Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _ale18e    02/07/2016    0 recensioni
Questa è la storia di una ragazza che si è appena trasferita a Londra con la madre; una ragazza che vuole crearsi una nuova vita e dimenticare il suo passato.
Questa è la mia storia.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 6 Avevo sempre amato il Natale. Adoravo addobbare l'albero insieme ai miei genitori, lo scambio dei doni con i parenti e i canti natalizi. Mi piaceva l'atmosfera di gioia che aleggiava ogni anno in quel periodo. Amavo i regali e credo ancora in Babbo Natale. Ma col passare degli anni era tutto svanito. Mio padre se n'era andato, mia madre non aveva più voglia di fare niente; non tirammo più fuori l'albero e i parenti iniziarono a venire sempre meno spesso.
Ero addirittura arrivata ad odiare quel giorno. Speravo vivamente che quell'anno sarebbe accaduto qualcosa di diverso. Ero in una nuova città, con nuove persone, e speravo di poter ricominciare daccapo. Anche mia madre era molto più tranquilla e, forse, anche felice. Probabilmente saremmo state solo noi due a festeggiare, ma la cosa non ci dispiaceva. Sarei passata a salutare gli altri a casa di Emily nel pomeriggio, e sarei tornata a casa per cenare con lei. Ero fermamente convinta che quell'evento sarebbe stato una svolta. E lo fu, anche se non in positivo.
La neve si depositava sul terreno mentre camminavo e mi dirigevo verso casa di Emily. Era poca e appena si depositava a terra si scioglieva, rendendo il terreno leggermente scivoloso. In mano tenevo i pacchetti con i regali per i miei amici, e stringevo convulsamente il laccetto delle buste; ero leggermente in ritardo, ed anche un po' nervosa. Avevo una strana sensazione, che non sapevo spiegarmi. Camminavo a passo veloce, senza curare di chi mi passava vicino. A quell'ora erano già tutti a casa per festeggiare, e non c'era anima viva. Sentivo le risate e le chiacchiere delle persone provenire da qualche appartamento, ma per strada c'era il silenzio, interrotto solo dal rumore dei miei passi sul marciapiede e da qualche macchina che passava ogni tanto. Accelerai il passo, impaziente di arrivare. Fissavo il terreno, ripensando a tutte quelle volte che avevo percorso quella strada. Oramai avevo imparato a memoria quel cammino; ripetevo a mente passaggi da fare, mentre contavo i passi che facevo. In poco tempo mi ritrovai davanti alla piccola porta di legno nero del suo condominio. Abitava in una via colorata piena di negozi di ogni genere, che quel giorno erano quasi tutti chiusi. Il che rendeva la strada molto meno vivace. Il suo appartamento era abbastanza piccolo: c'ero stata parecchie volte da quando ci eravamo incontrate, e i genitori di lei mi adoravano come facessi parte della famiglia. Cercai il nome sul citofono, appena lo trovai pigiai con forza il tasto e aspettai una risposta. Lo stridio del citofono mi arrivò alle orecchie. - Sì? - sentii una voce nasale dall'altra parte. - Sono io - dissi, non pensando che avrebbero potuto non capire. Il portone si aprì con uno scatto. Lo spinsi con forza, richiudendolo alle mie spalle. Emily abitava al quinto piano, e quel giorno l'ascensore era guasto, così iniziai a salire le rampe di scale. Dopo un po' iniziai a sentire la stanchezza, ma non mi fermai. Per fortuna mi accorsi in tempo di Emily, che correva energica per le scale. Per poco non mi travolse, ma io mi aggrappai appena in tempo al corrimano. - Emily... - dissi io, ridendo. - Robin non puoi capire - sorrideva radiosa. - Sbrigati a salire, c'è una sorpresa - la guardai stupita. Provai a farle qualche domanda mentre percorrevamo gli ultimi piani rimasti, ma non riuscii a carpire nessuna informazione. Sembrava molto felice, ed ero molto curiosa di scoprire il motivo.
Quando arrivammo la porta era aperta. Entrando mi ritrovai nel solito piccolo salone, con un divano ad angolo e dei quadri variopinti appesi alle pareti. La vecchia televisione era appoggiata su un mobile di legno. Mi guardai intorno, ma non notai niente di strano. Fino a che il mio sguardo non cadde su una figura nuova: una ragazza bionda, con due piccoli occhi scuri e un paio di occhiali neri sul naso, leggermente all'insù. Era abbastanza carina. Mi accorsi solo successivamente che era seduta vicino a Dylan; parlano fitto e ridacchiavano, i visi talmente vicini che i loro nasi si sfioravano. Cameron era vicino a loro, infastidito, che giocava distrattamente al cellulare. - Lei è.. - sussurrai all'orecchio di Emily. Sapevo cos'era, ma non volevo dirlo ad alta voce. Speravo lo facesse qualcun altro al posto mio. - Robin! - esclamò lui non appena si accorse della mia presenza. Si alzò dal divano, tenendo la mano di quella ragazza. Si avvicinò a me molto lentamente, o almeno così percepii io. Il tempo sembrò rallentare, e sperai si fermasse del tutto. In quel momento avrei voluto scappare ed evitare quella discussione. Evitare quelle parole, che sapevo mi avrebbero ferito come dardi.
- Mi sono fidanzato - era così felice, mentre pronunciava quelle parole. Non l'avevo mai visto così entusiasta, con me. Mi chiesi se provasse piacere nel farmi sentire in quello stato. Poi pensai di essermelo meritato. Per tutte quelle volte che l'avevo evitato e ignorato. Era troppo tardi. Mi accorsi di avere le labbra leggermente socchiuse, quindi le serrai con forza, mordendomi il labbro. Finsi un sorriso. - Complimenti - esclamai. Poi mi voltai verso di lei.
Feci strisciare il mio sguardo sulla sua figura, e in quel momento non riuscii a trovarle un difetto, accecata dalla mia poca autostima. Ai miei occhi era perfetta, e questa cosa mi faceva imbestialire ancora di più. - Piacere, io sono Robin - allungai la mano. Lei la strinse saldamente. - Sì, Dylan mi ha parlato tanto d te - gli lanciai una breve occhiata, ma lui distolse immediatamentelo sguardo. Lo ignorai, tornando a fissare lei. - Mi chiamo Janette, comunque - le sorrisi debolmente, lasciando cadere il braccio lungo il fianco. Sospirai:- A saperlo ti avrei preso qualcosa - dissi indicando i pacchetti per poi posarli a terra. Mi tolsi il cappotto e lo piegai ossessivamente, posandolo poi sul divano. - Non ti preoccupare, nemmeno io sapevo niente - mi sedetti vicino a Cameron, concentrato a guardare lo schermo. Appena mi avvicinai a lui tolse il telefono e mi guardò come se fossi la sua unica speranza di sopravvivenza. - Allora... come vi siete conosciuti? - chiesi fingendo interesse. - Prendevamo l'autobus insieme - Dylan rispose esaustivo, senza nemmeno guardarmi. - Già da un po', a dire il vero. Qualche settimana fa abbiamo iniziato a parlare - aggiunse lei sorridendo. Annuii, e seguì un silenzio un po' imbarazzante, mi guardai intorno, sperando che sarebbe finito presto. - Ehi, vi ho mai raccontato come ci siamo conosciuti io e Cam? - disse Emily. - Preparatevi perchè è davvero esilarante - e forse lo era davvero. Non avevo mai sentito quella storia, ma quello non era il momento giusto. Seguii a malapena il suo discorso, troppo concentrata su quei due che si tenevano per mano. Sentii solo qualche parola, quando ad un certo punto esplosi. Mi alzai quasi di scatto, nel bel mezzo della storia ed esclamai:- Vado un attimo in bagno - senza aspettare una risposta attraversai il piccolo corridoio e mi chiusi in bagno. Aprii l'acqua e mi diedi una sciacquata alla faccia, sperando di lavare via le emozioni e di svegliarmi da quell'incubo. Mi guardai allo specchio: i miei occhi marroni erano tristi e avevo un leggero fiatone, come se avessi corso. Senza asciugarmi la faccia indietreggiai, sfinita. Inciampai nel tappeto azzurro per terra e caddi sopra il coperchio del gabinetto, abbassato. Colsi al volo l'occasione per riposarmi. Poggiai i gomiti sulle ginocchia e iniziai a riprendere fiato. Sentii una lacrima scivolarmi lungo la guancia. La asciugai in fretta, tentando di fermermi. Non volevo piangere. Ma quasi contro la mia volontà iniziarono a scendere copiose. Io tentavo di trattenermi, ma non ci riuscivo. Mi sentivo debole. Quel pianto fu silenzioso. Neppure un singhiozzo uscì dalla mia bocca. Non so quanto tempo rimasi là dentro, ma dopo qualche minuto le lacrime si fermarono, e io rimasi in posizione fetale, fissando il pavimento.
In quel momento la porta si aprì lentamente, cigolando. Non tentai nemmeno di nascondermi, non mi importava di quello che avrebbero pensato gli altri. La porta si chiuse di nuovo, dopo qualche secondo. - Robin - la voce calma e gentile di Emily mi giunse chiara. Io non le risposi. - Perchè piangi? - mi chiesi. Rimasi in silenzio per qualche secondo. -. Non lo so - la mia voce era roca e bloccata. Tossii per schiarirla. - È per... - non concluse la frase. Forse non ne aveva il coraggio. Aprii la bocca per rispondere, ma ne uscii solo un singhiozzo. Mi asciugai gli occhi ancora una volta, sperando di non ricominciare a lacrimare. Lei si inginocchiò di fronte a me, in modo da potermi guardare in faccia. - Ehi - mi posò entrambe le mani sulle spalle, stronfinandole per fare calore. La ringraziai, continuando a fissare un punto indeterminato del pavimento. - Avresti dovuto dirmelo - allontanò le mani, guardandomi. Non aveva un tono deluso, forse più di rimprovero. - Non immaginavo ti piacesse - tirai su col naso e voltai la testa verso la porta. - Non mi piace - dissi con poca convinzione. - Andiamo, è chiaro - si alzò in piedi, progendomi la mano e invitandomi a fare lo stesso. Rifiutai la mano e mi alzai con le mie sole forze. - Senti, io sono tipo per queste cose - dissi semplicemente, più per convincere me che lei. Visto che non diceva niente, continuai:- Non so mia come comportarmi in queste situazioni, e forse è meglio che si sia trovato un'altra - Tirai su un respiro profondo. Ormai i segni del pianto erano andati via. - Io sto bene anche così - e ci credevo. Seguì un altro po' di silenzio. Mi voltai verso di lei, per assicurarmi di non essermi immaginata quella conversazione. - E poi mi servirà da lezione. La prossima volta mi sveglierò prima - risi leggermente, per sdrammatizzare la situazione. Ma lei non fece un fiato. La guardai qualche secondo, e quasi mi pentii di tutto quello che avevo detto. - Forza, andiamo - dissi, alla fine. Lei mi guardò finalmente negli occhi. Anche i suoi adesso, sembravano tristi. Annuì:- Andiamo -. Appena tornai in salone radunai le mie cose: mi infilai distrattamente il cappotto e dissi che me ne stavo andando. Le loro lamentele arrivarono veloci, ma li zittii immediatamente, dicendo che mia madre mi aspettava. Anche se mentii, fu a fin di bene. Soprattutto mio. Salutai tutti e scappai talmente velocemente da dimenticare di prendere i loro regali. Me ne ricordai quando ero ormai al piano terra, e non avevo voglia di salire. Gli avrei mandato un messaggio dopo e me li avrebbero dati per capodanno. Tornando a casa riflettei molto su quello che mi era successo. Non avevo mia pianto per qualcuno, e non volevo succedesse più.
Il resto della serata passò molto tranquilla. Io e mia madre ci scambiammo i nostri regali verso la mezzanotte, e chiacchierammo fino a tarda notte. Mi sembrava quasi incredibile ma quando andai a dormire, il pensiero di Dylan e Janette non mi tormentava così tanto. Credevo di averlo già superato, e invece non era così.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _ale18e