altro che pensare a quanto sembriamo degli animali, in questo momento. Delle falene.
Siamo falene perse nel buio, in attesa della luce.
 

                                                                                *****
 

Cenere.
Davanti ai miei occhi non c’è nient’altro che cenere.
Osservo i resti di quelle che potevano essere capanne. Tra la cenere si riescono ancora a vedere alcuni dei ferri che probabilmente reggevano in piedi delle tende da campeggio. Sono sparsi sul terreno, anneriti dalle fiamme.
Diversi corpi, o almeno quelli che una volta erano dei corpi, si nascondono tra i detriti. Sono soltanto carne carbonizzata, ormai. Ne conto cinque, sei con quello che abbiamo trovato poco distante da qui, tra gli alberi.
Dietro di me sento i passi degli altri che mi stanno raggiungendo in questa radura desolata e dimenticata da Dio. Carl, Heath e i due ragazzi che abbiamo salvato pochi giorni fa. Questo, una volta, era uno dei loro accampamenti.
“Joy…” sussurra la ragazza, fermandosi a guardare i resti del corpo che si trova al limitare degli alberi. Suo fratello si avvicina a lei e le stringe leggermente il polso.
Heath si ferma a parlare con loro mentre Carl si avvicina al punto in cui mi trovo io, praticamente al centro di questo grande buco nero tra gli alberi.
“Pensi che il loro secondo accampamento sia ancora in piedi? Che troveremo qualcuno ancora vivo?” mi chiede a voce così bassa che perfino io faccio fatica a sentirlo.
“Mmm non lo so. Dipende tutto dal loro senso di sopravvivenza e dai guai in cui sono capitati. Potrebbe essere successa qualsiasi cosa all’altro accampamento, in tutto il tempo che loro due sono rimasti legati in quel sotterraneo. Ti sei mai chiesto come mai nessuno del loro gruppo sia partito per cercarli?” gli rispondo, facendo un lieve cenno verso i ragazzi.
“Già… ma forse l’hanno fatto. Come possono saperlo loro se sono rimasti chiusi lì sotto?” chiede Carl, più a se stesso che a me, poi si volta e si rivolge agli altri. “Tracy? Quante persone erano presenti nell’altro accampamento l’ultima volta che siete stati lì?”.
La ragazza alza lo sguardo verso di lui e indurisce la sua espressione, cercando di ricordare. “Sette persone”.
“Perché vi siete divisi in due gruppi? Non potevate rimanere tutti insieme in un unico accampamento? L’unione fa la forza, di questi tempi” fa Heath, rivolto ai ragazzi.
Il ragazzo, Cody, abbassa immediatamente la testa e tira un calcio nella cenere, alzando una nuvola di detriti. Tutti noi guardiamo verso di lui e poi spostiamo l’attenzione sulla sorella, per delle spiegazioni. Spiegazioni che non tardano ad arrivare.
“Nostro padre è perennemente in conflitto con il leader del nostro gruppo. Ogni volta che prova a suggerire qualche idea, viene schernito e per niente considerato. Il nostro leader è un figlio di puttana di prima categoria…”.
Il ragazzo prova a dare una gomitata alla sorella appena la sente usare quelle parole, ma lei schiva il colpo e alza la voce con lui. “Non fare così! Lo sai anche tu che ho ragione!”.
“E perché vi siete divisi?” chiedo io, continuando a guardarmi intorno, sentendo strani rumori.
“Quel genio, Harris, ha delle manie di grandezza allucinanti. Ci ha fatto dividere in due gruppi affinché popolassimo più territorio possibile e ‘facessimo vedere a più gente ostile possibile di che pasta siamo fatti’, così disse quella volta, giusto?” chiede la ragazza al fratello. Lui annuisce, la sua espressione totalmente scocciata da quel racconto.
“Nostro padre si oppose, ovviamente, dicendogli esattamente le stessa cosa che hai detto tu poco fa: ‘Non possiamo dividerci, diventeremo deboli’. Tutto inutile” dice lei, rivolta ad Heath. Poi torna a parlare a tutti noi. “Lo stronzo gli puntò addosso una pistola, minacciandolo di morte se non si fosse zittito subito. Il giorno dopo eravamo già divisi ed accampati in due zone opposte”.
I rumori che continuo a sentire si stanno avvicinando. Sono sicuramente vaganti.
“Forza! Sbrighiamoci a lasciare la zona e a riprendere il viaggio o presto saremo circondati dai vaganti!” dico a tutti, camminando tra di loro per tornare indietro tra gli alberi e ritrovare le nostre tracce che ci ricondurranno all’auto. Gli altri mi seguono, in silenzio.

A quanto pare, non impieghiamo molto tempo a raggiungere il limitare del bosco in cui, inoltrandoci, troveremo questo secondo accampamento.
Ed è proprio quello che facciamo, inoltrarci.
Inizialmente lascio che Tracy e suo fratello ci indichino la strada, li lascio camminare davanti a noi. Sento la ragazza parlare, a bassa voce. “Voglio accertarmi che nostro padre stia bene. Ricordi com’era strano quando l’abbiamo visto l’ultima volta? Qualcosa lo tormenta, a volte non sembra nemmeno più lui… voglio parlargli, ma so che sarà difficile. Mi aiuterai?”.
Il ragazzo guarda davanti a sé per tutto il tempo e poi annuisce verso la sorella. Dopo non molto, Carl lo chiama e lui si ferma per aspettare che noi lo raggiungiamo.
Io velocizzo i miei passi per arrivare al fianco della ragazza, davanti agli altri. La aiuto ad orientarsi e ogni tanto provo a farmi spiegare alcuni dettagli che possano facilitare il nostro arrivo a destinazione.
Ripenso a tutto quello che ha detto poco fa a Cody. Il padre era strano, tormentato, irriconoscibile… mi ricorda decisamente qualcuno.
È passata quasi una settimana da quello che ci è successo con i rapitori e, per un motivo o per un altro, non sono più riuscito a parlare con Carol, non seriamente. A volte, di notte, la trovavo già addormentata, altre volte ho addirittura creduto che mi stesse evitando. Lei finge bene, davvero bene che tutto sia a posto, ma so benissimo che qualcosa ancora non va e che il crollo che ha avuto in quella casa che stavamo perlustrando non era affatto casuale. L’unico modo per farmi dire cosa è successo quel giorno sarà metterla alle strette, e so già che non sarà un bel momento.
Ripenso anche a tutta la storia che la ragazzina ci ha raccontato riguardo al loro leader. Non posso non chiedermi alcune cose… alcune cose a cui lei potrebbe rispondermi, magari.
“Perché non l’avete ucciso?”.
“Cosa?” mi chiede, sorpresa, non aspettandosi di sentirmi parlare.
“Il vostro leader. Perché non l’avete ucciso?”.
Lei mi guarda di sottecchi, con un’espressione confusa. Che diavolo, ragazzina! Perché vuoi farmi scendere nei dettagli della domanda?
“Prima hai detto che quello stronzo non ascolta le opinioni di nessuno e che, facendovi dividere, vi ha praticamente condannati a morte. Allora perché non l’avete fatto fuori? Se la maggioranza di voi è contro di lui, cosa può fare una persona contro più di dieci?”.
“Non potevamo ucciderlo, né allontanarlo e presumo che non possiamo farlo ancora adesso. È lui che ci tiene in vita. Ci aiuta a cacciare, ci protegge…” mi risponde lei, la sua voce trema un po’. Cosa diavolo la spaventa così tanto?
“Mi stai dicendo che dopo tutti questi anni dall’inizio dell’epidemia, il vostro gruppo ancora non sa badare a sé stesso e vi affidate ad una sola persona? È impossibile!” e mentre lo dico rallento i miei passi, stupito.
“Te l’ho detto prima” mi spiega lei, continuando a camminare. “Ha manie di protagonismo e il suo potere è forte. Nessuno deve prevalere su di lui”.
“Proprio per questo motivo sarebbe da eliminare all’istante” dico, più a me stesso che a lei. So che tanto non mi sta ascoltando.
Gli alberi cominciano a diradarsi, probabilmente ci stiamo avvicinando e se n’è accorta anche lei.
“Noi non siamo come voi…” dice a bassa voce, e io mi fermo di botto mentre lei prosegue. Che cosa crede? Che noi siamo degli assassini? Che per noi è piacevole uccidere persone e lo facciamo a cuor leggero? Oh no, non è per niente così! E voglio assolutamente spiegarglielo e farglielo entrare bene in testa, ma mi accorgo che c’è qualcosa non va. Se siamo nei pressi dell’accampamento, perché non ci sono vedette? Perché nessuno si accorge che noi siamo qui?
Carl, Heath e Cody si avvicinano. Mentre osservo bene la zona, Carl e Heath si fermano accanto a me, l’altro ragazzo segue sua sorella verso la presunta radura.
“Troppo silenzio” dice Heath a bassa voce, impugnando meglio il fucile.
“Mmmh si” gli rispondo, cominciando a muovermi di nuovo.
E non passa molto tempo prima che delle urla rompano il silenzio. La voce di Tracy è disperata.
“NOOOOOOOOO! PAPÁÁÁÁÁÁÁÁÁ!”.
Corriamo tutti più veloci che possiamo per vedere cosa sta succedendo e appena raggiungiamo l’accampamento, lo spettacolo che si apre davanti ai nostri occhi è atroce.
I corpi di dieci persone occupano l’intera area, alcuni supini, altri capovolti. Alcuni riconoscibili, altri no. Tra le persone, o almeno resti di persone, ci sono alcuni vaganti.
Entrambi i ragazzi sono a pochi passi da noi, in lacrime. Cody è in ginocchio vicino al corpo su cui Tracy è sdraiata, il corpo di quello che presumo sia il loro vecchio. Metà del suo viso è stata divorata dai vaganti, così come la carne delle braccia.
“Non dev’essere successo da molto, i corpi hanno appena cominciato a decomporsi” dice Carl, con una freddezza nella voce che fa alzare lo sguardo sia a me che a Heath. Si sta guardando intorno, probabilmente in cerca di qualche indizio. Poi inizia a muoversi per la radura.
Heath si avvicina ai ragazzi, provando a consolarli.
“Mi dispiace, davvero. Resterete con noi, d’accordo? Non vi lasceremo da soli”.
Carl si china vicino ad uno dei corpi delle vittime dell’accampamento e con la mano lo sposta lentamente, osservando la testa. Io mi avvicino a lui, mi carico la balestra su una spalla e mi inginocchio al suo fianco.
“Guarda qua” dice, ed indica la tempia del cadavere. Attraverso il rosso scuro del sangue, riesco a vedere il foro di un proiettile. Sposto lo sguardo sulla testa di un altro corpo poco distante da noi e anche lì vedo una ferita simile. L’istinto mi fa alzare immediatamente e comincio ad innervosirmi. C’è qualcosa che non va. Comincio a muovermi per la radura per controllare ogni cadavere. Dieci in totale, tre sono vaganti.
Tutti quanti sono morti a causa di una ferita da arma da fuoco.
A pochi centimetri dalla mano di uno degli ultimi corpi che controllo, c’è una pistola. Controllo il caricatore. Vuoto.
Mi rialzo per guardarmi intorno e comincio a capire cosa potrebbe essere successo. Questa persona ha sparato a tutti, poi si è suicidata. Non c’è altra spiegazione. I vaganti morti potrebbero aver fatto irruzione nel campo durante la sparatoria attirati dal rumore, e anche loro, come le altre vittime, hanno trovato la loro fine qui.
I ragazzi sembrano essersi ripresi un po’, dopo questo duro colpo, ma in realtà non si riprenderanno mai del tutto. Heath sta passando loro dell’acqua, Carl sta provando a calmare Tracy e, appena ci riesce, le chiede quello che anche io ho bisogno di sapere per confermare le mie teorie.
“Ehi Tracy… chi di loro era il vostro capo?”.
Lei non parla neanche, fa solo un cenno con la testa verso il corpo che si trova ai miei piedi. Come sospettavo. Ripensando a quello che proprio lei ci ha detto stamattina riguardo alle manie di grandezza di questo figlio di puttana, tutto torna. Qualcosa deve essere sfuggito al suo controllo e la situazione è degenerata.
Heath viene verso di me, poi guarda i ragazzi. “Dovremmo seppellire almeno il padre, che ne pensi?” mi chiede.
“Si, penso che anche loro siano d’accordo. Aiutami, per favore”.  

Abbiamo trovato un posto tranquillo tra due alberi che formano un arco, incontrandosi. Abbiamo creato una croce utilizzando due piccoli rami e una corda. Tracy ha trovato dei fiori nei pressi della radura e Carl adesso si avvicina ai due ragazzi con uno pezzetto di legno, dopo aver rovistato nelle tende dell’ormai ex accampamento.
“Come si chiamava vostro padre? Inciderò il suo nome sulla tavola e lo fisseremo alla croce”.
I ragazzi, che ora si trovano entrambi in ginocchio nei pressi della tomba, si guardano e ovviamente poi è Tracy a parlare. “Scrivi soltanto Emmett H”.
Carl scrive quello che gli è stato detto e fissa il nome alla croce.
Cody si alza, aiutando la sorella a fare lo stesso, e nel frattempo fissa in lontananza, con quello che definirei odio ardente, il corpo dell’uomo che una volta era il loro leader. Poi si avvicina a me, continuando a guardare nella stessa direzione. Appena mi guarda, mi fa cenno con la testa verso la direzione dalla quale siamo arrivati. Vuole ritornare indietro, vuole andarsene da qui.
Io lo assecondo facendo un breve cenno d’assenso e lui comincia ad incamminarsi, seguito da Heath. Capisco il dolore del ragazzo, ha appena scoperto che suo padre è stato ammazzato dalla persona a cui, per quanto ne so, ha affidato completamente la sua sicurezza e la sua vita. Ma in quello sguardo non c’era solo odio, c’erano ribrezzo e dolore, c’era rabbia. C’era cattiveria.
Ci avviamo di nuovo tra gli alberi per tornare indietro e poco distanti da me camminano Carl e Tracy.
“Stai bene?” chiedo alla ragazza, che cammina a testa bassa seguendo solo le nostre ombre con la coda dell’occhio.
“Mmh mmh” risponde lei, ma ovviamente non sta dicendo la verità e questo è chiaro a tutti.
Faccio passare ancora qualche minuto prima di provare a fare chiarezza su un dubbio che mi assale da quando ci siamo allontanati dalla tomba.
“Ehi… capiamo benissimo come vi sentiate in questo momento, davvero… ma tuo fratello… non… non lo so… ” non faccio altro che bloccarmi durante la frase perché non riesco a trovare una cazzo di spiegazione allo sguardo del ragazzo.
“Non potremo mai accettare quello che è successo…” dice lei a bassa voce.
Io e Carl la guardiamo. “Certo che no, non sarebbe naturale. Sarebbe difficile per chiunque accettare una cosa del genere. Le persone si fidavano di Harris e invece lui ha ucciso tutti quanti…” dice Carl, quasi con ovvietà, ma rispettando comunque il suo dolore. “Qualunque sia stato il motivo scatenante, non ci sono scusanti per lui”.
Ma poi Tracy torna a parlare ed entrambi non possiamo fare altro che bloccarci di colpo.
“Non ci sono scusanti a prescindere perché nostro padre… lui era suo fratello”.
Emmett H.
Emmett Harris.

Ecco quali sono gli effetti di questo mondo. Può portare una persona ad ucciderne altre sei, compreso suo fratello. Può portare due ragazzini a scoprire che il loro padre è stato ucciso dal loro zio. Qualunque sia la situazione, nei momenti in cui il mondo ti sputa in faccia e ti prende a calci nel culo, una persona dovrebbe fare del suo meglio per coalizzarsi con le persone che ha intorno e costruire una famiglia per risputare in faccia al mondo e riempirlo a sua volta di calci nel culo.
Nel nostro caso, diventare una famiglia ci ha salvati.
Col tempo, faremo in modo che Tracy e Cody si sentano parte di qualcosa di più grande, qualcosa per cui vale la pena vivere e lottare, qualcosa per cui a volte si è costretti ad uccidere. Una famiglia.
E adesso torniamo proprio da quella famiglia.
Torno con la speranza che Rick si sia risvegliato.
Torno con la speranza di poter parlare con Carol e vederla stare di nuovo bene per poter prendere di nuovo il mondo a calci nel culo.


 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Walking Dead / Vai alla pagina dell'autore: Silvianap