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Autore: Tormenta    28/06/2016    2 recensioni
[Destiel]
Sulle note dei Coldplay, brevi storie autoconclusive incentrate sul rapporto e su interazioni tra Dean e Castiel.
#A sky full of stars - Percepisci qualcosa gonfiarsi nel petto ed è una sensazione talmente celestiale che No, ti dici, non è possibile. Come si può provare così tanto bene tutt’insieme?
#Miracles - «Non è questo il momento di fare domande» afferma una voce; una voce che, però, non è affatto una voce: è musica. Stramaledetta musica.
#Up&Up - La suoneria lo sorprese nel cuore della notte, cogliendolo mentre era spalmato sul bancone dell’ennesimo bar. Come un faro nel buio, sul display campeggiava il nome CAS.
#Hymn for the weekend - Questo momento merita perché, Dean, mentre lo vivi capisci d’essere letteralmente innamorato d’un angelo – ed è come aver fatto jackpot alla roulette cosmica.
#Magic - Lo perdona, perché Cas è ormai parte della famiglia, ed è così che si fa con la famiglia – ci si perdona, nonostante tutto.
#Ink - È Dean, e― Certo, certo che è lui. Chi altri, sennò?
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Genere: Malinconico, Sentimentale
Contesto: Fine della quinta stagione (canon divergent)
Note: Pre!Destiel

 
Sitting with the poison takes away the pain
 
We’re gonna get it together
somehow
 
 
Up&Up
 
 
 
        Fu in una serata calda, mentre era seduto sul marciapiede d’una cittadina anonima davanti ad un bar chiassoso ed affollato, che Dean Winchester inoltrò la chiamata che da tempo desiderava fare.

        Non ottenne risposta.
 

        «Non capisco. Perché― perché vuole che dica il mio nome?» risuonò, in diretta dal passato, la voce di Castiel registrata sulla segreteria.
        In un altro frangente, forse l’assurda perplessità di cui il messaggio era imbevuto avrebbe strappato a Dean un microscopico sorriso. Ma in quel momento, considerata la condizione a dir poco pietosa in cui versava, non poté che indurlo a sospirare lievemente.
        Si sentiva la testa pesante e la bocca impastata, e non appena il bip che segnalava che poteva parlare s’estinse, si rese conto di non saper di preciso cosa dire. Cioè, di non saper quali parole usare – aveva bevuto un po’ troppo per mettere insieme frasi coerenti, e non a sufficienza per sciogliere la lingua.
        Deglutì, e «Cas» si sforzò di soffiare, roco, per poi lasciar trascorrere un istante di silenzio. «Devo― uh― vorrei parlarti. Ho provato a pregare, ma― ».
        Col telefono premuto forte contro un orecchio, mise a fuoco con gran orrore quanto il proprio gesto fosse disperato: se Castiel aveva ignorato le sue preghiere, di certo non avrebbe ascoltato i messaggi in segreteria. Chissà, forse aveva tolto le tende per tornare permanentemente in Paradiso.
        Un pungente brivido d’amarezza lo colse, e per poco non si lasciò sfuggire un lamento, perché: Se n’è andato. Se ne andavano sempre tutti.
        L’unico dettaglio che gli dava speranza – una speranza a cui voleva pazzamente aggrapparsi – era che il suo numero pareva essere ancora attivo.
        S’accorse di non aver ancora terminato la chiamata dopo diversi secondi di vuoto, e dovette passarsi una mano sul volto prima di riuscire a concludere, approssimativo: «Richiamami. Se― se ci sei ancora».
 

        Riposto il cellulare nella tasca della giacca, inspirò una boccata d’aria umida e sollevò lo sguardo, soffermandosi a fissare il cielo scuro abbagliato dalla luce dei lampioni. Non si vedeva neanche una stella.
        Psicologicamente a pezzi, si disse che, decisamente, non era ubriaco abbastanza.
 
 
 
 
 

        (L’offerta per quella birra è ancora valida?
        Porre a Lisa quella semplice domanda era tutto ciò che, a seguito dello scontro con Lucifero e Michele, Dean avrebbe dovuto fare. Quelle poche parole sarebbero state l’ufficiale battuta d’inizio dei suoi giorni di meritato e necessario ricovero, e avrebbero rappresentato una promessa mantenuta – la promessa di provare a condurre un’esistenza normale dopo l’Apocalisse. Con la meccanica intenzione di pronunciarle, quindi, aveva guidato sino a raggiungere l’indirizzo della donna; ma le cose erano andate storte. Accostata l’auto sul ciglio della strada, infatti, col cuore in gola, aveva occhieggiato dal finestrino la casa in cui Lisa e suo figlio abitavano, e tanto era bastato a provocargli uno sconclusionato stato di panico.
        Per tanti, troppi motivi Non posso farlo, aveva pensato, le mani dolorosamente strette al volante; Non posso.
        Si sarebbe dovuto lasciare i demoni, i mostri, i cataclismi― tutto alle spalle? Come se non fosse più affare suo, come se rintanarsi in una bella villetta di periferia non mettesse nessuno in pericolo e bastasse a tener lontane le minacce. E poi – Sam, Sammy s’era gettato in buco cadendo all’inferno col maledetto diavolo― avrebbe dovuto accettare quello? L’aveva promesso, certo, ma― no. Semplicemente, no.
        S’era reso conto che era presto, che non era per nulla pronto a lasciar andare tutto quanto, a lasciar andare suo fratello, e che probabilmente non lo sarebbe stato mai. Trascinare Lisa – e Ben. Un ragazzino – nella spirale d’autodistruzione e depressione che l’aspettava sarebbe stato tanto crudele quanto ingiusto.
        Perciò, con un macigno incastrato in gola e senza alcuna meta precisa in mente, aveva premuto seccamente il piede sull’acceleratore, e se n’era andato.
 

        Per giorni, non aveva fatto altro che frequentare pub e bettole in tre diversi Stati. Il caos e le atmosfere di quei locali e il deleterio bisogno di sentir la gola bruciata dall’alcol l’avevano corroso indicibilmente, ma, d’altronde, la mancanza e il disagio che si portava costantemente appresso e che gli esplodevano dentro quando non c’era nulla a distrarlo erano mali ben peggiori.
 

        Bobby l’aveva chiamato, una volta. «Cosa stai facendo?» gli aveva chiesto, e Dean aveva esitato a rispondere perché, onestamente, non era del tutto certo di saperlo.
        Beveva, dormiva, fuggiva dagli incubi, guidava. E pensava. Gli pareva di non aver mai pensato tanto in vita sua; o perlomeno, di non averlo mai fatto con una tale dedizione.
        Si sarebbe potuto dire che era in lutto. Tranne per il fatto che non lo era completamente.

        Stava soffrendo, sì – da morire. Ma in lui continuava a persistere una flebile aspettativa; un’illusione, magari, un patetico arrampicarsi sugli specchi. La speranza di poter portare indietro Sam. Una speranza che non poteva non nutrire, ma che non aveva ancora tradotto in azioni: non aveva provato ad escogitare un piano di salvataggio; non s’era nemmeno ancora informato, poiché temeva d’incappare nella conferma del fatto che no, dopotutto non c’era proprio nulla che potesse fare.
        A lungo, insomma, era rimasto in stallo in un mare di liquore e di bile, con una barca di malessere ancorata alle ossa.
 

        Poi, ad un certo punto, con gli occhi vuoti e un bicchiere pieno in mano, aveva raggiunto il proprio limite di sopportazione.
        Aveva messo a fuoco che continuare a correre in circolo come un serpente intento a mangiarsi la coda non aveva senso, e s’era detto che se doveva sbattere il naso contro un muro e affrontare la realtà d’aver perso per sempre suo fratello, allora tanto valeva farlo e basta, senza rimandare l’inevitabile.
 

        Aveva rivolto preghiere a Castiel, scongiurandolo di farsi vivo e confessando d’aver bisogno del suo aiuto. Lui, in fondo, era già sceso all’Inferno una volta e, Dean ne era sicuro, avrebbe potuto digli se c’era anche solo una minuscola possibilità di fare lo stesso per Sam.
        Ma l’angelo l’aveva ignorato. O, forse, non aveva sentito la sua voce – possibilità sulla quale, tuttavia, per un milione di motivi, non s’era voluto soffermare.
 

        Quasi ventiquattro ore dopo l’ultima preghiera, sotto i lampioni d’una strada vuota, giocando l’ultima carta che gli restava, Dean Winchester aveva registrato quel messaggio sulla segreteria telefonica.)
 
 
 
 
 

        Cas.
        Devo― uh― vorrei parlarti. Ho provato a pregare, ma― sì.
        
        Richiamami. Se― se ci sei ancora.
 
 
 
 
 

        Dovettero passare due giorni perché il suo cellulare squillasse.
        La suoneria lo sorprese nel cuore della notte, cogliendolo mentre era spalmato sul bancone dell’ennesimo bar. Come un faro nel buio, sul display campeggiava il nome CAS.
 

        Dean fissò lo schermo senza reagire per diversi secondi, abbagliato. Senza accorgersene, trattenne il respiro, e nel frattempo il mondo rallentò per un attimo. Poi, in un lampo, tutto gli crollò addosso come una secchiata d’acqua fredda: si ritrovò a scacciare i fumi dell’alcol e a premere il pulsante verde e a lasciare una banconota stropicciata all’uomo che l’aveva servito, e un battito di ciglia più tardi era già fuori dal locale con la bocca dischiusa.
        Si sentì incapace di scandire anche solo una parola, perciò non fiatò.
 

        Per alcuni istanti, ci fu solo il nulla. Poi―
        «Dean» vibrò una familiare voce all’altro capo della linea, e il sollievo gl’inondò la pancia. «Dove sei?»
        «Cas». Quel nome gli si sciolse sulla lingua, morbido come il burro. «Uh―» cercando di non cedere al capogiro che gli oscurò momentaneamente la vista e allontanandosi a passo spedito dall’entrata del pub, borbottò il nome d’una cittadina e d’uno Stato, per poi precisare: «nel parcheggio dietro l’Indigo motel».
        E sulle note della sua ultima sillaba, tutto occhi blu e giacca beige, come un miraggio, Castiel gli comparve davanti.
        Come d’abitudine, invase i suoi spazi – se intenzionalmente o accidentalmente, Dean non avrebbe saputo dirlo, e non perse tempo a chiederlo. Né tantomeno a lamentarsene. Piuttosto, si lasciò rapire dalla lunga occhiata, da ambo le parti incredula e stremata, che si scambiarono mentre ancora stringevano tra le dita i rispettivi telefoni.
 

        L’angelo riprese parola per primo: Richiamami, se ci sei ancora gli aveva detto Dean nel suo messaggio, e allora «Ci sono ancora» soffiò, pacato, ignaro dei propri livelli di sentimentalismo.
        Quando il cacciatore realizzò a cosa l’altro si stesse riferendo, fu tentato di ribattere con sarcasmo. Non lo fece, però; si limitò ad abbozzare uno sbuffo malinconico ma contento, riponendo il cellulare in tasca.
        Cas lo imitò, aggiungendo: «Non ho potuto mettermi in contatto con te prima di adesso. Gli angeli sono… in rivolta, e ho molto di cui occuparmi». Non fornì alcuna precisazione a riguardo, lanciando piuttosto uno sguardo nel nulla come se fosse distratto. Dopodiché riprese: «Ma ho ascoltato le tue preghiere».
        Dean deglutì, sforzandosi di tenere a bada un tuffo al cuore. «Quindi, sai perché ti ho chiamato».
        «Credo di sì». Per un attimo, il silenzio li avvolse. «Onestamente, non credevo che l’avresti fatto».
        «Chiamarti?»
        «Sì».
        Si passò stancamente una mano sul viso. «Perché? Credevi che― che sarei sparito?» In effetti, come dargli torto? S’accigliò, adombrato. «Sì, beh, lo credevano tutti. Lo credevo anch’io. Ma la verità è che― non ce la faccio». Se avesse avuto meno alcol in corpo, forse, ammetterlo non gli sarebbe risultato tanto semplice.
        «Non era mia intenzione accusarti di nulla» precisò Castiel, notata la reazione indispettita dell’uomo. «Sono felice che tu abbia chiamato. Anche se l’hai fatto perché stai soffrendo».
        Al di là del dolore, Dean provò una vaga gioia. Desiderò d’esprimerla, di dire a Cas che anche lui era felice e soprattutto che gli era grato; grato perché non se n’era andato, perché era tornato per lui e perché l’aveva ascoltato. Ma non riuscì ad emettere alcun suono: nel suo petto, era tutto contenuto in camere blindate. Non poté che sperare che l’angelo capisse, allora. Intanto, deluso da se stesso, chinò e scosse appena la testa; in subbuglio, poi, si mosse istintivamente verso l’Impala, parcheggiata a qualche decina di metri di distanza.
        Castiel, taciturno, gli fu subito dietro.
 

        Raggiunta l’amata auto, il cacciatore trovò un pizzico di conforto nello sfiorarne la carrozzeria; abbastanza da decidere di tornare ad affrontare lo sguardo elettrico dell’altro.
        «Non―» bisbigliò, per poi schiarirsi la voce «non giriamoci tanto attorno».
        Cas piegò lievemente il capo da una parte e assottigliò le palpebre, senza ribattere.
        «Hai detto di sapere perché ti ho chiamato».
        «Ho detto di crederlo».
        «. Quindi― hm». Tentennò, affondando i denti in una guancia; era a tanto così dal porre la domanda, ma all’ultimo deviò e chiese: «Tu― non mi daresti mai false speranze, e non mi mentiresti. Vero, Cas?»
        L’angelo s’irrigidì e un’intricata ombra gli attraverso la faccia; una reazione, la sua, che apparve e scomparve troppo rapidamente per essere interpretata, e che in ogni caso passò in sordina, messa in secondo piano da un ferreo «No, Dean».
        E No, certo, pensò lui; Castiel non avrebbe avuto alcun motivo di mentirgli. Dunque prese un bel respiro, e: «Che tu sappia, c’è un modo per salvare Sam?»
        Ecco. Era giunto il momento della verità. Quasi tremò, attendendo un responso coi pugni stretti e la mascella contratta.
        Senza fare una piega, Cas si prese del tempo per riflettere, gli occhi puntati in un punto indefinito dello spazio. Dean stava più o meno morendo dentro, ma non gli mise fretta; piuttosto, s’addossò all’Impala in cerca di sostegno, sia fisico sia morale.
 

        Quando l’angelo tornò ad aprir bocca, parve quasi spezzarsi un sortilegio, tanto la sua voce s’impose di botto su ogni altro suono.
        «La gabbia di Lucifero deve rimanere sigillata» proferì. «Per Lucifero».
        Il cacciatore credette di captare una nota di tenue speranza e, teso, si umettò le labbra.
        «Sam non è Lucifero» concluse Castiel, serafico e sibillino.
        Il volto di Dean s’illuminò, mentre il vuoto gli attanagliava lo stomaco. «Quindi c’è una possibilità» mormorò, incapace di tenersi a freno; percepì ogni muscolo fremere, e per la prima volta dopo tanti giorni desiderò d’essere quanto più lucido possibile.
        Cas non commentò, serio e ancora intento a ponderare. Da fuori sembrava profondamente concentrato, come se ci fossero degli indicibili elementi nel salvataggio di Sam Winchester capaci di turbarlo oltremisura.
        Dean, esagitato, non si curò del dettaglio e bofonchiò, flebile e precipitoso: «Facciamolo. Qualsiasi cosa sia, facciamolo». Solo dopo un istante, col vento tiepido della notte a soffiargli sul viso, mise a fuoco che, forse, stava dando Castiel per scontato: aveva parlato di angeli in rivolta e di impegni, e ci aveva messo giorni a trovare dieci minuti per lui, perciò― «Uh, sei― sei con me?» domandò, incerto.
        Qualunque dubbio o peso avesse fatto aggrottare la fronte di Cas, e gli avesse sin lì inscurito i tratti, svanì, lasciando il posto ad un’espressione aperta e benevola. «Per fare del bene – sempre, Dean» disse con tono caldo.
        Di nuovo, l’altro non fu capace di dar voce alla propria gratitudine. Quella volta, però, non abbassò lo sguardo, e chissà come riuscì a decifrare quello dell’angelo: Cas aveva capito, lo seppe con certezza. Quasi, arrugginito, gli sorrise.
 

        Da un momento all’altro, l’aria non gli parve più tanto umida.
        Sotto al suo tocco, c’era l’Impala che sapeva di casa; al suo fianco, c’era Castiel pronto ad aiutarlo; e da qualche parte, c’era la reale speranza di rivedere Sammy. Era ancora scombussolato per via di tutto l’alcol ingerito e l’ombra d’un radicato pessimismo continuava a lacerarlo, ma Forse, si concesse di pensare ― forse, dopotutto, sarebbe riuscito a rimettere insieme i pezzi.







 
Angolo di Tormenta
Non mi è mai andato del tutto a genio il raccordo tra la quinta e la sesta stagione. Così, mi sono permessa di rielaborarlo. c: Spero vi abbia convinti almeno un pochino.
A presto! Baci,
T. ♪

P.S.: Di solito aggiorno le mie storie con costanza. Qui non lo sto facendo perché questi racconti sono tutti sfoghi non programmati, per di più autoconclusivi. E boh, sento quasi il bisogno di scusarmi, anche se probabilmente i “ritardi” nella pubblicazione danno più fastidio a me che a voi.
   
 
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