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Autore: SamuelRoth93    24/06/2016    1 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO NOVE

“SupernovA

 

ONE WEEK LATER…

 

Pioveva a dirotto quella notte. Nathaniel continuava a girarsi e rigirarsi nel suo letto, finchè non aprì gli occhi, iniziando a fissare la sua finestra, le gocce di pioggia che scendevano oblique sul vetro. Improvvisamente, sentì dei rumori provenire fuori dalla sua stanza e si sollevò di scatto, il volto atterrito.

Dopo qualche secondo di suspence e uno scricchiolio di passi nel silenzio dell’abitazione, la porta si aprì e una persona incapucciata vi entrò, chiudendola e restando girata di spalle per qualche secondo. Nathaniel sobbalzò fuori dal letto in canottiera e boxer, indietreggiando in un angolo, spaventato.

Quella persona, finalmente si voltò, poggiandosi di schiena alla porta e togliendosi il cappuccio con una mano.

Si trattava di Sam: completamente bagnato, terrorizzato e con il fiatone.

“Sam??” si avvicinò Nathaniel, sorpreso di vederlo in camera sua.

A mi ha aggredito in casa mia, ero da solo. Mio padre non c’era, ha il turno di notte, e così sono scappato! – spiegò in lacrime, sotto shock – Mi ha inseguito fino a qui, era dietro di me e poi non lo era più. Non sapevo dove andare e così ho corso fino a casa tua!”

L’altro lo prese per le spalle, turbato da ciò che gli stava raccontando: “Ok, calmati, sei al sicuro qui… - ad un certo punto, però, stranì in volto – Piuttosto, come hai fatto ad entrare?”

Sam ignorò la sua domanda, fissando vari punti della stanza in maniera disturbata, tremando: “P-posso dormire qui? – lo fissò negli occhi, supplicandolo – Ti prego!”

“M-ma certo! – continuò a guardarlo, sconcertato dal suo stato – Certo che puoi restare!”

A quel punto, Sam lo abbracciò, mettendogli le braccia intorno al collo, stringendolo forte a sé.

Nathaniel sgranò gli occhi, le braccia rimasero a peso morto, prima di lasciarsi andare e contraccambiare quell’abbraccio. Il cuore gli batteva forte, mentre Sam si staccava lentamente da lui. Poi un lungo sguardo si accese fra i due e Nathaniel iniziò ad accarezzargli il viso, facendo scivolare le dita lungo i suoi capelli bagnati e poi sulla sua guancia. Sam gli prese la faccia e, lentamente, gli stampò un bacio. L’altro si staccò subito, guardandolo negli occhi per qualche secondo, poi fu il suo turno prenderlo per il viso e continuare a baciarlo, in un esplosione di passione.

Iniziarono, così, a levarsi la maglietta l’un l’altro e Sam lo spinse letteramente sul letto, salendo sopra di lui a cavalcioni. Nathaniel, troppo eccitato, lo prese per i fianchi, gettandolo alla sua destra, mettendosi lui sopra Sam. I due continuarono ad abbracciarsi, avvinghiati, sudati, i muscoli della schiena di Nathaniel contratti.

La pioggia si fece sempre più forte e un fulmine creò un boato talmente forte che…Nathaniel si svegliò di colpo: perché era tutto un sogno, creato dalla sua mente.

Senza fiato, la fronte sudata come il suo collo arrossato e il petto che si contraeva, Nathaniel si mise le mani nei capelli, trovando assurdo ciò che aveva appena sognato. Quando fu più stabile, si voltò a guardare verso la finestra ed era una bella notte di luna piena, con tante stelle luminose in cielo.

Sospirò, poi, fissando il telefono, che prese dal comodino. Digitò un numero e poi lo mise all’orecchio. Dopo due suoni, qualcuno rispose.

“Pronto?”

Era Sam. Ma non ricevette risposta.

“Pronto, chi è?” disse ancora.

Nathaniel restò immobile, contemplando il soffitto della sua stanza, mentre lo ascoltava.

“…Sei tu, vero? – Nathaniel si sollevò con la schiena, pensando di essere stato scoperto – Sei A, dico bene?...Pff, ovvio che sei tu, chi altro mi chiamerebbe con l’anonimo a quest’ora!”

A quel punto, Nathaniel si sentì in colpa e decise di rivelarsi, ma Sam continuò a parlare, un’improvviso magone nel tono.

“Non credi sia abbastanza, quello che ci hai fatto? Sai perfettamente che non siamo stati noi a fare del male ad Albert. Sai perfettamente che non eravamo noi alla guida di quell’auto, ma Anthony…Non ci dai motivazioni, non ci dici mai nulla; nemmeno su Rosewood-riservato o altri crimini che pensi di aver scoperto e di cui ci ritieni coinvolti. Ci torturi e basta!”

Una lacrima scese lungo il viso di Nathaniel, che preferì non ascoltare oltre, chiudendo la chiamata, restando solo con i suoi pensieri per tutta la notte, fissando nuovamente il soffitto

 

*

 

Il giorno dopo, la scuola era in fermento per l’imminente ballo degli ex alunni. Sam e Rider erano nell’atrio insieme ad altri studenti a preparare le scenografie: cartelloni, drappi, decorazioni varie, costruzioni di cartone da dipingere.

I due, infatti, si stavano dedicando a dei finti lampioni da giardino, che avrebbero illuminato vari punti dell’evento, passandoci sopra delle mani di vernice. Tra una mano e l’altra, Sam raccontò della telefonata anonima che aveva ricevuto, abbastanza turbato.

“Non ha detto una sola parola, sentivo solamente il suo respiro.”

Rider inzuppò il pennello nel barattolo, poco convinto: “Sei sicuro che fosse lui?”

“Chi diavolo chiamerebbe dopo mezzanotte con un numero sconosciuto? Dracula?”

“Beh, in effetti… - fece una smorfia, arrendendosi all’evidenza – Comunque hai deciso con chi andrai al ballo, domani?”

“Ehm, credo proprio con nessuno. – sottolineò ironicamente – Sai com’è, tra lo psicologo e le panic room sotterranee, non ho avuto molto  tempo di pensare ad un accompagnatore.”

“La scuola si aspetta che tu e Nathaniel vi presentiate insieme. Sai com’è, siete la prima coppia gay dichiarata di questa scuola!”

“A proposito di gay dichiarati…Cameron ha chiesto a Chloe di andare insieme al ballo e lei ha accettato!” esclamò seccato.

“Ouh, bel problema… – reagì sorpreso  - Anthony ci aveva visto lungo con Chloe friendzoned!”

Sam gli lanciò una breve occhiataccia, prima di continuare: “Questa sarà una batosta gigantesca per lei!”

“Non vedo dove sia il problema, Sam. Cameron non è dichiarato!”

“Noi gay siamo imprevedibili, Rider. Un giorno diciamo che non faremo mai coming out fino alla morte e quello dopo lo gridiamo al mondo intero con poster a caratteri cubitali attaccati per tutta la città! – spiegò, nervoso – Anche se Anthony non c’è più, non vuol dire che per lei non sarà nuovamente imbarazzante.”

“Ma a lei lo hai detto che lui è gay?”

“Sì, ma non mi ha creduto!”

“Pff, - si lasciò sfuggire una risata – da quando le ragazze non credono più ai loro migliori amici gay? Siete come divinità scese in terra per loro.”

“Beh, a me non da ascolto. Ormai questa divinità è un comune mortale da quando l’ho ignorata per tremare di paura nella mia stessa casa!” esclamò frustrato, continuando a dipingere.

“Se non ti crede, mostrale una prova. Uno come Cameron frequenterà di sicuro uno di quei localini…”

“Dubito che Cameron frequenti locali gay a Rosewood, non è così stupido!”

“Allora trova un modo! – si esasperò, agitando il pennello – Sicuramente riuscirai ad inventarti qualcosa prima del ballo.”

“E’ domani, Rider! E comunque… - si spostò su un altro discorso – Quando finirà questa storia dell’esilio?”

“Intendi Eric?” finse di nulla, evitando il suo sguardo e concentrandosi sul finto lampione.

“Rider, smettila con questo atteggiamento! – si avvicinò di più a lui per non dargli tregua – Da quando abbiamo scoperto che la panic room non è una piccola stanzina, hai allontanato Eric da noi e non hai nemmeno chiesto a Julie di costruire un altro braccialetto per lui.”

Rider, finalmente, si voltò: “Prima di tutto, è stato Eric ad aver deciso di allontanarsi per il bene del gruppo. E, secondo, non coinvolgeremo più Julie nelle nostre cose. Fa troppe domande e non ci costruirà mai un altro braccialetto senza avere delle risposte su ciò che ha visto e sentito. – gli lanciò una lunga occhiataccia – E su ciò che ti sei lasciato scappare con lei nella panic room!”

“Ok, ma…ci siamo anche abbandonati a noi stessi. Dopo quello che abbiamo scoperto con le cianografie del seminterrato, non abbiamo più fatto nulla né pensato a cosa fare.”

“Sam, non è facile! – alzò leggermente la voce, per poi guardarsi intorno e bisbigliare – Per accedere all’altro lato della panic room, dobbiamo entrare di nuovo lì, ok? Dove l’ossigeno ha smesso di arrivarci alla testa, ricordi?”

“E allora che facciamo? Tutto quello che ci serve si trova in quella stanza. Le motivazioni di Brakner, chi è coinvolto, Rosewood-riservato!”

Esasperato, Rider fece una confessione: “Ho un piano, ok?”

L’altro restò sbigottito per qualche secondo prima di parlare: “…E quando pensavi di dircelo? Che piano?”

“Ho scoperto che… - si avvicinò, chinando in avanti la testa, bisbigliando – Brakner è stato assegnato al tiro a segno per il ballo di domani sera. Lindsay naturalmente ci sarà per concorrere al titolo di reginetta, mentre, per quanto riguarda Morgan, l’ho visto stamattina acquistare due biglietti per l’evento.”

“Strano che tutti e tre saranno al ballo. - la cosa lo lasciò parecchio scettico. - Se A era con noi nel parcheggio dell’ospedale, avrà sicuramente visto che guardavamo le cianografie. Dovrebbero lasciare qualcuno di guardia, no?”

“Brakner lo sa che non ci azzarderemmo mai a tornare lì dentro. – fantasticò – Credo non abbia nemmeno cambiato la password, sa che non abbiamo più i mezzi per scoprirla.”

Sam scosse la testa, non riuscendo più a seguirlo: “Ehi, aspetta, di che parli? Tu non sai la password, sul display sono comparsi solo degli asterischi!”

“Dieci asterischi, per la precisione… - si lasciò sfuggire un sorrisino furbo – Che password ti fa venire in mente?”

Quello ci riflettè, arrivandoci con grande stupore: “…Miss Marple?”

“Esatto! Non so perché, ma sembra essere fissato con quella serie televisiva, visto che ha tutta la prima stagione in videocassetta nel suo covo.”

“Ok, ma come la metti con quel comando da remoto che può bloccare il sistema di aerazione?”

“Ho rimediato una bombola d’ossigeno. Sai, quelle che usano i subaquei!”

Sam restò a fissarlo per qualche secondo: “Tu sei fottutamente pazzo!”

“Arrivati a questo punto, non mi interessa quello che scoprirò su Anthony in Rosewood-riservato. Prenderò i nostri video e poi decideremo come sbarazzarci di A!”

“Quindi sei intenzionato ad andarci da solo?” si preoccupò seriamente.

Rider lo prese per le spalle, cercando di rasserenarlo: “Sam, dovrà sembrare una serata tranquilla per A. Vederci tutti e quattro insieme al ballo, gli farà abbassare la guardia. E quando inizieranno tutti a ballare, sgattaiolerò via con un diversivo.”

“Hai intenzione di dirlo anche agli altri, vero?”

“No, Sam. Sarà più credibile non vederci tutti tesi, perciò, tu che lo sai, cerca di non essere troppo teso e fai finta di nulla! – si ricordò un’ultima cosa, poi – Ah, assicurati che Eric e Nathaniel vengano al ballo, non si sa mai che cambino idea all’ultimo secondo.”

Nonostante tutti quegli avvertimenti, Sam non riusciva proprio a nascondere la sua preoccupazio: “Ascolta, forse...”

Ma non potè completare ciò che stava per dirgli, interrotto dall’arrivo di Brianna Santoni.

“Sam?”

Quelli si voltarono.

“Scusate se vi disturbo, ma… - spostò lo sguardo tra i due, mortificata per la sua intrusione – ci serve qualcuno che faccia le foto al ballo e so che tu, Sam, sei bravo con le foto. Me l’ha detto Chloe!”

“Sì, si, è vero!” annuì, inizialmente distaccato.

“Bene, allora sei dei nostri? So che magari preferiresti venire al ballo in altre vesti, ma qualcuno dovrà pur fotografare il re e la reginetta, no?” sorrise, mentre Rider si manteneva ostile nelle espressioni.

Sam, invece, sembrò improvvisamente coinvolto e quasi sospreso: “D-dei vostri?” Ehm, ma certo! Tanto non sapevo con chi venirci al ballo!” rise, attirando lo sguardo incredulo di Rider.

“Perfetto, passa dalla redazione appena hai tempo, così discutiamo degli altri dettagli!” escalmò, congendandosi.

Mentre Rider trovava assurda quella proposta, Sam continuò a sorridere.

“Cos’è, adesso i seguaci di Violet ci prendono in considerazione? – si voltò verso Sam, contestando subito ciò che vide – Ehm, perché stai sorridendo?”

“Perché è bello sapere di non essere così odiato!”

“Beato te, io non posso dire lo stesso. Sanno tutti quanto sono preciso e organizzato, eppure nessuno mi ha chiesto di far parte dello staff che si occupa del ballo!” esclamò, amareggiato.

Sam gli mise una mano sulla spalla, cercando di consolarlo: “C’è Violet per quello: non servono due precisini per organizzare un ballo!”

Rider lo fissò con il broncio, non replicando. Improvvisamente, dopo qualche secondo, gli altoparlanti della scuola emisero un suono assordante, che costrinse tutti a coprirsi le orecchie.

Poco dopo, cessò, lasciando tutti abbastanza storditi.

“Ma che cavolo…???” disse Sam, rimettendo giù le braccia.

Rider sgranò immediatamente gli occhi sul polso di Sam e poi sul suo: “I bracciali!”

Immediatamente, i due spostarono lo sguardo a terra: erano lì.

“Ma si sono sganciati?”

“Era la stessa frequenza che ha usato Julie per toglierci i bracciali la prima volta…” ricordò Rider.

“Beh, rimettiamoli!” sussultò Sam.

Poco prima di chianarsi a recuperarli, però, ricevettero un messaggio. I due si guardarono, costretti a leggerlo.

 

“Indossateli di nuovo e qualcuno non arriverà al ballo di domani…”

-A

 

Sam titubò di fronte a quel messaggio, confuso: “…Chi non arriverà al ballo di domani? Noi?”

“Credo che si riferisca a persone a cui teniamo!” esclamò l’altro.

Entrambi avevano il volto atterrito, fissando i loro braccialetti, ancora a terra.

 

*

 

Intanto, in palestra, il coach prestava attenzione al tempo dei ragazzi. Nathaniel nuotava lungo la sua corsia, di fianco a Morgan che lo equivaleva e, più indietro, altri due ragazzi. Tra una bracciata e l’altra, Nathaniel si accorgeva sempre di più del suo rivale, quasi in testa.

Incredibilmente, fu Morgan ad arrivare per primo e a completare la vasca. Nathaniel sembrò essersi sforzato tanto, come non aveva mai fatto, dato che era sempre stato il migliore. Non appena sentì gli applausi del coach e degli altri compagni di squadra, si fermò prima del dovuto, ormai sconfitto, togliendosi gli occhialini.

“Ottimo lavoro, Patterson. Hai fatto dei progressi notevoli!” si avvicinò a lui il coach, mentre saliva la scaletta.

Poi si voltò verso Nathaniel, che, palesemente provato dall’aver perso per la prima volta, restò in acqua a fissarli.

“Blake, che succede? Non hai mai fatto un tempo simile…” si mostrò stupito e alquanto deluso.

Nathaniel, fulminando Morgan con lo sguardo, circordato dagli altri, che lo festeggiavano con sorrisi e pacche sulle spalle, si voltò verso il coach, marcando un sorrisino arrogante.

“Evidentemente ho messo su qualche kilo, mentre… - fissò Morgan, mantenendo quel sorrisino beffardo, atto a lanciarli una frecciatina - qualcun altro si è affannato a dimagrire e ci sta riuscendo, a quanto pare.”

Morgan assunse immediatamente un’espressione poco amichevole, mentre Nathaniel saliva la scaletta, uscendo dalla piscina. Tutti lo fissarono, alle spalle di Morgan.

“Ti ho battuto, Blake! Fattene una ragione!” reagì il ragazzo, con fermezza e sicurezza.

Nathaniel continuò a sorridere, sempre più arrogante, avvicinandosi a lui, muso a muso.

“…So quello che stai facendo, Morgan. Ma non arriverò mai a pesare quanto pesi tu… - sembrava quasi Anthony nel modo di parlare - Dovessi smettere di mangiare per sempre!”

Quello, a rabbia accumulata, lo spintonò di colpo, infuriandosi e facendo sussultare tutti. Nathaniel, barcollante, ritrovò l’equilibrio e ricambiò con una spinta altrettanto forte. Il coach non potè fare altro che intervenire, mentre gli altri già cercavano di dividerli.

“Fermi! Basta, BASTA!” si mise tra loro, aprendo le braccia, distanziandoli. I due si stavano ancora fulminando con lo sguardo, trattenuti dai loro compagni.

Nathaniel si liberò dalla presa di alcuni di loro, con rabbia. Il coach non credeva ai suoi occhi.

“Ma si può sapere che ti succede? Blake, sembra quasi che tu non dorma da giorni, hai un aspetto orribile!”

Ed era così, infatti. Nathaniel aveva il volto caratterizzato da un bianco cadaverico e un contorno viola intorno agli occhi, vispi e dilatati.

“Sto da DIO! – esclamò al coach, guardando di nuovo Morgan, mentre andava via, chiaramente instabile – Hai capito, Morgan?” e se ne andò, sotto lo sguardo basito di tutti i presenti.

 

*

 

Più tardi, dopo la scuola, Sam ebbe il suo consueto appuntamento con lo psicologo. Mentre il ticchettiò riempiva l’aria, Wesam era lì che fissava Sam, pronto ad ascoltarlo.

Il nervosismo del ragazzo, però, prese immediatamente il sopravvento, mentre fissava delle mensole, sulla parete, alla sua sinistra.

“Vedo che c’è un oggettino nuovo!” indicò.

Wesam non si girò nemmeno a guardare, mantenendo il suo sguardo fisso su di lui: “Vedo che adottiamo vecchie abitudini!”

“Cioè?”

“Nascondere la verità, camuffandola con queste assurde trovate, in modo da far scorrere il tempo più velocemente…- sorrise, poi – Ma sai una cosa? Ho rimandato l’appuntamento che viene dopo, perciò quando la sabbia sarà scesa tutta, girerò nuovamente la clessidra.”

Sam sbiancò, per nulla contento: “Cosa? Quaranta minuti in più?”

“Ma guarda che strana reazione! – lo incalzò - Allora hai finalmente capito che non si può temporeggiare per sempre. Che anche la verità ha una data di scadenza.”

“Non sto temporeggiando!” si oppose, nonostante la sua voce tremasse.

“Inizia a dirmi la verità, Sam. Il vero motivo del tuo disagio. Inizia anche dalla più piccola preoccupazione, ma inizia da qualcosa che non sia una bugia.”

Sam inumidì le labbra, abbassando lo sguardo, rilassandosi: “Ultimanente… - iniziò a raccontare – Sono preoccupato per la mia migliore amica. – finalmente lo guardò negli occhi – Ci siamo un po’ distaccati e ad un certo punto ne abbiamo parlato. Quando ha scoperto che mi ero tagliato…si è subito preoccupata per me.”

“Poi? Cosa è successo?” lo ascoltò con interesse, l’agenda sulle ginocchia.

“Mi ha raccontato che sarebbe venuta al ballo con un ragazzo. Un ragazzo che io so, essere gay… - gesticolò, nervosamente – Io l’ho avvertita, ma non mi ha creduto. Lei ha avuto molte delusioni in amore e non vorrei si innamorasse di lui, che la sta usando solo perché ha paura che gli altri sappiano chi è realmente. Non vorrei che ci rimanesse male come tutte le alre volte!”

“Hai intenzione di agire in qualche in qualche modo?” gli chiese, cogliendolo di sopresa.

“Ehm, non saprei, cosa le fa credere che farò qualcosa?”

“Perché si vede dal tuo sguardo che hai molto a cuore questa tua amica. Non vuoi che soffra di nuovo e farai sicuramente il possibile affinchè non avvenga.”

“Beh, sì, ma…non sono cosa fare. Ora come ora, non crederebbe ad una sola parola. Ci vuole una prova!”

“Sai, Sam? Non ci vuole molto ad incastrare un ragazzo gay. Ci ripetiamo continuamente che abbiamo tutto sottocontrollo, che nessuno riuscirà mai a scoprire il nostro segreto. La voglia di essere ciò che siamo, però, prende il sopravvento ad un certo punto e prendiamo certe strade che pensiamo che altri non percorrerebbero mai. Molte volte, però, non ci rendiamo conto che stiamo sbagliando qualcosa, che stiamo abbassando la guardia, ed ecco che veniamo incastrati da noi stessi.”

Sam, naturalmente, notò che Wesam si era immedesimato molto in quelle parole: “Ti sei incastrato anche tu, per caso?”

Quello si lasciò scappare una risata, per sdrammatizzare: “Abbastanza, direi. Mia sorella mi ha beccato a letto con il suo fidanzato…Mancavano tre mesi alle loro nozze! – rivelò, fissando la finestra, un’improvviso velo di tristezza sul volto – Nessuno della mia famiglia mi rivolge più la parola da ben tre anni. – sorrise, tornando a guardarlo, gli occhi leggermente lucidi – Pensa che si sono sposati ugualmente e lui ha definito quello che è successo con me, uno spiacevole episodio. E il bello è che è stato creduto, quando io so perfettamente che lui lo voleva quanto me, quel pomeriggio.”

Sam si commosse, nell’ascoltarlo: “Mi dispiace così tanto. E’ brutto avere tutti contro e sentirsi solo. Non avere nessuno…”

L’altro lo fulminò, serio: “Tu qualcuno ce l’hai, Sam. Non pensare di capirmi, perchè non sei solo. Non hai idea di cosa sia la solitudine, te lo garantisco. – sottolineò con fermezza – Tuo padre ti ama più della sua stessa vita, ma per qualche strano motivo, tu lo stai allontanando.”

“Io so che significa sentirsi soli, credimi!” ribattè, a voce alta.

“Allora dimmi cos’è! – alzò la voce anche lui – Sei qui per questo, Sam. Per metterti a nudo, per sfogarti, per essere aiutato!”

Quelle parole lo fecero lacrimare, mentre tentava di evitare lo sguardo di Wesam.

“Lasciati aiutare, Sam…” disse più calmo.

E si guardarono a lungo, il volto di Sam chiaramente combattuto; tant’è che stava quasi per cedere e cedette.

“Quello che mi sta succedendo, io non posso raccontarlo. – Wesam si chinò in avanti, ascoltandolo attentamente – Circa un mese e mezzo fa, io e i miei…”

Fu interrotto, improvvisamente, dallo squillo del suo telefono. Il numero che comparve, non gli sembrava familiare.

“Ehm, ti dispiace se rispondo?” si alzò di colpo.

“Certo, fa pure!”

Sam uscì dalla stanza, lasciando distrattamente la porta socchiusa. Finalmente rispose.

“Pronto? Chi parla?”

Sta ricevendo una telefonata dal penitenziario di Philadelphia dal detenuto Jasper Lughlin. Premere uno, per accettare la chiamata.”

Sam stranì nel sentire che si trattava di lui, stringendo gli occhi, nervoso. Poi, premette uno e aspettò di sentire la sua voce.

“Sam? Ci sei?”

“Ehi, Jasper…” rispose con un filino di voce, dopo aver deglutito malamente.

Ehi, Jasper???  - reagì in malomodo - Dopo che ci siamo visti l’ultima volta, non siete più venuti. Il processo si avvicina e non ho un alibi!”

“C-come hai avuto il mio numero?”

“Questa è una bella domanda. Qualcuno ha infilato il tuo numero nella tasca della mia divisa, ma non ha senso!”

“Ehm… - girovagò con lo sguardo, a disagio – Noi ci stiamo lavorando, ok?”


“Sam, voi mi avete chiesto di aspettare e io l’ho fatto, ma qui c’è in gioco la mia vita. Se le cose non si metteranno bene o non troverete una soluzione per tirarmi fuori di qui…dirò tutto quello che mi avete detto alla polizia e sarete chiamati a testimoniare.”

“Oh mio Dio… - pronunciò sottovoce, chiudendo gli occhi – Ok, ascolta, il processo è tra una settimana, giusto? Dacci ancora qualche giorno, ti prego!”

“Cosa cambia? Non riuscirete mai a farmi uscire di galera!”

“Sappiamo chi è A!” esclamò a bruciapelo, come per zittirlo.

“…Lo sapete? Chi è?” ne rimase sorpreso.

“Solo qualche giorno, Jasper. Solo qualche altro giorno, ti prego!” lo supplicò.

“…Due giorni, non di più!” e la telefonata cadde di colpo.

Sam rimise giù il telefono, chiudendo gli occhi, i muscoli deboli per la tensione. La porta alle sue spalle si aprì e si affacciò Wesam, con un braccio dietro la schiena.

“Allora? Resti qui fuori o torni dentro?”

L’altro sospirò, mortificato: “Senti, devo andare. Tanto mancano dieci minuti alla fine della seduta. Perdonami!”

Wesam portò la mano avanti, che stringeva la tracolla del ragazzo.

“Immaginavo che non saresti rientrato, perciò ti ho portato la borsa!”

Quello la prese, accennando un piccolo sorriso: “Non dirlo a mio padre o mi perseguiterà per giorni. Ci tiene che io faccia queste sedute!”

“Quello che succede qui dentro, rimane qui dentro, no? – gli fece un’occhiolino per rassicurarlo – Ora, se non ti dispiace, ho dieci minuti da dedicare ad una poltrona vuota, prima che arrivi il prossimo appuntamento che non ho mai annullato!”

Sam rise a quella battuta, anche se in maniera lieve. Poi se ne andò, mentre l’altro restava lì a guardarlo andar via. Quando tornò nella stanza, divenne serio, scrivendo un nuovo appunto sulla sua agenda.

“- Jasper???

-A???

- Processo???”

 

*

 

Verso metà pomeriggio, Eric era al Brew, che stava portando un vassoio di tazzine sporche al bancone, pronte per essere lavate. Altamente nervoso, controllò il telefono, prima di farlo: erano messaggi di Alexis.

Quando sollevò il capo, puntando la strada, vide che stava arrivando. Uscì immediatamente da dietro al bancone, buttando una rapida occhiata su Todd, impegnato in una conversazione, fiodandosi poi fuori dal Brew.

“Alexis!” esordì con il fiatone.

Quella, però, non era di buon umore: “Dov’è Todd???”

“Senti, lascia perdere, ok? – si interpose tra lei e la porta – Ti aiuterò a trovare un nuovo lavoro!”

“Eric, sono appena tornata a Rosewood, vorrei decidere io cosa fare della mia vita, d’accordo? Todd deve assolutamente ridarmi il lavoro, non è di certo colpa mia se un pazzo mi ha investita con l’auto!”

Alexis cercò di passare, ma Eric le bloccava ancora il passaggio.

“Alexis, ne abbiamo già parlato per telefono: ti passerò il mio stipendio finchè non troverai un nuovo lavoro, ok?”

Immediatamente, lei, sgranò gli occhi, basita: “Ancora con questa storia? Perché dovresti lavorare al posto mio, quando sono perfettamente in grado di farlo da sola?”

“Perché Todd, ormai, ha assunto me! – urlò, cercando di fermarla dall’entrare – Inizialmente pensavo di farti un favore, mantenendo il tuo posto, per paura che assumesse un’altra persona, ma quando gli ho detto che stavi tornando…Beh, ha detto che non ti avrebbe più ripresa!”

“Ehm… - era a bocca aperta, scioccata, le lacrimavano gli occhi – Quindi funziona così? Ti capita una cosa brutta e vieni tagliata fuori in questo modo?”

Eric le prese la mano, dispiaciuto: “E’ solo un lavoro in caffetteria, Alexis. Sai quanti giovani ragazzi come noi vengono assunti e licenziati nel giro di un anno?”

Una lacrima le scese dal viso, mentre guardava da un’altra parte, sentendosi impotente: “Per telefono sembrava che fosse tutto a posto. Todd ha detto che potevo tornare…”

“Ha cambiato idea, dopo che ha saputo che saresti andata a stare da tua madre per la convalescenza.”

“Ma sono stata via pochi giorni?” insistette avvilita.

“Più di una settimana, Alexis. – precisò – Sai com’è fatto Todd: è uno stronzo!”

Arresa, mise le braccia conserte, guardando l’interno del Brew, attraverso il vetro.

Eric la prese e la abbracciò: “Ti aiuterò a cercare un altro lavoro, d’accordo? – si staccò, tirando fuori dei soldi dalla tasca –  Ah, dimenticavo  questo è quello che mi ha dato per tutta la settimana che ho fatto!”

Alexis si mise i capelli dietro le orecchie, imbarazzata: “N-non… Io non posso accettarli, ne hai bisogno anche tu!” indietreggiò, agitando le mani in senso di rifiuto.

“Ho preso questo posto per te, ok? Mio padre torna domani, ce la caveremo. Tu hai le spese del college e tua madre fa tre lavori diversi per aiutarti. – glieli mise nelle mani con la forza – Servono più a te che a me!”

Quella lo fissò, mortificata e con gli occhi lucidi e alla fine li accettò. Poi lo baciò.

“Dobbiamo parlare di quanto tu sia il ragazzo migliore di questo universo!” disse accennando un sorriso, dopo il bacio.

Lui rise: “Nah, sei tu la migliore!”

L’ennesimo sorriso e un lungo sguardo intenso, terminarono quell’incontro. Eric rientrò al Brew, mentre Todd arrivava proprio verso di lui, buttando un occhio verso la strada, attraverso le vetrate.

“Quella era Alexis?”

“Sì, era lei!” esclamò, strofinandosi le mani per il freddo.

“Come mai non è entrata? Pensavo volesse indietro il suo lavoro!”

“Ehm, in realtà, ha trovato un altro lavoro più vicino alla Hollis. Sembra proprio che resterò io qui!”

Mettendo le labbra a papera, metabolizzando la cosa, borbottò qualcosa dandogli una pacca sulla spalla: “Uhm, d’accordo, come vuole lei… - si allontanò - C’è un tavolo da pulire, comunque!”

“Sì, l’ho visto!” esclamò, dirigendosi verso di esso.

Poco prima di pulirlo con lo straccio che aveva sulla spalla destra, però, tirò fuori il suo telefono dalla tasca del grembiule, leggendo un particolare messaggio ricevuto qualche ora prima.

 

“Tieniti stretto il lavoro o la prossima volta la investo con un camper.”

-A

 

Eric deglutì malamente, per poi sospirare. Era riuscito ad allontanare Alexis con una bugia, ma il peso che portava sulle spalle era ormai troppo enorme. La sua fronte sudava freddo e la sua espressione era del tutto spenta, mentre rimetteva il telefono in tasca ed iniziava a pulire.

 

*

Vero sera, Rider, a casa sua, si affacciò un ultima volta fuori dalla sua stanza con aria furtiva. Voleva essere sicuro che nessuno fosse nei paraggi, così chiuse la porta e si diresse verso il suo letto. Si abbassò a gattoni, alzando la coperta che toccava il pavimento: rivelò una lunga bombola d’ossigeno, nascosta lì sotto.

Subito la tirò fuori, trascinandola lungo il pavimento, fino all’armadio; era talmente pesante che si sforzò esageratamente. Si asciugò il sudore, poi aprì gli sportelli, fece spazio e la posizionò lì dentro, coprendola con degli abiti.

Di nuovo in piedi, sbatte le mani fra loro sporche di polvere e riprese fiato. Improvvisamente, però, poco prima di chiudere le porte dell’armadio, intravide sotto ad altri abiti, il tablet dell’istituto di ingegneria elettronica che aveva rubato tempo prima. Si chinò a prenderlo allora, sollevandolo davanti al suo viso: i chip che avevano messo a tutti, sembravano tutti inattivi; tutti tranne uno.

“Ma che cavolo…???” aguzzò meglio la vista, su quel puntino rosso che lampeggiava sullo schermo.

Intanto, suonavano alla porta di casa. Con insistenza.

Rider si diresse immediatamente verso il comodino, dove ci trovò un blocchetto di post-it sopra, attaccandone uno allo schermo del tablet.

Dal corridoio, si sentì la voce seccata di Lindsay che si prestava ad andare di sotto ad aprire: “Ma nessuno sente che stanno suonando, in questa dannata casa?”

Rider, intanto, stava scrivendo su quel post-it.

“Controllare posizione sospetta nel bosco dopo il ponte.”

 

Quando finì di scrivere quell’appunto, mise il tablet dentro un cassetto e lo richiuse. Poi uscì fuori dalla sua stanza, andando dietro Lindsay.

Una volta di sotto, la ragazza era in piedi davanti alla porta, con qualcosa in mano. Davanti a lei non c’era nessuno.

“Chi è?” domandò Rider, scendendo l’ultimo gradino.

Quella si voltò un attimo, l’aria sconvolta. Poi uscì fuori, camminando per qualche passo e guardandosi attorno. Rider, incuriosito, si avvicinò per chiederle cosa stesse accandendo.

“Lindsay, ma che succede?”

Subito, lei, tornò indietro: una busta per gli acquisti tra le mani, molto colorata. Nervosa, tirò fuori ciò che c’era dentro e si prestò a spiegare. Si trattava di un abito celeste da neonato, accompagnato da un bigliettino.

“Ho aperto la porta e c’era questo! – Rider prese in mano il vestitino, mentre lei sollevava il biglietto – E’ un maschio, congratulazioni! –A!”

Rider la fissò attentamente, cercando di capire se stesse bluffando, ma sembrava davvero spaventata.

“Qualcuno deve aver scoperto della mia relazione con lui, sono rovinata!”

L’altro, convintosi che era seria, fu colto immediatamente da un cattivo pensiero; che altro non era che l’oggetto del messaggio: “Sei incinta, per caso?”

“NOO!” esclamò in maniera sonora.

“E allora che vuol dire?”

“E’ una frecciatina, Rider!” prese tutto dalle sue mani con foga e lo rimise nella busta, rientrando, prima che il fratello potesse rivolgerle un’altra domanda.

Quello rimase lì impalato, guardandosi attorno, il verso dei grilli nei cespugli e il sibilare delle luci nei lampioni. Finalmente rientrò anche lui.

 

*

 

Parcheggiato davanti a casa sua, Sam aveva il telefono all’orecchio e la testa poggiata al volante, l’aria abbastanza stressata; stava chiamando qualcuno.

Quando finalmente ricevette risposta, alzò immediatamente la testa.

“Pronto, Nat?” chiamò il suo nome, aspettando di sentire la sua voce.

“…Sì?” replicò l’altro, in un tono privo di vivacità.

“Ehm, scusa se ti disturbo, ma sei l’unico con cui posso parlare di questa cosa!”

“…Cioè?” sembrava distratto.

Sam se ne accorse: “Ma dove sei?”

“Sono in un market, prendo qualcosa per il ristorante; tipo qualche bottiglia di vino bianco!” ribattè, masticando delle patatine che prendeva poco alla volta dal pacco, poggiato dentro al carrello, mentre guardava verso gli scaffali.

“Cos’è questo rumore? Stai per caso mangiando qualcosa?”

“Sì, delle patatine e magari qualcos’altro da cucinare lì, prima di tornare a casa!”

“Un secondo, stai mangiando dentro ad un market?”

“Ho fame, non mangio nulla da stamattina!”

“Potevi pranzare alla mensa della scuola, no?”

“Sì, magari una fetta di torta al cioccolato, panna e pillole per il di cambio sesso!” esclamò, sarcastico.

“Nat, è assurda questa tua paranoia. A non può interferire con il cibo che ti verrà servito in mensa, non è David Copperfield!”

“Sta di fatto che quelle pillole si prendono dopo i pasti, ok? E per un mese e mezzo le ho prese senza che me ne accorgessi!” ribadì, isterico.

Sam sospirò, evitando di controbattere, cambiando discorso: “Comunque ti ho chiamato perché…mentre ero da Wesam, dal carcere mi ha chiamato Jasper: sta perdendo la testa!”

“Wesam, il tuo psicologo? – puntualizzò, una vena arrogante - Ora lo chiami per nome?”

“E’ rilevante? Dico, hai sentito cosa ti ho appena detto?”

“Sì sì, ho sentito! – esclamò seccato, per poi parlare tra sé e sé – Non sono mica sordo!”

Sam, perplesso dal suo atteggiamento, preferì sorvolare: “…Ok, ha minacciato di raccontare tutto quanto. Ci ha dato due giorni di tempo per tirarlo fuori di prigione, prima che inizi il processo!”

A quel punto, Nathaniel sembrò prendere sul serio la cosa e nella sua espressione si dipinse in un velo di preoccupazione: “…E-e cos’hai gli hai risposto?”

“Che gli dovevo rispondere, secondo te? Scusa, ma la vita non è come il monopoli, la carta “Esci di prigione al prossimo turno” non ce l’abbiamo?”

“Come pretende che in due giorni possiamo trovare un modo per tirarlo fuori di lì?”

“Beh, gli abbiamo fatto delle promesse l’ultima volta… - sbuffò, sotto stress – Abbiamo commesso un grosso errore a rivelarli tutto. Rider ci ammazza se lo scopre!”

“Rider è l’ultimo dei nostri problemi. Se Jasper parla, inizieranno ad indagare su di noi, tutto il caso verrà riesaminato!”

Ora, la voce di Sam tremava: “O-ok, ma a Jasper non abbiamo detto che eravamo con Anthony. Pensa che l’abbiamo solo visto o seguito, ha capito così, no?”

“Quello che Jasper pensa, non è quello che la polizia penserà. Loro faranno sicuramente due più due!”

Sam si portò una mano alla fronte, disperato: “Oh Dio, abbiamo combinato un casino!”

“Domani mi inventerò qualcosa, magari faccio un salto da lui in prigione e cerco di fargli cambiare idea, darci più tempo!”

“Buona fortuna, allora! Al telefono non sembrava così collaborativo.” la diede per una missione inutile.

“Ora vado, mi sto avvicinando alla cassa. Teniamoci aggiornati o come ti pare!” aggiunse, chiudendo bruscamente.

“Ma..??”

Sam non ebbe il tempo di replicare, restando a guardare basito il suo telefono per la fugacia dell’amico. Sospirando, buttò il telefono sul sedile di fianco, sdraiandosi sul suo, sollevando la testa in alto e abbandonandosi ai suoi pensieri, prima di rientrare a casa.

L’attimo seguente, il silenzio fu rotto da una notifica. Sam buttò giù la testa e lo prese dopo qualche secondo, esausto di averci sempre a che fare: si trattava di alcune email, che lesse ad alta voce.

Jim Gordon vuole uscire con te, rispondi al suo invito…  - con un dito, trascinò il messaggio nel cestino, abbastanza annoiato – No, grazie! – un’altra email, poi – Disponibile il box con le prime tre stagioni di The 100, entra nel sito per acquistare… - ci pensò su, poi trascinò anche quella email nel cestino – Non ho il tempo di vivere, figuriamoci una maratona di tre stagioni! – e, ancora, un’altra email – Brianna Santoni ti ha aggiunto al gruppo “Homecoming staff”…”

Sam, finalmente, si fece sfuggire un piccolo sorriso; sentiva tutto l’odio che per settimane aveva percepito nei suoi confronti, da parte degli altri studenti, svanire lentamente. Subito dopo, fu catturato da un’email che conteneva degli annunci. Ciò che risaltò ai suoi occhi, fu immediatamente quello del “Ginseng”, un locale gay che pare avrebbe ospitato una band abbastanza conosciuta.

A quel puno, fissò la sua abitazione, indeciso se scendere oppure no, stuzzicato da quell’annuncio. Poi tornò a guardare il telefono, pensando che aveva bisogno di quella distrazione, di quella serata; di un posto dove sarebbe stato solo Sam, un ragazzo qualsiasi di cui nessuno sa nulla. Fu per questi pensieri che non ci pensò due volte a buttare il telefono sui sedili posteriori, girando la chiave e partendo a tavoletta.

 

*

 

Nathaniel aveva appena chiuso il ristorante di suo padre, dopo aver mangiato da solo ciò che aveva comprato al market. Mentre camminava lungo il marciapiedi, indossava la stessa felpa grigia e gli stessi jeans che aveva indossato per tutto il giorno.

Dalla tasca tirò fuori il suo ipod, si mise le cuffie nelle orecchie e la musica lo accompagnò nella lunga corsa che iniziò. Corse ancora, ancora e ancora. Per due, tre isolati interi, senza fermarsi. Ormai aveva lo sguardo fisso sulla strada che aveva davanti, quasi in trance, mentre ripensava a tutti i problemi della sua vita. Quando attraversò la strada, non vide nemmeno l'auto che gli stava arrivando addosso;  se ne accorse solo quando la luce lo abbagliò e quando l'auto frenò ad un passo da lui.

"Ma chi cavolo ti ha dato la patente? - sbraitò Nathaniel contro il conducente, che non riusciva a vedere per via degli abbaglianti - Stronzo!"

Improvvisamente, la portiera si aprì e Nathaniel non fece un passo, aspettando di vedere chi era.

"Nathaniel?" non credette ai suoi occhi, Cameron, ormai fuori dalla vettura.

Indossava una camicia bianca, molto elegante.

L'altro si lasciò sfuggire una risata di incredulità: "Ma tu guarda...di tutta Rosewood, quasi mi facevo investire da un idiota!"

Confuso, lo squadrò dalla testa ai piedi: "Che ci fai in giro a quest'ora? Non sembri molto informa...Sai, stamattina passavo dalla palestra e ho assistito a quello che è successo con Morgan..."

"Mi tieni d'occhio, per caso?" lo fulminò, infastidito, facendo un piccolo passo verso la sua direzione.

"Ho detto che ci sono passato per caso davanti alla palestra. Solo perché so che sei gay, non vuol dire che tu sia l'unico al mondo."

Quello abbassò lo sguardo, rendendosi conto di aver esagerato. L'altro lo fissò in silenzio, per poi rivolgersi nuovamente a lui.

"Senti, vuoi un passaggio? So che abiti vicino a casa di Rider Stuart..."

"E tu che ne sai di dove abita Rider?"

"La smetti di trattarmi come un serial killer? Suo padre è uno scrittore abbastanza conosciuto qui in città e mia madre è una sua lettrice, una volta l'ho accompagnata a farsi autografare il libro."

Con un espressione leggermente meno sospettosa, sembrò ancora restio nell'accettare l'invito. Tuttavia, si avvicinò all'altra portiera.

"Non vuol dire che diventeremo amici, se accetto un tuo passaggio."

"È solo un passaggio, sta tranquillo."

Poco dopo, erano già per strada. Cameron era concentrato sulla guida, silenzioso. Nathaniel lo squadrava di nascosto, perplesso.

"Hai un appuntamento? Non avevi paura che qualcuno ti beccasse?"

Quello gli rispose senza togliere gli occhi dalla strada: "La notte proteggere i segreti, non lo sapevi? Nessuno sa dove sei, nessuno sa chi sei."

"Io so perfettamente chi sei!" puntualizzò, cercando di smontare la sua filosofia.

"Non vale tra persone che fino a poco tempo fa nascondevano lo stesso segreto... - finalmente lo fissò - Non ho paura che tu sappia chi sono!"

Nathaniel lo fissò in maniera profonda, come se volesse estirpare un dubbio appena nato: "...Perché Anthony non ti ha mai preso di mira? Se solo avesse saputo..."

"Lo sapeva!" rivelò, diretto.

"M-ma... - sgranò gli occhi, sorpreso - Insomma, era Anthony! Se lo sapeva, perché non ti ha mai umiliato?"

"Perché io sono come voi quattro: in qualche modo, li servivamo a qualcosa!"

"E tu a cosa gli sei servito, esattamente?"

"Diciamo che ho comprato il suo silenzio."

"Gli hai dato dei soldi affinché ti lasciasse stare?"

"Mi ha fatto capire che ne aveva bisogno per un suo progetto personale, ma non so di cosa si trattasse. Quindi gli ho offerto dei soldi, solo che...qualcosa mi dice che me li avrebbe chiesti lui, prima che glieli offrissi io."

"E noi a cosa li servivamo, esattamente? Perché eravamo così tanto speciali?"

Cameron lo fissò per un secondo: "Quello lo sapete solo voi, ma una cosa è certa: Anthony era solo amico di se stesso!" e continuò a guidare, mentre Nathaniel portava lo sguardo sulla strada, riflettendo su quanto appena detto.

 

*

 

Intanto, Rider, sdraiato a letto con un solo lume accesso, che illuminava la stanza, era al telefono con Eric.

"Che vuol dire che tua sorella ha ricevuto un regalo da A? È una sorta di messinscena, forse?"

"Non ne ho idea! - era confuso - Sembrava letteralmente spaventata, non stava recitando!"

"...Quindi un vestito da neonato?"

"Sì, un vestito da neonato! - ripetè isterico - Ho pensato subito che fosse incinta, ma ha detto di non esserlo. E ha aggiunto che qualcuno potrebbe aver scoperto della sua relazione con Brakner e che quel regalo era una frecciatina!"

"Ti prego, non dirmi che ci stai cascando? - assunse un tono incredulo e seccato - Questo è Brakner che cerca di confonderci le idee. Forse da quando siamo entrati nella panic room, sente di aver perso colpi e vuole depistarci."

"Non so... - si grattò il capo, combattuto - Diventa sempre più complicato. Questa mattina, A ha rimosso i bracciali a me e Sam trasmettendo quel suono con l’altoparlate della scuola."

"Bene, se prima non ne ero convinto, ora ne sono certo. A vuole tenerci d'occhio e sapere cosa combiniamo, sta perdendo il controllo."

"Dobbiamo stare con Nathaniel, lui è l'unico che ha ancora il bracciale. Se perde anche il suo, siamo di nuovo esposti e non avremo più modo di parlare in segreto."

"Possiamo rivolgerci di nuovo a..."

Rider lo intercettò subito: "No, Julie ci ha aiutati una volta e il nostro rapporto con lei è concluso. Vuole delle risposte e noi non possiamo dargliele: fine della storia!"

"Questa storia deve finire, Rider. - era a dir poco furioso - Oggi Alexis è venuta a riprendersi il suo lavoro. Un lavoro che Todd le avrebbe restituito, ma io dovuto raccontare delle bugie e quindi non l'ha ripreso!"

"Dovuto?"

"A ha minacciato che se non mi fossi tenuto il lavoro, avrebbe investito Alexis con un camper! - esclamò, isterico - Sai, quelle case a quattro ruote che si usano per andare in campeggio!"

Rider si massaggiò le tempie, in preda ad un forte mal di testa: "Sì, so cos'è un camper!"

"Bene! Solo che io non posso reggere questa situazione per molto. Mi sono allontanato dal gruppo perché ho perso il mio bracciale e ora scopro che anche voi li avete persi, perciò...dimmi che in tutto questo, avete pensato ad un piano in tutto il tempo che non ci siamo visti e sentiti!"

"Ehm...No, Eric. Non abbiamo pensato a niente."

"...fantastico!" esclamò, deluso e arrabbiato.

"...Buonanotte, Eric!" lo salutò, chiudendo subito dopo. Mortificato per avergli mentito, perché un piano ce l'aveva ma non poteva rischiare che qualcun altro lo ascoltasse

 

*

 

Sam, nel frattempo, era appena entrato al Ginseng, ritrovandosi nel bel mezzo della folla. Luci da discoteca, partivano dal soppalco e colpivano i clienti del locale, mentre i The kills  stavano suonando Doing it to death. Cercò subito di farsi strada tra i ragazzi, puntando al bancone. La luce era fortissima, quasi da far girare la testa. Finalmente, dopo essere andato a sbattere contro un petto bello largo, di un tizio altissimo ed essersi scusato, arrivò al bancone. Accasciandosi sopra di esso, come un naufrago sulla terraferma, ordinò subito qualcosa da bere.

"Un'aranciata...con ghiaccio!"

Il barman sollevò le sopracciglia, eseguendo, nonostante gli fosse quasi scappato da ridere.

Tuttavia, non tutti mantennero lo stesso contegno. Un uomo, alla fine del bancone, stava ridendo. Rumorosamente. Sam si voltò a guardarlo e non credette ai suoi occhi: era Wesam.

"Che hai da ridere?" fu poco amichevole, assai seccato.

L'altro cercava di porre fine alla sua risata, il bicchiere che tremava nella sua mano: "È solo che... - sfumò in un sorriso ancora divertito - non sei un tipo da posti del genere, tutto qui!"

"Uao, la seduta continua!" roteò gli occhi, voltandosi ad accogliere il suo drink analcolico.

Wesam si avvicinò di soppiatto, versando parte del suo drink in quello di Sam.

Naturalmente, l'altro reagì in malomodo: "Ma sei impazzito?"

"Fuori da quelle quattro mura, non sono più uno psicologo!"

"Fuori da quelle quattro mura, ho ancora diciassette anni! Per questo ho ordinato un'aranciata, idiota!" puntualizzò con un isterico sarcasmo, prendendo il suo drink e allontanandosi verso quelli che ballavano. Wesam restò lì fermo, di schiena al bancone, con i gomiti appoggiati, che lo fissava senza perderlo di vista.

Fuori dal locale, intanto, si era appena parcheggiata un auto: quella di Cameron.

Il ragazzo diede un colpo al petto di Nathaniel, che sembrava essersi addormentato.

"Ehi, Nathaniel!"

Quello si svegliò di scatto, spaventandosi: "Dove sono?"

"Ehm...non mi ricordavo esattamente in che via abitavi, perciò... - titubò con la testa in maniera scherzosa - Ho continuato a guidare!"

Nathaniel lo fissò a bocca aperta, per poi voltarsi a guardare fuori dal suo finestrino: ragazzi palesemente gay all'ingresso del locale e una musica fortissima che proveniva dall'interno.

"Mi hai portato in un locale gay???" si voltò immediatamente a sgridarlo, inebetito.

"Che male c'è? Sei gay anche tu, no? - non ne fece un caso, parlando con parsimonia - Divertiti con me, altrimenti aspettami qui; solo che ci vorrà molto tempo e avremo un passeggero in più al mio ritorno, spero."

"Non starò qui ad aspettarti e non entrerò con te! Tornerò a casa a piedi!" uscì dalla vettura, aprendo la portiera.

Anche Cameron fece lo stesso, cercando di fermarlo: "Ah, ho capito. È perché stai con Sam?"

Quello si fermò: "Io e Sam non stiamo insieme! - titubò, cercando di dare una spiegazione - È una cosa così! "

"Interessante! - trovò, portando in avanti il labbro inferiore e assumendo un espressione dubbiosa, che voleva essere una burla - Da inserire come status su facebook!"

Nathaniel lo trovò un insulso, pronto ad abbandonarlo. Quando si fiondò nella direzione opposta, però, andò a sbattere contro un ragazzo.

"Ehi, sta attento!" esclamò scontroso.

L'estraneo, più pacato, era mortificato: "Oh, scusami!" e dopo una rapida occhiata che lo convinse che era tutto a posto, tornò a camminare verso l'ingresso del locale, mentre Nathaniel lo stava ancora guardando. Anzi, osservando.

"Sbaglio o quello aveva un certo accento francese?" domandò a Cameron, che si stava avvicinando a lui.

"Vagamente, perché? - si fece scappare una risata - Ti piacciono i Francesi?"

L'altro, però, lo ignorò, alzando gli occhi sull'insegna del locale: "Il Giseng..."

"Sì, si chiama così!" confermò Cameron, non badando allo strano comportamento di Nathaniel, assai preso dall'uomo e dal posto in cui si era imbattuto.

Per lui sembrarono quasi delle coincidenze, che nella sua mente trovavano senso in un piccolo ricordo del passato. Per la precisione, alcune parole di Jasper, quando lui e Sam li fecero visita in prigione.

 

"La notte dell'omicidio stavo andando in un locale, il Ginseng...Un uomo, dalle parti di quel locale, mi ha chiesto se avevo da accendere, ma io non fumo, quindi gli ho risposto di no. Aveva un cappotto lungo e nero e una sciarpa rossa. Biondo e con gli occhiali. È l'unico che mi ha visto quella notte, ma aveva un marcato accento Francese."

 

Quando Nathaniel tornò in sè, ripeté le parole che gli erano rimaste più imprese, quasi sussurrandole: "Biondo e con gli occhiali... Marcato accento Francese...Ginseng..."

Camerono lo fissò assai stranito, quasi agghiacciato: "...Stai bene? Non sembri molto normale..."

L'altro lo afferò per la camicia, non badando alle sue osservazioni: "Portami dentro quel locale. Istruiscimi, dimmi cosa si deve fare una volta dentro!"

Con lo stesso sguardo di prima, gli rispose ancora più confuso: "Ehm...non ci sono istruzioni, devono solo piacerti i ragazzi!" marcò quell'esclamazione, trovando assurda la sua richiesta.

"Mh, bene!" borbottò, avanzando verso l'ingresso. Cameron, basito, rimase per qualche secondo impalato prima di seguirlo.

Una volta dentro, Nathaniel non fece altro  che puntare l'uomo Francese, senza mai perderlo di vista; quello, ormai, era già in pista che ballava con un uomo.

"Ti va se ci avviciniamo al bancone a prendere da bere? Vorrei rinfrescarmi, prima di abbordare!" suggerì Cameron.

Con la stessa violenza usata fuori, Nathaniel lo tirò nuovamente per la camicia con entrambe le mani: "Vieni, balliamo!"

"Okeeey, okey!" esclamò l'altro, trascinato in pista e in balia di lui.

A quel punto, Nathaniel, ballò davanti a Cameron, come se fosse il suo ragazzo, ma tenendo lo sguardo fisso sul Francese, la fronte sudata.

Naturalmente, Cameron seguì il suo sguardo e intuì.

"Ti piace il Francese, eh?"

"Sta zitto e balla!" gli intimò l'altro, costringendo Cameron a sbuffare e roteare gli occhi.

 

Dall'altra parte del locale, Sam si bloccò, nel bel mezzo della pista, quando vide Cameron. Con gli occhi sgranati per la sorpresa, accennò un sorriso compiaciuto nel vedere che era in compagnia di un ragazzo.

Immediatamente, allora, tornò al bancone, davanti a Wesam, prendendolo di punto in bianco per un braccio.

"TU! Vieni a ballare con me!"

Confuso, trascinò i suoi passi fino alla pista: "Non avevi diciassette anni?"

"No, ne ho ventisette adesso. Zitto e balla!" esclamò, facendo qualche mossa strana davanti a lui, che palesava il fatto che non era molto impegnato a ballare, ma a guardare qualcuno.

Wesam lo intuì e seguì il suo sguardo, mentre Sam, ormai, non poteva far altro che dire la verità: "Vedi quel ragazzo con la camicia bianca, che balla con quel ragazzo con la felpa grigia? Quello è Cameron!"

"Il ragazzo che ha chiesto alla tua amica di andare al ballo?"

"Sì, proprio lui. Se adesso ci avviciniamo un pò e tu ti tieni davanti a me, magari posso scattare una foto."

"Che infantilità!" trovò Wesam.

Sam smise subito di guardare Cameron e gli lanciò un'occhiataccia: "Non è infantilità, questa! È essere un buon amico!"

I due si guardano per qualche secondo negli occhi, ognuno con le proprie convinzioni. Alla fine, Wesam si arrese, indietreggiando: "Vieni, addentriamoci!"

Sam accennò quasi un mezzo sorriso, per essere stato ascoltato,ma cercò di non darlo a vedere, muovendosi con lui. Una volta più vicini, Sam tirò fuori il cellulare.

"Direi che siamo abbastanza vicini, resta davanti a me."

"Non mi sposto, non preoccuparti." disse con tono premuroso. Sam incrociò nuovamente il suo sguardo con il suo, per poi schiarirsi la voce per l'imbarazzo e puntare la fotocamera.

Pronto per fare la foto a Cameron e il suo accompagnatore, Sam osservava tutto dallo schermo. Prima di scattare, però, l'accompagnatore si voltò leggermente, rivelandosi essere Nathaniel.

A quel punto, sconvolto, Sam abbassò il telefono e guardò meglio: era proprio Cameron con Nathaniel. Fu così che Sam si diresse battagliero verso i due, lasciando Wesam da solo e confuso.

"Nathaniel?" esordì, allucinato.

Quelli si voltarono, entrambi sorpresi di vederlo.

"Ehi, Sam, ci sei anche tu!" esclamò Cameron, giocoso.

"Chiudi quella bocca!" lo aggredirono entrambi, Sam più isterico che mai.

"Che ci fai qui con Cameron?"

"Ehm...cerco di... - provò a rispondere, limitato dalla presenza di Cameron - Risolvere i nostri problemi!"

"Rimorchiando Cameron?" sussultò, allibito.

"Tu che ci fai qui, piuttosto?" ribattè Nathaniel.

Cameron stinse i denti, aspettandosi il peggio, convinto che i due si stessero tradendo a vicenda.

"Io...io... - anche Sam si ammutoli di colpo - Sono con un amico!"

"C-che amico? – strinse gli occhi, confuso, poi notò un ragazzo, poco lontano da loro, che guardava verso la loro direzione - Chi è quello?"

Sam era più imbarazzato che mai, ora: "Ehm...Wesam!"

Nathaniel, irrigidendosi, strinse gli occhi, fissandolo a lungo: "Wesam, il tuo psicologo?"

"È un caso che l'abbia incontrato qui!" si giustificò.

Cameron, lasciandosi scappare una piccola risata, si intromise: "È stato un caso anche ballare insieme?"

Sam lo fulminò immediatamente: "Stanne fuori, grazie."

A quel punto, Nathaniel ne ebbe abbastanza e lo prese per un braccio: "Senti, vieni con me!" e senza dargli il tempo di reagire, lo trascinò fuori dal locale, mentre Cameron e Wesam, abbandonati, si scambiarono un'occhiata sconsolata. Cameron, poi, non trovandolo così male, gli sorrise gli fece anche un’occhiolino.

 

All'ingresso, Sam si liberò dalla stretta dell'amico: "Senti, non ti sembra esagerata come reazione, portarmi fuori?"

Nathaniel, però, arrivò subito al punto: "Dentro c'è il Francese!"

"Il Francese? - sbigottì - Di che parli?"

"Quello del racconto di Jasper, il Francese che gli chiese se aveva da accendere!"

"...Non mi stai prendendo in giro, vero?" sgranò gli occhi, mettendosi una mano sul petto.

"È dentro, ci ho sbattuto addosso poco prima di entrare. La descrizione combacia: accento Francese, capelli biondi, occhiali!"

Sam andò nel panico: "Ok, che facciamo? Insomma, forse non si ricorda di Jasper!"

"Prima di tutto, dobbiamo scattare una foto chiara al Francese. Poi la porteremo in prigione e la faremo vedere a Jasper."

"Ho capito, vuoi guadagnare tempo!"

"Esatto. Diremo a Jasper che lo stiamo convincendo a testimoniare, ma, secondo me, gli basterà sapere che l'abbiamo trovato per tranquillizzarsi e tenere la bocca chiusa."

"E con il Francese come ci muoviamo?"

Nathaniel titubò, ma aveva un piano: "Sicuramente non vorrà immischiarsi in questa storia, perciò...uno di noi deve rimorchiarlo!"

"Cosa?" sussultò Sam, sbarrando gli occhi.

"È l'unico modo, Sam. Magari possiamo estorceli la testimonianza, registrando le sue parole. Traendolo in inganno!"

"E come pensi di estorcergli questa confessione? Con un C'era una volta, ti ricordi l'uomo pluriomicida a cui hai chiesto l'accendino?"

"Ti inventerai qualcosa, ok?"

L'altro tentennò, pensando di aver capito male: "I-io? Perché io?"

"Perché io non sono gay, Sam!" puntualizzò.

"Anche gli attori non sono gay, ma recitano ugualmente la parte!" replicò, acido.

"Senti, io non saprei neanche da dove iniziare!" gesticolò con le mani, abbastanza a disagio.

"Beh, dovrai inventarti qualcosa, perché sei l'unico che può farcela. - lo fissò negli occhi, cercando di convincerlo - Sei bello, alto, atletico...chi direbbe di no ad un ragazzo perfetto come te?"

"Ouh...grazie..." fece fatica a deglutire, arrossì.

"Se ci vai tu, abbiamo più possibilità. E poi...vi siete già scontrati prima e hai una scusa in più per avvicinarti a lui."

Finalmente, anche Nathaniel si convinse e annuì: "D'accordo, ci vado io!"

Sam accennò un sorriso, prima di rientrare: "Bene!"

 

E una volta rientrati, Sam si fondò su Cameron, trascinandolo in pista per un braccio: "Vieni, balla con me!"

Sorridendo divertito, si lasciò prendere: "Ok, mi sta anche bene, ma Nathaniel?"

"Ha da fare!"

"Con il Francesino, immagino! - sorrise ancora di più - Certo che avete una relazione bella aperta voi due!"

Sam sforzò un sorriso, mentre lo tirava fino al centro del vero movimento: "Non sai quanto!" e nel mentre, incrociò per un attimo lo sguardo di Wesam, che lo fissava serio da un punto del locale. Fu molto profondo quello sguado.

 

Nathaniel, intanto, aveva raggiunto il Francese al bancone. Era sudato per via del ballo e stava sorseggiando un drink ghiacciato.

Impacciato, Nathaniel si mise accanto a lui, sfoggiando il suo miglior sorriso.

"Ti sei ripreso dal colpo?"

Distrattamente, quello si voltò: "Oh, ciao! Sei quello che mi è venuto addosso prima, non è vero?"

"Che memoria!" lo adulò.

Il Francese gli sorrise, scrutandolo con interesse, ora che lo guardava meglio: "Non è successo molto tempo fa!"

Nathaniel si voltò verso il resto del locale, in una panoramica: "Trovato qualcuno di interessante?"

Quello lo fissò con un sorriso lussurioso, palesando la risposta"...forse!"

"Io sono Nathaniel, comunque!" rise.

"Edward!" e si strinsero al mano, guardandosi negli occhi a lungo.

 

Dopo diversi minuti in cui li aveva osservati, Sam li vide lasciare il locale insieme. Nathaniel ebbe giusto un secondo per fargli un occhiolino, che Sam ricambiò.

In tutto questo, Wesam, che ora ballava con un altro, non aveva mai smesso di tenere d'occhio Sam e notò perfettamente l'occhiolino che si era scambiato con Nathaniel, poco prima, trovando tutto molto strano.

 

*

 

La mattina seguente, Eric si stava svegliando. Strinse gli occhi esageratamente, come in preda ad un dolore fastidioso, poi aprì gli occhi e si sollevò. Per diversi secondi, rimase imbambolato a fissare la parete, ancora stordito. Improvvisamente, ebbe una strana sensazione di fastidio, che lo costrinse a portarsi la mano sulla guancia, nel punto in cui la percepì. Nel momento stesso, inclinò la testa in direzione del comodino, portando i piedi fuori dal divano letto. Nel guardare meglio la superficie del comodino, che la prima volta aveva guardato distrattamente, fece una raccapricciante scoperta: una siringa e una bottiglia di sonnifero a gocce, poggiava lì sopra.

Il telefono, che era proprio accanto, vibrò, ed Eric lo prese immediatamente, il volto pallido e l'ansia che cresceva, pronta ad esplodere in una reazione di panico al messaggio che stava per aprire.

 

"Pensi di essere furbo? Passa solo un altro centesimo alla tua ragazza e la prossima volta mi prendo anche il 24!"

 

- A

 

In allegato, sotto al messaggio, la foto di un dente appena estratto, dentro un piccolo contenitore: il suo.

 

Con gli occhi sgranati e la bocca secca, Eric si portò nuovamente la mano alla guancia e incantò il vuoto. Osservando nuovamente la bottiglietta di sonnifero, sgranò ancora di più gli occhi, ricordandosi di sua madre.

Immediatamente, corse nell'altra stanza, diretto verso la sua camera. Dovette, però, fermasi in cucina, quando si accorse che lei era proprio lì in piedi con una tazza di caffè, che guardava una soap opera in televisione.

Sudato e affannato, la chiamò: "Mamma!"

Quella si voltò tranquilla, non badando al suo chiaro disagio in volto, sorridendogli: "Ti sei svegliato presto, tesoro!"

"S-stai bene?" chiese, restando impalato e deglutendo malamente.

Quella titubò per qualche istante: "...Ehm, sì! Perché non dovrei?  - rise - Ho dormito così bene stanotte, non succedeva da tempo. - poi fantasticò, come una ragazzina, gli occhi al soffitto, le guance rosse - Sarà che sto così bene, perché oggi torna tuo padre! Mi è mancato davvero tanto..."

"Anche a me... - sussurrò in maniera malinconica, poi decise di congedarsi - Io vado a lavarmi i denti..."

"Ok, tesoro. Ti preparo la colazione!" gli sorrise ancora, mentre quello lasciava la cucina.

 

Quando fu in bagno, davanti allo specchio, provò una sensazione di timore mai provata prima. Sospirò, per poi aprire lentamente la bocca e tirare la guancia indietro.

Grazie all'illuminazione dello specchio, poté vedere che effettivamente gli mancava un dente, così richiuse immediatamente la bocca, respirando in maniera asmatica per ciò che gli era stato fatto. Ma soprattutto, che gli poteva essere fatto nuovamente. Fino all'ultimo dente.

 

*

 

Nathaniel era nella camera da letto di Edward, sempre in quella mattina. Era vestito, mentre l’altro, nudo, dormiva profondamente, con il lenzuolo bianco che copriva solo le sue parti intime e lasciava ben visibile tutto il resto del corpo. Lo fissò a lungo, in piedi davanti al suo letto, un’espressione seria che non lasciava trasparire i suoi pensieri o cosa fosse accaduto la notte prima. Aveva semplicemente un biglietto in mano, che poggiò sul comodino, con scritto sopra: “Grazie per la notte trascorsa insieme. Richiamami per quel pranzo!”.

Dopo, tirò fuori il telefono e gli scattò una foto. Poi un altra, prendendolo bene in volto. Subito dopo, lasciò l’appartamento. Silenziosamente.

 

*

 

Più tardi, a scuola, Eric e Rider scesero dall’auto di quest’ultimo ed erano diretti all’ingresso. Sam, arrivato prima per conto suo, li vide e si diresse verso di loro.

“Ehi, lo sapevate che Violet farà un’annuncio importante al ballo di stasera? Si è sparsa la voce!” esordì.

“Si sa di cosa si tratta?” domandò Rider, mentre Eric si torturava le mani, la mente completamente altrove.

“No, a quanto pare è una sorpresa!”

Rider roteò gli occhi, ridicolizzandola: “Pff, farà uscire un gruppo di colombe da un cappello?”

“Ehm…non ci escono i conigli dal cappello?” Sam strizzò gli occhi, perplesso.

“E’ magia, Sam. Dal cappello può uscire qualsiasi cosa!”

Subito dopo, Sam fu il primo a fare caso allo strano atteggiamento di Eric, molto silenzioso.

“Ehi, tutto bene? Sei pallido!”

Anche Rider ci fece caso, da molto prima di scendere dall’auto: “Già, che cos’hai? Volevo chiedertelo quando ti sono venuto a prendere, ma mia madre mi ha tenuto al telefono per tutto il tragitto e quindi non ho potuto chiedertelo.”

A mi ha staccato un dente e non ho capito completamente il suo messaggio!” rivelò, agghiacciando i suoi amici.

Sam sgranò gli occhi per primo, scambiandosi un’occhiata anche con Rider: “Come? Un dente?”

“Fammi vedere questo messaggio!” richiese Rider e quell’altro gli passò il telefono, lasciando che lo decifrasse.

“Perché avrebbe dovuto staccarti un dente? Adesso, A ha anche una laurea in odontoiatria?” trovò assurdo, Sam.

A mi ha costretto a prendere il posto di Alexis al Brew, ma quando ieri è tornata a Rosewood per riprenderselo, le ho detto che Todd non voleva più riassumerla, ma non è vero.”

A ti ha sicuramente minacciato, ma mi sembra che tu abbia seguito i suoi ordini alla lettera. Perché staccarti un dente?”

“Perché avrei dato il mio stipendio ad Alexis tutte le volte in cui Todd mi avrebbe pagato. Mi sembrava il minimo, visto che le ho soffiato il posto e che a lei serviva!”

Sam sospirò, dispiaciuto per lui, non aggiungendo altro, mentre Rider aveva appena finito di decifrare il messaggio.

“Immagino tu non abbia capito che significhi il 24!”

“Già, cosa significa che la prossima volta mi prenderà il 24?”

Rider si apprestò a spiegarglielo: “In odontoiatria, la bocca è suddivisa in arcate; quattro, per l’esattezza: superiore destra o sinistra, inferiore destra o sinistra.  Ogni dente ha una numerazione ben precisa. Il primo numero, corrisponde all’arcata e si conta in senso orario, mentre il secondo numero corrisponde ad un dente, a partire dall’incisivo centrale che è il numero uno e si conta all’indietro.

“Quindi… - Sam provò ad arrivarci da solo – Arcata superiore destra…”

Ed Eric, inquietato, completò: “…Premolare… - poi si alterò, nervoso – Vuole staccarmi un premolare, vuole staccarmi tutti i denti quel folle!”

Rider cercò di tranquillizzarlo: “Eric, non ti staccherà tutti i denti se fai come ti dice!”

“E con Alexis che faccio?” ribattè, isterico.

“Ehm… - Sam azzardò un consiglio – Secondo me, questo non è un momento buono per avere una relazione. Almeno finchè c’è A!”

Eric allora lo fulminò, attenuando poi lo sguardo, rendendosi conto che aveva ragione: “Non posso crederci… - scosse la testa, impotente e amareggiato -  Ha anche drogato mia madre con dei sonniferi…E ha scassinato la porta o magari ha una copia delle chiavi!”

“Probabilmente ha la copia delle chiavi di casa di tutti noi!” non se ne meravigliò, Rider.

Sam, a quel punto, gli fece una richiesta: possiamo vedere?”

E lui, dopo qualche secondo di titubanza, aprì la bocca, mentre gli altri due si avvicinavano per guardarci dentro.

Rider fu il primo a commentare: “Si vede la sutura gengivale…”

“Come ci è riuscito?” commentò Sam, impressionato.

“Guarda che non è così difficile?” replicò, mentre Eric teneva ancora la bocca aperta.

“Ah, davvero? – aggiunse Sam, sarcastico e preoccupato - Io so a malapena quali sono i primi due elementi della tavola periodica e dovrei saper suturare una ferita?”

Eric richiuse la bocca, dicendo anche la sua.

“Sarei dovuto andare a far estrarre quel dente settimane fa. Dovrei ringraziare A per avermi fatto risparmiato 45 dollari, ora?”

Ripresero a camminare, subito dopo, e i sospiri di Eric riempirono l’aria.

“Devo lasciare Alexis…Non ho altra scelta!” disse sconsolato.

I suoi amici lo fissarono, tristi per lui. Sam appoggiò una mano sulla sua spalla.

“E’ la cosa migliore, prima che A vi danneggi ancora di più!”

Improvvisamente, poi, ricevettero tutti un messaggio. Tutti e tre si guardarono poco sopresi, un’espressione seria. Sapevano già di chi si trattava.

 

“Jasper Laughlin sta per cantare e non è affatto una cosa positiva per nessuno di noi cinque. Indovinate chi non ha mantenuto la bocca chiusa…”

Allegato: una foto di Nathaniel e Sam davanti al penitenziario di Philadephia.

-A

 

In quell’istante, Sam sbiancò, alzando lo sguardo dal telefono per ultimo. Rider ed Eric erano già puntati su di lui, abbastanza confusi.

“Che diavolo significa questo?” domandò Rider, abbastanza cupo nel tono, girando il telefono verso di lui.

Fu la volta di Eric: “Tu e Nathaniel siete andati a far visita a Jasper?”

Sam deglutì malamente, la gola improvvisamente strozzata per la pressione che stava subendo in quella circostanza.

“I-io…Cioè, noi…” provò a sputare fuori qualche parola, con difficoltà.

“Noi, CHE COSA?” urlò Rider, a dir poco furioso, non lasciandogli la possibilità di esprimersi con calma.

Sam era pronto a spiegare, ma le loro facce erano chiaramente contrariate e i loro umori pronti ad esplodere. Nathaniel era proprio a qualche passo da loro, in quel momento, e tutti e tre si voltarono a guardarlo…

 

(CONTINUA  NELLA SECONDA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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