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Autore: Doomsday_    24/06/2016    3 recensioni
- Future!fic -
Dopo cinque lunghi anni di pace, la fragile quiete di Beacon Hills viene nuovamente spezzata. Un nuovo nemico minaccerà di sottrarre al Branco quel che per loro conta più della vita stessa.
Dal testo:
"Il corvo la fissava silenzioso, gli occhietti intelligenti sembravano scrutarle l'anima.
Fu allora che le piume si tramutarono in gocce di sangue. Colarono lente e calde lungo il braccio di Lydia. Eppure lei continuò a carezzare quel grumo rappreso fatto di morte con un sorriso pacifico a rasserenarle il viso.
"
Genere: Angst, Fluff, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kira Yukimura, Lydia Martin, Malia Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sesto capitolo


 
 
Malia era seduta al tavolo della colazione. Davanti a lei, Stiles trafficava tra i fornelli e il frigo, intento a preparare i pancakes.
Non ricordava neppure l'ultima volta in cui lui si era fermato per fare colazione insieme a lei, da quando aveva ricevuto la promozione di Vicesceriffo. Eppure eccolo lì, a mescolare la pastella e spremere arance, come se lo facesse tutti i giorni.
«Mal? Malia, mi senti?» solo in un secondo momento Malia si rese conto che Stiles le stava parlando.
Si era fermato a guardarla, con il mestolo in una mano che gocciava sulle piastrelle del pavimento, scrutandola con attenzione.
«Ti senti bene?» chiese ancora.
Malia annuì, smettendo di toccarsi il ventre che aveva iniziato a massaggiare senza neppure rendersene conto.
«Non sei venuto a letto, questa notte» mormorò, mettendo in bocca un pezzo di pancacke. Non voleva suonare come un'accusa, ma il suo tono risentito non lasciava presupporre diversamente.
Stiles si grattò la testa con aria distratta «Non avevo molto sonno. Ho preferito approfittarne per leggere un po'».
A Malia la notte non era mai sembrata tanto lunga, senza Stiles accanto.
«Scoperto qualcosa di interessante?», chiese, sforzandosi di mantenere un tono distaccato.
«Direi di no… Niente Darach fanatici di mantelli rossi o di maschere inquietanti».
Il Darach. Quella notte era stato più volte ospite sgradito degli incubi di Malia, aveva perso il conto di quante volte si era svegliata nel cuore della notte, il respiro affannoso e la mano che vagava nel letto vuoto alla ricerca del corpo di Stiles. Si era alzata quando mancavano solo poche ore all'alba, per assicurarsi che Jamie stesse bene, che il sangue e le urla erano esistite solo nella sua testa.
Li aveva trovati in sala da pranzo: Stiles seduto a tavola, il capo abbandonato su uno dei libri che stava consultando, mentre Jamie dormiva beatamente nel suo box, ignaro di quale ansia si agitasse nel cuore dei suoi genitori.
Sentendosi una sciocca, Malia si era avvicinata al bambino per sentirlo respirare, nonostante udisse chiaramente i battiti regolari del suo cuore.
«Puoi dirmi cos'hai?» le chiese Stiles con voce seccata nel rendersi conto che Malia non lo ascoltava già più.
Malia se ne sorprese: «Non ho nulla», rispose sforzandosi di rivolgergli anche un sorriso, «te l'ho detto».
«Conosco quell'espressione. Tu hai in mente qualcosa».
Stiles assottigliò lo sguardo nell'accusarla e Malia preferì quindi sviare il discorso.
«Non stai facendo tardi a lavoro?».
«Ho preso una giornata di permesso»,
«Tu non prendi mai giornate di permesso»,
«Perché non ce n'è mai stato bisogno».
Malia alzò gli occhi al cielo ma prima che potesse replicare Stiles disse: «Mangia tutto quanto, Mal. Okay?».
Lei accennò un sorriso, questa volta più sincero, e lo guardò divertita.
«Va bene, cos'hai tanto da ridere?», sbuffò lui, guardandola di traverso.
«Il prossimo passo è sederti a tavola e imboccarmi?» lo sbeffeggiò con un sorriso felino.
Stiles le puntò il mestolo contro, lanciando pastella ovunque «Non mi far sentire ridicolo solo perché mi sto preoccupando. Lasciamelo fare e basta, d'accordo?», brontolò, imbarazzato.
«Mi piace. Tu che ti preoccupi così, mi piace»,
«Certo che ti piace. Sono un ottimo cuoco. E, al contrario tuo, non faccio bruciare nulla»,
«Saresti una casalinga fantastica» concordò lei.
Stiles sembrò felice nel sentirla scherzare in modo così tranquillo. Le si accostò per poterle lasciare una carezza tra i capelli e azzardò: «Stavo pensando che oggi potremmo starcene un po' per conto nostro. Guardarci un film e ingozzarci di gelato. Solo tu e io», propose con un sorriso piuttosto persuasivo.
«Potremmo sentire se mio padre o il tuo possono tenere Jamie per qualche ora, mh?».
Malia aggrottò la fronte «Ma poi salterebbe il programma del venerdì. La scorsa settimana Jamie è stato con tuo padre e questo venerdì è il turno del mio. Ma se il tuo lo tiene oggi ce lo avrebbe per due settimane di fila, oppure mio padre…»,
«Okay, fermati» la bloccò Stiles, «lo chiederemo a Kira, così non salterà nessuno dei tuoi programmi».
Si rivolse a Jamie, arruffandogli i capelli e lanciandogli un occhiolino «Vuoi andare dalla zia Kira? E giocare con Adam e Caleb?».
Jamie gli rispose con una smorfia e Stiles cercò di sorvolare su quanto lo sguardo contrariato di suo figlio assomigliasse in modo inquietante a quello di Malia, in quel momento.
Si rivolse nuovamente a sua moglie con entusiasmo: «Visto? Non vede l'ora».


Gli era bastato guardare in faccia Malia meno di un secondo per capire che quel giorno Jamie non si sarebbe mosso da casa.
Aveva insistito per guardare la trilogia di Batman. Quei film piacevano anche a Malia, ma non erano passati neppure i primi dieci minuti che Jamie aveva preteso di nuovo i suoi cartoni animati preferiti.
Così Malia e Stiles se ne stavano abbracciati a mangiare gelato e a guardare i Bubble Guppies e discutere per l'ennesima volta del perché ci fosse un cane con la coda di pesce e non un semplice pescecane.
Ogni tanto il telefono di Stiles squillava ma, anche se controllava chi fosse, finiva sempre per ignorare la chiamata.
Jamie sembrava entusiasta di avere entrambi i genitori a casa e passava metà del tempo sul divano, accoccolato su Malia o sul tappeto a lanciare i giochi addosso a Stiles.
«Neppure lo sta guardando questo stupido cartone» brontolò Stiles e Malia rise, dandogli un colpetto sul petto col dorso della mano.
Di nuovo la suoneria del telefono squillò, ma questa volta non si trattava di quello di Stiles.
«Pronto?» rispose Malia, ignorando le proteste di suo marito. Era Lydia e Malia non ignorava le chiamate del branco.
«Finalmente!» sbuffò la Banshee dall'altro capo del telefono «Passami Stiles».
Sembrava piuttosto agitata, perciò Malia fece come le aveva chiesto senza replicare.
Stiles roteò gli occhi, prima di afferrare il cellulare e rispondere. Ma Lydia non gli diede il tempo di spiccicare mezza parola.
Malia la sentì parlare rapida, seppure non riuscì a cogliere ciò che gli stava dicendo. Vide solo il volto di Stiles cambiare espressione. Si alzò dal divano e si limitò a dire: «Sì, arrivo subito».
«Cosa succede?» volle sapere Malia.
«Nulla di che…» disse, ma un'ombra gli oscurò il viso.
«Stiles…» sospirò la donna, seguendolo per il salone mentre raccattava la giacca della divisa e la fondina con la pistola.
«Hanno trovato un altro cadavere», si voltò a guardare Malia, ponendo le mani sui suoi fianchi «non so altro. Davvero. Questa sera prometto di raccontarti ogni cosa».
Malia annuì, abbassando gli occhi a terra e Stiles la lasciò andare.
«Porto Jamie da mio padre» decretò, cercando di usare un tono che non ammetteva discussioni.
Inaspettatamente Malia si trovò d'accordo «Allora ti preparo la borsa con i giochi e il cambio».
Stiles assottigliò lo sguardo, sentendo che qualcosa non quadrava, ma non aveva tempo per preoccuparsi di cosa passava per la testa di Malia in quel momento.




 
***


Scott si precipitò all'ingresso e si infilò in fretta e furia la giacca.
Kira gli corse dietro, con Matty in braccio, senza sapere il perché di quella improvvisa fretta.
L'attimo prima Scott era sdraiato per terra a giocare con i bambini, lasciando che gli saltassero addosso e lo aggredissero con il solletico e piccoli morsi, e l'attimo dopo ogni minima traccia di serenità sul suo volto era scomparsa.
«Cosa succede?» chiese, cercando – con i suoi – gli occhi sfuggenti del marito. Avrebbe preferito limitarsi a seguirlo ovunque stesse andando, piuttosto che doversi accontentare di porre solo delle domande. Il desiderio di mettere mano alla katana in quel momento era così forte che sentiva la palma formicolare e la volpe dentro di sé agitarsi.
«Hanno trovato il corpo di un'altra vittima nei boschi. Sto andando da Lydia», disse aprendo la porta d'ingresso, pronto a scappar via se non fosse stato per la persona che si ritrovò dinanzi.
Lydia si trovava ferma sotto al portico di casa McCall, lo sguardo vacuo e i capelli spettinati.
La giacca le pendeva dalle spalle, scomposta, come se fosse stata sul punto di togliersela ma poi se ne fosse dimenticata.
Si dondolava appena su se stessa, bisbigliando piano.
Kira sentì il sangue gelarsi nelle vene. La volpe si dimenava, ringhiando. Sapeva cosa sarebbe accaduto di lì a pochi secondi.
Scott varcò la soglia, muovendosi cauto.
«Lydia?», la chiamò con gentilezza.
La Banshee si voltò di scatto nella sua direzione. Lo guardò, senza vederlo realmente, con occhi di pietra; prese fiato ed urlò.


«Raccontami ciò che hai visto».
Anche se il tono di voce di Scott sembrava stanco, la rassicurazione nei suoi occhi non mancava.
Kira aveva preparato un paio di tazze di caffè e li aveva lasciati soli a parlare, seduti al tavolo della cucina.
Lydia fissava la propria tazza, ma con il pensiero era distante.
«Lydia?» la chiamò ancora Scott e una nota di impazienza tradì il suo tono solitamente calmo.
La donna raggrinzì le labbra e si sforzò di alzare lo sguardo sul suo interlocutore. Poi fece un respiro profondo e prese la parola.
«È da un po' che volevo parlarti di un sogno ricorrente. Non credevo fosse importante, perché non si tratta delle solite visioni da Banshee…»
Scott poggiò appena le labbra sul bordo della sua tazza e assaggiò la bevanda calda, mentre ascoltava ciò che aveva da dirgli l'amica.
La donna serrò le labbra sconfortata e picchiettò distrattamente con le unghie sulla tazza.
Sembrava trovare difficile continuare a parlare.
«Cielo, Kira fa proprio un caffè tremendo» commentò Scott per riempire quegli attimi di silenzio, dopo aver dato una seconda sorsata.
Lydia sorrise; si sistemò meglio sulla sedia cercando di calmarsi. In fondo si trovava a casa di Scott e non esisteva luogo in cui si sentisse più al sicuro.
«Sembrava un sogno premonitore, come se qualcuno cercasse di avvisarmi. Non saprei come altro definirlo», continuò, sentendo lei stessa quanto quelle parole sembrassero assurde.
«Un messaggio? Perché un nemico dovrebbe avvisarci?»
Lydia scrollò le spalle «Potrebbe non essere da parte del Darach».
Scott aggrottò la fronte e annuì, fingendo che tutti quei fatti sconclusionati avessero senso.
«Hai detto che questo sogno ti ha scossa» la invitò a continuare.
«Eravamo in sei nel sogno, Scott: io, te, Jordan, Kira, Malia e Peter Hale».
«Peter Hale?» ripeté l'uomo, accigliato.
Lydia annuì, «Tutti in silenzio. In un silenzio di pace. Tranne Malia. Lei era accasciata a terra, piangeva» la voce di Lydia si ruppe nel ricordare quel particolare «ed era completamente sporca di sangue, Scott. I vestiti, le mani, il viso, persino il pavimento ne era coperto».
Scott tacque a lungo, poi disse: «Pensi che sarà la prima?».
«La domanda è: prima a cosa? Ne sappiamo ancora così poco…»,
«Perché non ne hai parlato con loro?»,
«Malia è incinta, non posso darle un pensiero simile» rispose lei con tono incerto.
«E Stiles?»,
«Scherzi? Lui sì che darebbe di matto. Diverrebbe paranoico... ed è già sulla buona strada per diventarlo senza che io gli dia la spinta finale».
«Sì, hai ragione».
Il volto di Scott era ancora corrucciato, ma non dipendeva da ciò che gli aveva appena raccontato Lydia. La donna tentennò, prima di trovare il coraggio per chiedergli cosa ci fosse che non andava.
«Tu» rispose schietto l'Alpha «Sei tu a non andare, Lydia. Sai delle cose ma continui a nasconderle. Persino a me. Pensavo che fosse solo una delle solite paranoie di Stiles, ma credo che invece lui abbia ragione. E non sto parlando di questo sogno» sbottò.
«Non so di…» provò a difendersi Lydia, ma Scott non le fece neppure finire la frase.
«Sei venuta fin qui, davanti casa mia, senza neppure rendertene conto. E ora mi vuoi far credere di non aver visto nulla?».
Gli occhi di Lydia si riempirono di lacrime.
«Te l'ho già detto, Scott. C'era solo buio intorno a me».
Scott sbatté un pugno sul tavolo «Smettila di mentirmi!» gridò.
Lydia serrò gli occhi e allora le lacrime le rigarono il volto.
«C'era un bambino» mormorò con voce rauca, «correva davanti a me e io l'ho seguito. Quando finalmente sono riuscita a posargli una mano sulla spalla, mi sono ritrovata qui fuori, davanti a te e a Kira».
«Chi era il bambino?» domandò Scott a denti stretti.
Lydia singhiozzava sommessamente, «Non lo so, Scott. Non gli ho visto il volto», balbettò.
«Lydia…», ringhiò l'Alpha.
«Non aveva il volto. Era un bambino senza volto, Scott! Un bambino senza occhi, né bocca. Un bambino morto».
«Ti ha portata qui. È uno dei miei figli. Dimmelo, Lydia. Dimmi chi era di loro»,
«Non lo so».
«Maledizione, eri presente il giorno in cui sono nati! Ti occupi di loro, li stai vedendo crescere. Ti chiamano zia! Dimmelo» gridò Scott e i suoi occhi si accesero di rosso.
«Adam» mormorò Lydia, in un filo di voce.


 
***


Si fermò davanti all'alto cancello nero e restò lì impalata a fissarlo. Tutti quegli anni non erano riusciti a cancellarle da dosso l'orribile sensazione che riusciva a darle quel posto.
Malia varcò l'entrata di Eichen House, stringendosi di più nella felpa di Stiles. Rabbrividì al solo pensiero di quanto l'uomo avrebbe potuto dare di matto se solo avesse saputo che lei si trovava lì in quel momento. Quando Malia entrò nell'edificio, attraversò l'atrio dell'ingesso e si diresse verso la guardiola dove un infermiere stava seduto scomposto alla scrivania intento a leggere un fumetto.
Nonostante avesse bussato contro il plexiglass, il ragazzo non diete segno di averla vista né sentita.
«Mi scusi? Sono qui per una visita» disse, picchiettando ancora la superficie trasparente.
Il ragazzo masticava annoiato la gomma, finì di sfogliare le ultime pagine e solo dopo aver chiuso il fumetto alzò gli occhi su Malia.
Sul taschino del camice azzurro, Malia notò la targhetta con il nome: Lucas Reed.
L'infermiere Reed aprì lo sportello della guardiola e, con voce annoiata, disse: «Solo i famigliari possono visitare i pazienti».
«Sono la figlia» rispose impassibile Malia, tirando fuori un documento.
Il ragazzo lo prese e lo analizzò con attenzione, poi glielo restituì con un sorrisetto scaltro e una curiosità che riuscì ad accendere i suoi occhi spenti.
«Sotterranei, uhm?» la guardò, finalmente interessato, e si sbrigò a prendere la chiave elettronica.
«Mi segua».


Più scendevano i piani e più Malia sentiva di star facendo qualcosa di cui si sarebbe certamente pentita. Ma il suo passo sicuro e lo sguardo deciso non lasciavano intravedere neppure il minimo sentimento di timore che si agitava in lei.
Eppure, quando arrivarono alla porta dietro la quale si trovava il reparto in cui venivano rinchiuse le creature soprannaturali, la donna si dovette fermare un attimo.
«Da quanto hai detto che lavori dentro questo posto, Lucas?» chiese Malia, prima che il ragazzo potesse aprire la porta.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma fare tutte quelle scale l'aveva affaticata e aveva bisogno di riprendere fiato. Per quanto fosse difficile, doveva accettare il fatto che non era più al pieno delle sue forze e che riusciva a sentirsi spossata anche nel scendere dei semplici scalini.
L'infermiere la scrutò, soffermandosi sul suo ventre tondo, ciancicò la gomma a bocca aperta e poi rispose: «Un paio di mesi».
Le lanciò un'altra di quelle occhiate capaci di farle accapponare la pelle, che davano l'impressione di studiarle il corpo come se volesse memorizzarlo in ogni più piccolo particolare.
«Mai visto una donna incinta?» lo schernì Malia, stufa di quel comportamento insolente.
Il ragazzo arrossì, facendo una smorfia e si voltò per aprire la porta.
Con le mani a coppa sotto la pancia, Malia gli andò dietro. Sfilò tra le celle dalle pareti a vetro, a testa alta, ignorando i mostri che vi erano rinchiusi.
Quando arrivarono a metà del corridoio, si fermarono davanti una spessa porta in metallo.
«Qui dentro» disse Lucas, inserendo la chiave elettronica per sbloccare la serratura.
«Hai mezz'ora. Se vuoi uscire prima, sono qui fuori. Ti basta bussare».
Malia a malapena gli diede ascolto, nervosa com'era all'idea di dover oltrepassare quell'ultima barriera che la divideva dalla persona che più disprezzava al mondo.
Il suo respiro si fece irregolare. Cercò di controllarsi, ma senza successo. Non era da lei avere paura, ma la consapevolezza di essere lì, da sola, dentro Eichen House la colpì come una frusta.
La stanza era bianca e asettica, nel mezzo divisa da una spessa parete di vetro, dietro alla quale una donna, dai lunghi capelli scuri rigati da spesse ciocche grige, la stava guardando.
Occhi senz'anima la scrutarono, famelici, pronti a divorarla.
Corinne esplose in una risata incontrollata nel vedere il pancione prominente di Malia.
«Lo sapevo. Sapevo che saresti venuta da me, prima o poi» gridò con voce graffiante.
Malia pose entrambe le mani sul ventre, come a volerlo proteggere da quegli occhi nemici, e lo accarezzò cercando di mostrare quanto fosse calma e padrona di sé.
Lei che solitamente lo nascondeva sotto i larghi indumenti di suo marito, sentì impellente il desiderio di sottolineare il suo stato. Era una presa di posizione, una condizione da sfoggiare con fierezza davanti a qualcuno che aveva rifiutato la propria.
«Non mi dire, hai sposato l'umano? Che storia romantica. I tuoi sogni di stupida piccola adolescente si sono finalmente coronati e ora ti stai godendo il frutto di questa patetica relazione».
Corinne parlava in fretta, mangiandosi le parole che raggiungevano note isteriche.
«Ma il frutto è marcio, non è così?» rise sguaiatamente, picchiettando le dita contro il vetro, in chiara attesa di una qualche reazione da parte di sua figlia.
Ma Malia continuò a restare in silenzio e Corinne perse definitivamente la pazienza.
«Parlami!» gridò, sbattendo entrambe le mani contro la superficie del vetro. «Lo so che sei reale. Parlami!».
Si lasciò scivolare a terra, rannicchiandosi e dondolando su se stessa, senza però staccarle gli occhi di dosso un solo istante.
«Ho aspettato questo momento per quindici anni. Non è passato giorno in cui io non ti abbia pensata, pregustando il momento in cui finalmente avrei potuto metterti le mani addosso e porre fine alla tua vita. Quindici anni chiusa in questa cella, sola con la tua faccia nella mia testa che mi tormentava. Ma tu non sei nella mia testa. Sei reale. Vero? PARLAMI!».
Malia sentì Claudia scalciare agitata dentro di sé e non poté darle torto.
Deglutì a fatica e, con voce calma e controllata, disse: «Ho bisogno di sapere cosa ti disse Talia».
«Quando eri incinta è stata lei a prendersi cura di te», continuò Malia ignorando il basso ringhio che aveva iniziato a emettere Corinne, nell'udire il nome di Talia.
«Ho letto di un rituale Pawnee che permette alle donne lupo che portano in grembo un figlio di riappropriarsi dei poteri in caso questi venissero assorbiti dal bambino. Potrebbe funzionare anche per i Coyote», la buttò lì, come se si trattasse di una cosa da nulla. Ciò che stava ammettendo davanti a sua madre era fin troppo vergognoso.
Corinne si alzò di nuovo in piedi rivolgendole uno sguardo colmo di scherno.
«I Pawnee… gli uomini che bevevano sangue di lupo e si coprivano con le loro pelli. Tesoro, sei così stupida. È un rituale antico che prevede di divorare il bambino non appena viene al mondo. Si usava in antichità, quando ancora non avevano compreso che si trattava di una pratica inutile. Solo tra coyote mannari avviene questo processo e… indovina? Non funziona neppure nel nostro caso».
Corinne la guardò come se avesse davanti una ragazzina un po' tarda di comprendonio, ma Malia neppure ci fece caso mentre vedeva la sua ultima speranza andare in frantumi.
Impallidì, una strana nausea la colse e il desiderio di sedersi un attimo si fece quasi impellente.
Dentro di sé Malia pregò che non si notasse, ma dubitava che qualcosa potesse sfuggire a quegli occhi voraci.
«Lo senti già, non è vero? Le forze prosciugate, l'energia che se ne va, secondo dopo secondo, come se ti stesse risucchiando via la vita stessa».
«Sarei pronta a cedere a mia figlia tutti i miei poteri se fosse necessario» ringhiò Malia, stringendo con forza i pugni.
«Eppure sei qui, sei corsa dalla tua mamma per farti dire che l'unico modo possibile per ottenere ciò che vuoi è uccidere la bambina che porti in grembo. Sei venuta da me in cerca di risposte che già conosci, soltanto perché sei solo una piccola insulsa codarda. E alla fine lo vorrai. Desidererai uccidere quel piccolo parassita che si è impiantato dentro di te. È nella nostra natura».
«No. Io non sono come te» sibilò Malia e per un attimo rischiò di cedere alle provocazioni di Corinne, mentre sentiva gli angoli degli occhi pizzicare a causa delle lacrime che minacciavano di uscire.
«Non ho intenzione di impedire questo processo. Ho solo bisogno che non avvenga adesso. Non posso proteggere la mia famiglia se non sono al pieno delle mie forze»,
«Proteggere da chi?» la incalzò Corinne, divertita dal possibile pericolo che gravava su sua figlia.
Malia si morse il labbro inferiore, ben poco entusiasta di doverlo ammettere: «Crediamo che un Darach stia cercando di compiere un rituale sacrificando i Beta presenti a Beacon Hills».
Come si aspettava, Corinne rise: «Un branco come il vostro, spaventato da un Darach?».
Malia sollevò il mento in segno di sfida e ribatté: «Ieri mi ci sono scontrata ed è riuscito a sopraffarmi facilmente».
«Impossibile» sbottò Corinne, corrugando la fronte.
«Si tratta di un Darach forte e incredibilmente veloce. Indossa strani indumenti, una veste rossa e una maschera di legno. Ma non abbiamo trovato nulla di simile nel Bestiario o nei libri di cultura celtica, perciò forse si tratta di qualcos'altro…».
Corinne sbarrò gli occhi e le sue labbra tremolarono nel pronunciare un nome che Malia non riuscì però a intendere.
Si avvicinò alle pareti della cella con sguardo scuro. «Sai di cosa si tratta, non è così?» la speranza fece vibrare la voce di Malia.
Per la prima volta Corinne non aveva frasi argute con cui ribattere.
Malia allora provò a ricordare le parole che aveva sentito risuonare nella propria testa quando si era ritrovata sola nel cimitero e, avvicinandosi al vetro tanto da sfiorarlo con la punta delle dita, disse: «Chi è la Grande Regina?».
Vide la paura scivolare via dagli occhi di Corinne e comparire un sorriso astuto.
«Sai più di quanto pensi», confessò la Lupa del Deserto, «Liberami e ti dirò tutto quello che so».
«Non esiste proprio» abbaiò Malia in risposta «pensi davvero che sia tanto disperata?».
«No. Non adesso, per lo meno. Ma lo sarai, prima di quanto immagini. E allora tornerai qui e sarai disposta a tutto, persino a restituirmi la libertà».
Una strana luce brillò in fondo agli occhi scuri di Corinne e allora Malia si accorse di quanto si fosse avvicinata a lei senza neppure rendersene conto.
«Sei davvero impazzita qui dentro se pensi questo» rispose e si voltò, dirigendosi verso l'uscita. Corinne non le avrebbe detto nulla, stava solamente perdendo tempo e sprecando forze.
«Siete tutti già morti» le urlò dietro con quanto fiato aveva in corpo, «Voi e i cuccioli del vostro patetico branco. Morti, ti dico! Non potrai proteggere i tuoi figli, tesoro. È troppo tardi!».
La voce della Lupa del Deserto la seguì anche fuori dalla cella, forte e chiara con tutto che ormai la porta si era richiusa alle sue spalle.
Malia aveva il volto visibilmente sconvolto, ma non si permise di indugiare oltre in quel luogo sinistro. Non c'era traccia del giovane infermiere che l'aveva accompagnata, quindi ripercorse la strada a ritroso da sola.
Proseguì la sua marcia fuori dall'edificio, smaniosa più che mai di prendere una boccata d'aria fresca. Non incontrò impedimenti: le porte erano tutte aperte e non vide altri infermieri finché non giunse al piano terra.
A grandi passi si diresse verso l'uscita e, una volta all'aria aperta, non si fermò neppure un attimo per riprendere fiato.
Tirò dritta verso il parcheggio e solo quando raggiunse la sua macchina, si permise di fermarsi e concedersi un lungo sospiro.
Teneva entrambe le mani poggiate contro lo sportello ancora chiuso e il capo chino. I dolori al basso ventre la distraevano, tanto che le era difficile scacciare dalla mente la voce graffiante di Corinne.
Forse fu proprio per questo che non si accorse della presenza alle sue spalle.
Malia si stava per voltare quando qualcuno le infilzò una siringa alla base della gola.
La donna ringhiò e i suoi occhi si accesero di un blu intenso. Con un ruggito afferrò il braccio del suo aggressore e gli spezzò l'osso di netto con un unico movimento secco. Poi si tolse la siringa di dosso e la gettò a terra.
Si trattava dell'infermiere, Lucas Reed. Malia annaspò, una mano premuta ancora sul collo, sconvolta.
Il ragazzo si rotolava a terra, stringendosi il braccio rotto contro il petto e gridando dal dolore.
Malia salì velocemente in macchina, la vista già annebbiata e le idee confuse. L'aveva drogata, non aveva speranze di rimanere lucida abbastanza a lungo per guidare fino a casa, eppure mise in moto.
Lottò contro i giramenti di testa e la nausea improvvisa, quindi inserì la retromarcia e poi svenne.






__________________
Note Autrice: Ed eccoci alla fine di un altro capitolo! Malia si è messa nei guai... secondo voi cosa succederà nel prossimo capitolo?^^

Oddio già siamo al sesto capitolo! Non posso crederci!
Se sono arrivata fino a questo punto è soltanto grazie a voi e alla mia dolce nazi-editor Horror_Vacui a cui tocca rileggere millemila volte ogni pezzo! Grazie davvero! In particolar modo anche a Giuliuli che non si perde mai neppure un capitolo! Siete davvero preziose! <3

Il prossimo aggiornamento ci sarà l' 8 Luglio
   
 
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