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Autore: Cecile Balandier    25/06/2016    27 recensioni
Tutta la giornata del 12 luglio e i momenti che hanno avvicinato sempre di più Oscar e André, portandoli a vivere il loro amore nella notte delle lucciole. Una fanfiction di tre capitoli del momento che amo di più di tutto l'anime.
".... voglio solo vedere il suo ritratto su quella tela...
Provo di nuovo, stringo i pugni, le dita si inceneriscono... e mentre supplico tutto il mio essere, con tutto l'amore che provo, di trovare un varco... il tuo viso improvvisamente si definisce e mi appare tra i raggi del sole, nel colore e nella vita.
E allora capisco che sei là dove vivi da sempre, là dove diventi eternità..."
"Forse sono nato per vivere davvero solo in questa notte..."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quello che provi

12 
luglio 
1789
Hai gli occhi chiusi... 
e con tutta te stessa li vorresti tenere così. 
Per riuscire a riposare, per fingere di poterti staccare dalla realtà che è mutata ferocemente in tutto ciò che non credevi mai potesse diventare. 
Vorresti separarti da tutto... ma una forza strana spinge per cercare la luce. Una forza o solo un'immagine che se la guardi da dentro fa troppo male... allora riapri gli occhi, fissi lo sguardo al soffitto del baldacchino, come se fosse semplice farlo senza pensare ad altro oltre quel tetto di fiori chiusi in una bella trama di stoffa. 
Un lamento... scrive un urlo nel silenzio della tua camera. 
Proviene da te, ma tu non distingui più il dolore dalla malattia, perché sono diventati un unico disarmante plotone.
Fosse sereno almeno il tuo respiro, ora che brucia nel petto e allaga di veleno tutto il tuo torace, ora che sospiri e con un brusio nascosto sotto le lenzuola ruvide di lino lo chiami, ripeti il suo nome, dove quasi non ti puoi sentire neanche tu. 
Hai passato la notte a Palazzo, l'hai trascorsa sveglia, perché da mesi ormai non dormi più... forse solo qualche ora, qualche straccio di sogno tra la tosse e la febbre, per poi cadere sfiancata sulle braccia poggiate alla scrivania del tuo ufficio, quando non ne puoi più, quando nessuno ti può vedere. 
Ma questa notte hai solo pensato, tu lo sai a chi. Tu sai di chi è quel volto che prende forma nella notte che soffre, nella notte che prega, nella notte che a volte brama con dolore insopportabile il suo amore di uomo. 
Il volto e il corpo, il cuore e la voce di chi ha abitato ogni tuo giorno e che ora ha rubato anche le tue notti, in cui ogni sogno riesce ad essere esanime, al confronto del pensiero che si riempie di lui. 
Pensi alla sua voce, a quello che provi quando lui è accanto a te, a quando rincorri attenta i corridoi della caserma in cerca del suono della sua risata, sempre più rara.
Pensi a lui, che riesce a farti sentire il suo abbraccio senza doverti per forza toccare.
A lui, povero di ogni cosa inutile e unico re del tuo cuore.
"Del mio cuore."
L'hai detto ad alta voce e hai lasciato libera una lacrima di rigarti lo zigomo e di finire sul cuscino.
Il giorno sta arrivando, lo
vedi anche al di là delle pesanti tende del baldacchino, anche se non ti muovi, anche se lo sguardo è sempre lì, fisso in un punto indistinto. Pensi alla sera del giorno che non esiste più e un sorriso amaro come il sapore della sconfitta vibra senza anima sul tuo viso.
Pensi a te, che stai per morire... pensi che sei finita, che sei mesi sono davvero troppo pochi.
Scuoti la testa, ti sollevi brusca dal letto e quasi strappi una tenda, per scansarla con rabbia e uscire da quel cumulo di buio.Ti sei coricata vestita, perché ieri sera non sei riuscita nemmeno a lavarti e a spogliarti. 
Non dopo quella notizia...
Ti siedi sul bordo del letto, sotto il saluto del sole di un'estate vibrante. 
C'è luce. 
C'è tanta luce...
"André!"
Le mani tra i capelli, la disperazione di sapere che soffre da solo.
Nel ricordare il verdetto di Lassonne. 
Vorresti spaccare qualcosa, come qualcosa sta facendo col tuo cuore.
Perché non l'hai capito prima?
Perché?
A questo pensi ora. 
Questo ti tormenta... e capisci che l'amore per lui supera anche la paura di morire. 
Ti alzi in piedi, come una guerriera respingi l'idea della debolezza. Stringi i denti, serri i pugni e decidi che se è vero che ti ha nascosto la verità per così tanto tempo, adesso tu quella verità la guarderai in faccia!
Ti avvicini alla finestra, il sole ti punge la pelle, discioglie quasi un poco dell'amarezza di questa notte. 
"Perché non me l'hai detto?"
La testa all'indietro, chiudi gli occhi, inspiri profondamente e decidi di metterlo in trappola. 
Decidi di stanarlo, per sapere, perché non hai paura della tisi che ti prenderà a morsi la vita... ma ne hai per lui... 
Lo aiuterai a modo tuo, l'unico che conosci, l'unico che può funzionare, ti ripeti. Senza farglielo capire, senza ledere la sua dignità.
Respiri l'odore intenso dei giardini e delle rose mischiate all'aria del mattino... 
Dolci e pungenti effluvi che si toccano.... e mai come oggi vorresti sentire scivolare via quella sensazione strana che scalda subito il cuore e lo fa sorridere, quando pensi a lui.
****
"Che strano... prima mi fa chiamare e poi se ne va!"
Ora che sono riuscito a mettere a fuoco vedo solo la tua scrivania vuota e niente altro nella ridotta cornice scura che circonda la mia vista e che si restringe sempre di più. Mi sento uno stupido per essermi messo a parlare e a ridere davanti ad una sedia vuota... 
Avrei giurato di aver sentito il tuo odore, quell'inconfondibile profumo di rose, di candore, ma anche di donna, di pelle accaldata dal sole che asciuga i capelli durante una cavalcata.
L'avrai lasciato qui, tra le pareti di questo umido ufficio, dove rimbalza ancora la leggerezza della mia risata.
Avevo davvero voglia di regalartela, di salutarti, perché sono giorni che non riesco a scambiare nemmeno una parola con te, e ne ho bisogno Oscar... maledettamente bisogno. Come ho bisogno di poter vedere il tuo viso distendere improvvisamente i tratti nel riconoscermi e aprirsi in un sorriso irrefrenabile, seppur breve e stanco. 
Sei stanca, amore mio... lo so, lo sono anch'io. 
Esco dal tuo ufficio e richiudo la porta con gentilezza, poi seguo il gioco di luci e ombre nel corridoio che arriva alla Piazza d'armi. 
Mentre cammino nel bianco e nel nero mi chiedo se un uomo può decidere senza rimpianto di mentire per amore... perché tu non dovrai mai sapere, non dovrai mai conoscere la mia debolezza, anche se è sempre più difficile per me nasconderla. 
Cerco di non pensarci, di non pensare a me, soprattutto in questi giorni... la situazione è davvero grave. Con i miei compagni stiamo discutendo già da settimane degli ordini che potrebbero giungere da un momento all'altro e che probabilmente quasi tutti vorranno disattendere. 
Reagire con la forza sulla folla, sui rivoltosi armati, sul popolo ribelle, sugli amici e i parenti del Terzo stato.
Siamo in allerta, dominati da un costante stato di ansia e preoccupazione. 
Esco sul piazzale e il sole mi colpisce con tutto il suo fulgore caldo e violento... troppo per il mio occhio e la sua fragile linea di luce.
"André! Immagino mi avrai cercata nel mio ufficio... mi sono dovuta allontanare un momento, scusa."
Sei sbucata dal nulla come i raggi impietosi. 
"Non importa. Cosa volevi, Oscar?"
Ti rispondo mentre mi raggiungi sugli scalini e ti fai vicina, molto vicina... e sento quelle rose... e vedo quasi bene il tuo splendore.
"Siamo in attesa di ordini, così... pensavo di rientrare a casa con te."
"So a quali ordini ti riferisci... e preferisco rimanere qui con i miei compagni."
Devo pensare al futuro della Francia, devo capire cosa sta succedendo, per poterti difendere.. per esserti d'aiuto nel caso in cui... 
Non ho nemmeno il tempo di realizzare questi pensieri che le tue mani hanno già catturato la mia.
Sono state svelte e io... io ora non capisco...
"No, André. Stavolta voglio che tu venga con me."
Devo venire... con te.
No... tu vuoi, hai detto che vuoi... 
"Sai, le strade sono molto pericolose in questi giorni... e io ho paura! Ah ah ah!"
Tu hai paura? 
Lo dici ridendo, ma fai sentire ridicolo me che ti volevo dire di no. 
E fai brillare i tuoi occhi, che mi sembrano persino più grandi e più azzurri.
Come hai fatto, Oscar?
Tieni ancora la mia mano, imprigionata tra le tue dita, che stringono e non sembrano attendere in realtà una risposta. 
Ma quale risposta potrei mai darti, adesso?
"Va bene. Torno a casa con te."
Avevo deciso di fare altro... ma hai vinto ancora Oscar, solo con questa risata così... strana.
Era ammaliatrice... te ne sei resa conto?
Lasci la mia mano, continui a sorridere ma abbassi il volto, lo sguardo a cercare la punta degli stivali bianchi. Indietreggi piano, fino a voltarti e ad offrirmi la schiena, coperta dai riccioli biondi, lunghi... sembrano danzare sulle tue spalle, oscillando ad ogni tuo passo. 
Certo che vengo con te. 
"Ci ritroviamo qui con i cavalli. A dopo."
Torni ad essere più asciutta, ma in realtà questo non fa che risaltare ancora di più la dolcezza che hai usato con me pochi istanti fa.
Torno velocemente alle baracche, senza quasi capire cosa sto facendo. Riprendo le mie armi e il mio diario, meccanicamente, sospinto però da una strana ansia interiore.
"Hai una tale faccia da ebete... Cosa ti prende?"
Alain mi guarda con la coda dell'occhio, mentre lancia qualche carta nel suo berretto. 
"Niente... torno a Palazzo Jarjayes. Oscar vuole che vada con lei. Ha detto che ha paura di muoversi da sola."
Scuote la testa e una risata gli fa tremare addirittura le spalle. 
"Robe da pazzi le donne!!"
Io davvero non so come rispondergli, allora sorrido, mi infilo il copricapo da soldato della Guardia e me ne vado, dicendogli solamente che qualsiasi cosa succederà, io rimarrò al tuo fianco. 
Annuisce con l'aria di chi quelle parole le conosce a memoria e non aggiunge altro, non ne ha bisogno. 
Dice solo che mi aspetterà lì dove si trova. Lo saluto sorridendo, con una pacca sulla spalla, ed esco dalla camerata. 
Quando ci ritroviamo con i cavalli sei silenziosa, ma non ombrosa.
"Possiamo andare Comandante!"
Ti faccio il saluto militare appena ritorno in Piazza d'armi, già in sella al mio cavallo.
"Sì... andiamo André."
Lo dici senza formalità, prima di tirare le redini di Cèsar, per farlo voltare alla tua destra e indirizzarlo al cancello. 
Per tutto il tragitto preferisci restare dietro di me, imponendo tacitamente ad entrambi un passo molto lento. Il mio cavallo mi porta fedele, come d'abitudine, verso casa. Una passeggiata serena, se non fosse per le immagini che mi circondano, che a volte si offuscano. 
Respiro... la tua presenza mi rinfranca sempre e ripenso al passeggiare pigro o a una cavalcata veloce... al piacere di cantare o di respirare il vento contro, che diventa rugiada sulle labbra, tra le ciglia e i tra i capelli, nella corsa verso sera, a piegare il verde delle radure.
Un'immagine pulita, un sogno che vibra nelle mie notti insonni, mentre la realtà del giorno si affievolisce sempre di più, come in un lento ed angustiante addio. 
Ma tu non dovrai mai sapere, non dovrai mai sentirlo, Oscar, il logorio della paura che mangia i bordi dell'anima, che arriva ad essere panico che si muove nelle viscere e immobilizza ogni emozione. 
Non lo dovrai mai sapere, amore mio, che sto diventando cieco...
Improvvisamente sei al mio fianco, lo posso udire prima che vederlo e quando mi volto verso di te, incrocio il tuo sguardo deciso e azzurro. 
Sono certo che non mi parlerai, come fai spesso ultimamente, presa da troppe preoccupazioni e da troppo lavoro. 
Invece ti avvicini ancora.
"Finiremo per addormentarci così!"
Nascondi un sorriso in queste parole, lo so anche se ora ti sei lanciata al galoppo.
Ti seguo, felice di averti dinnanzi al mio cammino, di sentire la tua volontà vibrare nell'aria ferma dell'estate e tumultuare la terra. 
Mi getto nel vento con te, che sembri aspettarmi mentre cavalchi. Anche se ad occhi chiusi, respirando la polvere limosa sotto il sole cocente e le ombre frondose delle querce scure e danzanti, capisco con intensa felicità che siamo a casa...
Mi basta averti vicina, dopotutto, per sentire il calore di un legame che ha spezzato i fili della diversità di rango. 
E nelle scuderie avverto la tua presenza farsi pienezza, benché ti abbia detto che avrei pensato io ai cavalli, come sempre.
"Hai bisogno di qualcosa, Oscar? Ho quasi finito."
Non rispondi, ma sei a pochi passi da me e con una mano sfiori il bordo del cuoio della sella di Cèsar, sistemata su una panca. Sembra che tu stia fissando il vuoto, non riesco a mettere bene a fuoco. Proprio ora, che vorrei cogliere il più piccolo segno di coinvolgimento in te. Invece mi devo accontentare di una figura immobile, sottile e vestita di blu. 
Ma forse... mi sto solo illudendo.
Mi volto, interiormente spazientito dal mio disagio, e provo a levare i finimenti del mio cavallo. Sei ancora ferma alle mie spalle e credimi, oggi mi stai confondendo.
"Rientro in casa..."
Fermo i miei movimenti e trattengo il respiro, perché la tua voce ha tremato, Oscar...
Mi alzo in piedi, getto a terra le briglie, e dopo un sospiro mi volto per avvicinarmi a te. Qui non sei più il mio comandante. 
"Qualcosa non va, Oscar?"
Ti chiedo con delicatezza, perché non ho voglia di vederti allontanare. Tu respiri senza mostrare affanno, senza mostrarmi altro che uno sguardo lucido e cerchiato di grigia stanchezza. 
"Nulla."
Non aggiungi niente a ciò che hai fatto e detto, e ti allontani, semplicemente. 
La confusione inizia a scaldarmi le mani e il volto, passo una mano tra i capelli e mi rimetto immediatamente al lavoro, con la tua risata che mi vibra ancora nelle vene. 
Fa molto caldo e ho bisogno di bere e rinfrescarmi. 
"Qui ho finito."
Sospiro di sollievo, desiderando ardentemente di levarmi la divisa pesante da soldato della Guardia e infilarmi una camicia fresca e pulita. 
L'entrata del Palazzo che porta alle camere della servitù è la stessa da cui entro da anni, dopo aver lavorato alle scuderie o dopo essere stato a Versailles con te, in qualità di tuo attendente. La stessa che conosco come le mie tasche e che posso ritrovare senza fatica. 
Mentre oltrepasso l'uscio della porta lo sbalzo dalla luce all'ombra della casa mi provoca uno sbandamento e devo aspettare per qualche attimo che il mio occhio si abitui a questo cambiamento repentino. 
La mia mano sa che può appoggiarsi ad una madia in castagno, subito dopo l'entrata, mentre attendo che qualcosa lentamente ritorni... 
Il pavimento... una scacchiera bianca e nera, come la realtà che vivo e che la ricorda. A volte bianca, quando posso starti vicino, quando rischiari solo con un respiro i momenti oscuri in cui prevale il nero, l'eterna notte senza luna.
Una scacchiera... e io pedina senza peso, che oscilla nel vuoto delle sue debolezze... ma poi cade in piedi, perché nell'incertezza compie il suo destino. 
Il respiro si riempie di odori familiari, rassicuranti, mentre la mia mano si stacca dal legno del mobile per asciugare il sudore sulla fronte.
Ora vedo solo un po' annebbiato e cerco di raggiungere la mia camera. 
"Oscar!"
Sorrido mentre pronuncio sorpreso il tuo nome, ma in realtà ho paura che tu ti sia accorta della mia difficoltà di poco fa, perché solo ora ho visto la tua sagoma poggiata alla parete di fronte alla mia stanza.
Ti avvicini, camminando con le braccia basse e rilassate. Hai un vantaggio e credo tu lo sappia perfettamente. Anche se spero di sbagliarmi...
"Ti sei dimenticata di dirmi qualcosa?"
Non riesco a dire altro, perché la tua mano si solleva lentamente per accarezzare la mia guancia. Uno sfiorare leggero delle dita, dallo zigomo al mento... 
Tu non mi guardi, osservi invece rapita quello che stai facendo.
"Grazie.. per essere tornato a casa con me."
La tua voce vive di sola aria... sei leggera, sei eterea come un sentimento, una bellezza che sfuma nel sogno... 
E non c'è timidezza in te, solo un'improvvisa naturale dolcezza.
"Non devi neanche dirlo."
Ti rispondo senza esitare e mi rendo conto che basterebbe solo un'altra tua parola, in questo preciso istante, e finiresti tra le mie braccia per sempre. 
O almeno è ciò che io vorrei più di ogni altra cosa...
Avrei voglia di sfiorare il tuo polso, con dolcezza stavolta, come se tenessi tra le dita una piccola colomba bianchissima, stanca di volare sola. Ma non ci riesco... e faccio ricadere la mia mano, che avevo sollevato solo un poco, nascondendo ancora una volta la mia passione, il mio amore...
O forse... no... il mio amore non lo nascondo più.
Nessuno dei due indietreggia, a nessuno sembra una stranezza stare così vicini, abituarsi ad un contatto nuovo eppure così familiare, vivo nel passato di due amici. 
Avrei tanta voglia di dirtelo, proprio in questo momento, che sei ancora l'unica donna che potrei amare. 
Sembra che le onde impetuose racchiuse nel mio cuore si dispieghino rovesciandosi dentro il tuo. Nonostante tutto, avverto che c'è qualcosa che vorresti dire, in punta di anima ti guardo e ti vedo diversa.
E bella, amore... sempre così bella...
La tua mano scivola via, l'orlatura della tua divisa sfiora il mio petto mentre scappa lungo il fianco. 
Schiudo le labbra, vorrei parlarti, vorrei almeno dirti di non preoccuparti, di non temere il domani, mai... perché io ci sarò sempre.
Ma non mi riesce di parlarti, e ti lascio allontanare, silenziosa, sul nero e sul bianco della scacchiera.
****
Poteva essere sufficiente quel tocco leggero sulla sua barba appena ricresciuta, poteva bastarti per impazzire o addirittura morire di felicità! 
Nel silenzio pesante della tua camera, ti sei appena liberata dell'uniforme e delle armi, diventate in un momento troppo pesanti per i tuoi arti stanchi.
Un tonfo mentre ti getti sul letto, i capelli biondi risplendono lontani dal tuo volto arrossato, umido di lacrime che nessuno deve vedere, che ti bruciano la gola, che parlano di te, di te con lui... 
Di lui che è tutto dentro il tuo cuore.
Della crudele decisione della tua coscienza di tenerlo all'oscuro di questo amore, che ti sembra non avere limite oltre l'orizzonte di un mare lontano.
Perché ora, quello che provi è più forte di quello che sei. 
"Eterno... André..."
Lo ripeti gemendo con una mano sulla gola e una sul petto.
"...eterno amore per te."

   
 
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