CAPITOLO NOVE
“SupernovA”
ONE WEEK
LATER…
Pioveva a
dirotto quella
notte. Nathaniel continuava a girarsi e rigirarsi nel suo letto,
finchè non
aprì gli occhi, iniziando a fissare la sua finestra, le
gocce di pioggia che
scendevano oblique sul vetro. Improvvisamente, sentì dei
rumori provenire fuori
dalla sua stanza e si sollevò di scatto, il volto atterrito.
Dopo qualche
secondo di
suspence e uno scricchiolio di passi nel silenzio
dell’abitazione, la porta si
aprì e una persona incapucciata vi entrò,
chiudendola e restando girata di
spalle per qualche secondo. Nathaniel sobbalzò fuori dal
letto in canottiera e
boxer, indietreggiando in un angolo, spaventato.
Quella persona,
finalmente
si voltò, poggiandosi di schiena alla porta e togliendosi il
cappuccio con una
mano.
Si trattava di
Sam:
completamente bagnato, terrorizzato e con il fiatone.
“Sam??”
si avvicinò
Nathaniel, sorpreso di vederlo in camera sua.
“A mi ha aggredito in casa mia, ero da
solo. Mio padre non c’era, ha
il turno di notte, e così sono scappato! –
spiegò in lacrime, sotto shock – Mi ha
inseguito fino a qui, era dietro di me e poi non lo era più.
Non sapevo dove
andare e così ho corso fino a casa tua!”
L’altro
lo prese per le
spalle, turbato da ciò che gli stava raccontando:
“Ok, calmati, sei al sicuro
qui… - ad un certo punto, però, stranì
in volto – Piuttosto, come hai fatto ad
entrare?”
Sam
ignorò la sua domanda,
fissando vari punti della stanza in maniera disturbata, tremando:
“P-posso
dormire qui? – lo fissò negli occhi, supplicandolo
– Ti prego!”
“M-ma
certo! – continuò a
guardarlo, sconcertato dal suo stato – Certo che puoi
restare!”
A quel punto,
Sam lo
abbracciò, mettendogli le braccia intorno al collo,
stringendolo forte a sé.
Nathaniel
sgranò gli occhi,
le braccia rimasero a peso morto, prima di lasciarsi andare e
contraccambiare
quell’abbraccio. Il cuore gli batteva forte, mentre Sam si
staccava lentamente
da lui. Poi un lungo sguardo si accese fra i due e Nathaniel
iniziò ad
accarezzargli il viso, facendo scivolare le dita lungo i suoi capelli
bagnati e
poi sulla sua guancia. Sam gli prese la faccia e, lentamente, gli
stampò un
bacio. L’altro si staccò subito, guardandolo negli
occhi per qualche secondo,
poi fu il suo turno prenderlo per il viso e continuare a baciarlo, in
un
esplosione di passione.
Iniziarono,
così, a levarsi
la maglietta l’un l’altro e Sam lo spinse
letteramente sul letto, salendo sopra
di lui a cavalcioni. Nathaniel, troppo eccitato, lo prese per i
fianchi,
gettandolo alla sua destra, mettendosi lui sopra Sam. I due
continuarono ad
abbracciarsi, avvinghiati, sudati, i muscoli della schiena di Nathaniel
contratti.
La pioggia si
fece sempre
più forte e un fulmine creò un boato talmente
forte che…Nathaniel si svegliò di
colpo: perché era tutto un sogno, creato dalla sua mente.
Senza fiato, la
fronte
sudata come il suo collo arrossato e il petto che si contraeva,
Nathaniel si
mise le mani nei capelli, trovando assurdo ciò che aveva
appena sognato. Quando
fu più stabile, si voltò a guardare verso la
finestra ed era una bella notte di
luna piena, con tante stelle luminose in cielo.
Sospirò,
poi, fissando il
telefono, che prese dal comodino. Digitò un numero e poi lo
mise all’orecchio.
Dopo due suoni, qualcuno rispose.
“Pronto?”
Era Sam. Ma non
ricevette
risposta.
“Pronto,
chi è?” disse
ancora.
Nathaniel
restò immobile,
contemplando il soffitto della sua stanza, mentre lo ascoltava.
“…Sei
tu, vero? – Nathaniel
si sollevò con la schiena, pensando di essere stato scoperto
– Sei A, dico
bene?...Pff, ovvio che sei tu,
chi altro mi chiamerebbe con l’anonimo a
quest’ora!”
A quel punto,
Nathaniel si
sentì in colpa e decise di rivelarsi, ma Sam
continuò a parlare, un’improvviso
magone nel tono.
“Non
credi sia abbastanza,
quello che ci hai fatto? Sai perfettamente che non siamo stati noi a
fare del
male ad Albert. Sai perfettamente che non eravamo noi alla guida di
quell’auto,
ma Anthony…Non ci dai motivazioni, non ci dici mai nulla;
nemmeno su
Rosewood-riservato o altri crimini che pensi di aver scoperto e di cui
ci
ritieni coinvolti. Ci torturi e basta!”
Una lacrima
scese lungo il
viso di Nathaniel, che preferì non ascoltare oltre,
chiudendo la chiamata,
restando solo con i suoi pensieri per tutta la notte, fissando
nuovamente il
soffitto
*
Il giorno dopo,
la scuola
era in fermento per l’imminente ballo degli ex alunni. Sam e
Rider erano
nell’atrio insieme ad altri studenti a preparare le
scenografie: cartelloni,
drappi, decorazioni varie, costruzioni di cartone da dipingere.
I due, infatti,
si stavano
dedicando a dei finti lampioni da giardino, che avrebbero illuminato
vari punti
dell’evento, passandoci sopra delle mani di vernice. Tra una
mano e l’altra,
Sam raccontò della telefonata anonima che aveva ricevuto,
abbastanza turbato.
“Non
ha detto una sola parola,
sentivo solamente il suo respiro.”
Rider
inzuppò il pennello
nel barattolo, poco convinto: “Sei sicuro che fosse
lui?”
“Chi
diavolo chiamerebbe
dopo mezzanotte con un numero sconosciuto? Dracula?”
“Beh,
in effetti… - fece
una smorfia, arrendendosi all’evidenza – Comunque
hai deciso con chi andrai al
ballo, domani?”
“Ehm,
credo proprio con
nessuno. – sottolineò ironicamente – Sai
com’è, tra lo psicologo e le panic
room sotterranee, non ho avuto molto tempo
di pensare ad un accompagnatore.”
“La
scuola si aspetta che
tu e Nathaniel vi presentiate insieme. Sai com’è,
siete la prima coppia gay
dichiarata di questa scuola!”
“A
proposito di gay
dichiarati…Cameron ha chiesto a Chloe di andare insieme al
ballo e lei ha
accettato!” esclamò seccato.
“Ouh,
bel problema… – reagì
sorpreso - Anthony
ci aveva visto lungo
con Chloe friendzoned!”
Sam gli
lanciò una breve
occhiataccia, prima di continuare: “Questa sarà
una batosta gigantesca per
lei!”
“Non
vedo dove sia il
problema, Sam. Cameron non è dichiarato!”
“Noi
gay siamo
imprevedibili, Rider. Un giorno diciamo che non faremo mai coming out
fino alla
morte e quello dopo lo gridiamo al mondo intero con poster a caratteri
cubitali
attaccati per tutta la città! – spiegò,
nervoso – Anche se Anthony non c’è
più,
non vuol dire che per lei non sarà nuovamente
imbarazzante.”
“Ma a
lei lo hai detto che
lui è gay?”
“Sì,
ma non mi ha creduto!”
“Pff,
- si lasciò sfuggire
una risata – da quando le ragazze non credono più
ai loro migliori amici gay?
Siete come divinità scese in terra per loro.”
“Beh,
a me non da ascolto.
Ormai questa divinità è un comune mortale da
quando l’ho ignorata per tremare
di paura nella mia stessa casa!” esclamò
frustrato, continuando a dipingere.
“Se
non ti crede, mostrale
una prova. Uno come Cameron frequenterà di sicuro uno di
quei localini…”
“Dubito
che Cameron
frequenti locali gay a Rosewood, non è così
stupido!”
“Allora
trova un modo! – si
esasperò, agitando il pennello – Sicuramente
riuscirai ad inventarti qualcosa
prima del ballo.”
“E’
domani, Rider! E
comunque… - si spostò su un altro discorso
– Quando finirà questa storia
dell’esilio?”
“Intendi
Eric?” finse di
nulla, evitando il suo sguardo e concentrandosi sul finto lampione.
“Rider,
smettila con questo
atteggiamento! – si avvicinò di più a
lui per non dargli tregua – Da quando
abbiamo scoperto che la panic room non è una piccola
stanzina, hai allontanato
Eric da noi e non hai nemmeno chiesto a Julie di costruire un altro
braccialetto per lui.”
Rider,
finalmente, si
voltò: “Prima di tutto, è stato Eric ad
aver deciso di allontanarsi per il bene
del gruppo. E, secondo, non coinvolgeremo più Julie nelle
nostre cose. Fa
troppe domande e non ci costruirà mai un altro braccialetto
senza avere delle
risposte su ciò che ha visto e sentito. – gli
lanciò una lunga occhiataccia – E
su ciò che ti sei lasciato scappare con lei nella panic
room!”
“Ok,
ma…ci siamo anche
abbandonati a noi stessi. Dopo quello che abbiamo scoperto con le
cianografie
del seminterrato, non abbiamo più fatto nulla né
pensato a cosa fare.”
“Sam,
non è facile! – alzò
leggermente la voce, per poi guardarsi intorno e bisbigliare
– Per accedere
all’altro lato della panic room, dobbiamo entrare di nuovo
lì, ok? Dove
l’ossigeno ha smesso di arrivarci alla testa,
ricordi?”
“E
allora che facciamo?
Tutto quello che ci serve si trova in quella stanza. Le motivazioni di
Brakner,
chi è coinvolto, Rosewood-riservato!”
Esasperato,
Rider fece una
confessione: “Ho un piano, ok?”
L’altro
restò sbigottito
per qualche secondo prima di parlare: “…E quando
pensavi di dircelo? Che
piano?”
“Ho
scoperto che… - si
avvicinò, chinando in avanti la testa, bisbigliando
– Brakner è stato assegnato
al tiro a segno per il ballo di domani sera. Lindsay naturalmente ci
sarà per
concorrere al titolo di reginetta, mentre, per quanto riguarda Morgan,
l’ho
visto stamattina acquistare due biglietti per
l’evento.”
“Strano
che tutti e tre
saranno al ballo. - la cosa lo lasciò parecchio scettico. -
Se A era con noi nel parcheggio
dell’ospedale, avrà sicuramente visto che
guardavamo le cianografie. Dovrebbero
lasciare qualcuno di guardia, no?”
“Brakner
lo sa che non ci
azzarderemmo mai a tornare lì dentro. –
fantasticò – Credo non abbia nemmeno
cambiato la password, sa che non abbiamo più i mezzi per
scoprirla.”
Sam scosse la
testa, non
riuscendo più a seguirlo: “Ehi, aspetta, di che
parli? Tu non sai la password,
sul display sono comparsi solo degli asterischi!”
“Dieci
asterischi, per la
precisione… - si lasciò sfuggire un sorrisino
furbo – Che password ti fa venire
in mente?”
Quello ci
riflettè,
arrivandoci con grande stupore: “…Miss
Marple?”
“Esatto!
Non so perché, ma
sembra essere fissato con quella serie televisiva, visto che ha tutta
la prima
stagione in videocassetta nel suo covo.”
“Ok,
ma come la metti con quel
comando da remoto che può bloccare il sistema di
aerazione?”
“Ho
rimediato una bombola
d’ossigeno. Sai, quelle che usano i subaquei!”
Sam
restò a fissarlo per
qualche secondo: “Tu sei fottutamente pazzo!”
“Arrivati
a questo punto,
non mi interessa quello che scoprirò su Anthony in
Rosewood-riservato. Prenderò
i nostri video e poi decideremo come sbarazzarci di A!”
“Quindi
sei intenzionato ad
andarci da solo?” si preoccupò seriamente.
Rider lo prese
per le
spalle, cercando di rasserenarlo: “Sam, dovrà
sembrare una serata tranquilla
per A. Vederci tutti e quattro
insieme al ballo, gli farà abbassare la guardia. E quando
inizieranno tutti a
ballare, sgattaiolerò via con un diversivo.”
“Hai
intenzione di dirlo
anche agli altri, vero?”
“No,
Sam. Sarà più
credibile non vederci tutti tesi, perciò, tu che lo sai,
cerca di non essere
troppo teso e fai finta di nulla! – si ricordò
un’ultima cosa, poi – Ah,
assicurati che Eric e Nathaniel vengano al ballo, non si sa mai che
cambino
idea all’ultimo secondo.”
Nonostante tutti
quegli
avvertimenti, Sam non riusciva proprio a nascondere la sua
preoccupazio:
“Ascolta, forse...”
Ma non
potè completare ciò
che stava per dirgli, interrotto dall’arrivo di Brianna
Santoni.
“Sam?”
Quelli si
voltarono.
“Scusate
se vi disturbo,
ma… - spostò lo sguardo tra i due, mortificata
per la sua intrusione – ci serve
qualcuno che faccia le foto al ballo e so che tu, Sam, sei bravo con le
foto.
Me l’ha detto Chloe!”
“Sì,
si, è vero!” annuì,
inizialmente distaccato.
“Bene,
allora sei dei
nostri? So che magari preferiresti venire al ballo in altre vesti, ma
qualcuno
dovrà pur fotografare il re e la reginetta, no?”
sorrise, mentre Rider si
manteneva ostile nelle espressioni.
Sam, invece,
sembrò
improvvisamente coinvolto e quasi sospreso: “D-dei
vostri?” Ehm, ma certo!
Tanto non sapevo con chi venirci al ballo!” rise, attirando
lo sguardo
incredulo di Rider.
“Perfetto,
passa dalla
redazione appena hai tempo, così discutiamo degli altri
dettagli!” escalmò,
congendandosi.
Mentre Rider
trovava
assurda quella proposta, Sam continuò a sorridere.
“Cos’è,
adesso i seguaci di
Violet ci prendono in considerazione? – si voltò
verso Sam, contestando subito
ciò che vide – Ehm, perché stai
sorridendo?”
“Perché
è bello sapere di
non essere così odiato!”
“Beato
te, io non posso
dire lo stesso. Sanno tutti quanto sono preciso e organizzato, eppure
nessuno
mi ha chiesto di far parte dello staff che si occupa del
ballo!” esclamò,
amareggiato.
Sam gli mise una
mano sulla
spalla, cercando di consolarlo: “C’è
Violet per quello: non servono due
precisini per organizzare un ballo!”
Rider lo
fissò con il
broncio, non replicando. Improvvisamente, dopo qualche secondo, gli
altoparlanti della scuola emisero un suono assordante, che costrinse
tutti a
coprirsi le orecchie.
Poco dopo,
cessò, lasciando
tutti abbastanza storditi.
“Ma
che cavolo…???” disse
Sam, rimettendo giù le braccia.
Rider
sgranò immediatamente
gli occhi sul polso di Sam e poi sul suo: “I
bracciali!”
Immediatamente,
i due
spostarono lo sguardo a terra: erano lì.
“Ma si
sono sganciati?”
“Era
la stessa frequenza
che ha usato Julie per toglierci i bracciali la prima
volta…” ricordò Rider.
“Beh,
rimettiamoli!”
sussultò Sam.
Poco prima di
chianarsi a
recuperarli, però, ricevettero un messaggio. I due si
guardarono, costretti a
leggerlo.
“Indossateli
di nuovo e
qualcuno non arriverà al ballo di
domani…”
-A
Sam
titubò di fronte a quel messaggio, confuso:
“…Chi non arriverà al ballo di
domani? Noi?”
“Credo
che si riferisca a persone a cui teniamo!” esclamò
l’altro.
Entrambi
avevano il volto atterrito, fissando i loro braccialetti, ancora a
terra.
*
Intanto, in
palestra, il
coach prestava attenzione al tempo dei ragazzi. Nathaniel nuotava lungo
la sua
corsia, di fianco a Morgan che lo equivaleva e, più
indietro, altri due
ragazzi. Tra una bracciata e l’altra, Nathaniel si accorgeva
sempre di più del
suo rivale, quasi in testa.
Incredibilmente,
fu Morgan
ad arrivare per primo e a completare la vasca. Nathaniel
sembrò essersi
sforzato tanto, come non aveva mai fatto, dato che era sempre stato il
migliore. Non appena sentì gli applausi del coach e degli
altri compagni di
squadra, si fermò prima del dovuto, ormai sconfitto,
togliendosi gli
occhialini.
“Ottimo
lavoro, Patterson.
Hai fatto dei progressi notevoli!” si avvicinò a
lui il coach, mentre saliva la
scaletta.
Poi si
voltò verso
Nathaniel, che, palesemente provato dall’aver perso per la
prima volta, restò
in acqua a fissarli.
“Blake,
che succede? Non
hai mai fatto un tempo simile…” si
mostrò stupito e alquanto deluso.
Nathaniel,
fulminando
Morgan con lo sguardo, circordato dagli altri, che lo festeggiavano con
sorrisi
e pacche sulle spalle, si voltò verso il coach, marcando un
sorrisino arrogante.
“Evidentemente
ho messo su
qualche kilo, mentre… - fissò Morgan, mantenendo
quel sorrisino beffardo, atto
a lanciarli una frecciatina - qualcun altro si è affannato a
dimagrire e ci sta
riuscendo, a quanto pare.”
Morgan assunse
immediatamente un’espressione poco amichevole, mentre
Nathaniel saliva la
scaletta, uscendo dalla piscina. Tutti lo fissarono, alle spalle di
Morgan.
“Ti ho
battuto, Blake!
Fattene una ragione!” reagì il ragazzo, con
fermezza e sicurezza.
Nathaniel
continuò a
sorridere, sempre più arrogante, avvicinandosi a lui, muso a
muso.
“…So
quello che stai
facendo, Morgan. Ma non arriverò mai a pesare quanto pesi
tu… - sembrava quasi
Anthony nel modo di parlare - Dovessi smettere di mangiare per
sempre!”
Quello, a rabbia
accumulata,
lo spintonò di colpo, infuriandosi e facendo sussultare
tutti. Nathaniel,
barcollante, ritrovò l’equilibrio e
ricambiò con una spinta altrettanto forte.
Il coach non potè fare altro che intervenire, mentre gli
altri già cercavano di
dividerli.
“Fermi!
Basta, BASTA!” si mise
tra loro, aprendo le braccia, distanziandoli. I due si stavano ancora
fulminando con lo sguardo, trattenuti dai loro compagni.
Nathaniel si
liberò dalla
presa di alcuni di loro, con rabbia. Il coach non credeva ai suoi occhi.
“Ma si
può sapere che ti succede?
Blake, sembra quasi che tu non dorma da giorni, hai un aspetto
orribile!”
Ed era
così, infatti.
Nathaniel aveva il volto caratterizzato da un bianco cadaverico e un
contorno
viola intorno agli occhi, vispi e dilatati.
“Sto
da DIO! – esclamò al
coach, guardando di nuovo Morgan, mentre andava via, chiaramente
instabile –
Hai capito, Morgan?” e se ne andò, sotto lo
sguardo basito di tutti i presenti.
*
Più
tardi, dopo la scuola,
Sam ebbe il suo consueto appuntamento con lo psicologo. Mentre il
ticchettiò
riempiva l’aria, Wesam era lì che fissava Sam,
pronto ad ascoltarlo.
Il nervosismo
del ragazzo,
però, prese immediatamente il sopravvento, mentre fissava
delle mensole, sulla
parete, alla sua sinistra.
“Vedo
che c’è un oggettino
nuovo!” indicò.
Wesam non si
girò nemmeno a
guardare, mantenendo il suo sguardo fisso su di lui: “Vedo
che adottiamo
vecchie abitudini!”
“Cioè?”
“Nascondere
la verità,
camuffandola con queste assurde trovate, in modo da far scorrere il
tempo più
velocemente…- sorrise, poi – Ma sai una cosa? Ho
rimandato l’appuntamento che
viene dopo, perciò quando la sabbia sarà scesa
tutta, girerò nuovamente la
clessidra.”
Sam
sbiancò, per nulla
contento: “Cosa? Quaranta minuti in più?”
“Ma
guarda che strana
reazione! – lo incalzò - Allora hai finalmente
capito che non si può
temporeggiare per sempre. Che anche la verità ha una data di
scadenza.”
“Non
sto temporeggiando!”
si oppose, nonostante la sua voce tremasse.
“Inizia
a dirmi la verità,
Sam. Il vero motivo del tuo disagio. Inizia anche dalla più
piccola
preoccupazione, ma inizia da qualcosa che non sia una bugia.”
Sam
inumidì le labbra,
abbassando lo sguardo, rilassandosi: “Ultimanente…
- iniziò a raccontare – Sono
preoccupato per la mia migliore amica. – finalmente lo
guardò negli occhi – Ci
siamo un po’ distaccati e ad un certo punto ne abbiamo
parlato. Quando ha
scoperto che mi ero tagliato…si è subito
preoccupata per me.”
“Poi?
Cosa è successo?” lo
ascoltò con interesse, l’agenda sulle ginocchia.
“Mi ha
raccontato che
sarebbe venuta al ballo con un ragazzo. Un ragazzo che io so, essere
gay… -
gesticolò, nervosamente – Io l’ho
avvertita, ma non mi ha creduto. Lei ha avuto
molte delusioni in amore e non vorrei si innamorasse di lui, che la sta
usando
solo perché ha paura che gli altri sappiano chi è
realmente. Non vorrei che ci
rimanesse male come tutte le alre volte!”
“Hai
intenzione di agire in
qualche in qualche modo?” gli chiese, cogliendolo di sopresa.
“Ehm,
non saprei, cosa le
fa credere che farò qualcosa?”
“Perché
si vede dal tuo sguardo
che hai molto a cuore questa tua amica. Non vuoi che soffra di nuovo e
farai
sicuramente il possibile affinchè non avvenga.”
“Beh,
sì, ma…non sono cosa
fare. Ora come ora, non crederebbe ad una sola parola. Ci vuole una
prova!”
“Sai,
Sam? Non ci vuole
molto ad incastrare un ragazzo gay. Ci ripetiamo continuamente che
abbiamo
tutto sottocontrollo, che nessuno riuscirà mai a scoprire il
nostro segreto. La
voglia di essere ciò che siamo, però, prende il
sopravvento ad un certo punto e
prendiamo certe strade che pensiamo che altri non percorrerebbero mai.
Molte
volte, però, non ci rendiamo conto che stiamo sbagliando
qualcosa, che stiamo
abbassando la guardia, ed ecco che veniamo incastrati da noi
stessi.”
Sam,
naturalmente, notò che
Wesam si era immedesimato molto in quelle parole: “Ti sei
incastrato anche tu,
per caso?”
Quello si
lasciò scappare
una risata, per sdrammatizzare: “Abbastanza, direi. Mia
sorella mi ha beccato a
letto con il suo fidanzato…Mancavano tre mesi alle loro
nozze! – rivelò,
fissando la finestra, un’improvviso velo di tristezza sul
volto – Nessuno della
mia famiglia mi rivolge più la parola da ben tre anni.
– sorrise, tornando a
guardarlo, gli occhi leggermente lucidi – Pensa che si sono
sposati ugualmente
e lui ha definito quello che è successo con me, uno
spiacevole episodio. E il
bello è che è stato creduto, quando io so
perfettamente che lui lo voleva
quanto me, quel pomeriggio.”
Sam si commosse,
nell’ascoltarlo: “Mi dispiace così
tanto. E’ brutto avere tutti contro e sentirsi
solo. Non avere nessuno…”
L’altro
lo fulminò, serio:
“Tu qualcuno ce l’hai, Sam. Non pensare di capirmi,
perchè non sei solo. Non
hai idea di cosa sia la solitudine, te lo garantisco. –
sottolineò con fermezza
– Tuo padre ti ama più della sua stessa vita, ma
per qualche strano motivo, tu
lo stai allontanando.”
“Io so
che significa
sentirsi soli, credimi!” ribattè, a voce alta.
“Allora
dimmi cos’è! – alzò
la voce anche lui – Sei qui per questo, Sam. Per metterti a
nudo, per sfogarti,
per essere aiutato!”
Quelle parole lo
fecero
lacrimare, mentre tentava di evitare lo sguardo di Wesam.
“Lasciati
aiutare, Sam…”
disse più calmo.
E si guardarono
a lungo, il
volto di Sam chiaramente combattuto; tant’è che
stava quasi per cedere e
cedette.
“Quello
che mi sta
succedendo, io non posso raccontarlo. – Wesam si
chinò in avanti, ascoltandolo
attentamente – Circa un mese e mezzo fa, io e i
miei…”
Fu interrotto,
improvvisamente,
dallo squillo del suo telefono. Il numero che comparve, non gli
sembrava
familiare.
“Ehm,
ti dispiace se
rispondo?” si alzò di colpo.
“Certo,
fa pure!”
Sam
uscì dalla stanza,
lasciando distrattamente la porta socchiusa. Finalmente rispose.
“Pronto?
Chi parla?”
“Sta ricevendo una telefonata dal penitenziario di
Philadelphia dal
detenuto Jasper Lughlin. Premere
uno,
per accettare la chiamata.”
Sam
stranì nel sentire che
si trattava di lui, stringendo gli occhi, nervoso. Poi, premette uno e
aspettò
di sentire la sua voce.
“Sam?
Ci sei?”
“Ehi,
Jasper…” rispose con
un filino di voce, dopo aver deglutito malamente.
“Ehi, Jasper??? -
reagì in
malomodo - Dopo che ci siamo visti
l’ultima volta, non siete più venuti. Il processo
si avvicina e non ho un alibi!”
“C-come
hai avuto il mio
numero?”
“Questa
è una bella
domanda. Qualcuno ha infilato il tuo numero nella tasca della mia
divisa, ma
non ha senso!”
“Ehm…
- girovagò con lo
sguardo, a disagio – Noi ci stiamo lavorando, ok?”
“Sam, voi mi avete chiesto di aspettare e io l’ho
fatto, ma qui c’è in gioco la
mia vita. Se le cose non si metteranno bene o non troverete una
soluzione per
tirarmi fuori di qui…dirò tutto quello che mi
avete detto alla polizia e sarete
chiamati a testimoniare.”
“Oh
mio Dio… - pronunciò
sottovoce, chiudendo gli occhi – Ok, ascolta, il processo
è tra una settimana,
giusto? Dacci ancora qualche giorno, ti prego!”
“Cosa
cambia? Non
riuscirete mai a farmi uscire di galera!”
“Sappiamo
chi è A!”
esclamò a bruciapelo, come per
zittirlo.
“…Lo
sapete? Chi è?” ne
rimase sorpreso.
“Solo
qualche giorno,
Jasper. Solo qualche altro giorno, ti prego!” lo
supplicò.
“…Due
giorni, non di più!”
e la telefonata cadde di colpo.
Sam rimise
giù il telefono,
chiudendo gli occhi, i muscoli deboli per la tensione. La porta alle
sue spalle
si aprì e si affacciò Wesam, con un braccio
dietro la schiena.
“Allora?
Resti qui fuori o
torni dentro?”
L’altro
sospirò,
mortificato: “Senti, devo andare. Tanto mancano dieci minuti
alla fine della
seduta. Perdonami!”
Wesam
portò la mano avanti,
che stringeva la tracolla del ragazzo.
“Immaginavo
che non saresti
rientrato, perciò ti ho portato la borsa!”
Quello la prese,
accennando
un piccolo sorriso: “Non dirlo a mio padre o mi
perseguiterà per giorni. Ci
tiene che io faccia queste sedute!”
“Quello
che succede qui
dentro, rimane qui dentro, no? – gli fece
un’occhiolino per rassicurarlo – Ora,
se non ti dispiace, ho dieci minuti da dedicare ad una poltrona vuota,
prima
che arrivi il prossimo appuntamento che non ho mai annullato!”
Sam rise a
quella battuta,
anche se in maniera lieve. Poi se ne andò, mentre
l’altro restava lì a
guardarlo andar via. Quando tornò nella stanza, divenne
serio, scrivendo un
nuovo appunto sulla sua agenda.
“-
Jasper???
-A???
-
Processo???”
*
Verso
metà pomeriggio, Eric
era al Brew, che stava portando un vassoio di tazzine sporche al
bancone,
pronte per essere lavate. Altamente nervoso, controllò il
telefono, prima di
farlo: erano messaggi di Alexis.
Quando
sollevò il capo,
puntando la strada, vide che stava arrivando. Uscì
immediatamente da dietro al
bancone, buttando una rapida occhiata su Todd, impegnato in una
conversazione,
fiodandosi poi fuori dal Brew.
“Alexis!”
esordì con il
fiatone.
Quella,
però, non era di
buon umore: “Dov’è Todd???”
“Senti,
lascia perdere, ok?
– si interpose tra lei e la porta – Ti
aiuterò a trovare un nuovo lavoro!”
“Eric,
sono appena tornata
a Rosewood, vorrei decidere io cosa fare della mia vita,
d’accordo? Todd deve
assolutamente ridarmi il lavoro, non è di certo colpa mia se
un pazzo mi ha
investita con l’auto!”
Alexis
cercò di passare, ma
Eric le bloccava ancora il passaggio.
“Alexis,
ne abbiamo già parlato
per telefono: ti passerò il mio stipendio finchè
non troverai un nuovo lavoro,
ok?”
Immediatamente,
lei, sgranò
gli occhi, basita: “Ancora con questa storia?
Perché dovresti lavorare al posto
mio, quando sono perfettamente in grado di farlo da sola?”
“Perché
Todd, ormai, ha
assunto me! – urlò, cercando di fermarla
dall’entrare – Inizialmente pensavo di
farti un favore, mantenendo il tuo posto, per paura che assumesse
un’altra
persona, ma quando gli ho detto che stavi tornando…Beh, ha
detto che non ti
avrebbe più ripresa!”
“Ehm…
- era a bocca aperta,
scioccata, le lacrimavano gli occhi – Quindi funziona
così? Ti capita una cosa
brutta e vieni tagliata fuori in questo modo?”
Eric le prese la
mano,
dispiaciuto: “E’ solo un lavoro in caffetteria,
Alexis. Sai quanti giovani
ragazzi come noi vengono assunti e licenziati nel giro di un
anno?”
Una lacrima le
scese dal viso,
mentre guardava da un’altra parte, sentendosi impotente:
“Per telefono sembrava
che fosse tutto a posto. Todd ha detto che potevo
tornare…”
“Ha
cambiato idea, dopo che
ha saputo che saresti andata a stare da tua madre per la
convalescenza.”
“Ma
sono stata via pochi
giorni?” insistette avvilita.
“Più
di una settimana,
Alexis. – precisò – Sai
com’è fatto Todd: è uno
stronzo!”
Arresa, mise le
braccia
conserte, guardando l’interno del Brew, attraverso il vetro.
Eric la prese e
la
abbracciò: “Ti aiuterò a cercare un
altro lavoro, d’accordo? – si staccò,
tirando fuori dei soldi dalla tasca – Ah,
dimenticavo questo
è quello che mi ha dato per tutta la
settimana che ho fatto!”
Alexis si mise i
capelli
dietro le orecchie, imbarazzata: “N-non… Io non
posso accettarli, ne hai
bisogno anche tu!” indietreggiò, agitando le mani
in senso di rifiuto.
“Ho
preso questo posto per
te, ok? Mio padre torna domani, ce la caveremo. Tu hai le spese del
college e
tua madre fa tre lavori diversi per aiutarti. – glieli mise
nelle mani con la
forza – Servono più a te che a me!”
Quella lo
fissò,
mortificata e con gli occhi lucidi e alla fine li accettò.
Poi lo baciò.
“Dobbiamo
parlare di quanto
tu sia il ragazzo migliore di questo universo!” disse
accennando un sorriso,
dopo il bacio.
Lui rise:
“Nah, sei tu la
migliore!”
L’ennesimo
sorriso e un
lungo sguardo intenso, terminarono quell’incontro. Eric
rientrò al Brew, mentre
Todd arrivava proprio verso di lui, buttando un occhio verso la strada,
attraverso le vetrate.
“Quella
era Alexis?”
“Sì,
era lei!” esclamò,
strofinandosi le mani per il freddo.
“Come
mai non è entrata?
Pensavo volesse indietro il suo lavoro!”
“Ehm,
in realtà, ha trovato
un altro lavoro più vicino alla Hollis. Sembra proprio che
resterò io qui!”
Mettendo le
labbra a papera,
metabolizzando la cosa, borbottò qualcosa dandogli una pacca
sulla spalla: “Uhm,
d’accordo, come vuole lei… - si
allontanò - C’è un tavolo da pulire,
comunque!”
“Sì,
l’ho visto!” esclamò,
dirigendosi verso di esso.
Poco prima di
pulirlo con
lo straccio che aveva sulla spalla destra, però,
tirò fuori il suo telefono
dalla tasca del grembiule, leggendo un particolare messaggio ricevuto
qualche
ora prima.
“Tieniti
stretto il
lavoro o la prossima volta la investo con un camper.”
-A
Eric
deglutì malamente, per
poi sospirare. Era riuscito ad allontanare Alexis con una bugia, ma il
peso che
portava sulle spalle era ormai troppo enorme. La sua fronte sudava
freddo e la
sua espressione era del tutto spenta, mentre rimetteva il telefono in
tasca ed
iniziava a pulire.
*
Vero sera,
Rider, a casa
sua, si affacciò un ultima volta fuori dalla sua stanza con
aria furtiva.
Voleva essere sicuro che nessuno fosse nei paraggi, così
chiuse la porta e si
diresse verso il suo letto. Si abbassò a gattoni, alzando la
coperta che
toccava il pavimento: rivelò una lunga bombola
d’ossigeno, nascosta lì sotto.
Subito la
tirò fuori,
trascinandola lungo il pavimento, fino all’armadio; era
talmente pesante che si
sforzò esageratamente. Si asciugò il sudore, poi
aprì gli sportelli, fece
spazio e la posizionò lì dentro, coprendola con
degli abiti.
Di nuovo in
piedi, sbatte
le mani fra loro sporche di polvere e riprese fiato. Improvvisamente,
però,
poco prima di chiudere le porte dell’armadio, intravide sotto
ad altri abiti,
il tablet dell’istituto di ingegneria elettronica che aveva
rubato tempo prima.
Si chinò a prenderlo allora, sollevandolo davanti al suo
viso: i chip che
avevano messo a tutti, sembravano tutti inattivi; tutti tranne uno.
“Ma
che cavolo…???” aguzzò
meglio la vista, su quel puntino rosso che lampeggiava sullo schermo.
Intanto,
suonavano alla
porta di casa. Con insistenza.
Rider si diresse
immediatamente
verso il comodino, dove ci trovò un blocchetto di post-it
sopra, attaccandone
uno allo schermo del tablet.
Dal corridoio,
si sentì la
voce seccata di Lindsay che si prestava ad andare di sotto ad aprire:
“Ma nessuno sente che stanno
suonando, in
questa dannata casa?”
Rider, intanto,
stava
scrivendo su quel post-it.
“Controllare
posizione sospetta nel
bosco dopo il ponte.”
Quando
finì di scrivere
quell’appunto, mise il tablet dentro un cassetto e lo
richiuse. Poi uscì fuori
dalla sua stanza, andando dietro Lindsay.
Una volta di
sotto, la
ragazza era in piedi davanti alla porta, con qualcosa in mano. Davanti
a lei non
c’era nessuno.
“Chi
è?” domandò Rider,
scendendo l’ultimo gradino.
Quella si
voltò un attimo,
l’aria sconvolta. Poi uscì fuori, camminando per
qualche passo e guardandosi
attorno. Rider, incuriosito, si avvicinò per chiederle cosa
stesse accandendo.
“Lindsay,
ma che succede?”
Subito, lei,
tornò
indietro: una busta per gli acquisti tra le mani, molto colorata.
Nervosa, tirò
fuori ciò che c’era dentro e si prestò
a spiegare. Si trattava di un abito
celeste da neonato, accompagnato da un bigliettino.
“Ho
aperto la porta e c’era
questo! – Rider prese in mano il vestitino, mentre lei
sollevava il biglietto –
E’ un maschio, congratulazioni! –A!”
Rider la
fissò
attentamente, cercando di capire se stesse bluffando, ma sembrava
davvero
spaventata.
“Qualcuno
deve aver
scoperto della mia relazione con lui, sono rovinata!”
L’altro,
convintosi che era
seria, fu colto immediatamente da un cattivo pensiero; che altro non
era che
l’oggetto del messaggio: “Sei incinta, per
caso?”
“NOO!”
esclamò in maniera
sonora.
“E
allora che vuol dire?”
“E’
una frecciatina,
Rider!” prese tutto dalle sue mani con foga e lo rimise nella
busta,
rientrando, prima che il fratello potesse rivolgerle un’altra
domanda.
Quello rimase
lì impalato,
guardandosi attorno, il verso dei grilli nei cespugli e il sibilare
delle luci
nei lampioni. Finalmente rientrò anche lui.
*
Parcheggiato
davanti a casa
sua, Sam aveva il telefono all’orecchio e la testa poggiata
al volante, l’aria
abbastanza stressata; stava chiamando qualcuno.
Quando
finalmente ricevette
risposta, alzò immediatamente la testa.
“Pronto,
Nat?” chiamò il
suo nome, aspettando di sentire la sua voce.
“…Sì?”
replicò l’altro, in
un tono privo di vivacità.
“Ehm,
scusa se ti disturbo,
ma sei l’unico con cui posso parlare di questa
cosa!”
“…Cioè?”
sembrava
distratto.
Sam se ne
accorse: “Ma dove
sei?”
“Sono
in un market, prendo
qualcosa per il ristorante; tipo qualche bottiglia di vino
bianco!” ribattè,
masticando delle patatine che prendeva poco alla volta dal pacco,
poggiato
dentro al carrello, mentre guardava verso gli scaffali.
“Cos’è
questo rumore? Stai
per caso mangiando qualcosa?”
“Sì,
delle patatine e
magari qualcos’altro da cucinare lì, prima di
tornare a casa!”
“Un
secondo, stai mangiando
dentro ad un market?”
“Ho
fame, non mangio nulla da
stamattina!”
“Potevi
pranzare alla mensa
della scuola, no?”
“Sì,
magari una fetta di
torta al cioccolato, panna e pillole per il di cambio sesso!”
esclamò,
sarcastico.
“Nat,
è assurda questa tua
paranoia. A non può
interferire con
il cibo che ti verrà servito in mensa, non è
David Copperfield!”
“Sta
di fatto che quelle
pillole si prendono dopo i pasti, ok? E per un mese e mezzo le ho prese
senza
che me ne accorgessi!” ribadì, isterico.
Sam
sospirò, evitando di
controbattere, cambiando discorso: “Comunque ti ho chiamato
perché…mentre ero
da Wesam, dal carcere mi ha chiamato Jasper: sta perdendo la
testa!”
“Wesam,
il tuo psicologo? –
puntualizzò, una vena arrogante - Ora lo chiami per
nome?”
“E’
rilevante? Dico, hai
sentito cosa ti ho appena detto?”
“Sì
sì, ho sentito! –
esclamò seccato, per poi parlare tra sé e
sé – Non sono mica
sordo!”
Sam, perplesso
dal suo
atteggiamento, preferì sorvolare: “…Ok,
ha minacciato di raccontare tutto
quanto. Ci ha dato due giorni di tempo per tirarlo fuori di prigione,
prima che
inizi il processo!”
A quel punto,
Nathaniel
sembrò prendere sul serio la cosa e nella sua espressione si
dipinse in un velo
di preoccupazione: “…E-e cos’hai gli hai
risposto?”
“Che
gli dovevo rispondere,
secondo te? Scusa, ma la vita non
è come il
monopoli, la carta “Esci di prigione al prossimo
turno” non ce l’abbiamo?”
“Come
pretende che in due
giorni possiamo trovare un modo per tirarlo fuori di
lì?”
“Beh,
gli abbiamo fatto
delle promesse l’ultima volta… -
sbuffò, sotto stress – Abbiamo commesso un
grosso errore a rivelarli tutto. Rider ci ammazza se lo
scopre!”
“Rider
è l’ultimo dei
nostri problemi. Se Jasper parla, inizieranno ad indagare su di noi,
tutto il
caso verrà riesaminato!”
Ora, la voce di
Sam
tremava: “O-ok, ma a Jasper non abbiamo detto che eravamo con
Anthony. Pensa
che l’abbiamo solo visto o seguito, ha capito
così, no?”
“Quello
che Jasper pensa,
non è quello che la polizia penserà. Loro faranno
sicuramente due più due!”
Sam si
portò una mano alla
fronte, disperato: “Oh Dio, abbiamo combinato un
casino!”
“Domani
mi inventerò
qualcosa, magari faccio un salto da lui in prigione e cerco di fargli
cambiare
idea, darci più tempo!”
“Buona
fortuna, allora! Al
telefono non sembrava così collaborativo.” la
diede per una missione inutile.
“Ora
vado, mi sto
avvicinando alla cassa. Teniamoci aggiornati o come ti pare!”
aggiunse,
chiudendo bruscamente.
“Ma..??”
Sam non ebbe il
tempo di
replicare, restando a guardare basito il suo telefono per la fugacia
dell’amico.
Sospirando, buttò il telefono sul sedile di fianco,
sdraiandosi sul suo,
sollevando la testa in alto e abbandonandosi ai suoi pensieri, prima di
rientrare a casa.
L’attimo
seguente, il
silenzio fu rotto da una notifica. Sam buttò giù
la testa e lo prese dopo
qualche secondo, esausto di averci sempre a che fare: si trattava di
alcune
email, che lesse ad alta voce.
“Jim Gordon vuole uscire con te, rispondi al suo
invito… -
con un dito, trascinò il messaggio nel
cestino, abbastanza annoiato – No, grazie! –
un’altra email, poi – Disponibile
il box con le prime tre stagioni
di The 100, entra nel sito per acquistare… - ci
pensò su, poi trascinò
anche quella email nel cestino – Non ho il tempo di vivere,
figuriamoci una
maratona di tre stagioni! – e, ancora, un’altra
email – Brianna Santoni ti ha
aggiunto al gruppo “Homecoming
staff”…”
Sam, finalmente,
si fece
sfuggire un piccolo sorriso; sentiva tutto l’odio che per
settimane aveva
percepito nei suoi confronti, da parte degli altri studenti, svanire
lentamente. Subito dopo, fu catturato da un’email che
conteneva degli annunci.
Ciò che risaltò ai suoi occhi, fu immediatamente
quello del “Ginseng”,
un locale gay che pare
avrebbe ospitato una band abbastanza conosciuta.
A quel puno,
fissò la sua abitazione, indeciso se
scendere oppure no, stuzzicato da quell’annuncio. Poi
tornò a guardare il
telefono, pensando che aveva bisogno di quella distrazione, di quella
serata;
di un posto dove sarebbe stato solo Sam, un ragazzo qualsiasi di cui
nessuno sa
nulla. Fu per questi pensieri che non ci pensò due volte a
buttare il telefono
sui sedili posteriori, girando la chiave e partendo a tavoletta.
*
Nathaniel aveva
appena chiuso il ristorante di suo
padre, dopo aver mangiato da solo ciò che aveva comprato al
market. Mentre
camminava lungo il marciapiedi, indossava la stessa felpa grigia e gli
stessi
jeans che aveva indossato per tutto il giorno.
Dalla tasca
tirò fuori il suo ipod, si mise le cuffie
nelle orecchie e la musica lo accompagnò nella lunga corsa
che iniziò. Corse
ancora, ancora e ancora. Per due, tre isolati interi, senza fermarsi.
Ormai
aveva lo sguardo fisso sulla strada che aveva davanti, quasi in trance,
mentre
ripensava a tutti i problemi della sua vita. Quando
attraversò la strada, non
vide nemmeno l'auto che gli stava arrivando addosso;
se ne accorse solo quando la luce lo abbagliò
e quando l'auto frenò ad un passo da lui.
"Ma chi cavolo
ti ha dato la patente? - sbraitò
Nathaniel contro il conducente, che non riusciva a vedere per via degli
abbaglianti - Stronzo!"
Improvvisamente,
la portiera si aprì e Nathaniel non
fece un passo, aspettando di vedere chi era.
"Nathaniel?" non
credette ai suoi occhi,
Cameron, ormai fuori dalla vettura.
Indossava una
camicia bianca, molto elegante.
L'altro si
lasciò sfuggire una risata di incredulità:
"Ma tu guarda...di tutta Rosewood, quasi mi facevo investire da un
idiota!"
Confuso, lo
squadrò dalla testa ai piedi: "Che ci
fai in giro a quest'ora? Non sembri molto informa...Sai, stamattina
passavo
dalla palestra e ho assistito a quello che è successo con
Morgan..."
"Mi tieni
d'occhio, per caso?" lo fulminò,
infastidito, facendo un piccolo passo verso la sua direzione.
"Ho detto che ci
sono passato per caso davanti alla
palestra. Solo perché so che sei gay, non vuol dire che tu
sia l'unico al
mondo."
Quello
abbassò lo sguardo, rendendosi conto di aver
esagerato. L'altro lo fissò in silenzio, per poi rivolgersi
nuovamente a lui.
"Senti, vuoi un
passaggio? So che abiti vicino a
casa di Rider Stuart..."
"E tu che ne sai
di dove abita Rider?"
"La smetti di
trattarmi come un serial killer? Suo
padre è uno scrittore abbastanza conosciuto qui in
città e mia madre è una sua
lettrice, una volta l'ho accompagnata a farsi autografare il libro."
Con un
espressione leggermente meno sospettosa, sembrò
ancora restio nell'accettare l'invito. Tuttavia, si avvicinò
all'altra
portiera.
"Non vuol dire
che diventeremo amici, se accetto un
tuo passaggio."
"È
solo un passaggio, sta tranquillo."
Poco dopo, erano
già per strada. Cameron era concentrato
sulla guida, silenzioso. Nathaniel lo squadrava di nascosto, perplesso.
"Hai un
appuntamento? Non avevi paura che qualcuno
ti beccasse?"
Quello gli
rispose senza togliere gli occhi dalla
strada: "La notte proteggere i segreti, non lo sapevi? Nessuno sa dove
sei, nessuno sa chi sei."
"Io so
perfettamente chi sei!" puntualizzò,
cercando di smontare la sua filosofia.
"Non vale tra
persone che fino a poco tempo fa
nascondevano lo stesso segreto... - finalmente lo fissò -
Non ho paura che tu
sappia chi sono!"
Nathaniel lo
fissò in maniera profonda, come se volesse
estirpare un dubbio appena nato: "...Perché Anthony non ti
ha mai preso di
mira? Se solo avesse saputo..."
"Lo sapeva!"
rivelò, diretto.
"M-ma... -
sgranò gli occhi, sorpreso - Insomma,
era Anthony! Se lo sapeva, perché non ti ha mai umiliato?"
"Perché
io sono come voi quattro: in qualche modo,
li servivamo a qualcosa!"
"E tu a cosa gli
sei servito, esattamente?"
"Diciamo che ho
comprato il suo silenzio."
"Gli hai dato
dei soldi affinché ti lasciasse
stare?"
"Mi ha fatto
capire che ne aveva bisogno per un suo
progetto personale, ma non so di cosa si trattasse. Quindi gli ho
offerto dei
soldi, solo che...qualcosa mi dice che me li avrebbe chiesti lui, prima
che
glieli offrissi io."
"E noi a cosa li
servivamo, esattamente? Perché
eravamo così tanto speciali?"
Cameron lo
fissò per un secondo: "Quello lo sapete
solo voi, ma una cosa è certa: Anthony era solo amico di se
stesso!" e
continuò a guidare, mentre Nathaniel portava lo sguardo
sulla strada,
riflettendo su quanto appena detto.
*
Intanto, Rider,
sdraiato a letto con un solo lume
accesso, che illuminava la stanza, era al telefono con Eric.
"Che vuol dire
che tua sorella ha ricevuto un
regalo da A? È una sorta
di
messinscena, forse?"
"Non ne ho idea!
- era confuso - Sembrava
letteralmente spaventata, non stava recitando!"
"...Quindi un
vestito da neonato?"
"Sì,
un vestito da neonato! - ripetè isterico - Ho
pensato subito che fosse incinta, ma ha detto di non esserlo. E ha
aggiunto che
qualcuno potrebbe aver scoperto della sua relazione con Brakner e che
quel
regalo era una frecciatina!"
"Ti prego, non
dirmi che ci stai cascando? -
assunse un tono incredulo e seccato - Questo è Brakner che
cerca di confonderci
le idee. Forse da quando siamo entrati nella panic room, sente di aver
perso
colpi e vuole depistarci."
"Non so... - si
grattò il capo, combattuto -
Diventa sempre più complicato. Questa mattina, A ha rimosso i bracciali a me e Sam
trasmettendo quel suono con
l’altoparlate della scuola."
"Bene, se prima
non ne ero convinto, ora ne sono
certo. A vuole tenerci d'occhio e
sapere cosa combiniamo, sta perdendo il controllo."
"Dobbiamo stare
con Nathaniel, lui è l'unico che ha
ancora il bracciale. Se perde anche il suo, siamo di nuovo esposti e
non avremo
più modo di parlare in segreto."
"Possiamo
rivolgerci di nuovo a..."
Rider lo
intercettò subito: "No, Julie ci ha
aiutati una volta e il nostro rapporto con lei è concluso.
Vuole delle risposte
e noi non possiamo dargliele: fine della storia!"
"Questa storia
deve finire, Rider. - era a dir poco
furioso - Oggi Alexis è venuta a riprendersi il suo lavoro.
Un lavoro che Todd
le avrebbe restituito, ma io dovuto raccontare delle bugie e quindi non
l'ha
ripreso!"
"Dovuto?"
"A
ha
minacciato che se non mi fossi tenuto il lavoro, avrebbe investito
Alexis con
un camper! - esclamò, isterico - Sai, quelle case a quattro
ruote che si usano
per andare in campeggio!"
Rider si
massaggiò le tempie, in preda ad un forte mal
di testa: "Sì, so cos'è un camper!"
"Bene! Solo che
io non posso reggere questa
situazione per molto. Mi sono allontanato dal gruppo perché
ho perso il mio
bracciale e ora scopro che anche voi li avete persi,
perciò...dimmi che in
tutto questo, avete pensato ad un piano in tutto il tempo che non ci
siamo
visti e sentiti!"
"Ehm...No, Eric.
Non abbiamo pensato a
niente."
"...fantastico!"
esclamò, deluso e arrabbiato.
"...Buonanotte,
Eric!" lo salutò, chiudendo
subito dopo. Mortificato per avergli mentito, perché un
piano ce l'aveva ma non
poteva rischiare che qualcun altro lo ascoltasse
*
Sam, nel
frattempo, era appena entrato al Ginseng,
ritrovandosi nel bel mezzo della folla. Luci da discoteca, partivano
dal
soppalco e colpivano i clienti del locale, mentre i The
kills stavano
suonando Doing it to death.
Cercò subito di farsi
strada tra i ragazzi, puntando al bancone. La luce era fortissima,
quasi da far
girare la testa. Finalmente, dopo essere andato a sbattere contro un
petto
bello largo, di un tizio altissimo ed essersi scusato,
arrivò al bancone.
Accasciandosi sopra di esso, come un naufrago sulla terraferma,
ordinò subito
qualcosa da bere.
"Un'aranciata...con
ghiaccio!"
Il barman
sollevò le sopracciglia, eseguendo, nonostante
gli fosse quasi scappato da ridere.
Tuttavia, non
tutti mantennero lo stesso contegno. Un
uomo, alla fine del bancone, stava ridendo. Rumorosamente. Sam si
voltò a
guardarlo e non credette ai suoi occhi: era Wesam.
"Che hai da
ridere?" fu poco amichevole, assai
seccato.
L'altro cercava
di porre fine alla sua risata, il
bicchiere che tremava nella sua mano: "È solo che... -
sfumò in un sorriso
ancora divertito - non sei un tipo da posti del genere, tutto qui!"
"Uao, la seduta
continua!" roteò gli occhi,
voltandosi ad accogliere il suo drink analcolico.
Wesam si
avvicinò di soppiatto, versando parte del suo
drink in quello di Sam.
Naturalmente,
l'altro reagì in malomodo: "Ma sei
impazzito?"
"Fuori da quelle
quattro mura, non sono più uno
psicologo!"
"Fuori da quelle
quattro mura, ho ancora diciassette
anni! Per questo ho ordinato un'aranciata, idiota!"
puntualizzò con un
isterico sarcasmo, prendendo il suo drink e allontanandosi verso quelli
che
ballavano. Wesam restò lì fermo, di schiena al
bancone, con i gomiti
appoggiati, che lo fissava senza perderlo di vista.
Fuori dal
locale, intanto, si era appena parcheggiata un
auto: quella di Cameron.
Il ragazzo diede
un colpo al petto di Nathaniel, che
sembrava essersi addormentato.
"Ehi, Nathaniel!"
Quello si
svegliò di scatto, spaventandosi: "Dove
sono?"
"Ehm...non mi
ricordavo esattamente in che via
abitavi, perciò... - titubò con la testa in
maniera scherzosa - Ho continuato a
guidare!"
Nathaniel lo
fissò a bocca aperta, per poi voltarsi a
guardare fuori dal suo finestrino: ragazzi palesemente gay all'ingresso
del
locale e una musica fortissima che proveniva dall'interno.
"Mi hai portato
in un locale gay???" si voltò
immediatamente a sgridarlo, inebetito.
"Che male
c'è? Sei gay anche tu, no? - non ne fece
un caso, parlando con parsimonia - Divertiti con me, altrimenti
aspettami qui;
solo che ci vorrà molto tempo e avremo un passeggero in
più al mio ritorno,
spero."
"Non
starò qui ad aspettarti e non entrerò con te!
Tornerò a casa a piedi!" uscì dalla vettura,
aprendo la portiera.
Anche Cameron
fece lo stesso, cercando di fermarlo:
"Ah, ho capito. È perché stai con Sam?"
Quello si
fermò: "Io e Sam non stiamo insieme! -
titubò, cercando di dare una spiegazione - È una
cosa così! "
"Interessante! -
trovò, portando in avanti il
labbro inferiore e assumendo un espressione dubbiosa, che voleva essere
una
burla - Da inserire come status su facebook!"
Nathaniel lo
trovò un insulso, pronto ad abbandonarlo.
Quando si fiondò nella direzione opposta, però,
andò a sbattere contro un
ragazzo.
"Ehi, sta
attento!" esclamò scontroso.
L'estraneo,
più pacato, era mortificato: "Oh,
scusami!" e dopo una rapida occhiata che lo convinse che era tutto a
posto,
tornò a camminare verso l'ingresso del locale, mentre
Nathaniel lo stava ancora
guardando. Anzi, osservando.
"Sbaglio o
quello aveva un certo accento francese?"
domandò a Cameron, che si stava avvicinando a lui.
"Vagamente,
perché? - si fece scappare una risata -
Ti piacciono i Francesi?"
L'altro,
però, lo ignorò, alzando gli occhi sull'insegna
del locale: "Il Giseng..."
"Sì,
si chiama così!" confermò Cameron, non
badando allo strano comportamento di Nathaniel, assai preso dall'uomo e
dal
posto in cui si era imbattuto.
Per lui
sembrarono quasi delle coincidenze, che nella
sua mente trovavano senso in un piccolo ricordo del passato. Per la
precisione,
alcune parole di Jasper, quando lui e Sam li fecero visita in prigione.
"La
notte
dell'omicidio stavo andando in un locale, il Ginseng...Un uomo, dalle
parti di
quel locale, mi ha chiesto se avevo da accendere, ma io non fumo,
quindi gli ho
risposto di no. Aveva un cappotto lungo e nero e una sciarpa rossa.
Biondo e
con gli occhiali. È l'unico che mi ha visto quella notte, ma
aveva un marcato
accento Francese."
Quando Nathaniel
tornò in sè, ripeté le parole che gli
erano rimaste più imprese, quasi sussurrandole: "Biondo e
con gli occhiali...
Marcato accento Francese...Ginseng..."
Camerono lo
fissò assai stranito, quasi agghiacciato:
"...Stai bene? Non sembri molto normale..."
L'altro lo
afferò per la camicia, non badando alle sue
osservazioni: "Portami dentro quel locale. Istruiscimi, dimmi cosa si
deve
fare una volta dentro!"
Con lo stesso
sguardo di prima, gli rispose ancora più
confuso: "Ehm...non ci sono istruzioni, devono solo piacerti i
ragazzi!"
marcò quell'esclamazione, trovando assurda la sua richiesta.
"Mh, bene!"
borbottò, avanzando verso
l'ingresso. Cameron, basito, rimase per qualche secondo impalato prima
di
seguirlo.
Una volta
dentro, Nathaniel non fece altro che
puntare l'uomo Francese, senza mai
perderlo di vista; quello, ormai, era già in pista che
ballava con un uomo.
"Ti va se ci
avviciniamo al bancone a prendere da
bere? Vorrei rinfrescarmi, prima di abbordare!" suggerì
Cameron.
Con la stessa
violenza usata fuori, Nathaniel lo tirò
nuovamente per la camicia con entrambe le mani: "Vieni, balliamo!"
"Okeeey, okey!"
esclamò l'altro, trascinato in
pista e in balia di lui.
A quel punto,
Nathaniel, ballò davanti a Cameron, come
se fosse il suo ragazzo, ma tenendo lo sguardo fisso sul Francese, la
fronte
sudata.
Naturalmente,
Cameron seguì il suo sguardo e intuì.
"Ti piace il
Francese, eh?"
"Sta zitto e
balla!" gli intimò l'altro, costringendo
Cameron a sbuffare e roteare gli occhi.
Dall'altra parte
del locale, Sam si bloccò, nel bel
mezzo della pista, quando vide Cameron. Con gli occhi sgranati per la
sorpresa,
accennò un sorriso compiaciuto nel vedere che era in
compagnia di un ragazzo.
Immediatamente,
allora, tornò al bancone, davanti a
Wesam, prendendolo di punto in bianco per un braccio.
"TU! Vieni a
ballare con me!"
Confuso,
trascinò i suoi passi fino alla pista: "Non
avevi diciassette anni?"
"No, ne ho
ventisette adesso. Zitto e balla!"
esclamò, facendo qualche mossa strana davanti a lui, che
palesava il fatto che
non era molto impegnato a ballare, ma a guardare qualcuno.
Wesam lo
intuì e seguì il suo sguardo, mentre Sam,
ormai, non poteva far altro che dire la verità: "Vedi quel
ragazzo con la
camicia bianca, che balla con quel ragazzo con la felpa grigia? Quello
è
Cameron!"
"Il ragazzo che
ha chiesto alla tua amica di andare
al ballo?"
"Sì,
proprio lui. Se adesso ci avviciniamo un pò e
tu ti tieni davanti a me, magari posso scattare una foto."
"Che
infantilità!" trovò Wesam.
Sam smise subito
di guardare Cameron e gli lanciò
un'occhiataccia: "Non è infantilità, questa!
È essere un buon amico!"
I due si
guardano per qualche secondo negli occhi,
ognuno con le proprie convinzioni. Alla fine, Wesam si arrese,
indietreggiando:
"Vieni, addentriamoci!"
Sam
accennò quasi un mezzo sorriso, per essere stato
ascoltato,ma cercò di non darlo a vedere, muovendosi con
lui. Una volta più
vicini, Sam tirò fuori il cellulare.
"Direi che siamo
abbastanza vicini, resta davanti a
me."
"Non mi sposto,
non preoccuparti." disse con
tono premuroso. Sam incrociò nuovamente il suo sguardo con
il suo, per poi
schiarirsi la voce per l'imbarazzo e puntare la fotocamera.
Pronto per fare
la foto a Cameron e il suo
accompagnatore, Sam osservava tutto dallo schermo. Prima di scattare,
però,
l'accompagnatore si voltò leggermente, rivelandosi essere
Nathaniel.
A quel punto,
sconvolto, Sam abbassò il telefono e
guardò meglio: era proprio Cameron con Nathaniel. Fu
così che Sam si diresse
battagliero verso i due, lasciando Wesam da solo e confuso.
"Nathaniel?"
esordì, allucinato.
Quelli si
voltarono, entrambi sorpresi di vederlo.
"Ehi, Sam, ci
sei anche tu!" esclamò Cameron,
giocoso.
"Chiudi quella
bocca!" lo aggredirono
entrambi, Sam più isterico che mai.
"Che ci fai qui
con Cameron?"
"Ehm...cerco
di... - provò a rispondere, limitato
dalla presenza di Cameron - Risolvere i nostri problemi!"
"Rimorchiando
Cameron?" sussultò, allibito.
"Tu che ci fai
qui, piuttosto?" ribattè
Nathaniel.
Cameron stinse i
denti, aspettandosi il peggio, convinto
che i due si stessero tradendo a vicenda.
"Io...io... -
anche Sam si ammutoli di colpo - Sono
con un amico!"
"C-che amico?
– strinse gli occhi, confuso, poi
notò un ragazzo, poco lontano da loro, che guardava verso la
loro direzione -
Chi è quello?"
Sam era
più imbarazzato che mai, ora:
"Ehm...Wesam!"
Nathaniel,
irrigidendosi, strinse gli occhi, fissandolo
a lungo: "Wesam, il tuo psicologo?"
"È un
caso che l'abbia incontrato qui!" si
giustificò.
Cameron,
lasciandosi scappare una piccola risata, si
intromise: "È stato un caso anche ballare insieme?"
Sam lo
fulminò immediatamente: "Stanne fuori,
grazie."
A quel punto,
Nathaniel ne ebbe abbastanza e lo prese
per un braccio: "Senti, vieni con me!" e senza dargli il tempo di
reagire, lo trascinò fuori dal locale, mentre Cameron e
Wesam, abbandonati, si
scambiarono un'occhiata sconsolata. Cameron, poi, non trovandolo
così male, gli
sorrise gli fece anche un’occhiolino.
All'ingresso,
Sam si liberò dalla stretta dell'amico:
"Senti, non ti sembra esagerata come reazione, portarmi fuori?"
Nathaniel,
però, arrivò subito al punto: "Dentro
c'è il Francese!"
"Il Francese? -
sbigottì - Di che parli?"
"Quello del
racconto di Jasper, il Francese che gli
chiese se aveva da accendere!"
"...Non mi stai
prendendo in giro, vero?" sgranò
gli occhi, mettendosi una mano sul petto.
"È
dentro, ci ho sbattuto addosso poco prima di
entrare. La descrizione combacia: accento Francese, capelli biondi,
occhiali!"
Sam
andò nel panico: "Ok, che facciamo? Insomma,
forse non si ricorda di Jasper!"
"Prima di tutto,
dobbiamo scattare una foto chiara
al Francese. Poi la porteremo in prigione e la faremo vedere a Jasper."
"Ho capito, vuoi
guadagnare tempo!"
"Esatto. Diremo
a Jasper che lo stiamo convincendo
a testimoniare, ma, secondo me, gli basterà sapere che
l'abbiamo trovato per
tranquillizzarsi e tenere la bocca chiusa."
"E con il
Francese come ci muoviamo?"
Nathaniel
titubò, ma aveva un piano: "Sicuramente
non vorrà immischiarsi in questa storia,
perciò...uno di noi deve
rimorchiarlo!"
"Cosa?"
sussultò Sam, sbarrando gli occhi.
"È
l'unico modo, Sam. Magari possiamo estorceli la testimonianza,
registrando le sue parole. Traendolo in inganno!"
"E come pensi di
estorcergli questa confessione?
Con un C'era una volta, ti ricordi l'uomo
pluriomicida a cui hai chiesto l'accendino?"
"Ti inventerai
qualcosa, ok?"
L'altro
tentennò, pensando di aver capito male:
"I-io? Perché io?"
"Perché
io non sono gay, Sam!" puntualizzò.
"Anche gli
attori non sono gay, ma recitano
ugualmente la parte!" replicò, acido.
"Senti, io non
saprei neanche da dove
iniziare!" gesticolò con le mani, abbastanza a disagio.
"Beh, dovrai
inventarti qualcosa, perché sei
l'unico che può farcela. - lo fissò negli occhi,
cercando di convincerlo - Sei
bello, alto, atletico...chi direbbe di no ad un ragazzo perfetto come
te?"
"Ouh...grazie..."
fece fatica a deglutire,
arrossì.
"Se ci vai tu,
abbiamo più possibilità. E poi...vi
siete già scontrati prima e hai una scusa in più
per avvicinarti a lui."
Finalmente,
anche Nathaniel si convinse e annuì:
"D'accordo, ci vado io!"
Sam
accennò un sorriso, prima di rientrare:
"Bene!"
E una volta
rientrati, Sam si fondò su Cameron,
trascinandolo in pista per un braccio: "Vieni, balla con me!"
Sorridendo
divertito, si lasciò prendere: "Ok, mi
sta anche bene, ma Nathaniel?"
"Ha da fare!"
"Con il
Francesino, immagino! - sorrise ancora di
più - Certo che avete una relazione bella aperta voi due!"
Sam
sforzò un sorriso, mentre lo tirava fino al centro
del vero movimento: "Non sai quanto!" e nel mentre, incrociò
per un
attimo lo sguardo di Wesam, che lo fissava serio da un punto del
locale. Fu molto
profondo quello sguado.
Nathaniel,
intanto, aveva raggiunto il Francese al
bancone. Era sudato per via del ballo e stava sorseggiando un drink
ghiacciato.
Impacciato,
Nathaniel si mise accanto a lui, sfoggiando
il suo miglior sorriso.
"Ti sei ripreso
dal colpo?"
Distrattamente,
quello si voltò: "Oh, ciao! Sei
quello che mi è venuto addosso prima, non è vero?"
"Che memoria!"
lo adulò.
Il Francese gli
sorrise, scrutandolo con interesse, ora
che lo guardava meglio: "Non è successo molto tempo fa!"
Nathaniel si
voltò verso il resto del locale, in una
panoramica: "Trovato qualcuno di interessante?"
Quello lo
fissò con un sorriso lussurioso, palesando la
risposta"...forse!"
"Io sono
Nathaniel, comunque!" rise.
"Edward!" e si
strinsero al mano, guardandosi
negli occhi a lungo.
Dopo diversi
minuti in cui li aveva osservati, Sam li
vide lasciare il locale insieme. Nathaniel ebbe giusto un secondo per
fargli un
occhiolino, che Sam ricambiò.
In tutto questo,
Wesam, che ora ballava con un altro,
non aveva mai smesso di tenere d'occhio Sam e notò
perfettamente l'occhiolino
che si era scambiato con Nathaniel, poco prima, trovando tutto molto
strano.
*
La mattina
seguente, Eric si stava svegliando. Strinse
gli occhi esageratamente, come in preda ad un dolore fastidioso, poi
aprì gli
occhi e si sollevò. Per diversi secondi, rimase imbambolato
a fissare la
parete, ancora stordito. Improvvisamente, ebbe una strana sensazione di
fastidio, che lo costrinse a portarsi la mano sulla guancia, nel punto
in cui
la percepì. Nel momento stesso, inclinò la testa
in direzione del comodino,
portando i piedi fuori dal divano letto. Nel guardare meglio la
superficie del
comodino, che la prima volta aveva guardato distrattamente, fece una
raccapricciante scoperta: una siringa e una bottiglia di sonnifero a
gocce,
poggiava lì sopra.
Il telefono, che
era proprio accanto, vibrò, ed Eric lo
prese immediatamente, il volto pallido e l'ansia che cresceva, pronta
ad
esplodere in una reazione di panico al messaggio che stava per aprire.
"Pensi
di essere furbo? Passa solo un altro centesimo alla tua ragazza e la
prossima
volta mi prendo anche il 24!"
-
A
In allegato,
sotto al messaggio, la foto di un dente
appena estratto, dentro un piccolo contenitore: il suo.
Con gli occhi
sgranati e la bocca secca, Eric si portò
nuovamente la mano alla guancia e incantò il vuoto.
Osservando nuovamente la
bottiglietta di sonnifero, sgranò ancora di più
gli occhi, ricordandosi di sua
madre.
Immediatamente,
corse nell'altra stanza, diretto verso
la sua camera. Dovette, però, fermasi in cucina, quando si
accorse che lei era
proprio lì in piedi con una tazza di caffè, che
guardava una soap opera in
televisione.
Sudato e
affannato, la chiamò: "Mamma!"
Quella si
voltò tranquilla, non badando al suo chiaro
disagio in volto, sorridendogli: "Ti sei svegliato presto, tesoro!"
"S-stai bene?"
chiese, restando impalato e
deglutendo malamente.
Quella
titubò per qualche istante: "...Ehm, sì!
Perché non dovrei? -
rise - Ho dormito
così bene stanotte, non succedeva da tempo. - poi
fantasticò, come una
ragazzina, gli occhi al soffitto, le guance rosse - Sarà che
sto così bene,
perché oggi torna tuo padre! Mi è mancato davvero
tanto..."
"Anche a me... -
sussurrò in maniera malinconica,
poi decise di congedarsi - Io vado a lavarmi i denti..."
"Ok, tesoro. Ti
preparo la colazione!" gli
sorrise ancora, mentre quello lasciava la cucina.
Quando fu in
bagno, davanti allo specchio, provò una
sensazione di timore mai provata prima. Sospirò, per poi
aprire lentamente la
bocca e tirare la guancia indietro.
Grazie
all'illuminazione dello specchio, poté vedere che
effettivamente gli mancava un dente, così richiuse
immediatamente la bocca,
respirando in maniera asmatica per ciò che gli era stato
fatto. Ma soprattutto,
che gli poteva essere fatto nuovamente. Fino all'ultimo dente.
*
Nathaniel era
nella camera
da letto di Edward, sempre in quella mattina. Era vestito, mentre
l’altro,
nudo, dormiva profondamente, con il lenzuolo bianco che copriva solo le
sue
parti intime e lasciava ben visibile tutto il resto del corpo. Lo
fissò a
lungo, in piedi davanti al suo letto, un’espressione seria
che non lasciava
trasparire i suoi pensieri o cosa fosse accaduto la notte prima. Aveva
semplicemente un biglietto in mano, che poggiò sul comodino,
con scritto sopra:
“Grazie per la notte trascorsa
insieme.
Richiamami per quel pranzo!”.
Dopo,
tirò fuori il
telefono e gli scattò una foto. Poi un altra, prendendolo
bene in volto. Subito
dopo, lasciò l’appartamento. Silenziosamente.
*
Più
tardi, a scuola, Eric e
Rider scesero dall’auto di quest’ultimo ed erano
diretti all’ingresso. Sam, arrivato
prima per conto suo, li vide e si diresse verso di loro.
“Ehi,
lo sapevate che
Violet farà un’annuncio importante al ballo di
stasera? Si è sparsa la voce!”
esordì.
“Si sa
di cosa si tratta?”
domandò Rider, mentre Eric si torturava le mani, la mente
completamente
altrove.
“No, a
quanto pare è una
sorpresa!”
Rider
roteò gli occhi,
ridicolizzandola: “Pff, farà uscire un gruppo di
colombe da un cappello?”
“Ehm…non
ci escono i
conigli dal cappello?” Sam strizzò gli occhi,
perplesso.
“E’
magia, Sam. Dal
cappello può uscire qualsiasi cosa!”
Subito dopo, Sam
fu il
primo a fare caso allo strano atteggiamento di Eric, molto silenzioso.
“Ehi,
tutto bene? Sei
pallido!”
Anche Rider ci
fece caso,
da molto prima di scendere dall’auto:
“Già, che cos’hai? Volevo chiedertelo
quando ti sono venuto a prendere, ma mia madre mi ha tenuto al telefono
per
tutto il tragitto e quindi non ho potuto chiedertelo.”
“A mi ha staccato un dente e non ho
capito completamente il suo
messaggio!” rivelò, agghiacciando i suoi amici.
Sam
sgranò gli occhi per
primo, scambiandosi un’occhiata anche con Rider:
“Come? Un dente?”
“Fammi
vedere questo
messaggio!” richiese Rider e quell’altro gli
passò il telefono, lasciando che
lo decifrasse.
“Perché
avrebbe dovuto
staccarti un dente? Adesso, A ha
anche una laurea in odontoiatria?” trovò assurdo,
Sam.
“A mi ha costretto a prendere il posto di
Alexis al Brew, ma quando
ieri è tornata a Rosewood per riprenderselo, le ho detto che
Todd non voleva
più riassumerla, ma non è vero.”
“A ti ha sicuramente minacciato, ma mi
sembra che tu abbia seguito i
suoi ordini alla lettera. Perché staccarti un
dente?”
“Perché
avrei dato il mio
stipendio ad Alexis tutte le volte in cui Todd mi avrebbe pagato. Mi
sembrava
il minimo, visto che le ho soffiato il posto e che a lei
serviva!”
Sam
sospirò, dispiaciuto
per lui, non aggiungendo altro, mentre Rider aveva appena finito di
decifrare
il messaggio.
“Immagino
tu non abbia
capito che significhi il 24!”
“Già,
cosa significa che la
prossima volta mi prenderà il 24?”
Rider si
apprestò a
spiegarglielo: “In odontoiatria, la bocca è
suddivisa in arcate; quattro, per
l’esattezza: superiore destra o sinistra, inferiore destra o
sinistra. Ogni
dente ha una numerazione ben precisa. Il
primo numero, corrisponde all’arcata e si conta in senso
orario, mentre il secondo
numero corrisponde ad un dente, a partire dall’incisivo
centrale che è il
numero uno e si conta all’indietro.
“Quindi…
- Sam provò ad
arrivarci da solo – Arcata superiore
destra…”
Ed Eric,
inquietato, completò:
“…Premolare… - poi si
alterò, nervoso – Vuole staccarmi un premolare,
vuole
staccarmi tutti i denti quel folle!”
Rider
cercò di
tranquillizzarlo: “Eric, non ti staccherà tutti i
denti se fai come ti dice!”
“E con
Alexis che faccio?”
ribattè, isterico.
“Ehm…
- Sam azzardò un
consiglio – Secondo me, questo non è un momento
buono per avere una relazione.
Almeno finchè c’è A!”
Eric allora lo
fulminò,
attenuando poi lo sguardo, rendendosi conto che aveva ragione:
“Non posso
crederci… - scosse la testa, impotente e amareggiato - Ha anche drogato mia madre
con dei sonniferi…E
ha scassinato la porta o magari ha una copia delle chiavi!”
“Probabilmente
ha la copia
delle chiavi di casa di tutti noi!” non se ne
meravigliò, Rider.
Sam, a quel
punto, gli fece
una richiesta: possiamo vedere?”
E lui, dopo
qualche secondo
di titubanza, aprì la bocca, mentre gli altri due si
avvicinavano per guardarci
dentro.
Rider fu il
primo a
commentare: “Si vede la sutura
gengivale…”
“Come
ci è riuscito?”
commentò Sam, impressionato.
“Guarda
che non è così
difficile?” replicò, mentre Eric teneva ancora la
bocca aperta.
“Ah,
davvero? – aggiunse
Sam, sarcastico e preoccupato - Io so a malapena quali sono i primi due
elementi della tavola periodica e dovrei saper suturare una
ferita?”
Eric richiuse la
bocca,
dicendo anche la sua.
“Sarei
dovuto andare a far
estrarre quel dente settimane fa. Dovrei ringraziare A
per avermi fatto risparmiato 45 dollari, ora?”
Ripresero a
camminare,
subito dopo, e i sospiri di Eric riempirono l’aria.
“Devo
lasciare Alexis…Non
ho altra scelta!” disse sconsolato.
I suoi amici lo
fissarono,
tristi per lui. Sam appoggiò una mano sulla sua spalla.
“E’
la cosa migliore, prima
che A vi danneggi ancora di
più!”
Improvvisamente,
poi,
ricevettero tutti un messaggio. Tutti e tre si guardarono poco sopresi,
un’espressione seria. Sapevano già di chi si
trattava.
“Jasper
Laughlin sta per
cantare e non è affatto una cosa positiva per nessuno di noi
cinque. Indovinate
chi non ha mantenuto la bocca chiusa…”
Allegato:
una foto di Nathaniel e Sam
davanti al penitenziario di Philadephia.
-A
In
quell’istante, Sam
sbiancò, alzando lo sguardo dal telefono per ultimo. Rider
ed Eric erano già
puntati su di lui, abbastanza confusi.
“Che
diavolo significa
questo?” domandò Rider, abbastanza cupo nel tono,
girando il telefono verso di
lui.
Fu la volta di
Eric: “Tu e
Nathaniel siete andati a far visita a Jasper?”
Sam
deglutì malamente, la
gola improvvisamente strozzata per la pressione che stava subendo in
quella
circostanza.
“I-io…Cioè,
noi…” provò a
sputare fuori qualche parola, con difficoltà.
“Noi,
CHE COSA?” urlò
Rider, a dir poco furioso, non lasciandogli la possibilità
di esprimersi con
calma.
Sam era pronto a
spiegare,
ma le loro facce erano chiaramente contrariate e i loro umori pronti ad
esplodere. Nathaniel era proprio a qualche passo da loro, in quel
momento, e
tutti e tre si voltarono a guardarlo…
(CONTINUA NELLA
SECONDA PARTE)