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Autore: Voglioungufo    02/07/2016    3 recensioni
Calypso non vuole mangiare, lei vuole volare via come un piccolo colibrì.
Leo sorride troppo per trovarsi in un posto del genere, ma è un abile bugiardo.
Nico non parla con nessuno, preferisce parlare con la propria ombra.
Will è convinto, lo sa che tutti meritano una seconda possibilità. Tutti.
Dal testo:
"Perché?" chiese solo sfiorandogli il polso con il polpastrello senza premere troppo forte come il tocco delicato di una farfalla. Non poteva capire cosa ci fosse nella sua intonazione, se stupore o rabbia, se dolore o paura o disprezzo, forse era solo incomprensione.
"Ognuno si autodistrugge a modo suo, mio cara" disse con un sorriso sbieco, da furfante, ma negli occhi aveva una luce sprezzante che non gli aveva visto mai. "Il mio modo è solo più evidente del tuo, Raggio di Sole" e mentre lo diceva si coprì il polso impedendole di guardare oltre tutti i suoi peccati, quello sguardo bruciava più del fuoco.
Sorprendentemente, contro ogni logica, lei appoggiò la testa sulla sua spalla come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Autodistruggimi, allora"
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I sette della Profezia, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Attenzione! La storia seguente presenta tematiche delicate. Vorrei precisare che non promuovo nessun tipo di disordine alimentare. Pertanto, se si è facilmente influenzabile sconsiglio la lettura, non voglio avervi nella coscienza.
 
 
 
 
 
I
 
Quarantasettepuntouno
**
 

“Bevi acqua ghiacciata.

 Il tuo corpo brucerà calorie per riportare
 l’acqua a una temperatura adatta alla digestione.
È anche ottimo per la tua pelle”
 
 
 
 
Era una stanza ampia e spaziosa, grandi finestre in vetro la illuminavano lasciando entrare i raggi aranciati del sole prossimo al tramonto. Quel colore caldo si rifletteva sul marmo bianco del pavimento e rimbalzava sui muri  ─sempre bianchi – infilandosi tra le poche persone presenti. Quella hall invece di sembrare l’entrata di un college le ricordava quella di un museo, complici le copie di antiche statue in marmo che costeggiavano alcuni lati delle stanza. Ma la cosa che aveva rapito lo sguardo di Calypso era il soffitto alto e imponente da cui poteva ammirare estasiata un bellissimo affresco rappresentante, se non errava, gli dei dell’Olimpo nel loro regno di nuvole; al centro esatto capeggiava Zeus accompagnato dall’algida sposa. Da lì in basso non poteva vedere tutti i particolari di quel mirabile dipinto ma poteva ben comprendere la maestria di chi lo aveva affrescato. Ne fu estasiata, ma anche un po’ invidiosa.
Accanto a lei stavano due valigie, troppo grandi per essere sollevate insieme, e i ragazzi che entravano e uscivano la spiavano con la stessa espressione curiosa che si rivolge ai nuovi arrivati. I suoi genitori stazionavano non molto lontano, si sporgevano sul bancone di legno lucido dietro quale una donna parlava con aria professionale immersa tra fogli, penne e le brochure del college. La donna parlava con sicurezza e i due coniughi Nightshade annuivano in maniera posata e aristocratica sebbene conoscessero già a memoria ogni possibilità che quella prestigiosa scuola offriva a gente come lei. Anche Calypso le conosceva tutte, queste possibilità, motivo per cui aveva deciso di piazzarsi lontano dal bancone e dalla fastidiosa voce della segretaria.
Il College Olympus non era solo una scuola prestigiosa che aveva sfornato ottimi avvocati o medici – più o meno quello che dicevano i volantini – ma era anche un ottimo luogo dove ragazzi problematici –come lei – potevano essere seguiti nei giusti modi e ritrovare la retta via – questo a citare le parole di suo padre.
Avevano passato la maggior parte dell’inverno, almeno da quando avevano iniziato a preoccuparsi della figlia, a ricercare strutture che potessero accoglierla nel modo giusto senza far cadere la famiglia in certe maldicenze e allo stesso tempo non dovendosi occupare della questione in prima persona delegando ad altri il problema. Era un normalissimo college sotto certi punti di vista, la differenza stava sulla tipologia di alunni che lo frequentava e che d’estate si trasformava in un campo estivo con numerose attività.
“Calypso, tesoro” la chiamò la madre facendole cenno di avvicinarsi con un gesto elegante della mano, gli innumerevoli gioielli sul polso tintinnarono. La ragazza ignorò le valige avvicinandosi con sguardo indifferente ai suoi genitori, la segretaria le sorrise come se fosse davvero felice di vederla, aveva degli occhiali rettangolari che non le donavano affatto: le facevano il viso troppo allungato.
“Tu devi essere Calypso” disse la donna rimarcando l’ovvio con così tanta enfasi che non rispose nemmeno.
Sua madre le sistemò alcune ciocche che fuggivano dalla treccia con piccoli e studiati gesti borbottando elegantemente alcune raccomandazioni che lei si premurò di non ascoltare minimamente. Suo padre si stagliava dietro la signora Nightshade in silenzio come un’inquietante figura. La solita e inquietante figura della sua infanzia.
“Si troverà bene da noi” continuò la segretaria, non capì bene a chi, forse a sua madre “I corsi estivi sono da poco iniziati, presentiamo una grande varietà di attività nelle quali muoversi. Spesso la scuola offre alla sera anche ottime attività extra-scolastiche per migliorare il rapporto tra ragazzi...” riprese a dire come un disco rotto. Suo madre annuì convinta nonostante avesse sentito quella cantilena ormai mille volte.
“Va bene, tesoro” disse quando la segretaria terminò l’ennesimo elogio all’Olympus “chiamaci ogni tanto, ok? Lo faremo anche noi. Cerca di divertirti e se ci dovesse essere qualsiasi tipo di problema non esitare a parlarne” aggiunse sistemando con un colpetto la camicia bianca della figlia.
“Va bene” disse incolore.
 “Comportati bene” fu l’unico commento del padre. Atlante non era mai stato un tipo di molte parole, lasciava brevi ma lapidarie sentenze.
Le braccia secche di sua madre la strinsero brevemente in un abbraccio privo di calore. “Mi mancherai”.
La ragazza percepì una morsa allo stomaco mentre un ragazzo la aiutava con le valigie e i suoi genitori la vedevano andarsene, forse fu la spiacevole sensazione di passare da una gabbia dorata all’altra, sempre prigioniera, sempre incapace di librarsi lontano, tra le nuvole.
 
**
 
Will Solace era fiducioso. Diamine se lo era. Aveva vent’anni, tutta la vita davanti, e finalmente si sentiva pronto a fare qualcosa di buono e giusto dopo un inverno passato tra le pagine dei libri di medicina sballottato da un esame all’altro. Ma adesso gli si prospettava davanti un’ottima estate a fare ciò che davvero voleva fare, certo forse era un desiderio un po’ (tanto) insolito per un ragazzo della sua età che aveva passato mesi immerso nello studio ma, davvero, Will voleva fare questo.
La facciata del College Olympus lo sovrastava ma lui lo guardava spavaldo per nulla impressionato dalla sua imponenza. Un venticello estivo gli spettinava i capelli biondi e lunghi arruffandoli leggermente, un sorrisetto a labbra strette gli deformava leggermente gli angoli del viso in una fossetta. Will conosceva bene quel posto, sapeva bene che genere di persone lo frequentassero e per questo aveva fatto richiesta al preside di essere assunto come aiutante per i corsi estivi. A rispondere alla sua domanda era stato invece il vice-preside, un certo signor Chirone che sotto uno sguardo stupito e corrucciato aveva accettato la sua richiesta; avrebbe aiutato i professori nel disciplinare i ragazzi. Non era insolito che esterni partecipassero al progetto del college, a lasciar perplesso il vice-preside era stata la giovane età del candidato.
“Perché ?” aveva chiesto.
Will aveva scrollato le spalle. “Tutti meritano una seconda possibilità”.
Lo credeva fermamente e voleva aiutare chiunque stesse cercando la seconda possibilità. Lui stesso in primis.
“Signore?” un addetto alla scuola era uscito dal portone studiandolo con curiosità“Ha bisogno di aiuto?”
“Sono una maglietta arancione” disse con tono cordiale, ricevette un breve sguardo scettico a tale frase ma si operò subito ad aiutarlo con le valige.
“Avverto il signor Chirone” disse una volta dentro “Che nome devo riferire?”
Il biondo guardò la hall con attenzione, studiando particolarmente le poche persone che si aggiravano.
“Solace” rispose dopo un attimo alla domanda dell’uomo “William Solace”
Sì, tutti meritano una seconda possibilità, pensò.
 
**
Stanza 123, ala C.
Questa sarebbe stata la sua nuova casa per lungo tempo. Calypso sfiorò con lo sguardo la targhetta d’ottone al centro della porta meditando chissà quale sciocchezza prima di posare le dita sulla maniglia e spingerla dolcemente. Notò che il colore predominante all’interno era l’azzurro e gli ultimi raggi di sole che filtravano da dietro delle tende leggere creavano la sensazione di trovarsi all’interno del ventre marino, sotto l’oceano. Accarezzò pigramente quell’idea che, se non altro, rendeva la sua futura prigionia un po’ più accettabile. Nella stanza erano presenti solo due letti, uno dei quali a castello. Di quest’ultimo, il materasso in basso era occupato da una ragazza da dei crespi e ricciuti capelli di un bel color rosso che sembravano intenzionati a sfuggire dalle grinfie dell’elastico grazie a cui aveva cercato di imprigionarli in una sommaria coda alta. Rimase a guardarla sull’uscio come se fosse un curioso folletto mentre un addetto alla scuola sistemava le sue due valigie all’interno della stanza, vicino al letto ad una sola piazza con il copriletto azzurro chiaro.
L’altra ragazza che pareva avere pochi anni più di lei muoveva la testa avanti e indietro in un ritmo dettato, probabilmente, dalle grandi cuffie che le coprivano le orecchie, motivo per cui, forse, non l’aveva sentita entrare.
 “Io ho fatto, miss” disse l’addetto – il bidello – che l’aveva aiutata con le valigie, lei annuì distrattamente. Lo sbattere della porta sembrò catturare l’attenzione della rossa che girò la testa verso la nuova venuta. A vederla spalancò gli occhi con mite sorpresa, fece un sorriso e contemporaneamente si mise a sedere verso la nuova arrivata togliendosi le cuffiette con un gesto secco.
“Tu devi essere quella nuova, Haz me ne aveva parlato” disse annuendo come se stesse seguendo il filo di un proprio pensiero ad alta voce, poi: “Io sono Rachel Dare, molto piacere” ed accentuò il sorriso. Aveva l’aria di essere molto contagioso, soprattutto per via di certe lentiggini che le puntellavano le guance come certe costellazioni. Peccato che Calypso fosse stata vaccinata dai suoi genitori contro i sorrisi spontanei.
“Calypso Nightshade” disse con voce flebile e veloce, in netto contrasto con il tono usato dall’altra ragazza, e si strinse i gomiti con le mani incurvando la schiena.
Questo atteggiamento schivo non sembrò intimidire Rachel che si alzò dal letto, notò che i jeans erano strappati in più punti ed era una macchia di pittura quella che vedeva sulla maglietta stropicciata?
“Puoi prendere quel letto. Hazel –l’altra ragazza – dorme sopra di me perciò non lo usa nessuno” le indicò l’oggetto e poi: “Ti serve un aiuto con le valigie?”
Calypso nel corso della sua breve esistenza non aveva mai avuto tanti contatti umani (se si vuole escludere sua madre, suo padre, le sorelle, la tata e il precettore) e quei pochi attimi fugaci che aveva ottenuto dai ricevimenti a villa Ogygia erano stati scarni e controllati, privi di tutta quella esuberanza che ci metteva la rossa nel dire una semplice parola. Ma, d’altronde, Calypso sapeva bene di non conoscere affatto come fosse il mondo al di fuori delle mura della sua enorme villa.
So di non sapere. Socrate sarebbe fiero di me.
“Nihtshade” stava intanto ripetendo Rachel tra sé e sé come se misurasse quel nome sulle proprie labbra “Nightshade... è per caso lo stesso cognome della ditta che vende armi?” chiese alla fine puramente curiosa.
Calypso le lanciò uno sguardo diffidente. “Sì... mio padre ne è il fondatore”.
La cosa non parve turbare per nulla la ragazza, anzi fece un altro sorriso. “Ho presente, sì. Mio padre ha fatto parecchi affari con lui”.
Un piccolo accenno di curiosità si accese nella timida nuova arrivata. Era anche quella stramba ragazza figlia di ricconi?
Rachel sembrò leggere la domanda dentro gli occhi scuri e annuì con un piccola risata. “Sì, mio padre è uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti. Mi ha mandato qui perché— be’” fece una smorfia buffa “Non rientro nella sua categoria di dama sofisticata in cerca di marito. Non sono fatta per queste cose ma lui non si dà affatto per vinto. Così mi ha spedita qui. La cosa mi va bene, eh” ci tenne a precisare mettendo le mani davanti “Prima di finire qui ero stata in uno stupida scuola dove controllavano pure quanta aria respirassi ogni giorno. Poi è arrivato il signor Chirone –sai, il vice-preside – e ha proposto ai miei genitori questa scuola. È stata una benedizione, mi trovo davvero bene qui. Ho conosciuto molta gente simpatica con cui posso parlare di tutto, non devo temere punizioni ingiuste per il mio modo di fare e... sì, è una pacchia”
Calypso si chiede distrattamente se qualcuno l’avesse pagata per dire tutte quelle belle cose di un luogo che iniziava già a sentirlo come una prigione.
“E tu, perché sei qui?” riprese a parlare Rachel staccandola dai suoi pensieri claustrofobici. Strinse con più forza le dita sui gomiti mordendosi per un breve attimo l’interno della guancia –un suo brutto vizio – ma poi buttò fuori l’aria in un lieve sospiro. “Più o meno per il tuo stesso motivo. Non sono esattamente come i miei vorrebbero e hanno preferito accollare la risoluzione del problema ad altri” disse. Non era una bugia ma nemmeno la verità, qualcosa che sta nel mezzo insomma e che ti permette di non crogiolarti troppo nel senso di colpa. Per una ragazza abituata a mentire la vita è fatta di mezze verità.
Rachel annuì con sguardo serio come a dire sì, capisco benissimo quando no, era ovvio lontano un miglio che non capiva e non avrebbe mai potuto capire. Ma forse era semplicemente meglio così, di sicuro risultava più facile. Si schiarì la voce per rompere quel silenzio pieno di parole sottointese.
“Quindi... puoi spiegarmi come funzionano le cose qui?” chiese con quella sua voce dolce e delicata giusto per dire qualcosa. Sembrò la cosa giusta perché lo sguardo della ragazza si illuminò nuovamente animato di un nuovo entusiasmo.
“Ma certo! Prima ti conviene sistemare le tue cose, almeno sommariamente... Nell’armadio puoi mettere tutti i vestiti che vuoi, è mezzo vuoto. E ci sono due cassetti liberi, se vuoi puoi prendere anche quelli... e oh, quel comodino... sì, questo qui –vicino al tuo letto – è completamente vuoto. Puoi usarlo tu. Io e Haz usiamo la scrivania di solito.”
Calypso sbatté le palpebre un paio di volte mentre la rossa le vomitava quella cascata di parole, indicava costantemente attorno a sé facendo ondeggiare i capelli rossi come un ventaglio.
“La sveglia è alle otto –ovviamente se vuoi puoi svegliarti prima, eh – e alle mezza si fa la colazione tutti insieme nella sala da pranzo. La mattina abbiamo i corsi, scegli tu quelli che preferisci, c’è un foglio all’entrata in cui segni il tuo nome per l’adesione, devi sceglierne cinque, uno per ogni ora. Abbiamo un intervallo di venti minuti alle dieci, poi si continua fino all’ora di pranzo dove abbiamo due ore di libertà. Il pomeriggio si fa sport oppure ci portano in gite qua attorno. La cena è sempre alle sette e mezza, il signor D dà di matto se si arriva in ritardo, piuttosto non scendere proprio. Dopo... mh, la sera sei libero di fare quello che vuoi, ogni tanto ci sono feste nel pub del paese e con il permesso degli insegnanti possiamo andare. Deve esserci sempre almeno una maglia arancione” fece una smorfia di disappunto “E ovviamente, il coprifuoco è a mezzanotte”
Le spiegò tutto quanto mentre, con le valigie aperte, impilava ordinatamente i propri vestiti all’interno dei cassetti disponibili, alcuni li appese agli attaccapanni dell’armadio. Preferì lasciare i propri libri all’interno della valigia, li avrebbe sistemati più avanti in un luogo sicuro.
Quando li vide Rachel lanciò un fischio di apprezzamento “Sono tantissimi” commentò.
Il fatto è che quando passi la tua intera vita in solitudine racchiusa tra quattro mura, i libri non diventano solo la tua unica finestra per il mondo ma anche veri e propri amici fatti di carta e inchiostro. Non sono più delle fantastiche figure che scompaiono una volta chiuso il tomo, sono delle presenze rassicuranti che puoi percepire attorno a te anche solo tenendo il libricino in tasca. Forse è da pazzi, ma non importa. I libri avevano sempre risposto a Calypso, l’avevano sempre cullata offrendole mondi dove le ragazze non erano vittime delle decisioni dei propri genitori, ma delle eroine. Era affascinata da quella visione, dove non c’erano né abiti stirati da sera, nessun sconosciuto da incontrare in un piccolo ricevimento o sorrisi preconfezionati per avere l’approvazione del proprio padre, nessuna scelta influenzate. Le eroine indossavano abiti da uomo, cavalcavano i propri cavalli sotto il cielo notturno, erano algide e avevano stuoli di amanti. Nessuno poteva ostacolarle.
 “Per il bagno?” chiese con la sua voce da fata quando ebbero finito di riporre il vestiario nel giusto posto. Calypso odiava il disordine, aveva la mania di riordinare ogni cosa. No, forse era mania del controllo e basta.
Rachel indicò con un gesto della testa una porticina alle sue spalle, non lontano dal letto a castello. “Eccolo lì” sbuffò per togliersi un ciuffo ribelle da davanti alla faccia “E’ un po’ piccolo, bisognerà rifare i turni della doccia. E... ehm, non fare caso alla biancheria in giro. Oggi toccava a me sistemare ma, ecco... mi sono distratta” e con imbarazzo indicò il proprio letto dove giaceva abbandonato, oltre l’i-pod con le ingombrantissime cuffie, anche un album da disegno. In altre circostante la castana si sarebbe soffermata qualche secondo a fissare i contorni perfetti tracciati con la matita – Calypso amava l’arte – però al momento c’era qualcosa che le importava di più.
Annuendo distrattamente alle parole della Dare (aveva storto il naso nel punto della biancheria) entrò dentro la stanza dell’igiene personale richiudendosi dietro la porta. Come aveva già detto l’altra ragazza, la stanza era molto piccola e lo stesso colore dell’altra colorava le mattonelle in marmo dei muri mentre il pavimento era composto da grandi e lucide piastrelle di un color verde-mare indefinito e alcuni tappetini bianchi le ricoprivano. Una sola finestra a sinistra  illuminava la stanza con dei vetri opachi, sotto di essa stava il gabinetto con accanto il bidet. Davanti a lei le restituiva la propria immagine uno specchio dagli angoli un po’ scrostati e pieno di impronte, sotto il lavandino perdeva qualche goccia d’acqua creando un fastidioso plic  regolare mentre gli spazzolini stavano abbandonati sul lavabo. A destra stava la doccia, piccola e funzionale con una tenda verde pisello con motivi floreali a proteggere il piatto da sguardi indiscreti. E ovviamente, a completare il tutto, reggiseni e mutande erano sparsi per il pavimento.
Con la schiena appoggiata alla porta fece scivolare le lunghe dita magre verso la toppa dove incontrando il freddo metallo della chiave si chiuse dentro. Subito dopo si mise a cercare minuziosamente dentro la stanzina ripetendosi nella testa:
Questa mattina pesavo quarantaseipuntosette chili, non ho fatto colazione ma ho bevuto un bicchiere di latte (92 Kcal). A pranzo l’insalata di riso fatta dalla cuoca, non ho idea di quante calorie l’abbia fatta, non me lo ha voluto dire....Però ho mangiato due carote, dovrebbero aver fatto qualcosa, no? Anche portare quelle pesanti valigie. Adesso sono le sette, mi sembra un buon orario per controllare...
Trovò l’oggetto delle sue ricerca dietro la porta, vicino alla doccia. Tirò fuori la bilancia guardandola con criticità, era una di quelle con i numeri che compaiono di un display, e la mise in un punto più comoda. Dopodiché si diresse verso la toilette per eliminare la bottiglia d’acqua che aveva bevuto durante il viaggio spogliandosi man mano che avanzava. Compiuto tutto questo, fiduciosa di essersi alleggerita abbastanza si mise in piedi sopra la bilancia e attese paziente che i numeri smettessero di cambiare a una velocità vertiginosa.
Quarantasettepuntouno.
Fissò con attenzione chirurgica quei numeri spigolosi finché non sparirono lasciando dietro di sé il vuoto, rimase lo stesso là in piedi con lo sguardo corrucciato e deluso. Si passò sovrappensiero una mano sulla pancia pallida sentendola gonfia, provò a trattenere il respiro per un po’ avvertendo sotto i polpastrelli gli spigoli delle costole. Era una bella sensazione.
Calypso?” Gridò Rachel bussando dall’altro lato della porta facendola sobbalzare di colpo e spezzando così quel momento astratto. Velocemente la castana scese dalla bilancia spingendola verso l’angolo in cui l’aveva trovata, il cuore le batteva furiosamente nel petto e con leggera ansia nella voce chiese:
“Dimmi, che c’è?”
“Sono quasi le sette, fra poco dobbiamo scendere. Non so, se vuoi farti una doccia dovresti farla adesso... Ti ho detto, non è il caso di fare tardi con il signor D”.
Calypso annuì, ma poi ricordandosi che l’altra non poteva vederla aggiunse: “D’accordo! Faccio veloce” Con gesto agile fece scivolare le mutandine dalle gambe e le calciò poco prima di entrare in doccia e accendere l’acqua.
Regolarmente ghiacciata, ovviamente.
 
**
 
La palla lo aveva colpito, come sempre, nel centro della faccia. Uno di quei giorni si sarebbe rotto il suo splendido naso, lo sapeva e non doveva assolutamente permettere che il suo bel faccino si rovinasse: questo avrebbe spezzato il cuore di un sacco di ragazze.
Non che le ragazze mostrassero apertamente il potere che il suo fascino da bel tenebroso scaturiva in loro, sempre che insulti come “vattene nano” non fossero in realtà velate parole di apprezzamento. Sicuramente era così.
Ah, le ragazze di oggi. Così timide...
Ma comunque, si parlava del rugby, o meglio del pallone, ancora meglio del pallone che quell’idiota di Travis Stoll gli aveva tirato in faccia.
Questa è l’ultima volta che faccio un piacere a Jason, si lamentò mentre con una mano spalancava la porta della loro camera e con l’altra si teneva il ghiaccio che molto pietosamente la signora Sally Jackson gli aveva dato.
“Spero per voi che la doccia sia libera” sbottò con finto tono minaccioso mentre si richiudeva con fare teatrale la porta alle spalle. Ma d’altronde, in Leo Valdez tutto era estremamente teatrale. Un Messicano basso, magro con una propensione a bruciare ogni cosa e alla tragicomicità. Tendeva a trasformare con la sua ilarità ogni cosa, anche la più banale (vedi fare una doccia), una questione di vita o di  morte.  Forse era per questo che quasi nessuno lo prendeva sul serio.
“C’è Jason” a rispondergli con tono monocorde fu un ragazzo minuto disteso sul proprio letto con in mano un fumetto e completamente vestito di nero. Non aveva nemmeno alzato lo sguardo dalle pagine quando il compagno di stanza era entrato, aveva solo fatto una smorfia di disappunto all’idea di perdere la quieta assoluta.
Come dire, Leo Valdez e silenzio vanno in due direzione opposte.
Il suddetto disturbatore a sentire le parole di quel ragazzino (oddio, non che fosse molto più piccolo di lui) fece una smorfia carica di disappunto e gonfiando il petto iniziò a berciare contro la porta che divedeva i due dal bagno.
“Uomo ingrato! È così che tratti un uomo ferito? L’uomo che molto coraggiosamente ha deciso di sostenerti in quella battaglia? Che ha lottato contro i tiri infami degli Stoll? Colui che ti ha sorretto in tutta la lotta? Gli rubi la meritata doccia? Traditore! Infame! Lurido Babba...”
“Leo, dacci un taglio” lo interruppe Jason, il suo biondo migliore amico, che dal bagno aveva sentito tutto, i muri di quelle stanze erano così leggeri da impedire qualsiasi concetto di privacy. “E smettila di urlare, ti avrà sentito anche Percy dal piano di sopra!”
“...no!” terminò il messicano ignorandolo completamente le proteste dell’altro ragazzo, anzi sbuffò più rumorosamente a sentire il nome di Percy Jackson. Perché ovvio, Jackson e quel suo bel faccino da idiota c’entravano sempre. Sempre in mezzo alle palle. Non è che non lo sopportasse, anzi sì. È solo che quello là prima gli aveva portato via Annabeth rincretinendola con i suoi occhi verdi, poi come se non bastasse stava cercando di subentrare al ruolo di Leo come migliore amico di Jason.
Percy di qua, Percy di là... grugnì infastidito.
“E comunque ho finito” riprese il suddetto migliore amico aprendo la porta del bagno con una faccia seccata. Aveva i capelli biondi completamente umidi e gli occhiali quadrati appannati dal vapore, si era legato alla vita un asciugamano e lasciava i propri addominali al vento. Subito dopo, però, guardò con apprensione colpevole il viso dell’altro. “Come sta la faccia?”
Leo sfoderò un sorriso a trentadue denti e tolse il ghiaccio rivelando una botta sotto l’occhio sinistro. “Alla grande!” assicurò nonostante tre secondi prima sembrasse in punto di morte.
Come ho detto, Leo Valdez amava la teatralità.
“Tu fai la doccia, Nico?” domandò Jason all’altro occupante della stanza mentre il suddetto teatrante se la svignava in bagno.
“L’ho già fatta” sospirò quello chiudendo il fumetto e appoggiandolo sul comodino conscio che non sarebbe più riuscito a leggerlo in santa pace.
“Non hai fatto attività, oggi?” continuò a domandargli con aria inquisitoria frizionando i capelli biondi con l’asciugamano.
“Non avevo voglia” rispose ancora monocorde facendo comparire sul volto del maggior un espressione di disappunto.
“Dovresti iscriverti a qualche corso, Neeks” lo rimproverò “Uno, il signor D potrebbe perdere la pazienza e, due, non puoi startene sempre bloccato qua in camera, devi socializzare!” aveva un’insopportabile voce da saputello.
Nico alzò gli occhi neri al cielo. “Va bene mamma” anche se ovviamente, se ne sarebbe fregato come al solito. Il signor D poteva dire tutto quello che voleva, ma non l’avrebbe mai buttato fuori. E preferiva di gran lunga restare in camera che sottostare agli sguardi curiosi e intimoriti degli altri ragazzi.
“Dico sul serio”
“E tu dovresti vestirti, dico sul serio” gli fece il verso piccato e dal bagno sentì la risata di Leo che ovviamente aveva seguito tutta la conversazione.
Stupidi muri di cartapesta.
Jason fece un sorrisetto di scusa e si accucciò in un cassetto per prendere una maglietta, quando si rialzò guardò fuori dalla finestra il giardino del College dove dei ragazzi si stavano fermando prima della cena. Il sole, prossimo al tramonto, tingeva il cielo di colori caldi e rassicuranti.
“Sapete” disse ispirato infilandosi la maglia “Questa sarà un’estate speciale”
“Lo dici tutti gli anni, Grace, e poi non succede mai un cavolo” lo raggiunse la voce divertita di Leo ma lui scosse la testa, convinto.
“No, quest’estate sarà diverso. Me lo sento”
**
 
“Non lo mangi, il pollo?”
La mensa era una stanza grandissima e ben curata, nonostante Calypso avesse abbondantemente letto del College si aspettava un self-service dai muri grigi e tristi con lunghi tavoli di metallo e tovagliette di carta. Invece, appena era entrata un’aria festosa l’aveva investita, i ragazzi che precedentemente li aveva immaginati chiusi e schivi berciavano fra di loro creando una bolla di confusione dorata, complice anche il sole rosso fuoco che si intravedeva dalle grandi vetrate. Molte tavole rotonde con tovaglie colorate riempivano la sala creando un vivace caleidoscopio che le faceva girare la testa mentre al centro esatto della sala stava una tavolata più grande piena di cibo e stuzzichini, probabilmente degli antipasti per chi arrivava troppo in anticipo. Calypso aveva deciso immediatamente che non avrebbe mai sfiorato quelle portate.
Il tavolo degli insegnanti a differenza di quello per gli alunni era rettangolare e lunghissimo, posto ai confini della stanza sotto dei grandi quadri che rappresentavano tre signori in giacca e cravatta molto simili. Anche in quella stanza il soffitto era affrescato in stile classico.
Ma, cosa più importante, a suo parere, era il fatto che delle donne vestite con camici arancioni li servissero direttamente al tavolo con un menù fisso per tutti. Quello costituiva un problema: sia il fatto che fosse fisso e che quindi non poteva contare le calorie nel modo esatto, sia che così rifiutare il cibo sarebbe stato molto più plateale. Non voleva scatenare domande.
Tipo adesso, arrivati alla seconda portata dopo una pasta al pomodoro Calypso non voleva assolutamente continuare a mangiare, per questo aveva spostato leggermente il piatto dalla sua vista scatenando così la domanda di Hazel Lovasque.
Hazel era l’altra compagna di stanza, quella che dormiva nel letto sopra a quello di Rachel perché era claustrofobica; era piccola e minuta con la pelle scura e dei vaporosi ricci color cannella, gli occhi erano grandi e vivaci, sembravano fatti d’oro fuso, e ti guardavano come se potessero scoprire ogni tuo segreto. Per questo nonostante la voce gentile e il sorriso dolce metteva una grande soggezione a Calypso. Questa guardò il pollo, sembrava buono, e improvvisò:
“Sono vegetariana!” Non era vero, ma si chiese perché non ci avesse pensato prima. Era un ottimo modo per eliminare la carne senza destare sospetti.
Hazel spalancò gli occhi, aveva delle ciglia lunghissime, poi sorrise convinta mentre Rachel le toccava una spalla entusiasta:
“Grande! Anche io ci pensavo, ma non so se potrei rinunciare all’hamburger”.
Calypso strinse le labbra imbarazzata mentre Hazel annuiva. “Sai, anche Piper è vegetariana” indicò un tavolo lontano dal loro dietro la testa del ragazzo cinese seduto vicino a lei. Se aveva ben capito si chiamava Frank Zhang ed era il suo ragazzo.  La Nightshade allungò il collo per vedere chi fosse questa Piper, immaginò fosse la ragazza con la treccia e il profilo affilato che sedava in un tavolo vicino all’entrata, era talmente bella che sentì una fitta di gelosia. Accanto a lei c’era un ragazzo occhialuto dai capelli biondi e le spalle larghe, teneva la mano della ragazza con la treccia da sotto il tavolo mentre chiacchierava animatamente con un ragazzo accanto a lui. E qui, Calypso sentì il cuore battere forte. Sebbene fossero parecchio lontani riusciva comunque vedere quanto belli fossero gli occhi verdi del ragazzo moro, rimase imbambolata a fissare quel viso che gridava libertà da tutti i pori vagamente incredula.
“Chi è quel ragazzo? Quello moro” domandò a Rachel in un sussurro. Sia Hazel che Frank si girarono verso la tavola, il ragazzo cinese corrucciò le sopracciglia.
“Dubito tu intenda Nico o Leo”
“E’ Percy” disse invece Hazel con un sorriso spontaneo a dire il suo nome “E’ fantastico ma... la vedi la bionda? È la sua ragazza”.
In effetti accanto a questo Percy c’era una ragazza dai capelli mossi e chiari, per essere più precisi era quella che gli aveva appena colpito la nuca con uno schiaffetto leggero e divertito.
“Quindi, gira alla larga” terminò la ragazza con gli occhi d’oro.
“Andiamo, Haz” rise invece Rachel “Tutti hanno avuto una cotta per Percy. Anche Jason ha avuto una cotta per Percy”.
Hazel alzò gli occhi al cielo, poi riprese a tagliare il suo petto di pollo dicendo:
“In ogni caso, dovresti dire in cucina che sei vegetariana così quando fanno la carne ti portano qualcos’altro. Con Piper fanno così”. Effettivamente la ragazza con la treccia aveva qualcosa di verde nel piatto che poteva essere qualsiasi cosa ma sicuramente non del pollo.
“Lo farò” disse leggermente Calypso. Rimase ancora un po’ a guardare l’altro tavolo distante, in particolare Percy –aveva un sorriso davvero carino che le ricordava il mare – finché con un colpo del gomito Rachel la costrinse a partecipare a una conversazione con gli altri due commensali.
Hazel le aveva chiesto da quanto fosse vegetariana.
“Da poco” precisamente da cinque minuti.
Era molto vivace come ragazza, non ai livelli di Rachel, ma ci metteva trasporto in quello che diceva. Tutti i ragazzi in quella scuola sembravano molto felici, così normali, totalmente opposti da quello che lei si era immaginato. Improvvisamente si sentì l’unica strana, si sentì irrimediabilmente nel posto sbagliato e una voglia di fuggire via le attanagliava lo stomaco quasi volesse farle vomitare il poco che aveva mangiato.
“Ehi, Ragazza D’Oro!” una voce squillante la risvegliò dallo stato di trance in cui era entrata mentre due braccia magre stringevano Hazel da dietro facendola sussultare. “Scusate se non ci siamo seduti con voi, Jason ci ha fatto arrivare tardi!”
“Leo!” sbottò quella riconoscendo la piovra che l’aveva assalita. “Mi hai fatto prendere un colpo”
Lo sconosciuto ricciuto rise mentre Frank sbuffava e assottigliava gli occhi a mandorla. Quell’avversione non fece tentennare il nuovo arrivato che invece gli rivolse un sorriso strafottente.
“Che cosa ti sei fatto alla faccia?” domandò Rachel lasciando stare i pezzi di pane che stava smangiucchiando.
“Oh,  nulla di grave. È soltanto stata un’epica battaglia tra me e la palla da rugby. È stata dura e ho sudato sangue, ma alla fine la mia faccia ha impedito ai gemelli di prendere la base. Mi sono sacrificato per il bene della squadra!”
A sentire quelle parole la piccola Hazel se lo scostò di dosso afferrandogli il viso con le mani, attentamente studiò il livido sotto l’occhio sinistro.
“Qualcuno ha finalmente tentato di ucciderti?” domandò speranzoso Frank.
 “Va’ in infermeria” lo apostrofò invece perentoria la ragazza.
“Ci sono già stato!” protestò, poi aggiunse sognante “la signora Jackson mi ha dato del ghiaccio. Ragazzi, quella donna è proprio bellissima...”
“Leo! È la mamma di Percy”
“Questo non la rende meno bella” annuì convinto mentre il resto dei ragazzi con cui aveva cenato si avvicinava al loro tavolo, tra di essi anche Percy. A vederlo da vicino Calypso si sentì avvampare. Forse fu proprio il rosso acceso che colorò le sue guance ad attirare l’attenzione su di sé.
“E tu chi sei?” chiese Leo ignorando le proteste di Frank mentre si sedeva proprio in braccio al ragazzo cinese.
“Lei è quella nuova” rispose al suo posto Rachel con trasporto.
“Ciao Quella Nuova!” la salutò come un militare, poi aggiunse: “Non lo mangi, il pollo, Quella Nuova?” chiamarla in quel modo sembrava divertirlo immensamente, invece il nomignolo sembrava infastidire Calypso che rispose inacidita:
“Sono vegetariana”
“Allora non è un problema se lo mangio io, no?” il tono della ragazza non lo aveva minimamente scalfito e senza attendere una risposta le rubò il piatto da sotto il naso iniziando a ingozzarsi. Meglio così.
“Davvero? Anche io sono vegetariana!” si intromise nella conversazione la ragazza con la treccia “Piacere, io sono Piper Mclean. Il tuo vero nome è...?”
“Calypso” rispose velocemente decidendo deliberatamente di ignorare il suo fastidioso e odioso cognome.
“Sono davvero felice di aver trovato una persona che mi capisca. Questi idioti non fanno altro che cercare di refilarmi hamburger” ed indicò con la testa i ragazzi dietro di lei “Non trovo minimamente giusto come vengano trattati gli animali da macello, non credi?” continuò seria.
“Ehm... sì” disse timidamente che fino a quel momento non ci aveva mai fatto caso.
“Ma dai!” protestò Leo dando una gomitata in faccia al povero Frank che per tutto il tempo aveva cercato di toglierselo di dosso. E per la cronaca, aveva tutta la bocca sporca di pezzi di pollo come un cavernicolo “Tanto stanno per morire, chi se ne frega di come vengano trattati prima. Giusto, Miss Mondo?”.
Gli occhi di Piper lo fulminarono, adesso che era vicina notava il loro colore particolare, erano caleidoscopici. “Ma certo!” berciò “Quindi a cosa ti serve respirare? Tanto morirai lo stesso, ti conviene lasciar perdere questa fatica sprecata” terminò sarcasticamente.
“Abbiamo fatto questo discorso già un milione di volte” troncò sul nascere le proteste di Leo la ragazza bionda “Le nostre opinioni le conosciamo, non iniziamo un dibattito inutile”
“Ascoltate la Ragazza Saggia” annuì Leo con solennità, sembrava avesse il soprannome giusto per ognuno.
Quella lo ignorò e con un sorriso gentile si sporse verso Calypso. “Io sono Annabeth Chase. E non fare caso a Leo, è un coglione”
“Ehi!” sbottò offeso il suddetto coglione, specialmente perché Frank era riuscito a scrollarselo dalle gambe ed era caduto a terra. “Traditore!” aggiunse portandosi una mano al cuore come se la cosa lo facesse soffrire terribilmente.
“Sei in camere con Hazel e Rachel?” domandò Percy interrompendo l’elegia di Valdez “Io sono Percy Jackson. Invece il mio bro è Jason Grace”
Il ragazzo con gli occhiali gli mise un braccio sulle spalle mentre annuiva dicendo: “Bro
In quel momento Calypso capì perché Rachel avesse detto che Jason aveva (avuto) una cotta per Percy. Non che potesse dargli torto, il sorriso del moro ti mozzava il fiato e faceva agitare le farfalle nello stomaco.
“Be’, benvenuta” terminò Annabeth con lo stesso sorriso di poco prima “Spero che tu ti possa trovare bene al College Olympus”.
 
**
 
 Quando Leo aprì la porta della camera Nico si immobilizzò immediatamente chiudendo la bocca. Era seduto suo letto con la stanza completamente buia, solo la finestra era aperta lasciando scivolare dentro una leggera arietta.
“Oh” disse il messicano notando che fosse solo “Credevo fossi con Jason, ti ho sentito parlar—” e si bloccò rendendosi conto con chi stesse parlando Nico.
“Non fa niente” disse il più piccolo distogliendo lo sguardo e puntandolo fuori dalla finestra.
“E sono... uh, andati via?” si informò Leo richiudendo la porta non mostrando il disagio che lo aveva assalito alla realizzazione.
Nico sospirò. “Non vanno mai via” dichiarò lugubre.
“Giusto” annuì allora come se lo avesse appena ricordato. “La cosa mette un po’ d’ansia, no? Pensa, anche sotto la doccia...” il suo tentativo di sdrammatizzare gli morì in gola davanti all’occhiataccia dell’altro. Rimasero qualche secondo in silenzio prima che Valdez riprendesse la parola.
“Stavo cercando Jason, ma deve essersi imboscato da qualche parte con Pips. Siamo tutti nella Sala Comune con Quella Nuova” e fece una smorfia “E’ una smorfiosetta”.
Nico rimase in silenzio e allora Leo lo guardò di sottecchi prima di continuare nel suo sproloquiare. È inutile, per Leo Valdez stare zitto è inconcepibile.
“Non ti sei nemmeno presentato a lei, giù alla mensa” precisò.
Scrollò le spalle. “Perché farlo se tanto non le parlerò mai?”
Leo si buttò sul proprio letto completamente vestita soppesando le parole del suo compagno di classe, poi disse: “Ho una proposta da farti”
“Sentiamo” sospirò sconfitto. Magari se lo accontentava per un po’ poi si toglieva dalle palle.
“Vorrei che tu spiegassi a Quella Nuova come comportarsi per sopravvivere qui”.
Strabuzzò gli occhi preso totalmente contropiede, che razza di proposta era quella?
“Perché dovrei farlo?”
“Prima in mensa ha mentito” spiegò pazientemente girandosi su un fianco per guardarlo. Nico indossava già il pigiama, rigorosamente nero e per questo era difficile distinguerlo nel buio. “Puoi accendere la luce?”
“Quand’è che avrebbe mentito?” lo ignorò.
“Ma prima” fece vago sprofondando la testa sul cuscino “Quando ha detto che non ha mangiato il pollo perché è vegetariana”
“E quindi? Qui tutti mentono, non capisco il problema” disse seccato da quei discorsi.
“Lo so” borbottò “Ed è anche dannatamente brava a farlo, è tutto prima che spara bugie e nessuno se ne accorge”.
“Allora di cosa ti preoccupi? Ha già capito tutto, quella là” per Nico, il discorso era chiuso lì motivo per cui si gettò anche lui disteso cercando di mettersi sotto le coperte.
“Non dormire” gli ordinò lo scocciatore “Devi spiegarle le regole per sopravvivere qui, non ti chiedo tanto! È troppo ingenua, la sbraneranno viva in un attimo”.
“Perché ti preoccupi per lei?” piagnucolò, poi aggiunse sconfortato “Perché dai a me questo ingrato compito?”
Leo mise sul volto da folletto un sorriso petulante estremamente simile a certi che faceva Jason. “Perché devi socializzare”.
“Per gli dei!” imprecò “Non ti sarai alleato con Grace, spero!”
L’altro rise di gusto mettendosi a sedere sul letto.
“Allora, lo farai? Spiegherai a Quella Nuova le Regole D’Oro?”
“Ma sì!” borbottò sprofondando ancor di più tra le coperte “Basta che tu la smetta di rompere”
“Bravo bambino” disse, si alzò e diede leggeri colpetti sulla coperta che il corvino aveva usato come scudo, poi si incamminò verso la testa.
“Comunque, Quella Nuova è proprio un soprannome del cazzo” ci tenne a fargli notare Nico prima che uscisse dalla porta.
“Dici?” domando fermandosi sulla soglia.
“Dovresti pensare ad altro di più appropriato”.
Al che Leo mise sulla faccia un’espressione pensosa, appoggiò anche una mano sotto il mento per dare maggior enfasi alla sua posa da pseudo-filosofo. Poi schioccò la lingua soddisfatto contro il palato:
“Che ne dici di Raggio Di Sole?”
 
 
 
 
 
 
 
Wow, non immaginavo che la storia ricevesse tutto questo entusiasmo! Ringrazio moltissimo le quattro persone che con le loro recensioni mi hanno spronata a continuare.
 
Mi ero dimenticata di dire nello scorso capitolo una questione tecnica, ovvero gli aggiornamenti avverranno di sabato ogni due settimane per via di altre storie che devo pubblicare.
 
Sul capitolo: vi piace? Vi aspettavate qualcosa del genere? La parte con Will è stata una improvvisata perché doveva comparire nel prossimo, ma poi mi sembrava brutto non introdurlo essendo uno dei protagonisti (Sì, nello scorso capitolo mi sono sbagliata a scrivere: l’altra coppia è la Solangelo, non Valdangelo –anche se un po’ li shippo xD)
Questo capitolo è sempre un po’ di introduzione, volevo solo mostrarvi come appaiono i nostri protagonisti visti da fuori. In fondo, come Calypso, anche voi siete i ‘nuovi arrivati’ e li conoscerete man mano. Però già nel prossimo ci sarà più introspezione.
I capitoli di questa lunghezza vanno bene? (Sono quindici pagine, senza le mie note) Sono molto logorroica e tende a divagare molto nelle descrizioni allungando notevolmente i testi.
All’inizio di ogni capitolo ho intenzione di inserire una delle... regole delle ragazze anoressiche. Loro le chiamano Ana rules (Tumblr docet, prendetelo con le pinze). Naturalmente, non dovete considerarle né delle perle di scrittura né il verbo di Dio sceso in terra. È solo per mostrarvi quanto la vita di una ragazza pro-ana sia vincolata a delle regole bizzarre – sì, parlo anche per esperienza ma non divaghiamo.
Invece il titolo, come avrete ben capitolo, riprende proprio il peso di Calypso man mano che prosegue la storia fino ad arrivare ai 21 grammi, il peso di un colibrì.
 
Eeee, credo di aver detto tutto(?) Se volete che espliciti altro non esitate a chiedere.
Se avete da criticare, non siate timidi ma spietate.
Se avete da dire qualsiasi cosa io sono qui.
Se volete fare soltanto i complimento (Seeeeh, magari) vi offro biscotti.
In realtà offro biscotti in ogni caso ^^ sono una persona buona.
 
Ultima ma non ultima, vi lascio il mio account faisbuk, è sempre un piacere conoscere/stalkerare gente nuova.
Hatta Hatake
   
 
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