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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    28/06/2016    1 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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18.


“E quindi ti sei diplomato con un anno d’anticipo!” Joan era decisamente stupita e questo faceva ridere terribilmente Huck.

“Ebbene sì, insomma lo so che non si direbbe…”

Joan si mosse sulla sedia. “Non volevo offenderti, è che… Insomma ora potresti essere un ingegnere, un professore o un medico, e invece…”

“Invece?” La guardò da dietro il bicchiere di birra da cui stava  bevve un sorso.

Joan non voleva spingersi troppo oltre, non voleva prendersi la libertà di esprimere giudizi ad alta voce su qualcuno che conosceva a malapena.

“Dai, mi interessa la tua opinione, e poi non sono un tipo permaloso!” Sorrise, mettendo in mostra i denti bianchi.

“E’che… lavorare per un mezzo delinquente non mi sembra all’altezza di una persona intelligente come te, tutto qui”.

“Wow, sei schietta!” Disse lui serio, mangiando un raviolo.

“Ecco, lo sapevo che ti saresti offeso”. Rispose lei mettendo il broncio.

Lui allungò la mano sul tavolo, incontrando quella di lei.

“Non mi sono offeso”. Sorrise. “Ho fatto una scelta pratica, la mia famiglia non è ricca… Qualche guadagno in più ci avrebbe fatto comodo e le università non sono proprio a buon mercato”.

“Cosa avresti voluto fare?”

“In che senso?”

“Nella vita… Fai finta di essere di nuovo bambino e dimmi cosa vorresti fare da grande”.

“Oddio, non lo so… Se avessi cinque anni probabilmente di direi l’astronauta!”

Joan rise. “Sono seria!”

Le lasciò andare la mano e diventò serio anche lui.

“Mio padre era poliziotto, credo che l’uniforme mi sarebbe stata bene…”

“Lo credo anche io…” Rispose lei sorridendo. “…Non è mai troppo tardi!”

Lui la guardò diritto negli occhi, tradendo un velo di amarezza.

“O magari diventerò presidente degli Stati Uniti”.

“Beh, in quel caso tienimi in considerazione come vice!”

“..O come First Lady…”

Quell’affermazione spiazzò Joan, che abbassò lo sguardo.

“Cavolo, ho un appuntamento tra poco, non mi ero accorto che fosse così tardi. Mi spiace ma devo accompagnarti subito”.

Joan scosse la testa. “Non serve, posso prendere un taxi”.

Huck insistette per accompagnarla a casa. Si fermarono al portone.

“Beh grazie per il pranzo”.

“Grazie a te per la compagnia”.

Joan gli sorrise, ma fu distratta da una figura che apparve alle spalle di Huck.

“Ciao Cult”. Disse la ragazza, imbarazzata come se fosse stata colta a fare qualcosa di sbagliato.

Lui rispose con un cenno.

“Ehi amico, come va?” Huck gli sorrise, ma Cult fece solo un cenno con la testa, passando oltre.

“Non credo di stargli particolarmente simpatico… Una volta gli piacevo, chissà cosa gli prende!”

“Vallo a capire…” Sussurrò Joan.

“Come?”

Lei scosse la testa. “No, niente… Allora, buon lavoro”. Disse facendo per entrare nel palazzo.

Lui la bloccò, attirandola a sé per darle un bacio, delicato e gentile.

“Ciao”.
 

Era stanca, aveva sonno e voleva dormire un po’ prima di andare al lavoro, ma non ci riusciva. Huck le piaceva, davvero, e quel bacio, inaspettato, le era piaciuto, ma non aveva potuto evitare di paragonarlo a quello che le aveva dato Cult, poco tempo prima a pochi metri da dove si trovava ora.

“Sei in ritardo, Joan, sbrigati!”

Caroline strillava mentre si aggiustava la camicetta.

“Lo so, c’era traffico”.

“Stai bene? Sei uno straccio!”

Joan alzò lo sguardo dalla borsa, in cui aveva cacciato la posta recuperata prima di uscire.

“Sì, Caroline, grazie per farmi notare che sto uno schifo”.

“Ma no… Non stai uno schifo, sembri solo stanca”.

Non era stanca, era preoccupata, ma non aveva voglia di parlare dei suoi problemi.

“Senti, mi dai cinque minuti? Ho bisogno di rinfrescarmi”.

Caroline le sorrise dolcemente, uscendo dallo spogliatoio.

Joan si sedette sulla panchina, tirando fuori la posta. Una delle buste conteneva il suo estratto conto. Il conto era in rosso e dopo pochi giorni avrebbe dovuto pagare
l’affitto.

Qualcuno bussò alla porta, distraendola.

“Tutto bene? Caroline dice che non stai bene?” Era Steve, che rimase sulla soglia, l’aria preoccupata.

Joan apprezzava che si preoccupasse, ma era ancora arrabbiata con lui. “Caroline esagera, ho solo dormito male! Ora arrivo!”

Si alzò, infilando malamente la busta nella borsa, lasciandola aperta e penzolante sulla panchina.

Si fermò sulla porta, aspettando che Steve la facesse passare. Lui si scansò appena, lasciandole libero il passaggio.

Sbatté contro Cult, che stava entrando nello spogliatoio in quel momento, ma lo ignorò, continuando per la sua strada.

“Che le prende?”  Chiese a Steve.

Lui alzò le spalle. “Credo ce l’abbia ancora con me per quello che le ho detto riguardo Huck”.

“Le passerà”.
 

La serata procedeva tranquilla e Cult si prese una pausa. Andò nello spogliatoio a prendere un pacchetto nuovo di sigarette, ma quello cadde per terra.

“Cristo…”

Si abbassò per prenderlo imprecando e proprio accanto al pacchetto trovò una busta bianca. La raccolse e, vedendo che sbucava un foglio, lo prese per leggerlo.

“Ma che diavolo stai facendo?”

Joan irruppe nella stanza, strappandogli di mano la busta.

“Ti metti anche a frugare tra le mie cose adesso?!” Era arrabbiatissima, lo avrebbe picchiato. Ma come si permetteva?!

Lui alzò le mani, in segno di resa. “Calmati ragazzina, era per terra e non sapevo cosa fosse, l’ho aperta per quello!”

Joan sbuffò. “Quindi il fatto che non ci fosse scritto il tuo nome non ti ha fatto pensare che forse non era il caso di ficcare il naso?!”

“Te l’ho detto, non sapevo cosa fosse!”

“Sì, come ti pare!”

Cacciò la busta nuovamente in borsa, assicurandosi di chiudere quest’ultima. Cult rimase qualche secondo ad osservarla.

“Tutto bene?” Chiese morbido.

“Alla grande!” Rispose secca lei.

“Steve pensa che tu ce l’abbia ancora con lui!”

“E infatti è così!” Chiarì Joan.

“Quindi quella non centra niente”. Indicò la borsa con la testa.

“Non sono affari tuoi!”

Lui annuì, lento.

“E’ preoccupato per te”.

“Beh, forse dovrebbe imparare anche lui a farsi gli affari suoi!”

Cult faceva fatica a riconoscerla, era diversa, quasi come se nulla le importasse.

“Ora se non ti dispiace devo andare a lavorare”.

Fece per uscire, ma lui la bloccò, prendendola per un polso.

“Senti, non so cosa ti stia passando per la testa… Se vuoi prenditela con me, perché sono uno stronzo, perché mi facci gli affari degli altri, o per il motivo che ti pare, tanto ne troverai uno, ne sono sicuro… Ma Steve è un bravo ragazzo e se si impiccia lo fa solo perché ti vuole bene!”

Joan era colpita dalle sue parole, ma non voleva cedere. Lo guardò negli occhi blu e cristallini per qualche interminabile secondo.

“Lo so che mi vuole bene, ma a me Huck piace e non mi interessa se a voi non va a genio. Dovrete abituarvi a vederlo spesso”. Si slacciò dalla sua presa, andandosene.

 
“Ciao”. Huck le apparve alle spalle ad un’ora dalla chiusura, sorridente.

“Ciao. Dopo vorrei parlarti, ti va di aspettarmi o hai da fare?” Urlava, cercando di sovrastare la musica.

“No, ti aspetto”.

Gli portò una birra media, chiara, come sempre.

Alla fine del turno era esausta. Aveva dormito poco e male e quella busta nella borsa sembrava avere vita propria e lottare per liberarsi dalla presa della cerniera.

Uscì guardandosi intorno per cercare Huck, che le apparse alle spalle schioccandole un bacio sulla guancia.

“Ma allora è un vizio farmi prendere un infarto!”

Huck rise. “Di cosa dovevi parlarmi?”

“Di lei”. Disse Joan, puntando dritto alla Chevrolet Malibu del ’72.

“Mmm… Ti serve un meccanico?”

Lei sorrise, scuotendo la testa. “Devo venderla, ma non conosco nessuno e ho pensato che magari tu conoscessi qualcuno a cui potesse interessare…”

“No, e perché? E’ un gioiellino!”

Lei sospirò. “Sì, ma a New York non te ne fai nulla di un’auto, sono solo spese”

“Sì, ma vendere una macchina così è un insulto! Non farlo!”

“Non lo farei se non dovessi, ma ho bisogno di liquidi, quindi se puoi farmi questo favore…”

“Ah, cavolo! Se solo avessi un po’ di contanti la prenderei io, ma purtroppo sono a secco”. Sembrava seriamente dispiaciuto. “Comunque tranquilla, ci penso io. Passo da te nel pomeriggio e ti dico se sono riuscito a piazzarla, ok?”

“Grazie”. Rispose lei grata, baciandolo dolcemente.

“Ora vai a casa però, sembri stanca”.

Lei annuì, salendo in macchina.

 
“Dunque, ho trovato un tizio che vorrebbe la macchina, cercava di abbassare il prezzo che gli ho proposto, ma sono riuscito a trovare un buon accordo con la scusa che è un’auto tenuta benissimo”.

“Ottimo! Quanto potrebbe darmi?”

“Diecimila”.

“Ne vale almeno il doppio… Ma va bene, basta che siano contanti”. 

“Certo, per quello  non c’è problema… Ma sei sicura? Sono sicuro che avrai molti ricordi di quell’auto”.

“Sicurissima, è solo un’auto”. Gli prese la mano. “Grazie”.

“Beh…Dovevo provare a dissuaderti, ma vedo che sei sicura. Lui è disposto a prenderla anche domani. Gliela porto io e torno cosi soldi”.

“Perfetto”.

Huck guardò l’orologio. “Ora devo scappare. Ci sentiamo domani, ok?”

Le lacrime iniziarono a rigarle i viso non appena chiuse la porta di casa. Quella non era solo una macchina per lei, significava tante cose, se n’era presa cura, era l’unica cosa che la legava alla sua vecchia vita.

Si lasciò scivolare lungo la porta, incapace di sorreggersi, incapace di smettere di piangere, di trattenere quelle lacrime che scalpitavano per uscire da mesi. Rimase in quella posizione per un paio d’ore almeno, rannicchiata con le gambe al petto e la testa nascosta tra le mani. Ormai era sera e doveva andare al lavoro, quindi si alzò lentamente, quasi la scena fosse al rallentatore, e si cambiò.

Quando uscì di casa, sul pianerottolo incontrò Cult.

“Ciao, ragazzina!”

Joan rispose con un cenno, cercando di nascondere il viso e gli occhi arrossati dietro i capelli.

Lui le si avvicinò, cauto, squadrandola, fino a quando lei non alzò il viso. Scorse subito il viso stanco e gli occhi terribilmente rossi.

“Cos’è successo?”

“Niente”. Disse lei, cercando di oltrepassarlo senza riuscirci.

Lui la bloccò col suo corpo.

“Sto bene, devo solo andare a lavorare”. Cult però non sembrava convinto.

Riaprì la porta di casa sua, bloccandosi sulla soglia e facendo cenno a Joan di entrare.

Lei, inaspettatamente, lo ascoltò.

“Cosa c’è che non va? E’ per quella busta di ieri?”

Scosse la testa e una lacrima le rigò di nuovo il viso pallido.

“E allora cosa c’è che non va? Huck?”

Lei negò, di nuovo.

“Non ho più soldi e devo pagare l’affitto”.

“Beh, certo non è una gran cosa, ma non mi sembra il caso di disperarsi. I soldi posso darteli io!”

Le si avvicinò, abbassandosi alla sua altezza per fare in modo che lei lo guardasse.

“No… Io…No grazie! Non è il caso…”

“E’ solo un prestito, puoi restituirmelo con calma!”

“Ho già trovato una soluzione, non preoccuparti!”

Cult si sedette sul bordo del divano sgangherato. “E sarebbe?”

Joan, titubante, si sedette sulla poltrona di fianco al divano. “Vendo la mia auto”.

Dirlo ad alta voce era più difficile di quanto pensasse. Fu come se una coltellata le trafiggesse il cuore.

“Sei pazza?!”

“E’ solo una macchina!”

“Se è solo una stupida macchina perché mi hai urlato dietro quando te l’ho rigata appena sei arrivata?!”

Non era per niente convinto dalle parole della ragazza.

“Perché sì, nemmeno mi conoscevi e mi hai rigato la macchina, dopo che ti avevo detto di fare attenzione!”

“…Quindi è solo un’auto…”

Lei annuì, scacciando una lacrima.

Cult rimase in silenzio alcuni secondi, aspettando che fosse lei a parlare. Joan continuava a guardare per terra, sperando che lui la smettesse di fissarla.

Passarono minuti interminabili.

“Ok. Hai vinto! Non è solo una macchina, ma tanto non importa, quindi è inutile parlarne!”

Gesticolava e lo faceva solo in due casi: quando era arrabbiata o quando era nervosa.

“E’ per questo che piangevi prima?”

Annuì.

“Quando ero piccola guardavo vecchi film con mio padre e un giorno abbiamo visto questo stupidissimo film in cui una donna se ne andava dalla città a bordo di un’auto bellissima, lucida… Aveva i finestrini abbassati e la musica al massimo… E io, che ero solo una bambina, pensavo fosse la cosa più bella del mondo”. Deglutì, cercando di cacciar giù il nodo che aveva in gola. “Sono andata avanti per giorni a parlare di quella dannatissima macchina, così mio padre mi disse che per i diciotto anni me ne avrebbe comprata una uguale”.

Cult ascoltava in silenzio. Era come se le parti si fossero invertite, solitamente era lei quella che ascoltava senza nemmeno fiatare.

“Io ovviamente me n’ero completamente dimenticata, ma il giorno del mio diciottesimo compleanno mio papà mi svegliò e mi portò in strada e… e…Proprio davanti a casa c’era questa Chevrolet Malibu bellissima, lucida come quella del film, con un grosso fiocco rosso sul tettuccio”.

Si alzò, andando alla finestra, guardando fuori ma non vedendo realmente nulla.

“Sono andata in giro tutta la mattina su quell’auto con mio padre, coi finestrini abbassati e la musica al massimo e quello stupido fiocco sul tettuccio. Mi sentivo davvero invincibile…”

Aveva ricominciato a piangere senza neanche accorgersene.

“Ho capito cosa fosse l’amore su quell’auto”. Guardò Cult, che si alzò, senza però avvicinarsi troppo. “Stavo con Simon Cromwell e una sera mi arriva una sua chiamata e lui tutto agitato mi dice che è rimasto senza benzina. Ho guidato per venti miglia per andarlo a prendere e nel tragitto mi sono resa conto di amarlo”.

Cult fece un altro passo verso di lei, raggiungendola accanto alla finestra.

“Ho fatto il mio primo incidente con quell’auto… Ero terrorizzata dalla reazione di mio padre, avevo paura che si sarebbe arrabbiato tantissimo, così ho aspettato quasi un’ora prima di chiamarlo e…” La voce le si ruppe. “Quando è arrivato l’unica cosa che ha fatto è stato abbracciarmi, non ha neanche guardato l’auto, non gli importava di niente se non che io stessi bene e…”

Alzò lo sguardo, finalmente, incontrando quello di Cult.

“Significa molto per me quell’auto”.

Lui le sfiorò appena i viso, avvicinandosi per abbracciarla. Joan si lasciò andare contro il suo petto, bagnandogli la camicia. Era tanto che non aveva un contatto con lui, ma era esattamente come lo ricordava: caldo e accogliente.

Si staccarono solo dopo diversi minuti, in cui lui la tenne stretta a se, cullandola tra le sue braccia.

“Ora chiamo Steve, è meglio se non vai a lavorare sta sera”. Le tolse una lacrima da sotto l’occhio sol dorso della mano, delicato.

Joan si allontanò, sistemandosi la camicetta. “Già, perché sono ricca e non ho bisogno d lavorare…” Disse sarcastica.

“Steve capirà…”

“Sto bene, Cult, davvero”. Gli appoggiò una mano sul braccio, sorridendogli sincera.

“Come vuoi…”

Joan si passò una mano sotto gli occhi. “Non è che…Potresti accompagnarmi tu. Preferisco non guidare più quell’auto”.

“Certo”.
 

“Dunque hai deciso…Sei sicura”.

Huck cercava di convincerla fino all’ultimo a non vendere l’auto, ma Joan era convinta.

“Sicurissima”. Disse allungandogli le chiavi.

“Ok, allora te la svuoto e ti porto i soldi più tardi…”

“Perfetto!” Faceva fatica a sorridere, a sembrare felice, soddisfatta. “Huck, senti, vorrei davvero ringraziarti per quello che stai facendo, sei…”

“Non mi devi ringraziare”.

“Insisto. Domani ti preparo la cena, non accetto un rifiuto!”

“Beh, una cena non si rifiuta mai!”

Joan abbassò lo sguardo. “L’unico problema è che alle nove devo essere al lavoro, quindi solitamente mangio alle sei, massimo sei e mezza”.

“Bene, vorrà dire che a pranzo mangerò alle undici, così avrò lo stomaco ben vuoto”.

Apprezzava il suo spirito, lo apprezzava davvero.

“Ottimo allora a domani”.

“A domani”. Rispose Huck lasciandole un bacio sulle labbra.
 
Buonsera e betrovate!
Cult è tornato sfavillante come non mai e ovviamente ha discusso con Joan, perchè, voglio dire, why not?
Joan prende una decisione drastica e dolorosa, quindi la perdoniamo per averlo trattato male. Siate clementi!
Comunque, parlando di cose serie, mi sto per laureare (Yup!) e avrò un po' più di tempo libero, quindi spero di riuscire ad aggiornare con maggiore regolarità.
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A presto!


 
  
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