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Autore: _Kurai_    23/06/2016    2 recensioni
Tornare sulla Terra era sempre stato il sogno di Oikawa, e nelle poche settimane in cui gli era stato concesso di fare il mestiere dei suoi sogni si era incantato spesso a contemplare lo splendore di tutto quel blu punteggiato di verde che galleggiava nello spazio profondo attorno a lui.
Aveva fatto in tutto tre passeggiate spaziali dopo aver passato l'esame con il massimo dei voti e con un anno di anticipo, prima di quel maledetto giorno.
Quel maledetto giorno che aveva segnato l'inizio della fine.
Ma poteva forse essere un nuovo inizio? O sarebbe stato solo un modo diverso per ucciderli?
Genere: Angst, Science-fiction, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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We are alone

Dieci secondi.

Dieci secondi durò il disastroso atterraggio della navicella partita dall'Arca con il suo carico di speranza e disperazione.

L'impatto fu violento, logica conseguenza della perdita di stabilità e dell'accelerazione incontrollata dopo l'ingresso nell'atmosfera. I retrorazzi si erano accesi all'ultimo minuto e avevano attutito l'urto, ma non era stato decisamente un atterraggio tranquillo.

Poi fu tutto fumo, urla e confusione.

Aprendo gli occhi che aveva tenuto serrati fino a quel momento, Koushi Sugawara si meravigliò di essere ancora vivo e tutto intero. Slacciò la cintura che lo teneva ancora legato al sedile della navicella e si guardò intorno, distinguendo le sagome dei suoi compagni di viaggio a poco a poco man mano che il fumo si diradava. Molti si stavano muovendo, ma la cacofonia di lamenti che sentiva intorno a lui significava anche che alcuni si erano feriti in qualche modo durante l'atterraggio. Da alcuni macchinari surriscaldati uscivano dense volute di fumo e dei cavi tranciati ronzavano ed emanavano scintille.

 

Qualcuno stava cercando di raggiungere il portellone per guadagnare il mondo esterno, incurante del fatto che l'aria fuori potesse essere ancora irrespirabile o che le radiazioni potessero ucciderli in poco tempo. In effetti, in un momento del genere qualsiasi cosa sarebbe stata preferibile a quell'ambiente soffocante, semibuio e pieno di fumo.

Koushi si alzò rapidamente, per poi lanciarsi nella direzione dalla quale provenivano i lamenti più vicini. Doveva fare il suo dovere, e il suo dovere era salvare vite.

 

Per una strana ironia del destino, si trovava lì proprio per aver salvato una vita.

Era stato confinato come un criminale perché era riuscito a salvare la vita della persona che amava, violando le leggi sull'eccesso di cure: l'equilibrio sull'Arca era fragile come quello di un castello di carte, e sprecare risorse importanti per mantenere in vita qualcuno dato ormai per spacciato poteva costituire un problema per tutti gli altri.

Aveva voluto giocarsi tutto, perché Daichi sopravvivesse: la sua carriera di promessa della medicina appena iniziata, la sua libertà, la sua vita. E Daichi era sopravvissuto, senza immaginare il prezzo che era stato pagato per lui.

Per quanto Koushi fosse maggiorenne ormai da qualche mese, non era stato condannato alla morte immediata – come ormai accadeva sempre più spesso – tramite espulsione nello spazio, ma le guardie lo avevano scortato in una cella buia e fredda, dove aveva trascorso gli ultimi due giorni prima di essere chiamato e informato della missione sulla Terra, per cui era stato selezionato insieme ad altri novantanove “criminali”.

L'aveva accettato, anche se non aveva potuto vedere Daichi per l'ultima volta prima della partenza.

Dopo il decollo aveva guardato indietro mentre l'Arca si faceva sempre più distante, sussurrando “spero che ci rincontreremo...”, con una sola piccola lacrima appesa alle lunghe ciglia.

 

 

Mentre la navicella precipitava, Tadashi ci aveva messo un po' ad accorgersi che quella voce che stava urlando fosse davvero la sua. Gli era suonata quasi estranea, mentre il panico montava crescente e il suono si perdeva tra altre decine di voci spaventate.

Al momento dello schianto era rimasto per qualche istante come dentro una bolla di plastica: i rumori gli giungevano ovattati, il suo sguardo era annebbiato e i pensieri confusi e sconnessi.

Si era ripreso dopo un istante lunghissimo, e il suo primo pensiero era stato rivolto al suo migliore amico, seduto accanto a lui e ancora immobile.

“T-Tsukki?”

La risposta fu un grugnito soffocato: Kei era sveglio, ma era evidente che qualcosa non andava.

Si stava mordendo con forza il labbro inferiore fino a sanguinare ed era pallidissimo; teneva gli occhi socchiusi e cercava di calmarsi, ma era evidente che stesse soffrendo.

Strizzando gli occhi per sfidare il fumo, Tadashi scoprì il motivo del gemito di dolore di Tsukishima: una scheggia di metallo, probabilmente staccatasi dal rivestimento interno che si era rotto in diversi punti durante l'atterraggio, era conficcata profondamente nella sua gamba destra, poco sopra il ginocchio.

Yamaguchi si lasciò prendere istantaneamente dal panico, iniziando a balbettare frasi confuse che nella sua mente avrebbero dovuto suonare come un tentativo di sostenere l'amico ma in realtà ottennero l'effetto opposto, mentre andava quasi in crisi di iperventilazione alla vista del sangue che inondava la stoffa dei pantaloni di Kei.

“Toglilo. Prendi un bel respiro, calmati e poi toglilo” mormorò Tsukki cercando di mantenere ferma la sua voce. Tadashi deglutì rumorosamente, mentre iniziava ad avere ancora più difficoltà a respirare a causa del fumo.

Proprio in quell'istante qualcuno riuscì ad aprire il portellone, e una zaffata di aria fresca iniziò a dissipare lentamente la coltre grigiastra.

Yamaguchi si mosse lentamente fino a sfiorare il grosso frammento frastagliato con le dita, mentre Tsukishima si mordeva il labbro ancora più forte. Per quanto Tadashi fosse dannatamente insicuro e convinto di essere un buono a nulla, Kei sapeva che ne sarebbe stato capace. Si erano aiutati a vicenda migliaia di volte sull'Arca, consapevoli di essere loro due da soli contro tutti. Sarebbe andato tutto bene anche sulla Terra, doveva andare tutto bene.

 

Tadashi si stava accingendo a tirare fuori il pezzo di metallo nonostante le mani che tremavano incontrollabilmente, quando all'improvviso sentì una voce preoccupata ma autoritaria alle sue spalle: “Non farlo, se non vuoi rischiare di recidere l'arteria femorale e ucciderlo. Strappa un pezzo di stoffa e legalo stretto sopra la ferita, qui ci penso io”.

Una mano dalle dita sottili si era posata sulla sua spalla e poi Tadashi aveva infine visto in faccia il suo interlocutore, un ragazzo che sembrava poco più grande di lui ma aveva in sé qualcosa che lo faceva apparire molto più maturo: forse erano i capelli così chiari da sembrare quasi argentei, forse l'espressione di chi aveva già visto la morte da vicino troppe volte, riflessa negli occhi dei suoi pazienti.

Yamaguchi obbedì, legando stretta una manica della sua camicia sopra la ferita e poi scostandosi per lasciare che Sugawara estraesse il frammento con calma olimpica e precisione maniacale.

Tutto si concluse in pochi istanti, con tre sospiri di sollievo all'unisono e un altro pezzo di stoffa premuto sulla ferita sanguinante.

“Ora andate fuori, qui c'è ancora troppo fumo e i vostri polmoni potrebbero danneggiarsi...” si interruppe da solo per un istante, ricordandosi che stava parlando come se si trovassero ancora sull'Arca: a pensarci bene non c'era una scelta migliore tra un ambiente saturo di fumo e uno spazio esterno probabilmente pregno di radiazioni, ma da fuori sentiva arrivare inequivocabili affermazioni di sollievo e addirittura urla di giubilo e meraviglia.

 

Koushi aiutò Tadashi a sorreggere Kei fino al portellone, per poi tornare a perlustrare un'ultima volta ogni angolo della navicella parzialmente distrutta, in cerca di altri feriti.

 

 

La meraviglia invase tutti i sensi di Kuroo non appena il portellone si aprì abbastanza per vedere il mondo esterno.

I colori erano così vivi da far male agli occhi: l'azzurro terso del cielo e il verde cangiante delle fronde gli riempirono lo sguardo, mentre i suoni che nessun uomo udiva da almeno trecento anni lo avvolgevano. Kenma, immediatamente davanti a lui, sembrava anch'egli incantato da quello spettacolo, ma temeva di fare il primo passo all'esterno.

E se una volta posati i piedi sul suolo terrestre qualche esalazione tossica li avesse uccisi? Gli ultimi tre anni passati in un minuscolo cubicolo all'interno di un grande congegno metallico nel silenzio del cosmo lo avevano reso particolarmente timoroso, e nella sua testa galleggiavano migliaia di domande destinate probabilmente a non avere risposta. Tremò leggermente.

Kuroo si era caricato in spalla il corpo inerte di Bokuto, che aveva il respiro regolare e sembrava miracolosamente solo un po' ammaccato dopo la sua bravata, ma era ancora privo di sensi.

Conosceva Bokuto da anni, ma l'aveva rivisto nella cella che avevano condiviso sull'Arca dopo un lungo periodo in cui avevano perso i contatti; solo in seguito aveva scoperto che Koutarou era stato confinato pochi mesi prima di lui per le sue ripetute violazioni delle zone off limits della grande stazione spaziale orbitante. Del resto Kuroo se l'era sempre aspettato, fin da quando lo accompagnava nelle sue bravate, e per un po' il rischio lo aveva anche fatto sentire elettrizzato.

Poi la responsabilità di proteggere Kenma era diventata più importante di tutto il resto.

 

Tutti i ragazzi assiepati davanti al portellone si spingevano per uscire e borbottavano tra loro, ma nessuno era tanto coraggioso (o imprudente) da uscire per primo.

 

“Beh? Avete intenzione di restare qui a bloccare la porta per sempre?” un ragazzo alto e magro con la testa rasata iniziò a sgomitare più degli altri. A forza di gomitate si fece largo fino al portellone, e con un salto scese dalla navicella.

Appena poggiò i piedi sul terreno erboso si tolse la maglietta e iniziò a rotearla in aria urlando: “Sono il primo uomo sulla Terra! Sono il primo fottuto uomo sulla Terra!”

 

“...Sembra che l'aria sia respirabile. O almeno, forse non moriremo subito...” mormorò Asahi, facendo qualche passo in avanti mentre anche tutti gli altri iniziavano a prendere coraggio.

“E io sarò il secondo, bro!” Nishinoya, che gli era davanti, con uno scatto felino seguì Tanaka e lasciò indietro Asahi, che si affrettò a raggiungerli. In pochi istanti erano tutti in piedi nella radura, ad annusare l'aria e ad esplorare lo spiazzo di un centinaio di metri circondato da una folta foresta nel quale erano atterrati.

 

 

Hajime sorreggeva l'amico Takahiro, che aveva metà faccia coperta di sangue e continuava a tossire: lui e Tooru l'avevano trovato così, prossimo a perdere i sensi, e un ragazzo dai capelli chiari che Iwaizumi aveva riconosciuto come uno dei medici dell'Arca gli aveva fatto una fasciatura improvvisata, prima di correre ad aiutare qualcun altro. Hajime aveva tutta l'intenzione di uscire all'esterno, ma non poteva abbandonare Tooru, ostinato a cercare di salvare le apparecchiature di localizzazione e comunicazione della navicella.

“Se solo riuscissi a isolare questo segmento e trovare una fonte di energia...” mormorava tra sé, in preda alla frustrazione, escludendo Hajime dalla sua personale battaglia contro i macchinari in avaria.

“Te lo dico l'ultima volta… usciamo subito da qui, non ha senso cercare di riparare questi strumenti se rischiamo di morire qui dentro…” sospirò Iwaizumi, alterato.

“Non serve a niente sopravvivere se non possiamo comunicare a nessuno che siamo vivi, lo vuoi capire?” rispose Oikawa, più alterato di lui. Detestava sentirsi impotente, e per quanto volesse toccare il suolo terrestre più di ogni altra cosa non riusciva ad accettare che tutti i macchinari che gli sarebbero serviti per comunicare con l'Arca e localizzare il luogo preciso dov'erano atterrati fossero andati perduti per sempre.

“Come vuoi… io porto fuori Hanamaki, non può resistere oltre qui dentro… ma se non sarai fuori entro cinque minuti tornerò qui, ti tramortirò a pugni e ti trascinerò fuori!” detto ciò, Hajime si allontanò verso il portellone, caricandosi in spalla il corpo ormai privo di sensi di Takahiro.

Oikawa rimase in silenzio, pensieroso. I bracciali che portavano tutti al polso (eccetto Iwaizumi, che si era infiltrato sulla navicella all'ultimo secondo) sarebbero serviti agli scienziati dell'Arca per monitorare i loro segni vitali, ma tutte le loro conclusioni si sarebbero basate su supposizioni.

Era stato lui a scoprire il guasto nel sistema dell'Arca, solo lui sapeva che in assenza di risposte certe dalla Terra il Cancelliere avrebbe provveduto a dare il via ad una selezione programmata per aumentare la disponibilità di ossigeno ancora per un po'… in pratica, se non avessero potuto comunicare con certezza l'abitabilità del suolo terrestre, lui sarebbe stato indirettamente responsabile di uno sterminio di innocenti. Non l'aveva detto neanche ad Hajime, perché convinto di dover sostenere da solo il tremendo peso di quella consapevolezza.

Tutto perché non era in grado di far funzionare quei dannati strumenti, tutto perché quel maledetto giorno aveva fatto rapporto sulla sua scoperta ai superiori e non si era accontentato delle loro risposte evasive, tutto perché aveva voluto indagare per capire di più, peggiorando la situazione e comprendendo l'enorme gravità di quello che stava succedendo solo quando era troppo tardi.

 

Tirò un pugno sul quadro comandi, con una potenza tale da fargli sanguinare la mano, ed imprecò ad alta voce. Non c'era più nessuno sulla navicella, e anche se il fumo si era dissipato quasi del tutto l'aria era comunque densa e gli bruciavano gli occhi.

 

Decise che avrebbe tentato di ricollegare i fili scoperti che portavano l'elettricità al quadro comandi: se la poca energia che ancora faceva sfarfallare le luci di emergenza avesse potuto far funzionare i macchinari almeno per qualche minuto, Tooru avrebbe potuto inviare un segnale: sicuramente dall'Arca avevano perso i contatti e la localizzazione della navicella molto prima dell'atterraggio, e senza il GPS non aveva idea di dove fossero realmente atterrati.

 

Era rischioso, ma chi altro poteva farlo?

 

Hajime gli apparve alle spalle mentre stava cercando di ricollegare i due fili con i pochi strumenti per la manutenzione che fortunatamente erano stati messi in dotazione alla navicella (al contrario dei viveri sufficienti per tutti, ma in fondo sarebbe stato uno spreco dilapidare risorse preziose per un centinaio di criminali minorenni destinati a morte certa), ma Tooru era talmente concentrato da non accorgersene.

Aveva appena avvicinato i due capi con la massima accortezza quando per un istante un'immagine telemetrica si materializzò sullo schermo, per poi sparire subito dopo. Oikawa ebbe un sussulto di sorpresa quasi impercettibile, ma sufficiente a fargli perdere la concentrazione per il tempo di un battito di ciglia.

 

Fu questione di un attimo, e la sensazione fu la stessa di quando era stato colpito dalla frusta elettrica di un collega di Hajime il giorno in cui era stato arrestato.

Vide nero solo per pochi minuti – o almeno fu questa la sua impressione – e quando riaprì gli occhi era fuori dalla navicella, con la testa appoggiata sulle gambe di Iwaizumi, che aveva l'espressione più corrucciata che gli avesse mai visto.

 

Spalancò gli occhi: tutto intorno a lui era così meraviglioso da dimenticare ogni altra cosa.

La Terra era esattamente come l'aveva immaginata.

Si riempì lo sguardo dell'azzurro acceso del cielo terso sopra di lui, che mai aveva visto dall'Arca.

Respirò per la prima volta l'aria della Terra, così fresca e strana da provocargli un bizzarro prurito alla gola, poi fissò gli occhi in quelli verdi di Hajime, che stava lentamente virando da un'espressione di rimprovero e preoccupazione ad un lieve sorriso (che solo lui riusciva a distinguere davvero, visto che in realtà si trattava della sua solita espressione vagamente corrucciata ma con gli angoli delle labbra impercettibilmente rivolti verso l'alto).

Hajime avrebbe voluto arrabbiarsi, ma constatare che Tooru era sano e salvo e che erano davvero arrivati vivi sulla Terra gli aveva fatto passare quasi del tutto la voglia di prenderlo a pugni (in ogni caso, di sicuro avrebbe avuto numerose occasioni in seguito per farlo).

Oikawa si mise lentamente a sedere, constatando che tutt'intorno gli altri ragazzi (o almeno quelli che stavano bene) stavano già iniziando ad ambientarsi e ad esplorare i dintorni.

 

Improvvisamente un pensiero gli attraversò la mente: abbassò lo sguardo, in cerca del tenue bagliore della lucina blu che indicava che il bracciale di metallo fosse acceso e funzionante, la stessa lucina blu che lampeggiava sul bracciale di Hanamaki, coricato accanto a lui su una piccola barella di fortuna e ancora privo di conoscenza.

 

Era spenta.

La scossa, per quanto modesta, aveva bruciato i circuiti del suo bracciale.

Da quel momento in poi, chiunque sull'Arca avesse controllato i loro segni vitali, avrebbe pensato che Oikawa Tooru, ragazzo prodigio della meccanica spaziale il cui desiderio più grande era stato quello di calpestare il suolo terrestre, fosse morto appena atterrato sul pianeta che aveva sempre popolato i suoi sogni.

 


E così pare che questo intenso secondo capitolo sia finito... ho esitato un po' nello scriverlo perchè non volevo far già succedere troppe cose all'inizio, ma alla fine è nato così, e chi sono io per distogliere Oikawa dai suoi piani autodistruttivi? In ogni caso è solo l'inizio, preparatevi a dosi di angst mai viste prima (no vabbè, ho fatto anche di peggio) e a tanti tanti personaggi che appariranno lentamente nei prossimi capitoli!!
Ringrazio tanto chi ha avuto voglia di recensire e spero che apprezzerete anche questo aggiornamento!


_Kurai_

 

 

 

 

 

 

   
 
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