Non so come introdurre questa storia. All’inizio non c’è
una trama precisa, si svilupperà più avanti.
La poesia di Robert Frost che ho messo all’inizio è
una delle mie preferite in assoluto.
Spero che la storia vi piaccia.
STRADE
Due vie si dipartivano in un bosco giallo,
E dispiaciuto di non poter a un tempo
Percorrere l’una e l’altra, a lungo mi fermai
E seguii tutta la prima con lo sguardo
Fino a dove essa girava fra gli arbusti;
Poi presi l’altra, che era altrettanto buona,
Con forse un motivo in più per farsi preferire,
Essendo tutta erbosa e assai poco segnata;
Sebbene, quanto a quello, il transito di là
Le avesse, in fondo, rese più o meno uguali,
E fossero ambedue coperte quel mattino
Di foglie da nessuno calpestate e annerite.
Oh, mi
riservai la prima per un altro giorno!
Ma
sapendo che più si va, più si è costretti ad andare,
dubitavo
se mai sarei tornato indietro.
Tutto
questo racconterò con un sospiro
un
giorno e un luogo lontanissimi da ora:
Due
vie si dipartivano in un bosco e
Io
presi quella che meno era battuta,
E
tutta la differenza stette in questo.
Robert Frost
CAPITOLO
PRIMO: MATTINA
Ero circondata d’azzurro.
Il mare brillava al
sole del primo mattino, il cielo era limpido senza una nuvola. Era ancora
presto quindi non c’era afa, anzi, soffiava un leggero venticello, che faceva
ondeggiare l’erba e gli arbusti ai lati della strada.
Arrivai alla scogliera
godendomi la sensazione del mondo che sfavillava intorno.
Mi accoccolai sulla
roccia che mi sembrava più comoda, con l’album da disegno in grembo.
Adoravo quel posto.
Durante l’alta marea il mare arrivava a coprirlo per un buon tratto, così,
quando poi si ritirava lasciava delle pozze d’acqua nelle cavità della roccia.
Guardando nell’acqua cristallina potevo trovare pesci, granchi o molluschi che
erano rimasti intrappolati all’ arrivo della bassa marea, oppure potevo anche
solo godermi la roccia blu-viola ondulare, scomporsi e ricomporsi deformata
dall’acqua.
Arrivando al limite
estremo, nei giorni di calma, osservavo le onde che si infrangevano scrosciando
lungo gli scogli.La formazione compatta dell’acqua si lanciava impavida contro
la roccia, ma non potendo rompere le sue difese si sfaldava in mille goccioline
e schiuma bianca.
Mi disturbava che ci
fosse altra gente. Parlando mi impediva di ascoltare i suoni del mare o lo
stridio dei gabbiani che sorvolavano il promontorio, per questo ci andavo
sempre la mattina presto, quando non c‘era nessuno.
Così la mia immediata
reazione quando, alzando un attimo gli occhi dal foglio su cui stavo
disegnando, vidi una persona camminare tra le rocce, fu di irritazione e
delusione.
Era una giornata così
bella, ideale per darmi la forza di disegnare. Chi era quello scocciatore?
Sperai che fosse solo di passaggio e se ne andasse in fretta.
Invece non sembrava
affatto intenzionato a sgombrare il campo, oltretutto mi aveva notata e si
stava dirigendo verso di me. Accidenti!
Abbassai di nuovo lo
sguardo sul foglio fingendo di non averlo visto e cercai di riprendere la
concentrazione sul disegno.
Stavo riproducendo una
visione generale degli scogli cercando in particolare di rendere il riflesso
sfaccettato delle rocce sull’acqua. Una cosa abbastanza complicata.
<< posso
vedere?>>
Non mi ero accorta che
si fosse avvicinato così tanto!
Gli lancia un’occhiata
irritata. O meglio, questo è quello che avrei voluto. A causa della timidezza
cronica che mi affligge non riesco mai a rivolgermi con spontaneità agli
estranei, quindi probabilmente quello che gli lanciai somigliava più ad uno
sguardo spaventato.
Era un ragazzo tra i
diciotto e i vent’anni, con i capelli castano chiaro e gli occhi scuri, molto
carino e decisamente alto.
Avvicinò il viso all’album
e osservò attentamente il disegno, poi alzò lo sguardo e osservò con uguale
attenzione gli scogli che stavo riproducendo, quindi guardò di nuovo il mio
lavoro.
Ero stupita e anche a
disagio. Non era la prima volta che qualcuno mi chiedeva di vedere i miei
disegni, ma si trattava spesso di oziosa curiosità. Questa gente lanciava loro
occhiate distratte, li liquidava con uno sbrigativo <
Il ragazzo invece mi
disse, serio <
Lo fissai in preda a
emozioni contrastanti; da: <
Comunque tentai di
atteggiare il viso ad una sprezzante indifferenza.
<< ti sei
offesa?>>
Quel sorrisino che
aveva stampato in faccia mi stava dando sui nervi.
<< certo che no!
Bisogna saper accettare anche le critiche>>
Il sorriso aumenta:
<< la mia non era certo una critica >>
<< e che cos’era
allora?>>
<< un
consiglio>>
Ma chi si crede di
essere!?
Raccolsi matite e
pennini e mi alzai. << a quest’ora la scogliera diventa troppo affollata
e non si riesce più a lavorare in tranquillità. Arrivederci>>
Mi voltai e mi
incamminai verso casa.
<< magari ci si
rivede in paese >> sentii che mi gridava dietro.
<< forse>>
risposi. Si, come No.
Girai l’angolo e salii
la ripida stradina che si inerpicava per la collina, con la mano che stringeva
forte l’album da disegno. In poco tempo arrivai al muro di cinta della casa del
nonno, dove stavo per l’estate.
Mi infilai nel giardino
di limoni subito dietro il cancello. Erano pieni di frutti. I bei frutti gialli
e ruvidi che, anche se così piccoli, hanno tutta la promessa dell’estate
dentro.
Ma quel giorno neanche
i limoni mi calmarono. Certo, l’incontro con un ragazzo impiccione è una cosa
da niente, se non fosse per quelle parole.
<
Erano le stesse parole
che mi andavo dicendo da mesi, sebbene non le avessi espresse in modo così
chirurgicamente preciso.
Non riuscivo a
lasciarmi andare, quando dipingevo o disegnavo. Me ne ero accorta da un po’, di
questo muro che mi bloccava, ma non riuscivo a demolirlo. Il muro era stato
eretto da me, dalla mia cautela, dalla mia ossessiva attenzione ai particolari,
dalle mie riflessioni, che spesso strozzavano le idee per disegni o quadri.
Avevo dipinto qualcosa
ultimamente ma con risultati mediocri, che mi scoraggiavano.
È sempre stato il mio
sogno quello di diventare un’artista, ma non mi è mai sembrato tanto
irraggiungibile come in quel periodo.
Staccai
la schiena dal tronco dell’albero dove mi ero appoggiata e mi trascinai
depressa verso casa.