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Autore: Voglioungufo    17/06/2016    6 recensioni
Calypso non vuole mangiare, lei vuole volare via come un piccolo colibrì.
Leo sorride troppo per trovarsi in un posto del genere, ma è un abile bugiardo.
Nico non parla con nessuno, preferisce parlare con la propria ombra.
Will è convinto, lo sa che tutti meritano una seconda possibilità. Tutti.
Dal testo:
"Perché?" chiese solo sfiorandogli il polso con il polpastrello senza premere troppo forte come il tocco delicato di una farfalla. Non poteva capire cosa ci fosse nella sua intonazione, se stupore o rabbia, se dolore o paura o disprezzo, forse era solo incomprensione.
"Ognuno si autodistrugge a modo suo, mio cara" disse con un sorriso sbieco, da furfante, ma negli occhi aveva una luce sprezzante che non gli aveva visto mai. "Il mio modo è solo più evidente del tuo, Raggio di Sole" e mentre lo diceva si coprì il polso impedendole di guardare oltre tutti i suoi peccati, quello sguardo bruciava più del fuoco.
Sorprendentemente, contro ogni logica, lei appoggiò la testa sulla sua spalla come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Autodistruggimi, allora"
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I sette della Profezia, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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L’anoressia non è come un raffreddore. Non passa così, da sola.
Ma non è nemmeno una battaglia, che si vince. L’anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa male dentro. La paura, il vuoto, l’abbandono, la violenza, la collera. È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo. Anche se a forza di proteggersi si rischia di morire.
 
Io non sono morta”
 
(“Volevo essere come una farfalla – Michele Marzano)
 
 
 
 
 
Il peso di un Colibrì
 
 
 
 
 
PROLOGO
 
 
 
“Sono passati dieci anni. Per dieci anni non ti ho più vista, sono rimasta lontana per ben dieci anni e ora che sei, sei...” Non trova le parole ma non è questa la cosa importante. Calypso è lì –con il viso incorniciato da cortissimi ciuffi chiari, quand’è che si è tagliata i capelli? – davanti a Zoe che davvero non riesce a concepire, ma nemmeno in minima parte come possa essere passato così tanto tempo dall’ultima volta che ha visto quegli occhi a mandorla e quei capelli color caramello, anzi, a dir la verità gli sembra solo ieri di averla lasciata in lacrime quando estremamente determinata abbandonava di nascosto villa Ogigia. Se ci pensa bene, quella è davvero l’ultima immagine che ha di Calypso, poi non l’aveva più incontrata.
“Cosa sono, Zoe?” chiede la ragazza con voce mesta occupando il silenzio sconfortante lasciato dalla frase a metà della sorella.
Preferisce ignorare la sua domanda perché non riesce davvero a dirlo. “Cosa ci fai qui?” domanda invece. Calypso abbassa le ciglia lunghe sfiorandosi le guance come se ci stesse pensando su, ma poi ripunta lo sguardo verso la donna.
 “Non ero pronta ad accettare quella situazione. Mi sono sentita tradita ed esclusa proprio dalla persona in cui avevo risposto tutta la mia fiducia, a cui avevo permesso di sbirciare dentro la mia corazza. Non riuscivo a capire, anzi, meglio: non volevo capire. L’unica soluzione giusta per me era andarmene e questo ho fatto, ma se pensi che sia più appropriato dire che sono scappata allora ti dirò che è vero, sono scappata. Sono scappata davanti alle mie responsabilità, davanti alla mia famiglia e a tutto quello che i miei genitori avevano costruito per me. Sì, sono scappata, non nel modo in cui lo hai fatto tu ma la mia si può definire in ogni caso una fuga. La fuga di una codarda.”
Zoe tuffa il viso fra le mani e scuote la testa perché tutto quello che sta dicendo la sua sorellina minore non ha senso, almeno per lei che non la vede da dieci anni e non sa nulla di quello che sia capitato da allora alla famiglia che si è lasciata alle spalle. “Sei scappata da Villa Ogigia anche tu?” chiede alla fine, l’unica ipotesi che quella cascata di parole le ha dato, almeno questo spiegherebbe perché sia andata da lei.
“No” dice abbassando il viso e incupendosi “Per quanto ci abbia provato, non sono mai riuscita a compiere un gesto così estremo”
“Ma hai appena detto che sei scappata anche tu!”
“Non nel modo comune in cui intendiamo di solito” sbotta, prende una corta ciocca di capelli chiari e la liscia distrattamente come se stesse cercando tra sé e sé le parole esatte da usare. “E’ difficile da spiegare” risolve infine.
Zoe scuote la testa borbottando qualcosa talmente sottovoce che Calypso non riesce a capire, sembra stia maledicendo una qualche divinità. Poi, rialza lo sguardo su di lei. “Senti, ma com’è che mi hai trovata?” è abbastanza sicura che nessuno della sua famiglia conosca la sua attuale ubicazione, quando è fuggita ha fatto le cose per bene rendendosi non rintracciabile.
“Oh” questa domanda sembra far precipitare la sorella minore direttamente dal mondo sulle nuvole e lascia cadere la ciocca di capelli sulla sua spalla, adesso la guarda con occhi grandi e incerti. “Ecco... conosci Will Solace?”
Zoe aggrotta la fronte pensierosa. “Solace? Intendi il figlio di Apollo? Ma! Lo sai che lui, lui...” spalanca gli occhi e si sorprende quando l’altra annuisce senza battere ciglio per nulla turbata dalla cosa. Al che si schiarisce la voce con una leggera tosse un poco a disagio, ma poi continua nelle sue domanda. “Come lo conosci?”
Calypso si morde il labbro con gli incisivi, apre la bocca per dire qualcosa ma sembra ripensarci e la chiude guardandola con sguardo colpevole. “...è difficile da spiegare”
A questo punto, tutto ciò che Zoe può fare e lasciarsi andare in un sonoro sospiro, non sa proprio come capire quella situazione. È tutto così inaspettato, dopo dieci anni ha davanti la sua sorellina che parla per enigmi; si chiede se non sia tutto un piano ideato da loro padre Atlanta ma le basta guardare dentro gli occhi della sorella per capire che non è così.
Sposta lo sguardo alla finestra dove i timidi raggi del sole autunnale bussano sul vetro chiedendo il permesso di entrare per riscaldare la casa.
“Ti preparo il tè, ok? No, almeno ti fa bene e fai discorsi un pochino più sensati” blatera alzandosi e si dirige verso il piano cucina.
 
“Senti Zoe, ma secondo te è possibile programmare le benedizioni?” la voce limpida e dolce di Calypso emerge attraverso il rumore di stoviglie mentre la donna continua a fare tutto quel chiasso cercando chissà cosa negli stipetti. Lei le rivolge uno sguardo di sbieco di pochi secondi prima che il pentolino pieno d’acqua calda ri-catturi la sua attenzione.
“Certo che no” risponde “Le benedizione scendo dal cielo per grazia di qualche volubile dio fancazzista. Se proprio ce le facessimo da soli saremmo tutti più contenti” e mentre lo dice indica con un dito il soffitto per indicare metaforicamente quel dio che si diverte a far dannare questi piccoli e teneri e inutili esseri umani.
Calypso si limitare ad allungare le labbra  in un morbido sorriso e guarda attentamente la sorella maggiore come se volesse imprimersi nella mente ogni singolo particolare di quel viso che non ha visto per molti – troppi – anni.
Zoe aveva sempre avuto quella postura sicura tipica delle guerriere con le spalle larghe, i muscoli definiti sulle braccia e la sua considerabile altezza, ma è anche armoniosa così che la pelle scura e i tratti delicati del viso la fanno assomigliare a una principessa persiana. Da piccola l’aveva invidiata, perché era quella grande e poteva fare più cose che a lei erano precluse ma ora riesce a comprendere quanto in realtà la vita della sorella fosse stata piena di rinunce. Come la sua. Però ora Zoe è una donna, una donna vera forgiata dalla vita e con i fianchi morbidi e sensuali e si chiede distrattamente se anche lei avrà quelle dolci forme o se resterà impigliata in quel corpo gracilino. Sorride al pensiero rendendosi conto che forse le cose possono davvero cambiare.
“Tutto quello che è successo non era nei miei piani, ma proprio per questo è stato una benedizione” mormora sfiorando dolcemente le vene sul legno chiaro della cucina “Ma non credere che io l’abbia capito subito, eh, se così fosse stato non sarei mai venuta qui, starei ancora vagando per Los Angeles completamente sola” aggiunge mentre sorride socchiudendo gli occhi scuri.
Zoe si lascia scappare un mezzo sospiro, forse di stanchezza o di esasperazione, magari no, magari è solo il sollievo di riavere quella piccola sorellina con sé, e intanto continua a osservare l’acqua sul pentolino bollire, si stanno già formando le prime bolle ma sta andando comunque troppo lenta per i suoi gusti.
“Senti” dice grattandosi una guancia, di guardare Calypso negli occhi non ha la forza e quindi resta girata a darle la schiena con sul volto una leggera smorfia di preoccupazione  “Che è successo?”
La Nightshade più giovane si irrigidisce appena e le sue labbra ancora tirate in un sorriso tremano un poco, tamburella con le dita della mano sinistra sul tavolo – sorride al ricordo di chi le ha attaccato questo vizio – mentre appoggia il viso sul palmo della mano destra. “Ecco, mhh— quando sei andata via di case le cose non andavano proprio bene, sai... Papà era furioso, ti hanno cercata per tutto il continente” inizia decidendo di prenderla alla lontana, ma molto lontana. “Le cose sì, erano proprio pessime. Tu sei stata proprio pessima, non hai lasciato nemmeno un bigliettino” continua a blaterare mentre il cuore le batte velocissimo: non ha mai raccontato a qualcuno quello che è successo, mai di prima persona, altri raccontavano ad altri solitamente. “Io... sono stata male. Parecchio male. Ero tipo depressa, una roba simile” borbotta mangiandosi le parole e attorcigliandosi una ciocca tra le dita “All’inizio non ci ha fatto caso nessuno, erano tutti troppo occupati a cercarti. Poi, però, hanno iniziato a farsi qualche domanda, a notare che non toccavo cibo e che non parlavo con nessuno e—“
“Mi dispiace” la interrompe Zoe prendendo due tazze da un ripiano “Non era mia intenzione farti stare così male, lo sai” ha un groppo in gola e il senso di colpa le attorciglia le budella.
“Lo so” conferma Calypso, poi prende un grande respiro “Hai mai sentito parlare del College Olympus?”
Zoe si volta a guardarla spandendo qualche goccia d’acqua fuori dalla tazza, ha un’adorabile espressione confusa sul viso. “Ah-ah” conferma “Ci ho lavorato otto anni fa. È lì che ho conosciuta Artemide. Ma cosa c’entra?” domanda mentre mette le bustine da tè dentro le tazze. Ne porge una alla sorella che l’accetta con un tenue sorriso.
“L’Olympus non è solo una scuola. O meglio, lo è ma...”
“E’ una scuola un po’ speciale” annuisce Zoe soffiando sopra il liquido della sua tazzina. “Vuoi dello zucchero? Miele? Latte?” elenca poi guardando tra gli stipetti.
La più piccola spalanca gli occhi e si morde l’interno guancia a disagio mentre l’altra prende fuori un barattolo di miele e chiede ancora. “Ne vuoi? Io lo metto”.
“No” dice pianissimo, poi scuote la testa e si schiarisce la voce “Anzi sì. Cioè, no. Sì. Io—“
“Lo vuoi o non lo vuoi?” vocia Zoe “E’ semplice: o lo vuoi o non lo vuoi”.
Calypso sorride a quella frase, con nostalgia, come se le abbia ricordato qualcosa di estremamente dolce e doloroso insieme, stringe la presa sulla tazzina e scuote la testa, lentamente. “No, grazie”
Zoe annuisce, come se avesse capito tutto quello che frulla nella testa della sorellina. “Allora, si diceva dell’Olympus. Tu come lo conosci?”
Distoglie lo sguardo e inizia a mescolare con il cucchiaino. “Io... quando la situazione è diventata critica mi hanno mandata lì”
“Calypso” la ferma con determinazione “Che situazione? Cosa avevi? Eri triste, ok, ma cos’è successo da mandarti in un centro per ragazzi problematici?”
Adesso la guarda con gli spalancati e pieni di incertezza e timore, sembrano dire: posso fidarmi di te? Perciò un morbido sorriso compare sulle labbra della maggiore, ammorbidisce lo sguardo e dice: “Sono tua sorella” se non ti fidi di me, di chi allora?
“N—on... non mangiavo... più” tentenna con una voce piccola e piccola, proprio come lei, nota Zoe, che ha la pelle pallida e molte ossa che sporgono.
È il suo turno di spalancare gli occhi. “Sei anoressica?” sbotta ad alta voce.
Le labbra di Calypso si stirano in una linea sottile, priva di qualsiasi sorriso, e gli occhi si incupiscono. “E’ un po’ più complicato di così” sibila. Ha sempre odiato chi si liquidava con quella parola davanti a lei, come se bastasse quella a spiegare tutto quello che aveva dentro, come se bastasse a rinchiuderla dentro una definizione che, se ci pensate, è un po’ come una prigione. L’ennesima in cui qualcuno la metteva quando, no, a lei era semplicemente sembrata l’unica soluzione, l’unica chiave alla sua libertà.
“Semplicemente, da quando te ne sei andata ogni cosa si è definitivamente distrutta, fondamentalmente mi hai abbandonata in una prigione togliendomi ogni possibilità di fuga. Come potevo anche solo pensarlo dopo tutto il dolore che avevi creato a nostra madre? Fondamentalmente ho creato una falsa me per adattarmi all’ambiente che mi circondava, a quella situazione che tu avevi creato. Fondamentalmente, mi sono sottomessa per sopravvivere. Inizialmente, desideravo di smettere di respirare per non essere un peso agli altri. Poi, ho desiderato di essere così leggera da essere spazzata via da un colpo di vento e smettere, definitivamente, di essere un peso. Alla fine, tutto quello che chiedevo era di avere lo stesso peso di un colibrì per volare via da quella prigione”. Respira affannosamente come se avesse appena corso la maratona di New York quando ha solo detto una cosa che si portava dentro da troppo tempo alla diretta interessata.
“Dopo la tua fuga, mamma e papà erano terrorizzati che io potessi fare lo stesso. Erano terrorizzati dal mondo fuori la villa e credevano che lo fossi anche io. Spaventata, intendo. Ma... non si trattava di accettare il mondo esterno, anzi quello lo agognavo fin troppo. Il fatto è che non potevo accettare me stessa. Perché lo ha fatto? Mi domandavo. Io non le bastavo? Io... non ho mai rifiutato il mondo, rifiutavo solo me stessa. Ma loro non lo hanno mai capito, almeno finché le cose non sono diventate troppo gravi e hanno pensato che l’unica soluzione ormai fosse il College Olympus.”
“E lo è stato?” chiede, poi aggiunge pensierosa. “E’ pieno di bambini disagiati, là dentro”
Calypso fa una smorfia di malcontento davanti a quelle parole, non perché lei ci sia stata – beninteso, sa di essere stata alquanto disagiata – ma quei bambini disagiati là dentro sono tutti i suoi amici (o erano, non lo sa. Adesso che è scappata le cose sono confuse).
“Il College è un bel posto” riprende a parlare “Sul serio, ma non credo sia stata propriamente la scuola ad aiutarmi. O meglio, sì: lo scopo del college è maggiormente quello, ma non ha agito in prima persona. Forse sono stata solo io a mettermi in gioco, avevo bisogno di una spintarella, tutto qui. O forse no, non saprei dirlo con certezza. Non saprei nemmeno dire se sono... guarita da me stessa.”
 Zoe prende un lungo respiro, poi la guarda con occhio critico mentre l’altra sorride alla tazza e riprende a parlare.
“Più che altro lì dentro ho conosciuto molte persone. Sai, è stato difficile all’inizio: non mi fidavo di nessuno, avevo il terrore di vedere tutti scomparire improvvisamente dalla mia vita e perciò non ho mai dato fiducia a nessuno. Però ho incontrato Rachel, che forse è disagiata – molto – ma non nel senso che intendi tu; poi ho trovato Percy, che ai miei occhi era come un eroe, forse un po’ tonto ma un eroe perché era lì a salvare la sua fidanzata; c’era anche Nico, che forse è quello che mi ha capita meglio subito perché anche lui aveva questo piccolo problema di fiducia verso gli altri, anche lui aveva perso la sorella –ma per sempre; c’erano Hazel, Will, Annabeth, Jason, Chirone, Estia, Frank, Piper.... ma soprattutto c’è stato lui” ha un sorriso così dolce sul volto che sembra fatto di zucchero filato, o forse è la stessa consistenza delle nuvole “Nonostante tu te ne sia andata ho scoperto che non ti eri portata via con te anche il mio cuore, come credevo all’inizio. Tutt’altro, altrimenti non mi spiegherei come sia così facile amare Leo, credo sia la cosa più facile di questo stupido mondo”
Zoe fa una smorfia di disappunto piegando impercettibilmente le labbra mentre Calypso continua a guardare la tazza con quegli occhi pieni di luce e un sorriso spontaneo sulle labbra, di quelli che puoi nascondere solo abbassando il viso e mettendo una mano davanti alla bocca.
“Non volevo metterti in imbarazzo, ehm! Dico solo quello che penso, proprio come mi hai insegnato tu!” Schiude la bocca e ride chiudendo gli occhi, già l’aria nella cucina torna più leggera, ma non di tanto. La maggiore si è appena vista catapultata nel passato e davanti ha una Calypso più piccola con i capelli più lunghi e un viso rotondo come la luna lavato dalle lacrime, può anche sentire quella dolorosa sensazione  degli addii muti.
“Scusami” prorompe interrompendo quella risata che le ricorda che davanti a lei adesso c’è una Calypso più alta con i capelli corti e un viso magro e quel sorriso amabilmente ipocrita.
“Eeh? Perché me lo chiedi? Non devi?” mormora confusa, o forse è solo stupita, ma con quel sorriso sul volto che non ha intenzione di far cedere.
“Se non me ne fossi andata, se fossi restata tu non saresti mai caduta in questa situaz...”
“Oh, con i se e con i ma la storia non si fa” vocia perentoria, addirittura irritata, e adesso non sorride proprio più, la guarda con occhi colmi di rimprovero. “Mi hai già chiesto scusa”
“Non mi sembra abbastanza” ammette mortificata “Io, davvero, Cal, ti chiedo perdono per essermene andata e per tutto quello che è successo, che ti ho fatto soffrire. Sono stata solo una povera idiota”
“Ma insomma!” sbotta facendo colpire con un rumore secco il fondo della tazzina sul tavolo “Smettila di prenderti tutte le responsabilità di questo mondo! Specialmente se non ce n’è il bisogno. Cosa avresti fatto, altrimenti? Preferivi passare tutta la vita chiusa in una casa odiata a fingere ciò che non sei, prigioniera non solo in una villa, ma nella tua stessa famiglia e nel tuo stesso corpo? No, hai fatto fin troppo bene. Che poi io abbia usato la cosa come scusa per arrendermi è affare mio, piuttosto sono io l’idiota che si è chiusa frignando in sé stessa perché non aveva più la sorellona a darle attenzioni. Oh, sì! Sono stata davvero una grandiosissima scema che ha preferito addossare le colpe ad altri che a sé stessa, quando erano solo sue.” Continua a voce alta ed aspra puntandosi il petto con una mano per sottolineare le sue parole “Sono io l’idiota, Zoe, sono io che non ha nemmeno provato a fuggire quando era prigioniera ma che invece è fuggita senza pensarci due volte quando ha visto la libertà perché ne ha avuto paura. Come se fossi l’eroina di chissà quale scadente libro. Guarda sorellona, hai davanti a te la più grande e gigantesca idiota che sia apparsa in questo mondo!”
Cala il silenzio per qualche secondo mentre la più giovane la guarda infervorata, ma poi Zoe annuisce. “Sì, se la metti in questo modo ha proprio ragione” e si passa una mano tra i capelli in un timido sorriso che dovrebbe stare a significare che sì, va bene così. Anche se non è vero perché non saranno quelle parole a cancellare dieci anni di rimorsi.
Calypso guarda fuori dalla finestra gli alti grattacieli della città e il sole che fa capolino tra di essi, da lì può vedere il traffico cittadino. È una giornata ventosa ma anche estremamente calda lì, a San Francisco. Il sorriso di mediazione della sorella le ha ricordato una cosa che le avevano detto tempo prima.
 
A volte ho la sensazione che le nostre vite non siano altro che una gara a chi collezione più rimorsi e sensi di colpa nel cuore rispetto all’altro.
Se così fosse, Jason, comunque, per ora sta vincendo.
Maledetta sindrome del supereroe.
 
“Senti” la richiama Zoe, ha il viso mollemente appoggiato sul palmo della mano e fa di tutto per non guardarla “Perché sei qui?” che alla fine è la domanda a cui hanno girato intorno per tutto il tempo.
Calypso si prende qualche secondo per pensarci studiando le decorazione sulla tazza, il tè si è raffreddato del tutto ormai. Poi alza lo sguardo. “Zoe, ti va se ti racconto una storia?”
 

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’autrice:

E così, dopo tanto tempo, approdo nuovamente in questo fandom con questa sottospecie di long-fic. Sì, lo so che ormai mi davate per dispersa, ma sono tornata!

Questa idea è saltata fuori da un’enorme bisogno di leggere una Caleo, o almeno una storia con Leo protagonista, ma ahimè, sembrano essere rare quanto gli struzzi in technicolor c__c Ormai il sito è sommerso dalle Solangelo! E dal momento che la mia autrice preferita su questa coppia sembra essersi volatilizzata nel nulla (Mikiriseeee, dove seeei!) ho deciso di intervenire in prima persona peccando decisamente di ubris.

 

Quindi sì, questa è una Caleo ma ci saranno anche i Solangelo e i Percabeth perché sì. E come avete visto, non tratta di cose proprio leggere (amo complicarmi la vita). Mi rendo conto che l’anoressia sia un argomento complicato, frainteso e spesso liquidato con un “ma mangia, basta quello!”. È un argomento a cui sono molto legate, anche, e spero quindi spero di poterlo rendere bene. Ovviamente, non è pro-ana o pro-tuttoquellochesuccederà. Semplicemente, considero la scrittura un modo come un altro per schiaffeggiare al mondo certe verità che si tende ad ignorare o a liquidare con i soliti luoghi comuni.

Ovviamente parte II, mi rendo conto che non posso fare una cosa totalmente cruda, cercherò di renderlo in maniera leggere (anche se è pesante come un macigno in realtà) per non far star male le persone troppo empatiche come me – vi capisco!

 

Questo è il prologo e può risultare un pochino incasinato per via del fatto che tutta la storia sarà un flashback di Calypso (anche se sarà narrata in terza persona), quindi la storia parte in media res, molte cose sono già avvenute ma i lettori non le conoscono, quindi sì: la confusione iniziale è tutta programmata!

 

Un’ultima precisazione: il College Olympus. Ecco, mi sono informata in giro e ci sono varie strutture che ospitano ragazzi con determinati problemi (odio definirli così, ma non so come altro spiegarmi!). possono variare dai disturbi alimentari all’autolesionismo e altre mental illness. Io ho optato per fare una cosa più easy (sì, usiamo l’inglese alla cazzo!), perciò nasce questo College adibito sia all’insegnamento, ma che ospita questi ragazzi aiutandoli a ritrovare sé stessi e a guarire. Ho aggiunto, che in estate – periodo in cui è ambientata la storia – esso diventi un campus estivo cosicché i ragazzi possano trovare una casa per tutti i giorni dell’anno nel caso i propri genitori o non ci siano o non siano in gradi di aiutarli/mantenerli. Altra cosa che ho aggiunto: sempre in estate, c’è la possibilità che degli esterni possano aiutare i prof nella gestione del Campus, queste persone vengono chiamate Magliette arancioni (spoiler: Will e Percy sono dei loro)

 

 

Spero di aver detto subito. Come al solito, recensioni, pareri e critiche possono aiutarmi non solo a capire se la storia sia apprezzata ma anche a migliorare nello scrivere. Perciò, non siate timidi!

Sappiate che regalo biscotti a chi recensisce xD

 

A presto!

   
 
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