Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Madison Alyssa Johnson    03/07/2016    3 recensioni
La misteriosa mortre di Victor Cavendish, visconte di Vidal e figlio del duca di Devonshire, attira l'attenzione della regina Vittoria sulle misteriose morti che stanno devastando Dublino. Un nuovo Jack lo Squartatore, che i dublinesi chiamano Molly Mangiauomini, si aggira per le vie della città seminando morte e terrore. Tocca a Ciel e al suo fido Sebastian recarsi sul posto per risolvere il problema.
« Perché Molly Mangiauomini? » rifletté a voce alta. Doveva togliersi quel vizio, ma a volte non riusciva a farne a meno.
« Voi siete troppo piccolo per saperlo, padroncino, ma è così che sono chiamate le donne molto... esperte. » gli rispose il maggiordomo, senza smettere di sbattere le uova. « E se non sbaglio c'è una leggenda che parla proprio di una donna di quella risma che si chiamava appunto Molly, Molly Malone. Pare le abbiano anche dedicato una canzone, di recente. »
« Jack lo Squartatore era una donna... e mezza. » obiettò Ciel. Era arrossito, ma non avrebbe comunque permesso a quel dannato demone di metterlo in ridicolo.
« Certo. » assentì Sebastian.
« E una donna sola non potrebbe sopraffare un uomo di media corporatura. »
« Non se fosse umana... ma non ne avrebbe bisogno. »
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis, Shinigami, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Violenza
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L’aria nello studio era satura di tensione.
Ciel camminava avanti e indietro, scuro in volto, e si tormentava il mento con una mano.
Il diavolo non era abituato a vederlo così e nemmeno Mey Rin, ma nessuno dei due osava parlare.
Il Conte si bloccò di colpo e li fissò. « Raccontatemelo di nuovo. »
« Elano una dozzina di signoline miscole, signorino. Avevano le ali e blillavano di luci cololate. Hanno detto che la signolina Susan apparteneva a lolo e l’hanno portata via, mentre una è limasta indietlo a combattere. » spiegò la domestica. Non aveva più gli occhiali a ingentilirle il viso e il rossore sulle sue guance contrastava con i tratti duri del sul viso. Non riusciva ad accettare lei per prima che la sua mira perfetta si fosse rivelata inutile contro quelle strane creaturine.
« In compenso, » intervenne il maggiordomo « siamo riusciti a catturare la fastidiosa intrusa. » Indicò il barattolo in cui la fata si dimenava come un’ossessa e sorrise: poteva provarci quanto voleva, ma non sarebbe riuscita ad abbattere la barriera magica che la imprigionava.
Il ragazzo si piegò in avanti e la guardò. « Come ha fatto una cosina tanto piccola a battere voi due, grandi e grossi come siete? »
« Non mi ha battuto, signorino. » si difese il demone. « Altrimenti non sarebbe lì dentro. »
« Ma le sue compagne sono fuggite con la signorina Beresford. »
Mey Rin abbassò gli occhi e si torse le mani. « I miei ploiettili limbalzavano, signolino. Non capisco pelché. »
Ciel non si disturbò a spiegarglielo. Tamburellò con il bastone sul pavimento e li fissò. « Sarete voi a spiegarlo ai suoi genitori. » decise. « La colpa è vostra, perciò assumetevene la responsabilità. E adesso andatevene: devo pensare. »
La domestica uscì di corsa, con sollievo.
Sebastian, invece, rimase dov’era.
« Non mi hai sentito? » gli chiese Ciel. « Vattene. »
« Non desiderate interrogare la prigioniera, signorino? »
Ciel si piegò verso il barattolo. « Perché, parla? »
“Certo che parlo!” esclamò la fata, offesa. “Solo, non a uno sclábhaí [1] come te.”
« Attenta a come ti rivolgi al mio padrone, moscerino. »
“Come se potessi aver paura di un diabhail [2]!” rise lei. “Non siete altro che parassiti.”
« Questo parassita ti ha chiuso in un barattolo, lucciola. » intervenne Ciel. In genere era il primo della fila, quando c’era da dare il tormento a Sebastian, ma in qualche modo lo infastidiva che qualcun altro potesse prendersi tanta libertà con il suo servitore.
La fata fece frullare le ali e incrociò le braccia. “Ha avuto solo fortuna.”
« Può darsi, » le concesse il Conte « ma questo non cambia il fatto che sei nelle nostre mani, ora, perciò... ti conviene cominciare a parlare, se tieni a quelle ali. »
“Non ti dirò proprio niente!” esclamò la prigioniera. “La ragazza ci appartiene e voi non ce la porterete via.”
« Siete voi che l’avete rapita e strappata ai suoi genitori. » la corresse il giovane lord.
“Ha! Questa è bella!” disse la creatura. “Lei ha scelto di venire con noi. È stata lei a invitarci a entrare e a chiederci di salvarla dall’Ombra.”
Ciel assottigliò lo sguardo. « Dunque siete state voi a istillarle quel sogno. L’avete terrorizzata fino a irretirla. »
“Non essere stupido!” lo rimproverò la fata. “Sognare l’Ombra è qualcosa che non augurerei nemmeno a te o quello spilungone lì. Figurarsi se avremmo mai potuto fare una cosa del genere ad una nostra sorella!”
« E cosa sarebbe quest’Ombra? » la incalzò il ragazzo. « Non vorrai farmi credere che anche le fate hanno i loro babau. »
“Nemmeno noi sappiamo cosa sia.” ammise la minuscola donna. Alzò lo sguardo verso di lui attraverso il vetro e sedette all’indiana al centro del barattolo. “Sappiamo solo che da secoli ci dà la caccia per rubare la nostra luce.”
« E cosa dovrebbe farsene della signorina Beresford? Lei non mi sembra abbia alcuna luce fatata da rubare. »
La fata si morse le labbra.
« Credo di averlo capito, signorino. » intervenne Sebastian. « La figlia del marchese è una changeling, una bambina scambiata. »
« Vuoi dire che è una fata? »
« Solo per metà. » chiarì il demone. « È figlia di una creatura fatata e di uno degli umani rapiti prima di lei. Non è abbastanza fatata per dominare e lo è troppo per essere dominata. Per le fate, quelli come lei sono pericolosi. Per questo, quando nasce uno spriggan ­­– è questo il termine irlandese, no, lucciola? – viene subito scambiato con un neonato umano, che invece può essere allevato come schiavo. »
“Non è vero!” sbottò la minuscola creatura. “Noi mandiamo gli spriggan tra di voi per proteggervi, stupidi umani ingrati! E gli umani che vivono con noi sono felici!”
« Quindi la signorina Beresford è davvero una changeling. » la zittì Ciel. Si accarezzò il mento e fece il giro della stanza diverse volte. « Dubito che ai genitori possa importare. Rivorranno la figlia e basta, fata o non fata. »
“È fuori discussione.” disse la prigioniera. “Riportarla tra gli umani significa condannarla a diventare preda dell’Ombra. Mi rifiuto di fare una cosa del genere!”
« Allora temo che resterai in quel barattolo per molto, molto tempo. »

 

Susan si lasciò cadere sul prato, supina e con le mani intrecciate dietro la nuca. Non si sarebbe mai abituata a quel profumo di fiori così intenso, né al cielo ocra con i suoi due soli. Ne aveva subito amato i colori brillanti, ma non era casa. Per quanto ci provasse, non riusciva proprio a vederla come tale. Sospirò e poggiò le spalle contro il tronco del grande alberò. Chissà come stanno a casa. pensò. Quanto sarà passato? Sapranno già che sono sparita? Cosa ne penseranno mamma e papà? E il Conte? Passerà dei guai per questa storia? Oh, non potrei sopportarlo!
Le sue riflessioni vennero interrotte da una palla di cuoio marrone che atterrò a poche spanne dal suo piede.
« Scusa, puoi lanciarcela? » le gridò un ragazzino di un paio d’anni al massimo più grande di lei. Aveva una zazzera di capelli castani tendenti al rossiccio e lentiggini su buona parte del viso. Gli mancavano almeno un paio di denti, ma questo non rendeva il suo sorriso meno allegro.
La marchesina si alzò, spazzolò la gonna candida e gli tirò la palla con tutta la propria forza, ma senza mirare.
Il passaggio fu comunque debole e il ragazzo dovette sporgersi  in avanti per prenderla. Le sorrise e le mostrò il pollice alzato.
« Ehi, perché non vieni a giocare anche tu? » gridò una ragazzina che poteva essere sua sorella, con quel mare di lentiggini che si estendeva sotto gli occhi azzurri. I suoi capelli erano una cascata di ricci color carota e le scendevano fin’oltre le spalle.
Susan annuì e corse verso il gruppetto.
Erano in cinque, tutti più o meno della sua età e indossavano tutti la stessa veste candida, una versione più raffinata del chitone greco, che lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù e lasciava libere le braccia. Tutti avevano al polso un braccialetto simile al suo,a ognuno con un fiore e una pietra diversi.
« Io sono Aiden. » si presentò il ragazzo più grande e le tese la mano libera.
La ragazza la strinse. « Io sono Susan. »
Ad uno ad uno, si presentarono anche Bianca, Daniel, François e Brigit.
Susan strinse le mani a tutti. « Allora, come si gioca? »
« È facile. » le rispose Bianca. « Ci mettiamo tutti in cerchio e ci passiamo la palla in questo modo. » La prese da Aiden e la palleggiò sopra la testa un paio di volte, prima di ripassarla al ragazzo. « Ad ogni passaggio contiamo a voce alta e a dieci possiamo colpire la palla più forte, in modo che l’altro non possa prenderla, perché chi fa cadere la palla è eliminato e vince l’ultimo che resta in gara. »
« Sembra facile. » commentò la nobile, anche se non aveva mai giocato.
Le fecero spazio nel cerchio e cominciarono a passarsi la palla, gridando ad alta voce i numeri. Era più difficile di quel che sembrava, perché a volte il tiro usciva storto e per recuperare la palla bisognava lanciarsi. Erano soprattutto i maschi a rischiare i recuperi più spericolati, ma anche Bianca e Brigit non esitavano più di tanto a rotolarsi nell’erba morbida per non farsi eliminare.
Il primo a uscire dal cerchio fu Daniel, che finì con le natiche a terra nel tentativo di salvare un lancio troppo lungo. « Oh, beh, farò il tifo! » dichiarò e fece spallucce. Si asciugò il sudore che colava dalle ciocche bionde e sedette all’indiana poco distante. Tifava per tutti e li incoraggiava senza fare preferenze. Aveva uno strano accento sibilante che sembrava arricciare le parole e teneva le mani a coppa ai lati della bocca per amplificare il suono. Le sorrise, quando uscì dal cerchio due decine più tardi, e batté sull’erba accanto a sé per invitarla a sedersi.
« Grazie. » accettò la marchesina. Sedette a sirenetta accanto a lui e si unì al tifo. Era piacevole stare in compagnia di altri ragazzi, dopo tanti giorni passati da sola. Non sapeva perché non ci avesse pensato prima. Forse, si disse, era perché si sentiva spaesata, in quel mondo così diverso dal suo, che con quel cielo giallo ocra le ricordava di non essere nemmeno parte della Terra.
« Scusa se te lo chiedo, » le disse Daniel, mentre Brigit salvava la palla dal tiro di Aiden. « ma tu sei nuova, vero? »
Susan annuì. « Sono arrivata solo una settimana fa. »
« Mi sembrava. » commentò il ragazzo. Aveva un sorriso gentile e gli occhi verdi catturavano ogni goccia di luce.
Susan inclinò il capo da un lato e schiuse le labbra a formare una piccola “O”.
Daniel si grattò la nuca. « Hai l’aria spaesata. » le spiegò. « E poi il tuo braccialetto... posso? »
La marchesina gli porse il polso.
« Ecco, lo sapevo. » commentò l’altro, con fare esperto. « Hai un lapislazzuli al centro della rosa[3], quindi sei una changeling. Se non sbaglio, la tua famiglia è quella dei Syheel. Sono... » Strinse gli occhi, nello sforzo di ricordare. « Qualcosa che ha a che fare con i sogni, mi pare. »
La ragazza continuava a non seguirlo.
« Oh, giusto! » esclamò l’altro e si batté la fronte con il palmo della mano. « Questi non sono solo decorativi. Dal fiore puoi capire qual è il nostro Paese di origine e dalla gemma incastonata al centro sai anche se siamo umani o changeling. » le spiegò e le mostrò il proprio bracciale. Aveva al centro un garofano, riprodotto fin nei più minimi dettagli, con un diamante incastonato tra i petali. « Gli umani sono gli unici ad avere i diamanti, perché noi siamo “puri”, mentre i changeling hanno una pietra diversa a seconda della famiglia d’origine. Famiglia fatata, intendo. » Sorrise. « Io sono nato in Spagna, però ho vissuto tutta la vita qui. Avrei dovuto prendere il posto del mio changeling sulla Terra, ma lui ha deciso di non mandarmi dalla sua famiglia, per paura che mi succedesse qualcosa. » Si portò le gambe al petto e posò il mento sulle ginocchia. « Sai, anche noi umani abbiamo addosso l’odore delle fate, dopo tutti questi anni, e l’Ombra potrebbe venire a prenderci, perciò io gli sono grato, però... »
« Di che state parlando? » li interruppe Bianca, che era appena uscita dal cerchio e li aveva raggiunti.
« Daniel mi stava spiegando il significato dei braccialetti. » le rispose Susan. « Non pensavo ci fosse un sistema così ingegnoso dietro. »
« Oh, sì! » esclamò l’altra. « L’ha spiegato anche a me! » Alzò il polso e le mostrò con orgoglio il proprio bracciale. Incastonato nel ciclamino brillava un occhio di tigre che risaltava ancora meglio con il colorito ambrato della pelle della ragazza. « Io sono qui da un mese e ancora non ho imparato nemmeno un briciolo di quello che sa lui! »
Il ragazzo arrossì e borbottò qualcosa a proposito del fatto che era solo perché viveva con le fate da più tempo. « E poi io non so niente della Terra, anche se ci sono nato. » mormorò. « Mi sarebbe piaciuto vederla. »
« Beh, ma quando il pericolo dell’Ombra sarà passato non è detto che tu non possa andarci! » lo consolò Bianca, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
La faceva facile lei, si disse Susan, perché sapeva che, alla fine, sarebbe tornata a casa, ma cosa ne sarebbe stato dei loro umani? Ancora non aveva deciso se mandare l’altra se stessa dai suoi genitori e, dopo quello che aveva scoperto, era ancora più indecisa. E se fosse successo qualcosa all’altra Susan mentre era con i suoi genitori? Se fosse morta mentre lei era via? Non voleva pensarci, proprio no. « A proposito, » disse, per cambiare argomento « ma come facciamo a parlare tra noi, se veniamo da Paesi diversi? »
« Beh, è l’aria di questo posto. Vi aiuta a ricordare la lingua fatata e la usate senza accorgervene. » le rivelò Daniel. « Io l’ho imparata da piccolo, insieme allo spagnolo. »
« Ecco Daniel il maestrino che riparte alla carica! » intervenne François, eliminato da Brigit. Sedette tra lui e Susan e gli appoggiò un braccio sulla spalla. « Io cerco in tutti i modi di fargli capire che così finirà per sterminarci tutti con la noia, ma lui insiste! »
« Eppure mi sembra di ricordare che sei stato tu a riempirmi domande, più di tutti gli altri messi insieme. » lo rimbeccò quello, che pure non scostò il braccio dalla propria spalla.
« Dettagli, dettagli. » ribatté il changeling, che sembrava esagerare l’accento francese per farsi bello agli occhi della comitiva. Avendo quindici anni, era anche il più grande del gruppetto e superava lo stesso Aiden di tutta la testa. Si sarebbe detto un bel ragazzo, se solo fosse stato meno sbruffone. Gli occhi grigi e i capelli neri si sposavano a meraviglia con i tratti delicati del viso, che già iniziavano a perdere i segni della fanciullezza, ma non erano ancora adulti come avrebbe voluto.
« Ah, sì? » gli chiese Daniel, con un ghigno. « Allora d’ora in poi dovrai pagarmi per ogni domanda che mi farai, così vediamo se sono dettagli o no! »
« È uno sporco ricatto! »
« È giusto, invece. » lo corresse Bianca. « Se disprezzi quel che vuoi comprare, è giusto che lo paghi più di chi loda apertamente quella stessa cosa. »
« Ma non ha senso! »
« Beh, ne ha per me. » gli assicurò Daniel, con un sorrisetto furbo che non prometteva niente di buono. « E poi io non ti obbligo a chiedermi niente, se i miei prezzi sono troppo onerosi. »
François sbuffò e voltò lo sguardo dall’altro lato, eppure non gli venne in mente che avrebbe anche dovuto spostare il braccio dalla spalla dell’altro. « Che avete deciso per i vostri umani? » domandò alle ragazze, come se nulla fosse. « Io ho dovuto mandare per forza il mio a casa, o mia madre sarebbe morta di dolore. »
« Io pure. » ammise Bianca. « Siamo una famiglia numerosa e io e mia sorella dobbiamo aiutare in casa, perché mamma lavora fino a tardi e da sola non ce la fa. Anche i miei fratelli più grandi già lavorano. » raccontò. Giocherellava con l’erba, mentre lo diceva, e non aveva l’aria molto felice, ma si sforzava di non darlo a vedere.
« Io ancora non ho deciso. » confessò Susan. « Conosco una persona, sulla Terra, che potrebbe aiutarci, e ho paura che non lo farebbe, se l’altra me tornasse a casa. »
Gli altri ragazzi la guardarono, ma nessuno disse niente.
« Ehi, voi! » li chiamò Brigit, che sembrava averla spuntata nella finale. « Venite a giocare! »

 

Ciel si stiracchiò come un gatto e suonò il campanello per chiamare Sebastian. Sciolse la benda e la posò con cura sul comodino, mentre la porta alla sua destra si apriva e la figura allampanata del maggiordomo ne riempiva il vano. « Ancora niente dalla prigioniera? »
Il diavolo si richiuse la porta alle spalle e posò il lume sul tavolo. « Non ancora, signorino. » rispose e si chinò a slacciargli la giacca. « Sembra determinata a “proteggere” la signorina Susan da questa Ombra che tanto la spaventa. »
« Ci crede davvero, dunque. » rifletté il Conte. « Hai mai sentito parlare di una cosa del genere, Sebastian? Se esiste da secoli, tu che sei tanto vecchio dovresti saperne qualcosa. »
« Non necessariamente, signorino. » lo contraddisse il demone, mentre provvedeva a sfilargli camicia e calzoni. « Noi e le fate non siamo in buoni rapporti e a nessuno della mia specie interessa se quelle fastidiose creature vengono decimate. Per di più, loro fanno tutto il possibile per nascondere le proprie debolezze e rivelare di avere un nemico tanto pernicioso farebbe più bene che male, immagino. »
« È un modo per dire che non l’hai mai incontrata? »
« Se volete metterla in questi termini, signorino, sì. »
Il ragazzo sogghignò e inclinò il capo da un lato. « Nemmeno tu sei infallibile, dopotutto. » commentò, divertito. Sollevò le braccia per farsi infilare la camicia da notte e si mise a letto.
« O magari » ribatté Sebastian, con il suo incrollabile sorriso « quest’Ombra non esiste. »
Ciel sbadigliò. « Sì, può darsi anche questo. » ammise. « Ad ogni modo, prova a fare una ricerca nel folklore. E se non salta fuori niente, vorrà dire che dovremo trovare un modo per andare a riprenderci la signorina Beresford e basta. »
« Immaginavo mi avreste chiesto qualcosa del genere, signorino. » rispose il maggiordomo, dando un’occhiata all’orologio da taschino. « La sola Ombra che ho trovato, però, è l’Uomo Nero, uno spauracchio per bambini che cambia nome e aspetto di Paese in Paese, ma sembra essere una costante della cultura umana. Secondo alcuni vive sotto i letti o negli armadi, per altri entra da finestre e camini; in alcune leggende mangia i bambini, mentre in altri li rapisce e basta, ma in generale i genitori lo usano per convincere i bambini più piccoli ad obbedire. »
Ciel annuì. Lo conosceva, come tutti i ragazzini. Ricordava che la tata, quando era molto piccolo lo aveva usato per spaventarlo, una volta, e ci era riuscita così bene da fargli avere gli incubi per una settimana. Aveva persino bagnato il letto, a causa di quei brutti sogni, per cui la donna si era guardata bene dal nominarlo di nuovo, ma quel ricordo era rimasto a languire nella sua mente, pronto a punzecchiarlo. « Potrebbe essere una rimanenza nella coscienza di quest’Ombra che rapisce i bambini fatati. » suppose. « E i genitori, non sapendo cosa avessero di speciale i loro figli, si sono convinti che fosse un rapitore di bambini in generale. » Sbadigliò. « Oppure potrebbe essere un’invenzione delle fate, che hanno trasmesso il loro mostro per l’infanzia agli umani. »
« Tutto è possibile, signorino. » concordò il demone. « Ma, se esistesse, dovrebbe essere un demone... »
« E tu sei troppo orgoglioso per accettare di non conoscere un tuo simile, specie se tanto potente da terrorizzare tutte le fate, giusto? » finì l’altro per lui.
Sebastian stirò le labbra in una smorfia. « Più che questo, mi chiedo cosa se ne faccia. »
« Non ne ho la più pallida idea. » rispose il ragazzo, con gli occhi già chiusi. « Dovete saperlo tu e la lucciola. Siete voi i non umani, qui. »
Il demone sorrise. « Avete ragione, signorino. » gli concesse. « Vorrà dire che lo scopriremo. » Gli rimboccò le coperte e prese il lume dal comodino.
« Sebastian? » lo richiamò il Conte. Non aggiunse altro, ma il tono basso e appena vibrante che usò era ben noto al suo servitore. Era meno intenso, meno saturo di paura, ma era quel tono.
« Come sempre, mio lord. » rispose il diavolo, immobile accanto alla porta. Abbassò la luce del lume fino al minimo, così da non infastidire il suo padroncino, e attese, in piedi accanto alla porta, al suo posto.
 
[1] Schiavo.
[2] Demone.
[3] Anche se il simbolo dell’Irlanda è il trifoglio e non la rosa, alla fine dell’Ottocento era ancora parte dell’Impero Britannico, quindi è come se Susan fosse inglese e non irlandese.

 

Lo so, lo so. Mi sono fatta un po' prendere la mano con la seconda scena. Spero non risulti noiosa, ma era la prima nel mondo delle fate e non ho resistito alla tentazione di infilarci di tutto. Più che lo spiegone sui braccialetti (per il quale mi scuso <_<), volevo mostrare i nuovi amici di Susan. Vi prego dal profondo del cuore: posate i pomodori. >w< Ricordate che vi amo. 
Scemenze a parte, spero che il capitolo nel suo insieme vi sia piaciuto, anche se stavolta la povera Mey Rin ci è andata di mezzo senza che fosse colpa sua. Sebastian, dal canto suo, non crede all'Ombra, ma spero che vi piaccia il collegamento con il folklore dell'Uomo Nero - che ha un senso, giuro! Ogni volta che vado fuori dal seminato e invento qualcosa di mio, ho sempre una paura bestia di combinare un pasticcio e questa volta mi sono buttata proprio a pesce sull'aspetto fantasy di Black Butler, più che sul giallo, per cui ditemi che sto procedendo bene, vi prego! >.< O correggetemi, se sta venendo una schifezza: non mi offendo.
Ad ogni modo, fatemi sapere cosa ne pensate, se volete fare di me una screbacchina felice! 
Ci sentiamo nelle recensioni! See ya!
   
 
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