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Autore: CHOU    17/04/2009    3 recensioni
“Oh smettila! Sarà tuo! È costato tanto quindi vedi di farlo sfruttare. Così ho deciso” lo interruppe brusco per poi voltarsi e ritirarsi nelle proprie stanze. “Signore a lei.” I nerboruti uomini che avevano scortato il padre stavano tendendo la corda col quale era legato lo schiavo a Nicias. -. I personaggi sono inseriti in un contesto di una Roma antica immaginaria, per questo troverete alcune discordanze con la Roma che si legge nei documenti storici!-
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Nicias camminava lentamente tra le strade polverose di Roma ripensando alle parole di Kratos. Darsi la possibilità d’amare... amare uno schiavo. Sorrise con cinismo. Come se la sua civiltà glielo permettesse!

Col buio che avvanzava il patrizio entrò nella domus salutando con un cenno del capo lo schiavo che gli aveva aperto la porta.

“Sei tu figlio mio” la voce ansiosa del padre lo raggiunse.

“Certamente, padre”rispose senza inflessione nella voce per poi superare velocemente il tablinum e salire le scale che lo separavano dalla sua camera. Da Ajakan.

Aprì la porta e il suo sguardo smeraldino fu riempito dal letto a baldacchino sul quale il giovane schiavo dormiva placidamante. Un piatto vuoto ai piedi del letto gli fece intuire che li altri servi gli aveva portato da cibarsi. Meglio così, un pensiero in meno. Si spogliò rapidamente della sua toga finemente decorata per vestirsi di una tunica leggera in lino che usava normalmente quando andava a coricarsi. Spostò le coperte infilandosi dentro.

“Ajakan” chiamò piano.

Il servo non rispose rimanedo immobile con gli occhi chiusi.

Magari sta domendo sul serio

Mossò dal quel pensiero Nicias si chinò sulle labbra del biondo facendole collimare con le sue in un contatto lieve.

 

La luce del sole li colse abbracciati. Il moro si svegliò per primo ghignando quando vide che nel sonno, si era inconsapevolmente avvicinato al servo. Fece per posare una carezza leggera sula testa bionda del ragazzo che gli dormiva accanto quando due occhi cerulei si aprirono di scatto, fissandolo assonnati e stupiti.

“Ben svegliato”

Ajakan si tirò su all’improvviso, gemendo lievemente per le ferite, allontanandosi dalla mano del patrizio che aveva preso a muoversi tra i suoi capelli chiari.

L’espressione del moro si indurì nel vedere la reazione del ragazzo.

“Torna qui” gli disse incolore fissando gli occhi verdissimi in quelli chiari dello schiavo. Ajakan non diede segno di volersi muovere così Nicias tirò la corda che legava ancora i polsi del più giovane. Il biondo si ritrovò a pochi centimetri dal viso del patrizio.

“Non provare mai più ad ignorare un mio ordine” sibilò prima di prendere possesso delle sue labbra.

Ajakan spalancò gli occhi preso alla sprovvista dal comportamento del patrizio. Sentì la lingua dell’uomo cercare accesso nella sua bocca.

Cosa...cosa devo fare?

Aprì le labbra docile e passivo si lasciò baciare senza rispondere attivamente al bacio. Spaventato.

Nicias si staccò dalle labbra dello schiavo.

“Riposati. Vado a incontrare mi padre” disse senza guardarlo.

Velocemente il giovane patrizio scese le scale dirigendosi  nell’oecus tricliniare dove il padre stava già mangiando servito dai suoi schiavi.

“Padre.” Salutò Nicias chinando il capo.

“Figlio mio, come mai ti sei destato così tardi stamani?” chiese il vecchio uomo pulendosi la barba dai cereali.

“Ero impegnato in altro”  rispose atono prima di prendere posto nel divanetto facendo segno a Mayus di incominciare a servirlo.

Mario Tulio guardò il figlio sorridendo. Era felice, il suo regalo era gradito.

“Quali sono i tuoi propositi per la giornata?”

Il moro alzò appena gli occhi verdi dal piatto per incontrare quelli marroni dell’uomo.

“vorrei prendermi questa giornata per me, le faccende burocratiche le svolgerò domani, padre”

L’anziano patrizio chinò la testa in segno affermativo.

 

Dopo aver sostato nel larium per volere del pater familia, Nicias si diresse ai bagni. Salutò i servi e si spogliò nell’ apodyterium, togliendosi la leggera tunica che usava per stare nella domus e indossando solamente un corto gonnelino si diresse, scortato dai suoi servi personali, nella zona riservata alle vasche. Dopo aver dato un rapido sguardo alle varie vasche decise di immergersi nel tepidarium lasciando che l’acqua limpida e tiepida desse ristoro alle sue membra stanche.

Chiuse gli occhi e l’immagine di Kratos si impossessò prepotente dei suoi pensieri. Gli sembrava di sentire ancora l’amico intimargli di lasciarsi andare. Sorrise. Era facile dispensare consigli. Come poteva lasciarsi andare se erano oramai anni che aveva smesso di fidarsi degli uomini. Gli uomini...quei meschini individui capaci di uccidere anche il proprio padre per qualche moneta d’oro. Come poteva fidarsi di loro? Come poteva fidarsi delle persone della stezza razza di quel ragazzo che gli aveva spezzato il cuori anni addietro?

Si lasciò scivolare di più nell’acqua beandosi di quel lieve rumore che sentiva ovattato attorno a sè.

Si stava per abbandonare al dolce abbraccio di Morfeo quando una mano ruvida ma delicata si posò decisa sulla sua spalla.

“Padrone, è ora di uscire” lo informò un servo tenendo la testa mora china.

Nicias annuì chiedendosi quanto tempo fosse passato; si lasciò asciugare e rivestire imponendosi con un garbato rifiuto quando vide che i servi si erano diretti alle boccette degli olii.

Il giovane patrizio lasciò il balneum deciso a salire nelle sue stanze.

Aprì la porta entrando nel cubiculum illuminato dal sole oramai alto nel cielo.

“Ciao Ajakan”

Il biondino aprì gli occhi rimanendo sempre sdraiato sul letto. Non salutò. Non ne aveva voglia. E poi, doveva pure salutare il suo carceriere?

Nicias si avvicinò al letto sedendovisi sopra, al leggero movimento del letto lo schiavo rispose con un gemito di dolore per alcune ferite ancora lontane dalla guarigione.

“Da dove vieni?” chiese il patrizio cercando di catturare lo sguardo azzurro del ragazzo.

“...”

Il patrizio rimase per qualche tempo in attesa di una risposta ma, capendo che non l’avrebbe mai ottenuta si alzò dal letto.

“Bene, se non ti va di parlare faremo altro” disse atono per poi prendere di sorpresa Ajakan tra le braccia sollevandolo. Lo sguardo prima feroce del biondo si allarmò.

Oh mamma non avevo intenzione di farlo arrabbiare!

“Dove...dove mi vuoi portare?” chiese spaventato.

“Ma allora la voce ce l’hai.”

Senza dare ulteriori risposte il moro portò il servo fuori dalla stanza. Ajakan si divincolava per quanto le ferite, e le braccia di Nicias, glielo permettessero.

“Stai calmo” lo ammonì con voce piuttosto dura il ragazzo dagli occhi verdi. Lo schiavo si immobilizzò di colpo. Quel tono...gli aveva fatto venire i brividi.

Non posso fare nulla...non posso fare nulla!

Conscio di quel pensiero si calmò, stando fermo tra le braccia del patrizio come una bambola senza vita. Una bambola con dei bellissimi occhi azzurri stravolti dalla paura.

Camminando svelto e superando senza essere visto il tablinum si diresse nel balneum.

“Padrone” lo salutarono.

“Vorrei che preparaste questo schiavo per il tepidarium” l’istruì il giovane patrizio affidando Ajakan nelle mani dei servitori.

Qualche minuto dopo Ajakan si trovava immerso in una grande vasca dove l’acqua piacevolmente tiepida leniva la sua pelle martoriata.

“Va meglio?”

La voce profonda e fredda di Nicias fece voltare di scatto il biondo.

“Allora? L’acqua è di tuo gradimento?”

Intimidito e più traquillo, annuì.

“Mi fa piacere” disse solamente il patrizio prima di sedersi sul bordo della vasca.

Lo schiavo guardò il suo riflesso nell’acqua calma. Gli venne quasi da sorridere. Quasi.

La paura di prima la sentiva lontana, rinfrancato dal quel bagno tanto agognato dal suo corpo. Sapeva bene che era inutile cercare di scappare. Anche se nella stanza non c’erano altri servi, la domus ne era piena. E allora non gli rimaneva che godere di quei momenti. Se non poteva dare pace al suo animo, almeno il suo corpo poteva riposarsi. Per la prima da quando era in quella casa si sentiva bene.

“Cosa facevi prima di essere portato qui?”

Peccato che questo patrizio debba rovinare tutto!

“Orsù, so bene che sai parlare.” Cercò di tentarlo con la voce suadente il moretto.

“Ma è con te che non voglio parlare” sputò fuori Ajakan guardandolo con occhi fiammeggianti. Appena quelle parole gli scivolarono fuori dalle labbra il ragazzino si accorse appieno di quello che aveva fatto.

Subito chinò la testa raggomitolandosi e , l’unico pensiero che gli atteraversò la mente fu:

sarebbe un peccato che questa bell’acqua si sporcasse di rosso.            

Nicias rimase immobile, intimamente ferito da quell’affermazione. Ma, daltronde , cosa poteva aspettarsi?

Un silenzio pesante calò sulla stanza ,i due ragazzi rimanevano immobili persi nei loro pensieri senza curarsi del tempo che scorreva.

Dopo qualche tempo il patrizio lasciò la stanza dando precise istruzione ai servi, i quali presero Ajakan e lo rivestirono con cura con una tunica bianca e legandogli i polsi con una corda pulita.

Il moro era fermo sulla soglia principale della domus in attesa che il suo schiavo arrivasse. Non dovette aspettare molto prima che la figura snella del biondino entrò nel suo campo visivo.

“Grazie, ora ,per piacere, direte a mio padre che non tornerò che per cena” disse Nicias al servo che aveva accompagnato Ajakan.

Quest’ultimo rimaneva fermo sulla soglia confuso più che mai, perso in mille pensieri.

Nicias prese la corda e iniziò a guidare il servo per le strade affollate di Roma.

Ajakan soffermava gli occhi su tutto cercando di imprimersi nella mente ogni particolare di quel nuovo paesaggio. Solo quando incontrava gli sguardi degli altri romani abbassava il volto sentendosi le guance bollenti dalla vergogna e dall’umiliazione. Stava cammiando tirato per una corda come un cane.

Il patrizio procedeva tranquillo per le vie fino a giungere nella periferia della città dove un enorme parco faceva bella mostra di sè. Erano radunati lì un centinaio di persone, per lo più donne e bambini, che si godevano i primi giorni estivi dell’anno. Nicias scelse un angolo del parco in ombra e abbastanza distante dal resto dei concittatidi.

Si accomodò sull’erba fresca sistemandosi meglio la toga e scoprendo il capo ,fece sedere anche lo schiavo tirando leggermente la corda.

“Mi rilassa venire qui. Si può godere una lettura senza interruzioni” iniziò a parlare il patrizio

“Fu mio padre a mandarmi a scuola di lettura, quasi tutti i patrizi che fanno parte del consolato sanno leggere. E tu, nella tua terra hai mai imparato?” chiese.

Ma che razza di domande mi pone? Non ha ancora capito che non ho voglia di discorrere con lui?

“Conosci il mito di proserpina?” cambiò discorso Nicias.

Ajakan alzò lo sguardo puntandolo in quello brillante del moro. Negò con la testa.

 “Allora te lo racconto io – iniziò con un sorriso-  Cerere, dea delle messi, aveva una figlia di nome  Core. Un giorno, Core mentre raccoglieva fiori, vide la terra aprirsi sotto ai suoi piedi e da essa uscì Plutone, re dell'Oltretomba, sopra ad un carro trainato da quattro cavalli neri come la pece. Plutone si era innamorato della fanciulla e, per questo era uscito dal suo nero regno per portarsela via con sé. Le grida di disperazione di Core si udivano ancora nell'aria,ma ormai essa era dentro la voragine,rapita dal feroce Plutone.Cerere in quel istante sentì le urla e dopo essersi vestita a lutto cominciò a vagare in cerca di Core. Vagò nove giorni e nove notti senza ottenere nulla e alla fine si recò da Elio, il sole, che aveva visto tutto quello che era successo."Cerere, non cercare Core" disse ed aggiunse: "Tua figlia ora é la sposa di Plutone ed il suo nuovo nome é Proserpina".Udite queste parole, cerere, che era la più mite degli dei, emise un urlo talmente forte che di colpo tutti i fiori e le piante smisero di crescere.Dopo poco tempo la terra diventò un deserto e nulla valse la supplica degli dei... Cerere non si placò.Allora Zeus, ordinò ad Plutone di riportare la fanciulla sulla terra, purché non avesse ancora mangiato il cibo dei morti. Proserpina aveva ingerito solamente sei semi di melagrana,portati dal giardiniere Ascolaphus e così Plutone dovette rassegnarsi. Appena giunse sulla terra, la fanciulla corse subito ad riabbracciare la madre cerere che, immediatamente cessò la sua collera facendo tornare la terra verde e piena di fiori.  Zeus, allora, si avvicinò a Proserpina, e le disse che ogni anno sarebbe dovuta rientrare nell'Oltretomba per sei mesi come sposa di Plutone e, per ogni seme che aveva mangiato ci sarebbe stato un mese d'inverno. Gli altri sei mesi, ossia la primavera e l'estate, Proserpina sarebbe tornata al mondo dei Vivi vicino a sua madre Cerere” Concluse con un sorriso.             

Ajakan rimase con  lo sguardo perso nel vuoto.

“Ma è una storia triste” sussurrò.

Nicias spostò velocemente lo sguardo dal verde paesaggio al biondino. Sorridendo interiormente.

“Perchè?”
“Perchè mi hai raccontato questa storia?” rimbalzò la domanda.

“Mi piace, a te non è piaciuta?” chiese.

“Mi domandi se mi sia piaciuta? Come può essere piaciuta se mi ricorda inevitabilmente la mia vita?” fece amaro Ajakan distogliendo lo sguardo dal viso del patrizio.

Maledetto!

Nicias sorrise, era riuscito nel suo intento. Aveva scelto apposta quel mito, era sicuro che così avrebbe potuto entrare in contatto con lui.

“Prima hai detto che era triste. Ma ti sbagli, cos’è triste secondo te in questa storia?”

Il biondino indugiò un attimo sul suo viso prima di rispondere titubante:

“Core perde la sua vita, il suo nome e sua madre per l’egoismo di ade...e quando può ottenere la libertà si trova vincolata per sempre a  Plutone. È ingiusto” mormorò piano quasi avesse paura che alzando anche solo di poco la voce ,le lacrime trattenute nel sentire il racconto iniziassero a fuoriscire dai suoi occhi chiari.

“E’ vero Plutone la portò via e le cambiò il nome però vedi una leggenda narra che Proserpina mangiò i semi di melograno per non separarsi da Plutone. Zeus voleva farla tornare nel mondo dei vivi a tutti i costi poichè cerere non permetteva alla natura di rigenerarsi, Proserpina mangiò di sua spontanea volontà sei semi in modo da poter veder sia sua madre che il suo amato” spiegò piano cercando di infondere tutta la dolcezza che racchiudeva quel mito.

Ajakan ascoltava in silenzio scuotendo solo a volte  la testa.

“Vorresti ascoltare altri miti?” chiese Nicias.

Lo schiavo si portò una mano alle labbra mordicchiando l’unghia del pollice. Nonostante tutto gli piaceva, gli piaceva da morire la voce avvolgente del patrizio raccontare storie.

“Si” pigolò

“Allora vieni più vicino” disse ilm moretto tirando lievemente la corda. Di malavoglia Ajakan si sedette affianco al patrizio. Nicias, non contento, fece passare le braccia sotto le ascelle del ragazzo tirandoselo addosso, facendogli posare la testa sul suo petto coperto dalla morbida e voluminosa toga.

“C’era una volta una ragazza bellissima, psiche...”

Così avvoltò dalla bella voce di Nicias, dal leggero vento che gli muoveva i capelli e dal chiacchiereccio lontano della gente ad Ajakan parve di entrare in quei mondi che il moro descriveva con tanto entusiasmo.

 

 

Psiche è una bellissima principessa, così bella da causare l'invidia di Venere. La dea invia suo figlio Eros perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra, perché Psiche sia coperta dalla vergogna di questa relazione. Ma il dio, Eros, si innamora della mortale, e con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua. Ogni notte Eros va alla ricerca di Psiche, ogni notte i due bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto. Psiche è dunque prigioniera nel castello di Eros, legata da una passione che le travolge i sensi. Una notte Psiche, istigata dalle sorelle,con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, pronta a tutto, anche all'essere più orribile, pur di conoscerlo. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:

« ...colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) »

Il dio vola via e Venere poco dopo cattura Psiche per sottoporla alla sua punizione. Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, per esempio deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le é stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che intendevano ingraziarsi il suo innamorato. L'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio arrivando molto vicino a gettarsi dalla cima di una torre. Improvvisamente, però, la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità a lei tanto cara, aprirà l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà contiene il sonno più profondo. Ancora una volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglierà dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera (uscita dalla ampolla). Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve l'aiuto di Giove. Mosso da compassione il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.
Al termine del banchetto i due giovani bruciarono per tutta la notte la loro incontenibile passione e da questa unione nacque un figlio, Piacere, identificato dai latini con Voluptas.

Ciao a tutti! Sono tornata! Confesso cher volevo lasciare la storia incompleta ma ho pensato che non fosse giusto nei vostri confronti e in quelli di ajakan e nicias. Cosa dire in commento a questo capitolo? Bhè è lungoXD e si incomincia a vedere un nuovo sviluppo nella storia dei due ragazzi. Per la prima volta parlano assieme, condividono qualcosa. Nicias mostra ad ajakan un mondo nuovo nel quale perdersi , fatto di miti e leggede. Spero che il capitolo vi piaccia e annuncio che ho intenzione di concluderla questa fanfic quindi...aggiornerò V.V grazie a tutti quelli che mi hanno seguito fin qui! Ah un uiltima cosa : il mito di proserpina è la versione romana del mito di demetra e persefone, mentre l’altro ve l’ho inserito nella storia poichè io lo trovo un mito molto dolce *W* ciao e alla prossima ,bacio e grazie di cuore vegi^O^

  
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