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Autore: Coffee_Time    03/07/2016    3 recensioni
Frank, semplicemente, non ha voglia di andare a quel matrimonio.
Non da solo.
[Dal testo]
«Allora, hm… voi state insieme?»
Gerard diventa un peperoncino, e prontamente risponde: «Non- No.»
Insieme. Oddio, siamo insieme, ma non stiamo insieme. Non- No. Proprio come ha detto Gerard.
«Cosa te l’ha fatto pensare?» gli chiedo io.
Ci guarda, guarda sia me sia Gerard nello stesso momento, come se fossimo un’unica cosa. Non so come ci riesca. «Sembrate una bella coppia.»
«…di amici.» puntualizza Gerard, valorizzando lo scetticismo con un sopracciglio espressivo.
«Chi può dirlo?» detto questo, ammicca e scompare tra i suoi cavi e fili.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You fell asleep in my car, I drove the whole time
But that's ok, I'll just avoid the holes so you sleep fine
I’m driving here I sit, cursing my government
For not using my taxes to fill holes with more cement

 

Tear in my heart, Twenty One Pilots

 

 

 

 

 

 

 

Gerard mi avvicina una mano al viso.
Non mi vorrà baciare, Cristo. (No, Gesù, non era una domanda rivolta a te.)
«Hai…»mi sfiora sotto l’occhio e appena sento il suo dito, un’esplosione ci destabilizza facendoci separare di quasi un metro.
Eccolo, il familiare sapore dell’erba in bocca.
Un’esplosione? A quest’ora del sabato? Guardo Gerard, sentendo il forte battito del mio cuore anche nelle orecchie, e anche lui mi sta guardando. Abbiamo gli occhi spalancati, e lo sguardo vigile; mi giro in cerca di funghi atomici o palazzi in fiamme, ma il mondo sembra essere imperturbato.
«Cosa…» Prova a dire, poi scuote la testa e si alza, mi porge una mano. Le sue frasi sembrano essere più sospese nello spazio fra tre puntini che nell’aria tra di noi, non sarà mica diventato propenso alla reticenza.
Alzo la mano e la vedo tremare impercettibilmente, poi prendo la sua e mi alzo intenzionato a non lasciargliela. In momenti traumatici il contatto fisico può aiutare.
Senza parlare, decidiamo di andare dagli altri nella speranza di scoprire qualcosa. Sempre senza parlare, camminiamo e sfruttiamo il tempo della breve camminata per normalizzare i battiti cardiaci. Pian piano le nostre dita si rilassano.
Gli invitati sono un po’ scombussolati, ma non sembrano preoccupati. Gerard ci porta da suo fratello, e lo vediamo intento a parlare con un ragazzo.
Decide di immettersi nella conversazione tra i due: «Ehi, Mik, hai sentito anche tu quel… hm-» e Mikey lo interrompe, quasi sbrigativo. «Questo i- il tecnico del suono, a quanto pare, ha voluto testare il volume o qualcosa del genere e ha giustamente pensato di usare la registrazione di una fottuta bomba.» Ha le braccia incrociate, e senza muoverle accenna con la testa ad un ragazzo alla sua destra, che alza una mano in segno di saluto e scuse; è biondo, dall’aria simpatica, alto, un piccolo gigante gentile.
«Te l’ho detto, l’esplMikey rifiuta le sue spiegazioni con un teatrale gesto della mano. «No. Ne abbiamo già parlato.»
«Alicia? Dov’è?» Decide di dire Gerard. Anch’io pensavo che i matrimoni implicassero la continua copresenza dei due neosposini, uno di fianco all’altro, dalla prima messa all’ultima cena.
«Uhm, sarà a bere con le sue amiche da queste parti. Voi, dov’erav-» i suoi occhi si abbassano alle nostre mani «oh, ho capito.»
Tolgo la mano da quella di Gerard e fisso il prato in imbarazzo. Accidenti. No, Mikey, non hai capito…
«Mik, non è com-» Il fratello lo interrompe per la seconda volta, e Gerard apre la bocca incredulo. Con ancora la mascella a terra, segue con lo sguardo Mikey liquidatosi con un professionale: «Vado a cercare mia moglie.»
«Credevo che ai matrimoni quelle schizzate fossero le mogli, e ai mariti spettasse la parte dell’alcolizzato.» Gli dico.
Il ragazzo ride, anche Gerard. Ci scambiamo i nomi perché evidentemente le nostre ultime interazioni hanno comportato il passo successivo della nostra neo-amicizia; si chiama Bob.
«Allora, hm… voi state insieme?»
Gerard diventa un peperoncino, e prontamente risponde: «Non- No.»
Insieme. Oddio, siamo insieme, ma non stiamo insieme. Non- No. Proprio come ha detto Gerard.
«Cosa te l’ha fatto pensare?» gli chiedo io.
Ci guarda, guarda sia me sia Gerard nello stesso momento, come se fossimo un’unica cosa. Non so come ci riesca. «Sembrate una bella coppia.»
«…di amici.» puntualizza Gerard, valorizzando lo scetticismo con un sopracciglio espressivo.
«Chi può dirlo?» detto questo, ammicca e scompare tra i suoi cavi e fili. Perché ha ammiccato? Non stava flirtando con noi. Insomma, secondo la sua logica dovremmo flirtare io e Gerard; forse spera in un qualche processo a specchio, in un’induzione passiva.
«Noi?» dice Gerard, perplesso, rivolto all’aria che ora sta dove prima era Bob.
«Sembra simpatico questo Bob» è più un pensiero ad alta voce il mio.
Inaspettatamente, un amplificatore mi risponde: «Grazie.» Mi sta decisamente simpatico.
«Non parlavo con te, Marshall»
Al mio pessimo senso dell’umorismo segue una serie di risate e starnazzi pietosi; non credevo di conoscere persone tanto imbecilli. Mi allontano da questi suoni strani, e dopo qualche passo mi sembra di sentire un borbotto da Gerard: “inizio a provare dei sentimenti per te”.
Non ha senso.
Per prima cosa, non ha senso. In secondo luogo, be’, perché inizia? Credevo mi volesse già bene, almeno un minimo. Terzo, che significa?
Per fortuna mi stavo già allontanando quando ha parlato – sempre se ha parlato davvero –, mi sarei allontanato in qualsiasi caso, probabilmente, a disagio.
Dei sentimenti.
Di odio? Ecco, lo sapevo. Tutto è cominciato con un favore, e tutto per arrivare a quest’altro favore. Non voleva fare pena a sua madre, e si è trovato un falso amico da illudere, e ora si è persino reso conto che faccio schifo come essere umano quindi mi odia. Almeno ha avuto la decenza di dirlo. Oppure sta solo aspettando il momento giusto per sacrificarmi a Satana.
Mi siedo, tanto qui c’è solo erba, morbida.
Dovrei andare da lui, a salutarlo per sempre, poi me ne andrò a casa a piedi – potrei fare l’autostop. Sì, è la soluzione miglior- no, non sono neanche sicuro di quello che ha detto. Per quanto ne so, è stata un’allucinazione acustica o qualcosa di altrettanto banale. Per quanto ne so, mi vuole bene. Per quanto ne so, mi ama. Per quanto ne so… brucia chiese. Di solito non sono uno che giudica, se brucia chiese possiamo rimanere amici. È solo illegale, credo, ma non lo dirò a nessuno.
Un’ombra si espande al mio fianco, e scopro che tra il prato ed il sole si è infilato l’oggetto dei miei pensieri – non le chiese bruciate. Ha due piattini di torta in mano.
Ora, forse, sono io a provare sentimenti. Sentimenti forti.
Oh, cielo. C’è anche il cioccolato.
«Diavolo, ma c’è anche il cioccolato!» afferro un piattino «Grazie Gee
Si siede di fianco a me.
«Ed è un problema?»
«Al contrario. Ormai anche la scienza ha confermato che le torte con anche solo minime tracce di cioccolato non possono non essere buone.»
Ci sorridiamo, e iniziamo a mangiare.
E la torta è buona.

 

Questo matrimonio in pratica si sta trasformando in un rave senza droghe. Siamo quasi tutti “intorno” al palco, e stanno suonando quattro degli invitati, ogni tanto qualcuno sale e suona un pezzo di canzone o disturba qualcuno poi salta giù. Anche quel Bob ha suonato la batteria, ad un certo punto. Ed era anche bravo – inoltre, non so perché, è uno dei pochi di cui ricordi il nome. Una persona su quattro ha una bottiglia di vino in mano, e tre persone su quattro aspettano di poter tenere una bottiglia di vino. Qui più che altro c’è la parte degli amici degli sposi, i loro parenti credo siano quasi tutti intorno a dei tavoli lì in fondo.
Ho paura che Gerard possa ricordarsi che suono la chitarra e mi chieda di andare a suonare.
Una ragazza mi è caduta addosso, o si è buttata contro di me. La guardo perplesso. Forse vuole ballare con me; o peggio, una sveltina.
Le sfilo la bottiglia dalle mani e mi allontano. Il cielo è giallo, e arancione, anche grigio, un po’ come il cielo la mattina del matrimonio di mia cugina. Intorno agli alberi è in evidenza un brillante alone, tanto simile ad un “arrivederci” espresso dal Sole stesso.
Ho sempre trovato divertente il fatto che il tramonto e l’alba si assomiglino tanto – un tramonto, poi, è l’alba in un’altra parte del mondo –, pur essendo l’opposto l’uno dell’altro.
«Ehi, Gerard.» gli dico, appena lo ritrovo. «Tieni» gli porgo la bottiglia. Se beve abbastanza può dimenticarsi di farmi suonare la chitarra, o comunque non potrebbe avere abbastanza forze per costringermi a farlo, sarebbe più facile da distrarre. In assenza di cloroformio, il vino rimane tra le opzioni più convenienti.
La prende, mi guarda scettico.
«Hai ragione» dico, riprendo la bottiglia e vado verso la gente che si agita vicino al palco. Preferisco non rischiare di prendermi strane malattie infettive: regalo la bottiglia alla prima persona che vedo e correndo piano arrivo ai tavoli dei parenti. Non si curano della mia presenza, credo stiano facendo un torneo a un qualche gioco con le carte. Prendo le bottiglie più piene che vedo e vado via con nonchalance, sorridendo educatamente al signore che mi guarda interrogativo.
«Ecco, tieni.» Prendo un sorso io poi do la bottiglia a Gerard, per fargli vedere che può fidarsi. Le sue mani toccano il collo, dove c’è anche la mia mano, e nello scambio le nostre dita si intrecciano disgiungendosi subito. Non so, mi ricordano l’alba.
Le sue sopracciglia sono aggrottate, quando mi guarda. «Non te l’avevo chiesto.»
«No. Pensavo ti piacesse il vino.»
«Sì, certo. È che-» beve un po’, poi si siede sull’erba.
«Non vuoi andare dagli altri?»
Mi guarda, vedere il suo viso da qui, con questa luce fiammeggiante, è molto rilassante. La sua presenza lo è. «Nah. Stare troppo tra le persone mi rende nervoso.» dice «Ma se vuoi, puoi andare.»
«Nah» e mi siedo di fianco a lui.
Ora che mi sono seduto, non so se riuscirò ad alzarmi. La stanchezza accumulata durante tutta questa giornata si è impossessata delle mie membra e le ha trasformate in pietra.
Stiamo così, a sorseggiare vino e guardare il rosso prevalere sulle altre sfumature in cielo, senza parlare.
Qualche anno fa il prof. di scienze ci aveva spiegato qualcosa sulla causa dei diversi colori del cielo, ma, davvero, ogni volta che provo a ricordarmelo mi si apre un buco nero nel cervello che ingurgita tutti i concetti vicini, che avrebbero potuto aiutarmi. E dimentico anche quelli.
Siamo abbastanza vicini alla periferia della città, anche se questa zona è relativamente tranquilla, mi domando se la notte da qui si vedano le stelle… Lo scoprirò oggi? Su questo prato, con una persona che senza preavviso diventa per me più importante ogni giorno che vivo. Ha lo sguardo assente, è bellissimo, a volte lo guardo e, semplicemente, sorrido dentro; mi sento in dovere di proteggerlo, di sapere che sta bene, dirgli cosa mi passa per la testa. Quelle cose che provo quando voglio bene a qualcuno.
Ciò che trovo curioso, e che mi piace, delle stelle, è che sono sempre nel “cielo” ma noi riusciamo a vederle solo di notte, perché è buio. Noi le vediamo perché è buio. Più è buio più sono belle, si nutrono della notte, la possiedono. Bruciano anche di giorno, invisibili. È curioso, perché siamo abituati a pensare che la luce sia necessaria per vedere meglio qualcosa, mentre la luce per essere vista meglio necessita di oscurità.
Sono lì, eppure non le vedo. Chissà quante altre cose non riesco a vedere.
È curioso anche il fatto che incutano un senso di impotenza in noi, pur sembrando così piccole e vicine tra loro; ma appunto, è questo che ci fa sentire polvere… sono troppo grandi, troppo lontane, troppe, nell’Universo. Troppo, così tanto che non riusciamo ad immaginarlo, polvere senza validi metri di giudizio, esperienze limitate, capacità irraggiungibili.
Siamo solo uomini, cosa potremmo mai raggiungere? E le stelle, che potere hanno?
Faccio una smorfia delusa quando prendo la bottiglia e la sento troppo leggera, senza liquidi dentro che facciano alcun tipo di rumore lieve. La lascio distendersi sul prato e mi appoggio sconsolato a Gerard, che è nella stessa posizione da fin troppo tempo: o ha finito anche lui, o non è arrivato neanche a metà. Mi sostengo sulla sua spalla per sollevarmi e noto a qualche centimetro dalla sua coscia la bottiglia, adagiata tra i fili d’erba. Mi sfugge un lamento e Gerard mi guarda con un punto interrogativo in faccia.
«Abbiamo finito il vino.» Sorride, probabilmente perché gli sono sembrato patetico, e lo sento spostare il peso su un solo braccio per potermi accarezzare i capelli e consolare.
«Non vorrai ubriacarti, Frankie.»
«È dal matrimonio di mia cugina che volevamo farlo…» Gli dico, senza sapere come mi sia venuto in mente questo ricordo. «Pensi che riusciremo mai ad alzarci da qui?»
«Perché, vuoi andare dagli altri?» Mi domanda, quasi preoccupato.
Da qui si sente la musica che stanno suonando, lontana, e sopra di noi il cielo sembra aver finalmente deciso di puntare a colori tendenti al notturno.
Nego con la testa, e ridacchia come se gli avessi fatto il solletico. In effetti, forse i miei movimenti gli hanno fatto un po’ di solletico.
«Sei proprio carino, Frankie.» Ah, se prima era il turno del cielo di essere arrossato, ora è il mio. Non ho mai saputo reagire dignitosamente ai complimenti. «Non fraintendere, sei carino nel senso più innocuo del termine; fai venire voglia di abbracciarti.» Una cosa che mi piace, e mi diverte, di Gerard è che di tanto in tanto sembra flirtare con chi parla, inconsapevole. Stai attento, Gee, qualcuno potrebbe prenderti sul serio.
Sorrido contro al suo braccio e gli dico: «Allora anche tu sei carino. È bello abbracciarti.» In realtà, oltre ad essere carino è anche molto bello, ai miei occhi. Gli abbraccio la vita per provare la frase che gli ho appena detto, le mie mani si stringono sul suo fianco.
Restiamo praticamente fermi per qualche minuto, a contemplare l’ambiente in cui siamo e, nel mio caso, a venire avvolti dal suo profumo.
Ho la bocca un po’ asciutta, e con tracce del sapore del vino. Mi manca il vino.
«Anche se,» inizio, e lo sento uscire da qualsiasi fosse il suo mondo e girarsi un po’ verso di me «mi manca il vino.»
«Lo sai che nessuno di noi due si alzerà per ancora molto tempo.» Risponde lui, sfoggiando razionalità inconsueta.
Ha ragione, però. «Sì, lo so.»
Torniamo nel nostro stato contemplativo.
Divinità, se esisti, chiunque tu sia, fammi un piccolo favore. Lo so che non lavori così di solito, sei abituata a ricevere richieste di chi non dubita la tua esistenza; fai un’eccezione, per piacere, riesci a fare in modo ch- vedo una figura stagliarsi contro il tramonto, un uomo nero diventare sempre più grande e… nero.
Sembra stia arrancando, mi dimentico della mia strana preghiera e fisso l’uomo arrancare verso me e Gerard.
«Ehi» Sussultiamo entrambi.
Bob.
«Siete sicuri di non essere fidanzati?» Mi stacco subito dalla spalla di Gerard, su cui in effetti ero spalmato. Che sciocchezze, che fantasticherie.
Mentre la mia testa inizia ad abituarsi al cambio di posizione, Gerard risponde: «Certo Bob.»
Bob fa qualche altro passo verso di noi, e vedo due bottiglie di birra tra le sue dita, due bottiglie grandi.
Ce le porge, le prendiamo. «Come volete.» Poi si inchina di fronte alle nostre facce confuse e va via, così.
Fisso la bottiglia, c’è troppa poca luce per distinguere la marca, ma non mi interessa; anche se avrei preferito del vino avvicino il collo alle labbra, la bottiglia sembra ancora piena ma già senza tappo. Bene.

 

Ora sono abbastanza ubriaco, e anche lui. Anche se si ricordasse che suono la chitarra, non potrei suonare perché sicuramente sbaglierei tre note su cinque. O peggio, farei cadere la chitarra. A pensarci bene, avrei potuto fermarmi prima e in caso di emergenza fingermi ubriaco. Tutte le idee migliori mi vengono troppo tardi, accidenti.
Tanto, ora non posso di certo tornare indietro.
Mi stendo sul prato, mentre Gerard al contrario si alza.
«Devo fare la pipì.» Asserisce.
«Mh.» Mi giro, e lo vedo guardarsi intorno alla ricerca dell’albero più vicino e buio da poter marcare. Si avvicina poco convinto ad uno, probabilmente a caso.
«Stai attento a non farti staccare il pene da nessuno gnomo della foresta.»
Sembra trasalire, e gira la testa verso di me «Di-Dici che ci sono gli gnomi?»
Chiudo gli occhi e annuisco, forse anch’io devo fare la pipì.
In qualche modo mi alzo, e vado verso l’albero di Gerard.
«Che ci fai ancora qui?» Noto che ha qualcosa tra le mani. Mh, probabilmente è il suo pene.
«Ho paura…» fissa il vuoto, preoccupato. Poi sussurra: «Degli gnomi.»
Oh. Be’. Lo capisco.
«Anch’io, Gee.» Anche se… ma certo! «Gerard, gli gnomi ora si sono tutti nascosti, c’è troppo casino qui questa sera. Se avessero voluto, ci avrebbero assaliti tutti molto prima.» Convinto del mio ragionamento, mi calo i pantaloni per svuotarmi la vescica.
Gerard sorride. E facciamo la pipì a un metro di distanza uno dall’altro, nel buio di un boschetto, con una canzone post-hardcore amatoriale in sottofondo.
«Ora dovremmo lavarci le mani.»
Ci sistemiamo e, in silenzio, ci incamminiamo verso i parenti più anziani, che giocano a carte e bevono vino.
Non vedo più Gerard, dov’è? Satana l’ha reclamato? Brucia chiese per attirare la sua att- ah, è lì, ha solo girato a destra. Boh, lo seguo.
Si ferma davanti ad una fontanella sotto qualche albero. Ah. E chi l’aveva vista?
Gerard.
Grazie, vocina interiore, a volte sottovaluto la tua importanza…
Bella mossa, comunque, abbiamo risparmiato tempo e interazioni sociali. Mi trovo dinanzi ad un grande amico.
Gerard mi guarda confuso, dovrei smetterla di pensare così tanto in compagnia.
Ci laviamo le mani e ci asciughiamo sulle nostre eleganti camicie, che tanto i nostri abiti saranno già pieni di erba e terra quindi chissenefrega, giusto?
Ci guardiamo pieni di aspettative, cioè, aspettando – che qualcuno dica o faccia qualcosa, perché ormai abbiamo finito le missioni da compiere e non essendo personaggi di videogiochi non abbiamo la possibilità di cliccare pulsanti e leggere dove andare o chi uccidere. Probabilmente non dovremmo uccidere nessuno in alcun caso, ma non si sa mai.
Almeno, io non lo so.
Continuiamo a guardarci, e ad un certo punto annuiamo lentamente, forse l’alcool sta iniziando a friggerci. O ci ha già fritti. Ma ancora una volta, chissenefrega.
Mi giro e penso di vedere tutti gli altri seduti o accasciati vicini al piccolo palco, gli strumenti abbandonati e una playlist per sostituirli; ora sento una canzone di Bowie, o, boh, qualcosa che parla di alieni.
Mi siedo per terra cadendo sul prato, e Gerard mi cade accanto, riuscendo a conservare più grazia e fluidità di me. Gli altri sono un po’ lontani, gli chiedo se vuole avvicinarsi ma mi risponde che essere troppo sociale gli provoca uno strano malessere. Meglio così, non penso di avere la forza per alzarmi da qui nei prossimi minuti.
Lo guardo. Ormai è buio e della sua figura rimane il profilo, scuro, come gli skyline delle città nei puzzle. Uno skyline regolare, con due bagliori in cima che mi fissano vacui.
Devo dire che io e Gerard dovremo essere degli sfigati pazzeschi. Voglio dire, siamo entrambi piuttosto carini ma non abbiamo neanche l’ombra di una ragazza o qualcosa del genere – oddio, io l’ombra di una ragazza l’avrei, giusto il suo ricordo, ecco.
Quella traditrice…
Non perché mi avesse tradito come tradizionalmente si fa tra fidanzati, ma… oh, be’, sono troppo stanco per fare questi discorsi, mi appoggerò a Gerard. E, hm, si sta molto meglio ad occhi chiusi. Se non stiamo attenti potremmo rischiare di addormentarci, l’ho detto io che quest’erba è innaturalmente morbida.
«Frank,» mi arriva un sussurro da destra, e faccio un verso «parliamo, altrimenti potrei addormentarmi.» Oh, ottima idea. Mi appoggio più comodamente alla sua spalla, odoriamo un po’ di vino entrambi.
Finalmente. Posso chiedergli quello che mi sono sempre chiesto.
«Hai mai bruciato una c-» No Frank, aspetta, parti da una domanda più generale. «qualcosa?»
«Ho mai baciato cosa?» mormora.
«No, hai mai bruciato qualcosa?»
Dopo averci riflettuto, dice: «Non credo… bruciato qualcosa tipo cosa?»
«Edifici... tipo, scuole, fienili, chiese…»
«Non mi ricordo, ma sono abbastanza sicuro di no. Una volta, però, era la vigilia di Natale e stavo andando in sala a mangiare i biscotti per Babbo Natale – i miei genitori mi avevano chiesto di farlo… perché Mik credeva ancora nella sua esistenza – e il presepe stava bruciando, allora ho, hm, svegliato i miei genitori e abbiamo spento tutto. Mikey ha continuato a dormire e quel Natale ha scoperto la verità su Babbo Natale.» Interrompe il lento discorso, sta iniziando a biascicare. «Ma ci fece poco caso, era felice perché ho salvato la famiglia.» Uno sgradevole senso di nausea mi inghiotte gli organi interni, Gerard ha rischiato di morire. Grazie vocina utile, davvero. Non l’avrei mai conosciuto, sarei stato da solo al matrimonio di mia cugina… e ora Alice non avrebbe appena finito di festeggiare il proprio.
«Anch’io sono felice che voi siate vivi.»
A questo punto conversiamo in sussurri, le nostre labbra sono pigre e non c’è bisogno di parlare ad alta voce.
«Quindi non hai mai bruciato chiese?»
Mi guarda.
«No.» Dovrei sentirmi sollevato? Deluso?
Avevo ragione, ma avevo anche torto. Fantastico.
Mi aggrappo a Gerard, alla sua nuca, le nostre labbra finiscono per aderire e il suo braccio mi circonda la schiena.
Wow, non ha senso.
Gli sto schiacciando il petto, e non stiamo facendo molto. Stiamo qui, ci muoviamo ogni tanto, ma come prima le labbra sono pigre e non si aprono eccessivamente. Però mi sento così bene…
Il mio orecchio si riempie d’erba e mi ritrovo con due mani appoggiate alle spalle, io e Gerard continuiamo il bacio, lento, e forse stiamo baciando anche un po’ d’erba. È tutto così delicato, surreale, che sembra un ricordo lontano, ma sempre più vivido. Come se fossimo anime gemelle che tentano di ricongiungersi in ogni vita, o come se fossimo due ragazzi confusi troppo brilli che si baciano.
Piano piano ci fermiamo, e rimaniamo incastrati sul prato. Ho un braccio attorno al suo collo, e la mano tiene lì la sua testa. Con la bocca gli sfioro la guancia, e rimaniamo così.
Mente e corpo assenti, rimane solo un senso di nausea che spero non sia causato dal vino. Non vorrei vomitargli addosso adesso.
Wow, chi l’avrebbe immaginato? Io no, neanche lui… e la dice lunga, visto che è stata un po’ un’idea di entrambi. Strano, davvero, poco fa eravamo grandi amiconi.
Mi arriva un respiro di vino e: «Perché dovrei baciare una chiesa?»
Poi, non lo so, ci addormentiamo.

 

«Gerard, Gerard!»
Mi sento oscillare, e la mia testa cade su qualcosa – morbido.
«Gerard!»
Non sto più oscillando, ma il nome di Gerard continuo a sentirlo.
Sento anche dei versi, sembrano di Gerard.
«Gerard, Frank, alzatevi dai.»
Apro gli occhi, e una luce mi investe per meno di un secondo «Porca troia.»
«Scusa» dice Bob, ridacchiando, poi la luce si sposta su Gerard e alzandomi sui gomiti mi accorgo della torcia , di Bob, e di Mikey. Gerard sta guardando il fratello, confuso.
Bob mi porge una mano, e mi alzo più o meno nello stesso momento in cui si alza Gerard.
«Allora, ora siete una coppia?» inizia Bob, con fare cospiratorio. «Sai, di solito gli amici non dormono così vicini.» Lo fisso in cagnesco, troppo rincoglionito per articolare una frase.
Sono intorpidito. E – oh. Io e Gerard ci siamo baciati, prima. Sarà meglio scriverlo, domani potrei non ricordarmelo. E non ha mai bruciato una chiesa, scriverò anche quello.
«Hai un foglio?» Abbiamo iniziato a camminare verso ciò che rimane del piccolo rave senza droghe.
Bob tira fuori una penna. «Ho solo questa.»
Mi rivolgo verso i fratelli Way: «Avete un foglio?»
Ottengo un paio di sopracciglia inarcate in risposta, e basta.
Prendo la penna e mi arrotolo la manica. Dopo aver scritto la tiro giù e spero che Bob non abbia sbirciato.
Alcuni ci salutano e ricambiamo, poi torniamo a buttarci sul prato (provando a non cadere su nessuno), solo che questa volta rimaniamo seduti. Bob e Mikey si siedono nello spazio dove siamo io e Gerard, formando una specie di cerchio; vedo le persone intorno a noi ma non mi interesso a ciò che fanno.
Mikey tira fuori, dal nulla – ve lo giuro, dal nulla – un mazzo di carte, e con altrettante capacità illusionistiche Bob tira fuori una bottiglia di – boh, alcool.
«Vi va di fare una partita?» Chiede Mikey, distribuendo le carte.
«Ci avete svegliati per questo?» Chiede Gerard.
I due alzano le spalle, e Bob ci passa la bottiglia.

 

 

 

Percepisco la luce, e il caldo.
Ah, che sofferenza.
Piego il collo e mi sfuggono versi di dolore mescolati ad uno sbadiglio. Mi stropiccio gli occhi, e quando li apro mi accorgo di essere in un parcheggio, sul sedile di una macchina – uhm, della macchina di Gerard. Lui?
Continuo a sbadigliare e – cos-?
MICEY BARA A CAPTE, trovo scritto sulla mia mano sinistra. È la mia scrittura, l’ho scritto io. L’interpretazione più verosimile credo che sia “Mikey bara a carte”, anche se non so come mi possa essere utile saperlo. Conoscendomi, e a giudicare dalla consistenza strana della mia testa, direi che ieri mi sono leggermente ubriacato e ho deciso di scrivermi le cose più importanti perché, conoscendomi, le avrei dimenticate.
Infatti, di ieri ricordo che – hm. Mikey si è sposato, abbiamo mangiato e io e Gerard abbiamo parlato sul prato, e… i suoi amici sono simpatici e ascoltano bella musica, e andrò ad un concerto con loro e Ray. E Bob, Bob e io diventeremo grandi amici – no. Io e Bob lo siamo già, di sicuro. Ha la mia simpatia da quando ha fatto esplodere una bomba immaginaria.
La macchina dice che è mattina, e anche il Sole. La mia pancia pure, reclama la colazione. Gerard sta dormendo, ancora; non dà segni di voler aprire gli occhi e affrontare il mondo.  È un po’ buffo, accartocciato come un gattino e con la bocca socchiusa. Certo, non è buffo quanto sarebbe se avesse gli occhiali.
Anche se è la sua macchina sono sicuro che mi autorizzerebbe a guidarla, e anche se ho un po’ di mal di testa per ieri, sono in grado di guidare la sua macchina. Poi ho fame, e non voglio girare qui a piedi come un cretino – lasciandolo in macchina per giunta – per cercare del cibo. Quindi ho deciso, guido io e lo lascio dormire. Non so se accendere lo stereo, non mi ricordo che CD e a che volume stessimo ascoltando ieri, ma farei meglio a non rischiare.
Rimane l’invitante idea di accendere e alzare il volume per svegliarlo da veri amici. Frank interiore, non ti credevo sadico.
Prima di partire dovrei mettere la cintura anche a lui, sì. Mi giro e guardandolo meglio è anche più buffo di quanto credessi. Ha la schiena piegata da una parte e non sembra essere proprio in equilibrio, sicuramente gli farà male il collo – come a me – in effetti devo ancora capire perché abbiamo dormito qui. Probabilmente eravamo troppo stanchi per tornare a casa. Dovrò informarmi. Ma prima metto la cintura a Gerard (e mangio).
Esco dalla macchina, è fresco qui fuori, bene. Apro la portiera più lontana da lui poi mi siedo e gli avvolgo un fianco con il braccio, e devo dire che trovo il suo calore confortevole, poi in qualche modo, molto lentamente, lo alzo un po’ e mi stacco. La sua testa penzola, in pratica, allora la prendo gentilmente e la appoggio al finestrino. È bellissimo. Frank, perché ci tieni a farmi notare la dolcezza con cui respira? Ho fame.
Metto in moto e esco dal parcheggio, prima di tutto, perché anche se non ho idea di dove siamo sembra l’idea più ragionevole. Proverò a guidare piano per non fargli sbattere la testa contro al vetro, i movimenti bruschi sono da evitare, potrebbe farsi male. Il comune dovrebbe riparare tutti quei buchi. Stupido Jersey.

 

Seguendo le frecce di alcuni cartelli con nomi familiari, credo di essere arrivato alla periferia della città, riconosco alcuni edifici – spero.
Ecco, tra poche decine di metri dovrebbe iniziare la zona popolata da Starbucks.
Non ne vedo. Okay, chissenefrega, ho visto un bar che non sembra abbandonato. Siamo in uno di quei posti vuoti, anche in città, siamo in una zona più o meno abitata ma non malfamata. Solo… tranquilla, piatta.
Davanti al bar ci sono un po’ di parcheggi liberi, perfetto.
Gerard continua a dormire.
Mi annoio.
Scendo dalla macchina, ma questa volta apro la portiera dalla sua parte e, per questo, gli impedisco di cadere tenendolo con un braccio.
Lo scuoto. «Gee
Niente.
«Gee.» un altro scossone.
Un sospiro.
«Gee.» Lo scuoto. «Gerard.»
Un grugnito.
Bene, è praticamente sveglio.
«Gerard, vuoi fare colazione?»
Un altro grugnito. «Caffè?» Mi dice con la voce di un corvo che presagisce morte, ma speranzoso.
«Sì, se vuoi.»
Apre un occhio, geme. (Un occhio molto bello.)
«Non pensavo di essere così brutto», scherzo.
«No è che -» si sgranchisce il collo, che emette rumori tipo zombie che escono da bare con un po’ di difficoltà. «mi fa male il collo.»
«Anche a me. Hai dormito che sembravi un manichino rotto dopo un crash test.»
Ora ha tutti e due gli occhi aperti.
Non mi ricordavo che vederlo sorridere fosse tanto contagioso.
Si guarda il petto e asserisce: «Mi hai messo la cintura.»
«Non volevo che morissi.»
E tra lievi risate, io che gli consegno le chiavi di sua proprietà, mi sembra anche di aver vissuto un piccolo déjà-vu.
Entriamo e gli dico di sedersi, poi ordino due caffè e due muffin. Uno al cioccolato e uno ai mirtilli, almeno uno gli andrà bene. Porto i muffin al tavolo. «Prendi quello che vuoi.» Allunga una mano, con la vitalità di un robot prossimo alla rottamazione. Meglio dargli il suo primo caffè quotidiano.
Porto anche i caffè al nostro tavolino, e Gerard ha in mano il muffin al cioccolato. Ma quello ai mirtilli ha qualcosa che prima non aveva; o meglio, non ha qualcosa che prima aveva – un pezzo di se stesso, per intenderci. Qualcuno l’ha morso.
Guardo Gerard. Mi ha deluso. Mi ha tradito. Come tutti, del resto. Frank, non diventare melodrammatico, per favore. «Non credevo fossi quel tipo di persona.»
«Quale?» Sputacchia involontariamente, e il suo viso è per metà coperto dalla mano e dal muffin, sembra una strana versione umana del Gatto con gli Stivali, lo sguardo è molto simile.
«Il tipo stronzo insensibile.» Mi siedo il più teatralmente possibile, poi afferro il mio muffin mutilato e mi arrotolo le maniche senza accorgermene. «Perché l’hai morso?»
«Credevo fossero gocce di cioccolato. È stata colpa sua, mi ha mentito.»
La situazione è più grave di quanto mi aspettassi. «Bevi il tuo caffè, per tutti i cavoli.» Glielo avvicino anche.
Afferro il mio bicchiere, e con l’altra mano mordicchio il mio dolcetto mutilato. Non riesco a capire la regola che vieta di appoggiare i gomiti sul tavolo, sarei morto, perderei l’equilibrio e non riuscirei a fare colazione se non lo facessi. Gerard intanto si è buttato sul caffè come Jack Sparrow berrebbe le ultime gocce di rum rimaste. Stiamo ancora indossando i nostri vestiti “eleganti”, ma più che altro sembriamo due avvocati che hanno passato la notte prima di un processo a fare sesso al parco, o che hanno deciso di rotolare giù da qualche collina; siamo sporchi e spettinati, che proviamo a ritrovare il senso delle nostre azioni.
Ho anche mal di testa, ma il torcicollo non me lo fa notare. E ora che il mal di testa sta passando, temo che il torcicollo mi colpirà con ancora meno pietà.
«Sei sporco lì.» Mi dice.
«Certo che sono sporco, ieri abbiamo passato almeno metà del nostro tempo a cadere sul prato.» Gli rispondo, forse troppo irritato per qualcuno che sta mangiando un muffin.
«No. Dico,» continua a tenere il bicchiere con una mano, con l’altra mi indica il braccio «lì. È nero. Anche sulla mano.»
La mia mano ha la scritta sulle carte e Mikey; il braccio, uhm. Ci sono delle scritte anche lì. Lo alzo.
GERAD NON HA MAI BACIATO CHIESE
E T HA BRUCIATO
Cosa?
Deve aver notato la mia confusione, mi sta guardando interrogativo.
«Non lo so, c’è scritto qualcosa.» Continuo a fissare quelle parole, tremolanti e sconnesse, che sicuramente ho scritto io.
Forse, forse… No. Dovrebbe essere “Gerard non ha mai bruciato chiese e ti ha baciato”? No.
Ho svelato il mistero senza ricordarmene. E…
Io e Gerard siamo amici, io non… e neanche lui… Io, ecco…
Si alza.
No, no, no, no… No, per favore, no.
Mi alzo anch’io. «Vado un attimo in bagno.»
Quasi corro via, a destra, mi accorgo che qui non c’è nessuna porta. Dannazione. Mi giro, e ripassando davanti al nostro tavolo sorrido a Gerard per dimostrare che ho la mia vita sotto controllo. E finalmente vedo la porta con due persone stilizzate appiccicate sopra.
Entro, e chiudo a chiave.
Porca troia.
Riguardo il braccio. Il messaggio è evidente: ci siamo baciati, e lui non è uno psicopatico (probabilmente). Perché cazzo non ricordo quasi niente, fottuto alcool. Io… merda.
Pensa, Frank. Ehi, quello è il tuo lavoro, non posso fare tutto da solo! Giuro che non sono schizofrenico. Sbatto la testa contro al muro. Mi lavo le mani e le passo sul viso.
Non laverò via la scritta, la farò vedere a Gerard; solo, non adesso…
Copro il braccio, abbottono il polsino.
Se avessi del cloroformio potrei fargli perdere conoscenza e trovare il modo di fargli credere di avermi immaginato e basta. Potrei scomparire dalla sua vita. Sarebbe tutto molto più semplice. Se mia cugina si fosse dimenticata di invitarmi…
Mi sento così caldo, guardandomi allo specchio noto il rossore sulle guance. Perfetto, adesso devo anche sperare di tornare normale prima di uscire, o potrebbe pensare che sia venuto qui a farmi una sega o cos’altro…
Sono passati un po’ di minuti, e forse sono riuscito a finire l’imbarazzo.
Esco.
Gerard mi guarda, un sorriso beffardo sotto al bicchiere di caffè.
«Cosa c’era scritto?» Mi chiede.
Devo dissimulare. Assolutamente.
«Hm? Non mi ricordo, niente di importante.» Lascio il braccio sul tavolo, per far vedere che non ho bisogno di nascondere niente. «Hai finito il caffè? Io penso che finirò il mio in macchina.» Mi viene naturale porgergli una mano per aiutarlo ad alzarsi, ma evito perché è meglio così. Prendo il muffin e mi butto ciò che rimane in bocca, poi butto l’involucro – qualsiasi sia il suo nome vero – e saluto il barista con un cenno della mano.

 

Gerard che guida riesce sempre ad essere bellissimo, anche con un abito sgualcito, i capelli storti, l’espressione di chi ha bisogno di un letto su cui riposare per qualche decade, scintille nello sguardo da caffeinomane. Scintille che, chissà come, mi riscaldano come se fossero realmente in grado di accendere qualcosa… Mi sento bene guardandolo.
Dopo dovrò dirgli del braccio, del bacio, delle chiese. Okay, forse delle chiese no.
Sono stato uno stupido avventato a credere di doverlo drogare e sperare mi dimenticasse. Sul serio. E odio il leggero senso di colpa che inizia a sgranocchiarmi l’intestino.
Come a causa di una strana sorta di empatia, il suo sorriso è triste.
Che schifo, e quell’ipocrita del Sole entra anche dal finestrino come se niente fosse, tutto allegro e sfavillante. Gerard è triste e le nuvole non vengono neanche qui a preoccuparsi. Sono indignato.
Forse dovrei tenergli la mano, è quello che si fa quando qualcuno è turbato, no? Non posso abbracciarlo, e non ho voglia di parlare. Ma è un gesto da amici? Forse, ma… Mi tratterrò, alla fine manca poco a casa mia.

 

La macchina rallenta, e si ferma più o meno all’interno delle linee del parcheggio.
Devo dirglielo.
Esco dalla macchina, mentre lui è ancora dentro e mi fissa. Non ci siamo ancora detti niente, ma penso di essere stato troppo assorto per accorgermi del silenzio.
Lo invito a venire qui, sul marciapiede, con lo sguardo.
Appena mi raggiunge, rispondo ai suoi occhi confusi con: «Grazie, mi sono divertito in- hm, nelle ultime ore. Salutami gli altri quando li vedi, soprattutto Mikey e Alicia.»
Annuisce, e fa un sorriso un po’ forzato. Si comporta in modo strano. Mi dice: «Grazie anche a te Frankie. Per la colazione e, be’, essere venuto.» Si sta girando, lento.
Va bene. È il momento.
«Io, Gee- Ho trovato una cosa.» mi slaccio il bottone e tiro su la manica, poi gli porgo il braccio. Lui torna a guardarmi e lo prende per osservarlo, e se non fosse per gli impulsi elettrici che per qualche motivo arrivano ogni volta che mi sfiora, scambierei le sue dita per la brezza estiva.
«In pratica, c’è scritto che non hai mai bruciato chiese. Ecco, io… è una lunga storia, non è importante che te la racconti. E sotto c’è scritto che, be’, noi-»
Ora guarda me. «Ci siamo baciati, lo so.»
Lo sa.
Come, lo sa? Cosa? Lo sapeva?
Sarà difficile non balbettare «I-io, Gee, in che s-senso?» Appunto.
«C’ero anch’io, sai? Sarebbe strano se non lo sapessi.» Ride, nervoso. «Tu non lo sapevi?»
Come risposta, gli bastano i miei occhi terrorizzati, spalancati.
Li spalanca anche lui. «Non lo ricordavi?»
Abbasso la testa. Che vergogna, sono ciò che rimane del legame tra scimmia e uomo. «No… Credo di aver bevuto troppo e in quei momenti è come se sognassi e, be’, di solito la mattina non ricordo i sogni. Però lo sapevo, per questo l’ho scritto, forse non volevo dimenticare. Vedi? Ho scritto anche che Mikey bara a carte, sono previdente. Ogni tanto.»
«Tutti sanno che Mikey bara a carte.» Sorride. Poi strizza gli occhi. E singhiozza.
E il mondo mi travolge, non ero pronto. Sta piangendo, ma… non sento odore di cipolle, quindi è triste, no?
«Gee, cosa fai?» Mi avvicino, devo proteggerlo, giusto? Da se stesso, dalla tristezza.
«Sono- sono solo stupido. Avrei dovuto saperlo. Lo dicono anche i film, che baciare qualcuno quando si è dubbiamente coscienti è una pessima idea, un’idea considerevolmente idiota. È stato un sogno, hai detto, praticamente. Scusa, non dovrei-» si alza un po’, si asciuga le guance con le mani e se le passa tra i capelli, per sciogliere qualche nodo. Non è un pianto disperato, al contrario, piuttosto contenuto, sebbene nervoso. Rimango immobile, sono scosso, sono travolto, se mi muovessi cadrei in mille pezzi e finirei nel tombino, me lo sento. «Sono stanco, Frank. Ho bevuto poco caffè- Devo solo dormire, dimentica tutto.» Conclude così, con un sorriso più amaro del cacao, mi bacia una guancia e sale in macchina, vola via.
Cos’è successo?
Non lo so. Davvero, non lo so. A volte la vita non ce la fa a lasciarti in pace per ventiquattro ore di seguito.

 

 

 

 

 

Fin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

EEEEEEEEEEhi. Eccomi.
Come al solito, non ho idea del perché abbia scritto ciò che ho scritto. Sono loro che decidono cosa fare, alla fine; neanch’io so cosa succederà, non credevo che Gerard fosse tanto emotivo.
Non è la fine, lo sembra a causa di un impeto francese.

 

Spero che abbiate commenti da riferirmi, io non ho altro da dire… Sto ancora pensando che mettere dei titoli ai vari capitoli potrebbe rivelarsi una decisione sensata. Però la storia potrebbe finire in qualsiasi momento, anche adesso… Devo rifletterci ancora molto.

 

Goodbye.

 

xoxo

 
   
  
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