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Autore: Nat_Matryoshka    30/06/2016    2 recensioni
Dal testo;
"Fin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata, Lyanna era sempre stata una ragazza forte, una guerriera più che una lady del Nord. Vinceva tornei (sotto mentite spoglie, è vero, ma un torneo l’aveva vinto), si batteva come un ragazzo, cavalcava, tirava con l’arco… non aveva mai visto né incertezza né paura tenderle i lineamenti, anzi sembrava non esserci posto per quei sentimenti in lei, almeno quando erano insieme. Era la sua lady di Ghiaccio: forte, pura, indomabile.
Fino a quando non aveva scoperto di essere incinta del suo terzo erede."

[What if: e se la Battaglia del Tridente avesse avuto un esito completamente diverso? Se Rhaegar e Lyanna fossero sopravvissuti e avessero avuto la possibilità di incontrarsi di nuovo, insieme ad Aegon e a Jon?]
Storia completamente revisionata!
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXIII
 
 
 


“I don’t know what we’re doing,
I don’t know what we’ve done,
but the fire is coming
so I think we should run.”
 [Daughter - Run]

 
 
 
 


Suo figlio cavalcava a briglia sciolta davanti a lui, e tutto ciò che riusciva a vedere erano i suoi capelli d’argento. Brillavano nel sole come pigri fili preziosi lasciati scivolare da un ricamo non terminato, ne catturavano i raggi e rischiavano di abbagliarlo ogni volta che distoglieva lo sguardo dalla strada per fissarlo altrove, preso com’era dal nervosismo per quell’incontro coi principi di Dorne.

Oberyn Martell. Quante volte aveva ripetuto quel nome nella mente, girandolo, sussurrandolo, trasformandolo in un concetto astratto che continuava a sfuggirgli inesorabilmente? E quante volte si era chiesto se aveva fatto davvero bene, a portare con sé solo suo figlio e un piccolo numero di guardie fidate, strategicamente prive di stendardi se non per un piccolo vessillo dei Targaryen che aveva fatto realizzare appositamente per quella visita? Troppe, tanto che si era stufato di tormentarsi e aveva semplicemente accantonato il tutto concentrandosi sul percorso da compiere per giungere alla meta, all’estremità opposta del Continente Occidentale. Giorni di marcia, di pioggia e sole, di vento e di attesa. Soprattutto di attesa.

Aegon non gli sembrava scontento, e forse era l’unico a sentirsi in quel modo, tra loro. Il suo cavallo procedeva spedito in testa al corteo – lo aveva lasciato fare, un po’ di entusiasmo avrebbe sollevato l’umore a tutti – distanziandoli di poco, il ragazzo stringeva le briglie e ogni tanto si voltava per controllare che il padre lo seguisse senza allontanarsi dai suoi uomini, ricevendo in cambio occhiate ora attente, ora distratte, e qualche sorriso appena accennato. Rhaegar ripensò al ragazzo che era stato anche lui, ma trovò difficile accostare il giovane silenzioso e amante dei libri, completamente immerso nell’amore per la propria arpa, all’irruenza del figlio e alla vivacità del sangue dorniano che scorreva nelle sue vene.
Qualunque pensiero l’avrebbe distratto dall’idea di Dorne e della lontananza da Lyanna, il problema è che non gli riusciva di afferrare quello giusto. Ogni attimo era buono per tornare a tormentarsi su ciò che non era ancora avvenuto, creare ipotesi nella propria testa, negoziare col nulla. Voglio riconquistare i Sette Regni e restituirli alla mia dinastia, come deve essere fatto. Ma ho bisogno del vostro aiuto, siamo deboli e soli, io e mio figlio. Quale sarà il prezzo da pagare?
Troppa umiltà non avrebbe giovato all’immagine di un futuro regnante, ma non sarebbe risultato credibile fingendosi potente, più temibile di quanto non fosse in realtà. Gli sembrava di vederli, il principe Doran e suo fratello Oberyn che lo osservavano di sottecchi, sprezzanti, inavvicinabili… ma non aveva alternative, se non quella di inchinarsi e accettare ciò che il destino gli avrebbe consegnato. Lo doveva ad Aegon, a Jon, a sua moglie: l’unico indennizzo ad una vita di rinunce e segretezza, dopo averle portato via una parte di giovinezza.
Sempre che non avesse vacillato prima di poter ottenere alcunché, come temeva sarebbe successo…

Scrollò la testa per impedire a quel pensiero di attecchire alla sua mente, tentando di concentrarsi nuovamente sul paesaggio. Erano in viaggio da giorni, circondati da sabbie e vegetazione sempre più scarsa, con le torri di Lancia del Sole dritte davanti a loro, come soldati sull’attenti in attesa di ordini.
 
 

***
 
 

Una regina deve sorridere quando il momento lo richiede e piangere quando sono i suoi sudditi a farlo per primi, così le aveva insegnato suo padre. Non deve mostrare la propria vera faccia dietro alla maschera di magnanimità e grandezza che le copre il viso. I sudditi devono vedere solo quello che un regnante decide di fare mostra, che si tratti di gioia o di dolore: scoprire il proprio viso significa rendersi vulnerabili. E la vulnerabilità è l’ultima cosa che una regina può desiderare.
Tywin Lannister insegnava con voce severa e sua figlia, per quanto sembrasse la meno adatta a ricevere le sue lezioni, taceva e imparava. E aveva conservato quegli insegnamenti per anni, fino a quel giorno.
Suo marito, il re, stava morendo. Suo figlio Joffrey era ancora troppo giovane per poter governare. Era la regina, ora, a tirare le fila di tutto. Perché allora non si sentiva soddisfatta, come se le mancasse qualcosa di fondamentale che non riusciva a richiamare a sé per quanto potesse sforzarsi?
Strinse un pugno, appoggiandolo con tanta foga sulla pietra della finestra da graffiarsi il lato della mano. Reggeva le redini dei Sette Regni, ormai. Era la donna più potente di Approdo del Re, forse dell’intero Continente Occidentale. Suo marito stava per morire, lasciandole quel ruolo che aveva sognato per anni, per una vita intera. Avrebbe potuto finalmente decidere da sola cosa fare, come agire…
Eppure restava lì, ferma, a mordersi le labbra. Una ragazzina insicura che si era sempre nascosta dietro una maschera adatta ad ogni occasione, senza tradire gli insegnamenti del padre. Tywin Lannister sarebbe stato fiero di lei: chissà, forse l’avrebbe davvero lasciata governare, senza cercarle per forza un nuovo marito a cui affiancarla. E poi…

Il rumore di un’armatura che si avvicinava lungo il corridoio la strappò ai suoi pensieri, riportandola alla realtà. Jaime.

“Hai avvelenato il vino, non è vero?”

Cersei ne aveva sopportate abbastanza per quel giorno da lasciar passare anche l’insolenza del fratello. Scattò in avanti, spingendogli prepotentemente una mano sulla bocca, per quanto il corridoio fosse praticamente deserto. “Stai zitto, idiota! Vuoi che ci sentano fino a Grande Inverno?”

“Pensi che sia rimasto ancora qualcuno che non abbia capito la tua strategia?” fu la sua risposta, arrogante, un’aggressività preoccupata e trattenuta a stento. Jaime sorrise amaramente. “Robert sta morendo, ferito da un cinghiale che avrebbe dovuto abbattere… ed era ubriaco, per colmo della sfortuna. Che caso, vero? Un marito ingombrante, che non ti ha mai amata,che scompare in circostanze tragiche e lascia tre figli, nessuno dei quali può governare.” Si interruppe un attimo, solo per lanciare uno sguardo alla sorella. Cersei cercava di trattenere a stento il livore, così come Jaime controllava la rabbia senza farla esplodere, accarezzandola come avrebbe fatto con una belva feroce pronta da aizzare al momento giusto. “Quale occasione migliore di regnare per una splendida, giovane regina? Era un peccato sprecarla, non sarebbe stato da te.”

La donna aveva preso a camminare per la stanza. Jaime continuò, imperterrito, vomitava tutti i pensieri peggiori che covava da quella mattina, dal momento in cui era stato richiamato per pattugliare il castello mentre i Maestri si affollavano fuori dalla stanza del re. Non provava una grande simpatia per Robert, doveva essere onesto, e non aveva esitato prima di restare vicino a sua sorella infischiandosene del marito, ma da lì a desiderare di vederlo morire…

“Così, ora hai ottenuto quello che vuoi, Cersei. Sarai regina… a meno che nostro padre non decida di riprendere il controllo del gioco e di usarti come pedina, cosa che probabilmente farà.” Si concesse un attimo di pausa. Voci lontane, non ben identificate, si inseguivano per i corridoi. “Non ci avevi pensato?”

A Cersei tremava la voce, ma fu un attimo: il secondo dopo, ogni traccia di incertezza era sparita, mentre la rabbia finalmente iniziava ad attaccare il suo bersaglio. Era in piedi davanti a Jaime e lo fissava come non aveva mai fatto in vita sua, livida, il tremito delle labbra che si trasferiva alle mani.

“L’ho fatto per noi, Jaime. Solo per me stessa… e per noi. Non lo capisci? O forse non te ne importa più nulla, dato che sei venuto qui ad accusarmi del delitto… al quale hai partecipato anche tu? Si, anche tu… indirettamente, hai contribuito ad aiutarmi, e abbiamo tre figli, nati alle spalle di Robert. Credi di essere innocente, Cavaliere della Guardia Reale senza macchia? Ti senti al sicuro?”

Gridava sempre più forte, ormai, sentiva la gola seccarsi e afferrare la voce per spegnerla, senza riuscirci. Le cose non stavano andando come desiderava, si sentiva debole e più la debolezza aumentava, più una sensazione di impotenza rabbiosa si faceva viva e la pungolava, impedendole di ragionare con lucidità. Si era ripromessa di chiedere a Jaime di aiutarla, come fratello e come l’unico uomo che amava e che avrebbe voluto al suo fianco, ma sentiva di non potercela fare più. Non in quel clima, non con il gemello che le dava della stupida accusandola di aver commesso un azione con leggerezza, tanto per giocare a fare la governante perfetta. Come avrebbe potuto fidarsi di lui, ora che le aveva voltato le spalle?

Ma Jaime si era già girato verso la porta, e nel suo sguardo c’era qualcosa di stanco e anziano, quasi fosse invecchiato di dieci anni in una notte. Anche la voce con cui le rispose era incolore.

“No, Cersei. Non l’hai fatto per me. Hai smesso da tempo di considerarmi l’unica cosa per cui valga la pena combattere, e lo sai anche tu. Lascerei perdere ogni cosa e smetterei con questa farsa, se solo non mi importasse davvero dei nostri figli… loro non hanno colpa della nostra stupidità. Né delle tue ambizioni.”

“Nostro padre non metterà le mani sul regno, Jaime. Non finché io sarò regina dei Sette Regni.”

Cersei era pallida come non l’aveva mai vista, il bel viso sciupato, consumato dalla foga che l’aveva scossa durante quella conversazione. Un altro Jaime l’avrebbe abbracciata, consolandola, lui non poteva cedere: si era ripromesso di staccarsi dall’influenza che aveva su di lui. Sua sorella avrebbe potuto anche continuare ad inseguire una gloria irraggiungibile, ma lo avrebbe fatto da sola.

“Vorrei che fosse così semplice, Cersei… sfortunatamente, conosci nostro padre bene quanto me.”
Le voltò le spalle ancora, ed ebbe la sensazione di riguardare se stesso che compiva la medesima azione innumerevoli volte senza trovare pace. Scosse la testa senza dire nulla mentre abbandonava la stanza con passo grave, l’armatura da Guardia Reale che gli conferiva prestigio anche se non c’era nessuno a vederlo e a confidare in lui, lì nel corridoio, mentre tutto il castello aspettava.

Dietro di lui, Cersei fissava la sua schiena lucente di metallo, le labbra ancora trattenute in una linea sottile che restava ferma, la rabbia che ancora galoppava. Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma rimase in silenzio.
 
 

***
 


Il Principe Doran Martell di Lancia del Sole li aspettava nel cortile del suo palazzo, seduto su un’elegante poltrona dallo schienale imbottito.

Rhaegar Targaryen e suo figlio Aegon erano stati accolti come si conveniva a dei principi del loro rango: con acqua fresca e frutta di stagione, e dei servi che avevano provveduto a farli accomodare nella zona più areata del cortile, in attesa che i principi li ricevessero. Con grande sorpresa di Rhaegar, nessuno sembrava particolarmente stupito della loro presenza, come se fosse quasi normale veder comparire un uomo creduto morto da anni in compagnia del figlio, così da un momento all’altro. Forse la notizia della battaglia del Tridente non era giunta fin lì… o forse – aveva più senso – gli uccelletti erano arrivati fin lì a cinguettare notizie che erano rimaste all’interno del palazzo di Lancia del Sole.
Quando erano stati chiamati per la loro udienza, avevano seguito una serva alta e sottile dai capelli neri lunghissimi lungo un corridoio con i pavimenti di pietra battuta e costeggiato da colonne fino ai giardini interni al palazzo. Il principe Doran, cognato di Rhaegar e zio di Aegon, era seduto su una poltrona imbottita non lontano da una splendida fontana colma d’acqua, dove dei pesci rossi nuotavano tra le piante galleggianti. La gamba malata poggiava su di uno sgabello intarsiato, ma nonostante la sua salute non fosse delle migliori lo sguardo del principe era sempre attento, pronto a cogliere qualunque variazione d’umore passasse sul viso dei propri familiari o cortigiani.

Alle sue spalle, in piedi, c’era il principe Oberyn, il più giovane della famiglia. Quel giorno indossava un abito ocra aperto sul petto, finemente ricamato, e osservava i nuovi arrivati con uno sguardo calcolatore che non piacque affatto a Rhaegar. Fin dall’inizio aveva compreso che il principe sarebbe stato l’ostacolo più grande al raggiungimento del suo obiettivo, ma aveva cercato di accantonare quel pensiero, concentrandosi su ciò che avrebbe dovuto dire per spiegare la sua situazione… con gli occhi dell’uomo addosso, però, si rese conto di aver sbagliato nel dimenticare proprio quel dettaglio. Oberyn non sembrava esattamente intenzionato a lasciarli andare con facilità, e l’idea di Aegon di smuovere l’animo degli zii solo mostrandosi sembrava goffa e ingenua, impossibile da portare a compimento. Avrebbe dovuto lottare per affermarsi, lo sentiva. Del resto, ci era abituato.

Doran li salutò con un gesto della mano e un sorriso, enorme, rivolto al nipote. “Aegon, ragazzo… non pensavo che sarebbe mai arrivato il giorno in cui ci saremmo incontrati. E, principe Rhaegar… i miei rispetti. Siete i benvenuti qui, per cui potete accomodarvi dove preferite.” Fece cenno a degli sgabelli disposti attorno ad un tavolino carico di incensi e portate di cibo, così che gli ospiti potessero accomodarsi. Oberyn restava in piedi dietro alla sedia col sorriso stampato sulle labbra, finché non ruppe il silenzio con poche frasi scelte con cura.
“Principe Rhaegar… ed Aegon, mio nipote. Qual buon vento vi porta qui dal Nord? Sicuramente qualcosa di importante, se vi siete scomodati a compiere un viaggio così lungo.”

Rhaegar inspirò profondamente, sperando che la preoccupazione che provava non fosse trapelata attraverso il viso. Per un attimo ebbe la tentazione di allontanare il figlio toccandogli leggermente il braccio, come aveva fatto fino a quel momento ogni volta che doveva discutere di situazioni difficili e di decisioni importanti, ma capì che non poteva farlo: Aegon era cresciuto, ormai era abbastanza adulto da essere coinvolto in prima persona nelle discussioni che lo riguardavano. Conosceva la storia della propria famiglia, le sue origini. E quelli di fronte a lui, che a Rhaegar piacesse o no, erano i suoi zii. Sangue del suo sangue. Come avrebbe reagito Elia, se avesse saputo che il marito lo aveva considerato un bambino per l’ennesima volta?

Non doveva proteggerlo da nessuno. Erano lì, insieme, e si sarebbero sostenuti a vicenda.

Raccolse le forze e si sedette assieme al figlio, pronto a raccontare la storia dall’inizio. Non proprio dal vero inizio – quella di Jon l’avrebbe custodita per sé, riguardava solo lui e Lyanna, alla fine -  ma abbastanza dall’inizio da permettere ad entrambi di farsi un’idea della situazione: Dorne, il regno più riluttante a far parte dei Sette, era sempre stato il più isolato.
“Spero che abbiate tempo, miei principi, perché il vento che mi porta ha molto da dire. E non basteranno poche ore, temo, per discutere del problema che necessita la vostra attenzione.”

Accanto a lui, Aegon spostava lo sguardo dai papiri a bagno nell’acqua della fontana all’abito ocra di suo zio Oberyn, la Vipera Rossa di Dorne, senza saper bene dove fermarlo.
 
 
***
 
 


Robert Baratheon morì un pomeriggio, prima che il principe Rhaegar giungesse a Lancia del Sole.

Morì mentre il giovane che credeva suo figlio, Joffrey, si esercitava nell’uso delle armi in cortile, la mente già piena di sogni sul momento in cui sarebbe succeduto al padre diventando re. Morì mentre, al Nord, la donna che aveva amato per anni sedeva accanto alla finestra della torre più alta di Grande Inverno pensando al marito in viaggio per il Sud. Non si erano più visti, lui e Lyanna, ma l’immagine di lei gli aveva attraversato la mente, di tanto in tanto. Assieme al pensiero che, per quanto potesse averla amata e la amasse ancora, probabilmente gli Déi avevano scelto un destino diverso per entrambi.
Ned Stark era al suo capezzale, pronto a trascrivere le sue volontà, solo con le scoperte che aveva appena fatto: ora che anche Robert moriva, era l’unico a sapere la verità sulle ricerche di Jon Arryn in merito alla discendenza del legittimo re. La prudenza gli suggeriva di lasciar perdere e portare quel segreto con sé una volta terminato l’incarico di Primo Cavaliere, ma l’idea che non fosse giusto, che i Sette Regni non potevano essere lasciati nelle mani di una donna pronta a tutto pur di ottenere ciò che desiderava, continuava a tormentarlo.

Forse avrebbe continuato ancora, fino a che non avesse preso una decisione riguardo a quel diario che occupava il suo baule, e sembrava pesare più di un macigno.

 
 
 









Noticine di Nat
Niente da dire, se non che il ritardo è stato veramente abissale e che, tra tesi di laurea da scrivere, altre fanfiction e vari cali di ispirazione, purtroppo sono riuscita a produrre poco o nulla. Un capitolo di passaggio, ma che in qualche modo introduce gli eventi verso una grossa svolta, forse la più grande finora.
Fuggo, ma prima ci tengo a ringraziare tantissimo chi, nonostante il ritardo negli aggiornamenti, continua a leggere, recensire e aggiungere la storia a preferite e seguite. Siete sempre tantissimi e spero sempre di non deludervi <3


Piccolo edit di Settembre 2017
Ehi, prode lettore! Proprio tu, che ti sia avvicinato solo ora alla mia storia o che sia rimasto nonostante i vari ritardi e gli aggiornamenti così distanti tra loro!
Grazie di cuore per il tuo appoggio e per tutto l'amore che hai dedicato al mio lavoro, leggendolo, inserendolo nelle preferite/seguite/ricordate/, commentandolo... il blocco dello scrittore mi è stato addosso per mesi e non avevo molta voglia di continuare questa fanfiction, anche se Rhaegar e Lyanna sono una delle mie OTP assolute e adoro scrivere su di loro. Poi, tra ultimi esami e tesi di laurea, potrai capire che ho potuto dedicarmi ben poco alla scrittura... fino al finale della settima stagione. Il tuo entusiasmo, il lavoro di brainstorming ed editing fatto assieme alla bae Ailisea e la canonizzazione della R+L hanno riacceso la voglia di riprendere in mano tutto il lavoro, che hai appena letto in versione editata e corretta. Spero davvero che l'ispirazione mi assista costantemente, per regalarti altri aggiornamenti che ti appassionino come i precedenti! Nel frattempo, però, ti ringrazio ancora di cuore e spero di trovarti ancora tra i miei lettori, anche in storie di altri fandom :)

Rey
 

 
 
 
 
   
 
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