CAPITOLO DIECI.
Scarponi,
giacche, armi, zaini, metallo e cuoio: l'orda disordinata dei
guerriglieri viene preannunciata da questo e dal fragore dei passi
decisi e pesanti, che rimbombano tra le pareti e i corridoi. I
soldati della Resistenza attraversano la Cittò sotterranea come
un'onda che sta per emergere dal sottosuolo, spandendo tutt'intorno
l'odore delle pelli, del lubrificanti per armi, e il profumo
caratteristico della battaglia: ruggine, terra, eccitazione e
tensione.
Dean
e Castiel aprono la fila, e tutta la Città si affaccia alle porte e
si riversa nei viali per guardarli passare. La sfilata di uomini e
androidi, tutti equamente armati, cenciosi e ruvidi, è un balsamo
per le speranze di tutti coloro che ancora credono di poter essere
liberati. Di poter tornare in superficie, un giorno... E far parte di
un mondo libero.
Gadreel
non ha la minima idea di cosa fare, perciò si unisce alla schiera e
cerca di stare al passo con gli altri e imitare ciò che fanno. Il
robot è silenzioso e teso, e si muove con poca scioltezza in quel
gruppo di cui, in fondo, sa di non fare davvero parte. Gli altri
guerrieri invece camminano baldanzosi, ridono e scherzano, si
spintonano allegramente. Sembra quasi che stiano andando a una festa,
piuttosto che in battaglia: è un modo come un altro per alleggerire
la tensione, per non farsi frenare dalla paura. Tra tutti loro si
respira lo stato di allerta selvatica e quasi primordiale degli
animali che si apprestano a conquistare un territorio.
Anche
Gadreel è diviso tra sentimenti diversissimi. Da una parte,
l'euforia di poter finalmente salire in superficie e guardare con i
propri occhi quel mondo che gli è stato raccontato, ma che non ha
ancora visto; dall'altra, il timore di non essere all'altezza e di
combinare qualche guaio. E, infine... Il disagio e il dispiacere
provocati dalla reazione di Sam, poche ore prima. L'umano è stato
abbastanza chiaro sul fatto di non voler saperne più nulla di lui,
ma Gadreel non riesce comunque a non pensarci. Gli dispiace che sia
andata così, gli dispiace tantissimo, soprattutto perché non riesce
a capirne il motivo. Si era tranquillizzato un po', credendo di aver
trovato un punto di riferimento e un amico in Sam, ma evidentemente
si sbagliava. Il robot non può e non vuole obbligare nessuno
ad essere suo amico: sarebbe sbagliato, e di questo Gadreel ne è
consapevole. Però...
Però
Sam un po' gli manca. Il Sam del primo giorno. Quello che lo ha
trattato con gentilezza e lo ha fatto sentire un po'
meno solo.
Seguendo
il gruppo indisciplinato di ribelli – che sembrano una scolaresca
in gita, - Gadreel attraversa corridoi e porte tagliafuoco, scende di
un livello e si ritrova in una specie di enorme garage illuminato
dalle solite, inevitabili, insostituibili plafoniere al neon. Su un
lato della stanza è sistemato un lungo tavolo di metallo illuminato
da faretti; nel mezzo, invece, si trova un grosso furgone - che
dev'essere appartenuto al corpo di Polizia della Città, una volta,
perché è rimasta ancora una traccia dei colori e degli stemmi,
quasi del tutto scrostati, lungo la fiancata.
Gadreel
si sforza di ignorare qualsiasi pensiero al di fuori della discesa in
campo imminente: deve essere concentrato sul presente, sul qui e
ora, se vuole rendersi davvero utile.
Alcuni
soldati passano in fila davanti al tavolo per prendere armi
aggiuntive e munizioni. Sono tutti più
composti e silenziosi, ora che la risalita in superficie è
solo questione di minuti.
Dean sorveglia la situazione,
appoggiato alla parete, – lo sguardo duro e la mandibola serrata,
già proiettato nello stato d'animo dell'assalto, - poi nota
l'umanoide e gli fa cenno di
avvicinarsi. Gadreel si affretta ad obbedire.
«Allora,
pivellino,» dice l'uomo,
quando il robot è abbastanza vicino. «Sai sparare?»
Gadreel
scuote la testa, desolato.
«Combattere
all'arma bianca?»
«No...»
«A
mani nude?»
«N-nemmeno...»
Dean
solleva un sopracciglio e poi scuote la testa, roteando gli occhi al
cielo con aria sarcastica.
«Uao.
Andiamo alla grande,» commenta. Poi sparisce sotto il bancone,
afferra un grosso zaino verde mimetico e glielo lancia. «Facciamo
così: oggi cominciamo con qualcosa di più facile.»
Gadreel
apre la borsa. Dentro ci sono visori, cavi, un piccolo schermo che
emette un bip costante
e una specie di microfono.
«Telecomunicazioni,
hai presente? Prendi un binocolo, studi la zona, e se vedi qualcosa
di strano avverti gli altri. Pensi di potercela fare?», gli chiede
Dean, e Gadreel annuisce cercando di sembrare sicuro di sé
anche se non lo è affatto.
«Va
bene...»
«Adesso
raggiungi gli altri al furgone, Gadreel.» L'ordine, più gentile e
quieto, arriva da Castiel. Che gli dà una pacca di incoraggiamento e
accenna un sorriso. «Sarai affiancato da Gabriel, per i primi tempi.
Vi conoscete già e ti aiuterà ad ambientarti. Per qualunque
problema, ad ogni modo, puoi cercare me. D'accordo?»
Gadreel
balbetta un grazie
intimidito, e poi
obbedisce. In poche ore ha appreso molte cose e ne ha fatte altre per
la primissima volta: è tutto così nuovo e complicato, per
lui, da fargli quasi girare la testa. E chissà quanto altro
imparerà, durante la sua prima missione! La prospettiva lo rincuora
e gli solleva leggermente gli angoli della bocca in un sorriso
fiducioso che però si affievolisce poco dopo. Quando torneranno, gli
piacerebbe poter parlare di come è andata e confidarsi, confrontarsi
con...
...
Già, con chi?, si
chiede il robot, improvvisamente tornato alla realtà. Lui non ha
amici: non ne ha più. Il suo primo pensiero era stato di parlarne
con Sam, ma questo non è più
possibile...
Gadreel
prende educatamente posto su una delle lunghe sedute all'interno
del furgone e così rimane, in silenzio. Dovrà cavarsela da solo. È
meglio che si abitui presto a farlo, pensa. A quanto pare, Chuck era
l'unico a cui importasse di
lui...
Ma Chuck non c'è
più.
«Prima
uscita!» esclama Gabriel con un gran sorriso, tirando una gomitata
scherzosa sul fianco del suo nuovo compagno di missione. «Come ti
senti?»
«Non
lo so,» risponde Gadreel, con la massima sincerità. Non sa come si
sente: sono tante emozioni diverse, mescolate tutte insieme, a cui
riesce a malapena a dare un nome. Se ne sta seduto un po' impettito
contro la parete del furgone, che vibra ad ogni movimento. Sono in
viaggio da pochi minuti e il retro del camioncino è cieco:
non si vede nulla di ciò che c'è
fuori. Chissà dove stanno andando.
Gabriel
tiene posato sulle gambe, con naturalezza, un fucile che è quasi più
grande di lui.
«Sei agitato, è normale,»
lo rassicura, comprensivo. «Sai, nemmeno io ci sono
abituato... Io sono un messaggero, più
che altro. Ma se c'è bisogno
di una mano, non posso tirarmi indietro.»
«Neanch'io
sono tagliato per il combattimento... Ma immagino che si
veda,» ribatte un'altra voce.
Appartiene a un omino piccolino e smilzo, con una zazzera di capelli
castani spettinati e la faccia buffa. Sembra uno di quei topini
stilizzati dei cartoni animati, o un gatto senza pelo. «L'ultima
volta mi ha salvato la vita quest'omaccione qui,»
aggiunge, indicando l'uomo piazzato - con gli occhi azzurri, un po' di
barba e due braccia da taglialegna - che gli siede accanto. «Lui
sì che è portato.»
«È
stata solo fortuna,» si schermisce l'omaccione, con un lieve
sorriso. Ha lo sguardo tranquillo, un'aria solida e sicura di sé che
in Gadreel ispira immediatamente fiducia. «Nessuno è
infallibile, ma ognuno fa quello che può.»
«Comunque,
questi sono Garth e Benny,» dice Gabriel, indicando a Gadreel i due
uomini appena conosciuti. «Ragazzi, questo è Gadreel.»
«Oh, lo
so,» risponde Garth con un calore sincero, offrendogli la mano. «Io sono quello che ti ha
trovato, nel caso non te lo avessero detto.»
«Ah... Be'... Allora grazie,» risponde
l'androide, impacciato, tentando un sorriso e stringendogli
la mano.
«È
bello rivederti in piedi,» gli dice Benny, salutandolo allo stesso
modo. Gadreel comincia a sentirsi un po' meno perso, tra quegli
uomini e quegli androidi che sembrano averlo ben accolto.
«Allora,»
continua Gabriel, rivolgendosi direttamente a lui. «Da oggi, finché
non avrai imparato le basi, io sarò il tuo maestro
e il tuo mentore,»
declama, con eccessiva enfasi. Gadreel lo trova buffo e sorride con
maggiore scioltezza.
«Io
di solito esco in coppia con Balthazar... Ma, come sai, è tra coloro
che sono stati catturati. Èprincipalmente
per lui che ho accettato di partecipare alla missione. Rivoglio il
mio amico, e lo rivoglio tutto intero,»
afferma il messaggero, con una certa decisione.
Gadreel
lo ascolta con attenzione, e poi non può fare a meno di fare qualche
domanda.
«Cosa
succede a quelli che vengono catturati?»
Stavolta
è Benny a prendere la parola.
«Metatron
li riprogramma e li mette al suo servizio,»
spiega, posando i calmi occhi chiari sul nuovo arrivato. «Si
infila nei loro sistemi per renderli fedeli e pronti a uccidere in
suo nome, che lo vogliano oppure no.»
Anche la sua voce è bassa e quieta. Tutto, di quell'uomo,
trasmette una sensazione di tranquillità e stabilità. Gadreel
riesce a comprendere come mai gli altri sembrino così rassicurati
dalla sua sola presenza.
«Ma
è terribile,» esclama
l'androide, con un sussulto sgomento.
«Già,»
concorda Garth, serio. «Fortunatamente, se riusciamo a
prenderli, possiamo riprogrammarli a nostra volta e farli tornare
com'erano. Purtroppo, però,
recuperarli non è sempre facile...»,
sospira. «Sai, è difficile cercare di ragionare con qualcuno
che vuole soltanto aprirti in due come una scatola di sardine.»
Dal
modo in cui Gadreel sbianca e ammutolisce di colpo, è facile intuire
che i racconti dei suoi commilitoni lo abbiano alquanto spaventato.
Così, Benny gli mette una delle sue mani forti sulla spalla, per
rincuorarlo.
«Tranquillo...
Tieni gli occhi aperti, resta con i compagni e vedrai che andrà
tutto bene,» gli dice, sorridendogli.
Gadreel
annuisce lentamente, poco convinto. È ancora molto teso e insicuro,
ma farà del suo meglio. Farà tutto ciò che può per aiutare queste
persone...
È
stato creato per questo, dopotutto.