Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NikoruChan    03/07/2016    2 recensioni
Mi sono sempre chiesta: cos'è successo subito dopo il salvataggio di Eren da parte di Levi e Mikasa nella foresta degli alberi giganti?
Come avranno fatto i corpi dei membri della Squadra Levi a finire in quei carri prima che venissero scaraventati fuori per salvare la vita all'esercito?
Beh, ho voluto dare la mia versione dei fatti a tutto ciò, spero che questa one-shot sia di vostro gradimento :)
Dal testo:
"Levi prese la direzione opposta levandosi in volo con la manovra tridimensionale e passando verso gli alberi ad una velocità impressionante.
Sperava solo che quei giganti non l’avessero presa e portata via. Contando che era passata quasi un’ora da quando l’aveva vista l’ultima volta era molto probabile.
Ma lui l’avrebbe trovata comunque, anche se si fosse trovata dentro la bocca di un gigante."
[Accenni Rivetra] [OOC]
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irvin, Smith, Levi, Ackerman, Nuovo, personaggio, Petra, Ral
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Forgive me..."
 

-Per fortuna è ancora cosciente. Non sarebbe sopravvissuto per molto nella bocca di quella puttana.-
Il Capitano Levi cominciò a pulirsi una buona parte del mantello verde dopo aver posato un Eren dormiente e sporco di un liquido denso e viscido sul carro, pronto a tornare a casa.
Mikasa non lo stava nemmeno a sentire: era così concentrata sul coetaneo disteso di fianco a lei da non sentire le parole dell’uomo che le stava solo a 2 metri di distanza.
Teneva la mano ancora bollente di Eren molto delicatamente, come per non fargli sentire la sua presenza. Sarebbe stato comunque difficile: il ragazzino aveva perso i sensi dal momento in cui era stato staccato con un morso dal suo corpo titanico dal Titano Femmina e non sembrava volesse riaprire gli occhi.
A parte qualche lieve ferita e qualche bruciatura non sembrava avesse qualcosa di grave, però Mikasa si era disturbata comunque a mettergli una benda umida intorno alla testa, solo per sicurezza.
Sembrava lo stesse guardando con l’espressione apatica di sempre, ma i suoi occhi dicevano il contrario.
Esprimevano shock, rabbia, tristezza e moltissimi altri sentimenti contrastanti, tra cui anche la delusione.
Avrebbe ucciso quel titano anche da sola se il Capitano non si fosse messo in mezzo.
Si sentiva anche immensamente in colpa; per colpa sua si era ferito gravemente alla gamba e faceva un’immensa fatica a camminare, anche se non lo dava a vedere.
-Finchè è ancora vivo non devi preoccuparti, Mikasa.- era strano sentire un uomo del rango come il suo chiamare i soldati semplici per nome. Doveva ancora abituarsi alle loro regole.
-Preoccupati più che altro di quello che succederà quando attraverseremo nuovamente le mura. Dopo quello che è successo oggi, sarebbe il minimo se lo incarcerassero a vita.-
Dopodiché le ordinò di pulirlo a fondo, perfino sotto le unghie. Solo sentire l’odore di quel liquido denso gli faceva ribaltare lo stomaco.
Si girò verso l’altra parte e cominciò ad incamminarsi verso il cavallo del Capitano Erwin.
 
Appoggiò la gamba sinistra a terra e subito una fitta di dolore gli arrivò fino al cervello, facendo collassare momentaneamente i muscoli di tutte e due le gambe. Si appoggiò con la mano al carro ed imprecò sottovoce.
Mentre ricominciava a camminare iniziò a maledirsi mentalmente per non essersi concentrato abbastanza durante quella “missione di salvataggio”. Mandò anche una parolaccia a Mikasa, per la sua ingenuità e per aver messo in campo i suoi sentimenti.
-Levi!- la voce di Erwin lo riportò nel mondo reale. Il biondo lo raggiunse con il cavallo, per poi scendervi e mettersi esattamente di fronte all’uomo.
-Ho visto Eren sul carro, che è successo?- gli chiese molto serio.
-Diciamo che per colpa di quel moccioso e della sua amica la missione è andata letteralmente a farsi fottere.- rispose schietto Levi facendo un’espressione di disgusto.
-Non dare la colpa a quel ragazzo. La missione era destinata a fallire già dall’inizio. Non avevamo fatto bene i calcoli e non ci eravamo preparati abbastanza, tutto qui.- ammise Erwin.
-Tch.- Levi si voltò dall’altra parte indignato. Moltissimi soldati stavano facendo ritorno dalla foresta: alcuni erano in gravissime condizioni, altri erano comunque in grado di combattere se ce ne fosse stato il bisogno.
Alcuni uomini stavano posizionando i cadaveri dei caduti sull’erba, in una fila ordinata. Com’era nella prassi dell’esercito, i corpi erano stati coperti con un telo bianco che lasciasse solo i piedi scoperti.
Quei cadaveri poi sarebbero stati portati dentro le mura, così che i cari del morto potessero fare un ultimo saluto e seppellirlo com’era giusto fare.
Purtroppo però, la maggior parte dei corpi non faceva ritorno a casa. Non sempre i soldati riuscivano a recuperarli, ma molto spesso le condizioni delle salme erano così critiche da non avere il bisogno di caricarle sui carri.
-Quanti uomini abbiamo perso?- chiese monotono Levi. Poteva essere l’uomo più freddo del mondo, ma quando si trattava delle vite dei soldati perdeva un frammento della sua corazza e diventava leggermente più sensibile.
-Una quarantina, forse anche di più.- rispose secco Erwin.
-Come immaginavo…- il moro cominciò ad incamminarsi verso i cavalli zoppicando –Vado a controllare il mio cavallo. Quando hai intenzione di muovere il culo da questo posto di merda, avvertimi.-
-Levi…- lo chiamò quell’altro. Il diretto interessato continuò a camminare e non si voltò nemmeno per guardarlo negli occhi, però fece un grugno per intimarlo a continuare la frase.
-Dov’è finita la tua squadra?-
La sua gamba cedette di nuovo, facendolo cadere al suolo. Gemette dal dolore e chiuse gli occhi.
 
La sua squadra.
Sapeva benissimo dov’era finita, l’aveva visto in prima persona.
Se Erwin non gli avesse ordinato di rifornirsi, le cose sarebbero andate in modo diverso. E se lui non avesse ubbidito, avrebbe potuto cambiare le carte in tavola. Era anche conosciuto per essere il soldato più veloce della Legione; in quel frangente però, non era stato abbastanza veloce.
Aveva dato addirittura al quindicenne la scelta di trasformarsi in gigante se la situazione fosse stata critica.
Se Eren non si fosse fidato ciecamente della Squadra Levi…probabilmente sarebbero sopravvissuti.
Quel ragazzo aveva fatto lo stesso errore che aveva compiuto lui da giovane: si era fidato troppo delle persone, per poi pagarne le conseguenze.
 
-Lo so io dov’è finita. Fatti gli affari tuoi.- gli rispose a tono, rialzandosi e pulendosi le ginocchia con la mano.
Continuò a camminare verso il suo cavallo, cercando di trattenere lamenti e parolacce rivolti al mondo intero.
-Dove stai andando?-
-Vado a recuperare più cadaveri possibili; finchè tutte le squadre non tornano ne approfitto.-
Al suono di quell’ultima frase si bloccò e rimase ad ascoltare quella conversazione fino alla fine.
Effettivamente mancavano ancora molti corpi all’appello. Quelli della sua squadra erano un chiaro esempio.
Essendo stato occupato con il salvataggio di Eren, non aveva avuto il tempo di tornare indietro e recuperare tutti quei cadaveri.
Chiamatela “mancanza di tempo” oppure “mancanza di coraggio”, fatto sta che quei corpi (e non solo) si trovavano ancora nella foresta e qualcuno doveva pur provare a portarli al luogo d’incontro.
Quei ragazzi avevano trovato il coraggio di affrontare nuovamente quel luogo buio e spaventoso, ma nulla li assicurava che sarebbero tornati sani e salvi o che avrebbero fatto la fine di tutti quei poveretti che avevano perso la vita in quella missione folle.
Gli venne in mente un’anziana signora di cinque anni prima, all’entrata del cancello nel distretto di Shiganshina, che cercava disperatamente suo figlio. Sebbene le avessero solo recapitato un braccio di quest’ultimo, la donna sembrava felice di sapere che l’uomo aveva dato la vita per l’umanità.
Anche i famigliari degli altri morti dovevano avere lo stesso diritto.
 
Aveva la gamba che gli faceva un male cane, tanto da farlo cadere a terra ad ogni passo fatto con troppa enfasi, ma non poteva starsene lì in piedi a fissare gli altri soldati impegnati a fare delle buone azioni.
Senza indugio, si diresse verso quel gruppo di ragazzi con l’andatura zoppicante ma con lo sguardo deciso.
Nel frattempo se n’era aggiunto un altro: sarebbero stati in quattro se Levi fosse andato con loro.
 
-Bene, partiremo non appena Emmett avrà fatto rifornimento di spade. Siamo solo in tre, ma teoricamente dovremmo farcela- fece il leader di quel gruppetto ad un altro ragazzo di fronte a lui.
-Vi state dimenticando di me- il tizio girato di spalle alla vista del Capitano Levi fece un salto dallo spavento e si mise subito accanto all’amico, facendo il classico saluto che i cadetti dovevano compiere appena incrociavano un loro superiore.
E non stiamo parlando di un superiore come tutti gli altri, ma del Soldato più forte dell’Umanità.
-Capitano Levi?- fece il primo con occhi sgranati.
-Ha davvero intenzione di venire con noi?- quell’altro deglutì quella poca saliva che gli era rimasta in bocca con una faccia spaventata.
Levi li guardava con la sua solita espressione: occhi piccoli, grigi ed inespressivi, sopracciglia aggrottate e bocca ridotta ad una minuscola fessura orizzontale.
Pensavano di avere fatto qualcosa di sbagliato, e che quell’affermazione di prima fosse solo un espediente per punirli non appena sarebbero tornati a casa.
-Sì, ho intenzione di venire con voi. Avete qualche problema?- la sua voce non permetteva repliche ed esigeva subito una risposta.
-N-no, certo che no, signore. Ma la sua gamba è ferita, sarebbe meglio che si riposasse…-
-E fare in modo che il primo gigante di merda che passi ve lo metta nel culo?- nel fare quella domanda alzò di un tono la sua voce, tanto da far indietreggiare uno di loro di qualche passo.
-Q-quello che diceva il mio collega è che è meglio se andiamo noi a recuperare quei corpi. Siamo decisamente più in salute e, anche se morissimo, non sarebbe una perdita così grande per la nostra causa. Invece se morisse lei, soprattutto nelle sue condizioni, l’umanità avrebbe perso un grande uomo…e questo non possiamo permett- ah!- le sue parole erano state bloccate proprio dal diretto interessato, che si era avvicinato, l’aveva preso per il colletto della camicia e l’aveva alzato da terra di circa 10 centimetri.
-Luc!- gridò il suo amico (lo stemma dichiarava si chiamasse Ronald) vedendo la situazione.
Come poteva un uomo alto sui 160 centimetri e all’apparenza molto fragile, sollevare una persona di circa 20 centimetri in più così facilmente? E con una gamba ferita, per giunta.
Prima di quel momento non poteva mai credere che una cosa del genere potesse accadere, ma il Capitano Levi gli aveva cambiato il modo di pensare in appena 3 secondi.
-Oh, oltre a sottovalutarmi osi anche disubbidire ai miei ordini, moccioso di merda?- gli urlò contro con uno sguardo tagliente. Uno di quegli sguardi.
Uno che incuteva suggestione e paura allo stesso tempo. Uno che meritava certamente attenzioni, altrimenti avrebbe suscitato la rabbia del proprietario, come in questo caso.
-N-no non e-era mia intenzione farlo, signore! Mi dispiace!- Luc faceva fatica a respirare e si tenne il colletto lontano dal suo collo, in modo da poter respirare quel poco per sopravvivere.
-Bene, mi fa piacere sentirlo- lo mollò come un sacco di patate per terra. Dopo qualche tossicchio e qualche smorfia di dolore, fu costretto a guardare il suo superiore guardarlo dall’alto con le braccia incrociate e con lo sguardo più serio che mai.
-Sappi che il mio obiettivo non è andare a farmi una passeggiata romantica in quel cazzo di bosco, penso che tu abbia ancora un po’ d’intelligenza per capirlo, anche se ne dubito dopo aver visto come mi hai sfidato poco fa. So benissimo che ho la gamba ferita, non serve che un moccioso me lo ripeta come fa un fottutissimo pappagallo.
Vengo con voi semplicemente perché abbiamo perso fin troppi soldati oggi, e perderne altri non è uno dei miei desideri primari. Anzi, se lo evitassimo sarebbe meglio.
E poi, non voglio che quei giganti abbiano la soddisfazione di avere quei cadaveri tutti per loro, per poi utilizzarli come stuzzicadenti o come carta igienica per pulirsi il culo, questo non l’accetto e non lo voglio.
Ci siamo capiti ora?-.
 
I due ragazzi erano rimasti di sasso dopo il suo discorso; non sapevano che il capitano effettivamente avesse dei sentimenti e che erano rivolti soprattutto ai soldati.
In quel momento arrivò il presunto Emmett con tutti i rifornimenti di spade possibili. Ovviamente rimase spiazzato quando vide il suo compagno disteso a terra e il Capitano Levi posizionato di fronte a lui che lo squadrava dall’alto con sguardo intimidatorio.
Ma non chiese spiegazioni in quel frangente.
Le avrebbe chieste più tardi, quando si sarebbero già inoltrati dentro la foresta.
 
 
Erano in mezzo a quella coltre di alberi da dieci minuti e non avevano trovato né giganti né cadaveri. Si aiutavano con l’attrezzatura per il movimento tridimensionale per ispezionare dall’alto, ma la vegetazione era comunque così fitta da impedire una vista ottimale.
Levi cercava di fare il possibile, ma la gamba sembrava stesse per cedere ad ogni passo e il dolore stava diventando insopportabile. Ora sentiva male anche solo stando in piedi.
Ogni tanto imprecava a bassa voce oppure emetteva gemiti di dolore, causando la preoccupazione dei tre soldati che aveva accompagnato e le conseguenti domande sul suo attuale stato di salute. A volte rispondeva con delle ammonizioni, oppure li ignorava completamente.
In realtà, lui sapeva benissimo la posizione di 4 di quei tanti cadaveri che stavano cercando; li aveva visti in volo, circa un’ora prima. Poteva comodamente rivelare tutte le sue informazioni agli altri soldati per non fargli perdere tempo, ma per qualche motivo, non lo fece.
-Ehi! Credo di averne trovato uno!- la voce possente di Emmett si estese su quella piccola radura dove si erano fermati. Gli altri tre si avvicinarono aiutandosi col suono della sua voce e si ritrovarono sotto ad un immenso albero.
Il soldato si trovava aggrappato ad esso con i due rampini ed indicava un punto davanti a sé.
Quando i tre girarono lo sguardo, videro con orrore un uomo appeso a testa in giù, con il collo spezzato e con lo sguardo vitreo.
Seguirono esclamazioni di orrore e di tristezza da parte dei cadetti, che sembrava non avessero mai visto un cadavere messo in quelle condizioni prima d’allora.
Levi non disse nulla. Si limitò a guardare lo sguardo assente di Gunther con quegli occhi grigi che lo contraddistinguevano mentre gli altri passavano alla manovra tridimensionale per aiutare Emmett a tirarlo giù dall’albero.
-Come diavolo avrà fatto…a morire in questo modo…- Ronald sembrava sorpreso e giù di morale allo stesso tempo.
-Non importa. Muovetevi prima che qualche gigante del cazzo abbia l’intenzione di farci una visita d’accoglienza!- ordinò loro Levi mentre si apprestava a continuare le ricerche sempre con la sua andatura zoppicante.
Non si era nemmeno disturbato a chiudere le palpebre della salma e questo aveva fatto inorridire i tre soldati accompagnatori, che lo guardavano mentre camminava.
-Come fa ad essere così insensibile?- chiese Emmett rassegnato.
Gli altri due non risposero, ma era chiaro che la pensavano allo stesso modo. Levi li aveva accompagnati per non incrementare le morti in quella spedizione, e questo lo apprezzavano, ma ancora non riuscivano a capire il perché del suo gesto menefreghista verso i confronti di un soldato.
-Aspettate…- Luc prese la parola, rompendo quel silenzio.
-Che hai?-
-Questo…non è Gunther Schultz della Squadra Levi?- chiese con occhi sgranati.
-Impossibile, non sarebbe morto se fosse stato…-
-Invece sì! Guarda!- lo interruppe indicandogli lo stemma della Legione Esplorativa.
Vedendo quel nome, spalancò ancora di più gli occhi, e capì.
Capì perché il Capitano Levi non avesse detto e fatto niente.
Capì perché se ne fosse andato in quel modo.
Capì che, in un certo senso, il Capitano Levi aveva dei sentimenti.
 
 
Li sentiva parlare ma non poteva sapere cosa dicessero.
Sapeva solo che doveva portare più cadaveri possibili fuori da quella maledetta foresta. Di certo la sua gamba non avrebbe facilitato le cose, ma era più che convinto a portare quei corpi dalle loro famiglie.
Soprattutto quei 4 corpi di cui lui sapeva la posizione.
Avevano trovato quello di Gunther, quindi ne mancavano 3 all’appello e trovarli sarebbe stato relativamente facile.
Però appena gli venne in mente il suo sguardo vuoto, una fitta lo colpì così forte allo stomaco da fargli chiudere gli occhi.
Non doveva farsi vedere debole davanti a quei soldati, non doveva e non voleva.
Il dolore era insopportabile e si aggiunse anche quello alla gamba, che in quella ventina di minuti non si era di certo affievolito.
Improvvisamente aprì di nuovo gli occhi e il suo stomaco sembrava essersi finalmente calmato.
Vide una zona che gli pareva famigliare e richiamò nuovamente i soldati.
-Ohi! Qui ce n’è un altro! Sbrigatevi se non volete che vi faccia diventare cotton fioc per giganti!-
 
 
Dopo un’altra mezz’ora avevano recuperato 6 corpi e li avevano accumulati tutti in una grande radura, dove Luc si sarebbe appostato per fare la guardia fino a quando il Capitano Levi non avesse dato loro l’ordine di tornare indietro.
Alla vista dei corpi di Auruo Bossard e di Erd Gin mantenne sempre lo stesso silenzio di poco prima e non spiccicò quasi parola, se non per dare degli ordini o per minacciare gli unici due soldati rimasti con lui.
-Adesso che facciamo? Dalle segnalazioni non dovrebbero esserci altri cadaveri qui intorno…- mormorò Ronald.
-Infatti. Sarà meglio tornare indietro adesso; le altre squadre saranno già arrivate ed è meglio non far preoccupare il Capitano Erwin.- confermò Emmett mentre si avviava verso la radura dove avevano lasciato Luc con i cadaveri.
-Voi andate pure. Io rimango qui a controllare ancora per un po’, poi vi raggiungo.- quella frase li preoccupò non poco.
-Ma Capitano…non possiamo lasciarla qui da solo. E’ anche ferito! Se arrivasse qualche gigante…-
-Me la caverei da solo, come ho sempre fatto fino ad ora.- lo sguardò che lanciò loro era irrevocabile e non ammetteva repliche.
Emmett e Ronald sbuffarono rassegnati, si congedarono da lui e si diressero ancora verso la parte più sicura della foresta.
 
Levi prese la direzione opposta levandosi in volo con la manovra tridimensionale e passando verso gli alberi ad una velocità impressionante.
Sperava solo che quei giganti non l’avessero presa e portata via. Contando che era passata quasi un’ora da quando l’aveva vista l’ultima volta era molto probabile.
Ma lui l’avrebbe trovata comunque, anche se si fosse trovata dentro la bocca di un gigante.
Fortunatamente durante il suo piccolo spostamento non ebbe nessun brutto incontro con uno di quei bestioni, quindi poté proseguire con la sua consueta velocità, stando attento comunque a non sprecare il gas.
 
La foresta era uguale da ogni parte; gli alberi sembravano essere cloni di loro stessi e le radure non presentavano alcuna differenza tra loro.
Nonostante questo, lui sembrava sapere cosa facesse e dove si stesse dirigendo. Stava andando in un luogo preciso.
Chiamatelo istinto, sesto senso, intuizione…come volete, fatto sta che qualcosa lo stava portando in un luogo dettato da qualche altra forza sconosciuta, della quale Levi ignorava l’origine.
 
Quando quella strana sensazione si bloccò momentaneamente, capì di essere arrivato dove voleva arrivare.
Gli parve di riconoscere quell’albero, dove qualche ora prima si era agganciato con i rampini dell’attrezzatura; infatti sul tronco vi erano i segni molto visibili.
Decise di scendere a terra e cominciò a perlustrare i dintorni con lo sguardo. Rimase comunque in guardia, in attesa dell’arrivo di qualche gigante. Siccome non arrivò nessuno nel giro di 10 secondi, ripose le pistole con il rampino al loro posto.
Quando rialzò lo sguardo, gli parve di vedere una macchia marrone-rossiccia tra i cespugli di fronte a sé.
Il suo cuore perse un battito; il proprietario di quel cuore se ne accorse fin da subito, ma decise di non darci troppo peso. Era troppo occupato a sopportare il dolore alla gamba per preoccuparsi di quello che effettivamente accadeva nel suo profondo.
Scostò con la mano i grandi cespugli che coprivano la sua visuale ed il suo cuore decise di ripetere lo stesso scherzetto di poco prima, con maggior intensità.
 
La posizione di Petra non era cambiata rispetto a come l’aveva vista in precedenza.
Il torace e l’addome erano appoggiati alla sequoia che la sorreggeva, la schiena e il collo erano piegati all’indietro in un modo non naturale.
A causa della sua posizione il suo viso era costretto a rivolgersi verso l’alto, come se la ragazza volesse chiedere con la forza del suo sguardo un’altra possibilità per riscattarsi, che però non le fu mai data.
I capelli corti e rossicci si muovevano al soffio del vento; da lontano potevano sembrare delle piccole fiammelle in una distesa di erba verde.
O almeno, questo pensò Levi dopo averla vista a distanza ravvicinata.
Fece qualche passo in avanti e si avvicinò ancora di più all’albero: la corteccia ruvida era ricoperta di strisce di sangue ormai secco e in alcuni parti era scheggiata, come se lei fosse andata a sbatterci contro, perdendo la vita.
Ma Levi sapeva che non poteva essere andata così; Petra era troppo abile per morire a causa di una cazzata del genere, no, doveva essere andata sicuramente in un altro modo.
In un modo decisamente più crudele, dato che la sua espressione lasciava intendere che fosse sicura che sarebbe morta nel giro di qualche secondo. E poi il modo in cui la schiena e il collo erano curvati all’indietro lo resero ancora più perplesso.
Le sue mani agirono senza la sua volontà; la presero con delicatezza e senza fatica (per qualche motivo era molto leggera) e l’appoggiarono al suolo, in modo che fosse distesa sull’erba.
Levi si mise accanto a lei in ginocchio, mandando la gamba a farsi benedire e si mise a contemplare i suoi occhi grandi e ambrati.
 
Non doveva andare così.
Era troppo giovane, troppo abile, troppo coraggiosa…troppo buona.
Aveva diritto ad un’altra opportunità per migliorarsi e per tornare in battaglia più carica di prima.
Non doveva morire.
E neanche gli altri dovevano farlo.
 
Ma io, dove diamine ero in quel frangente?
Avrei comunque fatto in tempo a salvarli?
Se solo non avessi sprecato tempo per rifornirmi di gas e di spade tutto questo non sarebbe successo.
Se solo non mi fossi fidato così ciecamente di loro, sarebbero ancora vivi, sorridenti e pronti a combattere come hanno sempre fatto.
 
Tch.
Non imparo mai, eh?
E’ la seconda volta che mi portano via i compagni, e sempre per le stesse identiche circostanze del cazzo.
Mi reputano intelligente, sveglio, ma la verità dei fatti è che sono un idiota.
Così idiota da dare la responsabilità ad un ragazzino confuso ed impaurito.
Come fanno a reputarmi il Soldato più forte dell’Umanità?
Se fossi stato ‘così forte’ non avrei dato la possibilità ad un quindicenne di scegliere tra due fuochi.
Avrei dovuto far fuori quel gigante quando l’occasione mi si era presentata davanti, fanculo gli ordini di Erwin.
Dovevo mettere in primo piano la squadra, non il mio orgoglio.
Quell’orgoglio che mi ha fottuto in questi anni che faccio parte della Legione.
Perché sono così stupido?!
 
Questi erano i pensieri che in quel momento tormentavano il Caporale mentre fissava intensamente gli occhi vitrei della ragazza sdraiata al suo fianco. La sua testa era piena di insulti alla sua persona, a ripensamenti e d’imprecazioni di ogni tipo, ma la sua espressione non lasciava trasparire nulla di questi.
Alzò d’istinto la mano destra e con delicatezza chiuse le palpebre della ragazza, sporcandosi un po’ le dita con il suo sangue.
Stranamente però, non tirò fuori il suo immancabile fazzoletto per pulirsi la mano contaminata.
Ad un tratto notò una goccia trasparente cadere sul viso della ragazza e farsi largo tra le sue guance, per poi cadere velocemente a terra.
“C’era il sole fino a prima, come fa a piovere adesso?” pensò Levi mentre alzava gli occhi.
Non c’erano nuvole; il cielo era di una sfumatura rossastra per l’avvento del tramonto ed era vuoto di ogni cosa.
Un’altra goccia fece per cadere sulle sue di guance, cominciando il suo viaggio verso il vuoto.
E tantissime altre fecero lo stesso.
“Ma…cosa…” si ritrovò a pensare mentre si rese conto che le gocce che percepiva non provenivano dal cielo, bensì dai suoi occhi.
Stranamente lasciò che le cose continuassero così, e fece un sorriso amaro.
Era da anni che non piangeva per la morte di qualcuno: la cosa gli faceva ridere perché era una sensazione che non sperava di provare nuovamente. Invece ci era cascato.
Si era affezionato talmente tanto a quella ragazzina da perdere il suo cuore di ferro per un momento e da permettergli di provare finalmente delle emozioni umane, come la tristezza e l’amarezza.
 
Inarcò il suo corpo in avanti rimanendo comunque in ginocchio, appoggiò la testa sul terreno e lasciò che le sue emozioni presero il sopravvento su di lui.
Tuttavia cercò di mantenere il controllo; non voleva che un qualsiasi soldato che passasse di lì lo sentisse.
Si sentiva esattamente come quel giorno in cui perse i suoi due migliori amici nella sua prima spedizione al di fuori delle mura.
Emise anche qualche singhiozzo, esatto, come fa un bambino dopo una sessione di pianto di lunga durata.
Si sentiva anche così dannatamente debole ed indifeso che cominciò a credere che se fosse passato un gigante probabilmente non avrebbe avuto le forze per abbatterlo.
Fatto sta che in quei cinque minuti la zona nella quale vi si era appoggiato con la testa venne completamente bagnata dalle sue lacrime, che non smisero di scendere nemmeno per un secondo.
-Mi…dispiace…- mormorò tra un singhiozzo e l’altro, in preda alla commozione più totale.
Gli occhi gli bruciavano da morire e i denti gli facevano male da quanto li aveva tenuti stretti per soffocare i suoi lamenti.
-Mi dispiace…- ripeté con più convinzione nella voce già rauca di suo -…perdonatemi…- espresse infine con un filo di voce.
 
 
-Cosa? Ha deciso di rimanere dentro la foresta?- chiese il Capitano Erwin nel pieno della perplessità e sorpresa.
Era da qualche minuto che Ronald, Luc ed Emmett erano ricomparsi dal buio della foresta con una bella quantità di cadaveri da mettere sui carri per il ritorno a casa.
Avevano anche riferito all’uomo i presunti nomi dei cadaveri che avevano trovato ed Erwin aveva risposto solo con qualche sospiro.
Mancavano cinque minuti alla partenza e Levi non si era ancora fatto vivo, per giunta, non avevano più avuto notizie di lui da quando si erano congedati da quest’ultimo.
-Sicuramente tornerà, quindi non dobbiamo preoccuparci, giusto?- chiese Ronald sicuro di sé, ma non ricevette nessuna risposta.
Chiese anche il perché di quel silenzio improvviso e si limitò a guardare i suoi compagni ed Erwin.
I loro sguardi erano diretti verso un punto preciso. Però non capiva perché le loro facce si fossero tramutate in così poco tempo da tranquillità a sorpresa, quindi spostò anche lui lo sguardo verso quella direzione.
In quel frangente rimase totalmente pietrificato dalla scena che si stava svolgendo dinanzi a lui.
 
Levi stava camminando, o meglio zoppicando, verso il carro che avrebbe portato tutti i cadaveri a casa. Il suo sguardo era più spento del solito e le occhiaie si erano fatte più visibili.
La sua giacca e il suo foulard bianco come il latte erano sporchi di sangue e i pantaloni della divisa erano messi nella stessa situazione.
Stava tenendo in braccio una ragazza: la mano destra le teneva la schiena mentre la sinistra era appoggiata saldamente nell’incavo tra la coscia e il polpaccio.
I capelli ramati potevano essere riconosciuti ovunque.
-Ma quella non è Petra Ral?-
-Quella della Squadra Levi?-
-E’ ancora viva?-
-Non vedi come tiene il collo all’indietro? E’ ovvio che è morta-
-Zitto! Potrebbe sentirti!-
I soldati, alla vista di quella scena, cominciarono a farsi delle domande. Non era cosa da tutti i giorni vedere il Capitano Levi portare uno dei suoi sottoposti in braccio, soprattutto se si trattava di una donna.
 
Levi mantenne comunque il suo atteggiamento stoico anche se si sentiva a dir poco osservato, ma se ne fregò altamente e continuò a camminare.
Girò un’ultima volta gli occhi verso Petra e la scrutò negli ultimi tratti del suo cammino.
Le palpebre erano rimaste chiuse da dentro la foresta e la bocca era ancora semiaperta: non si sarebbe mai permesso di importunarla a tal punto da chiuderle le labbra, anche se ormai era irrilevante, dato che Petra non avrebbe potuto protestare.
Il mantello verde della ragazza era stato usato a mo’ di coperta, in grado che le coprisse sia il petto che l’addome.
Mentre la guardava in quegli ultimi attimi, gli parve di vederla sorridere, ma sicuramente se lo stava sognando.
Un’altra lacrima fece per scendere dai suoi occhi, ma fu abbastanza veloce da sopprimerla immediatamente, proibendole di mostrare a tutti il suo lato umano.
Erwin però da lontano la vide e fece anche lui un sorriso amaro.
Aveva già visto una scena del genere molti anni prima, quindi vedere Levi che piangeva non era una novità per uno come lui. Anzi, gli faceva anche piacere vederlo piangere; gli dava la conferma che effettivamente aveva dei sentimenti.
Quando Levi gli passò davanti, l’unica cosa che fece il Comandante fu lanciargli un’occhiata rassicurante, cosa che al destinatario non sembrò interessare.
 
Arrivato davanti al carro, vide ovviamente la serie di cadaveri disposti in fila per terra. La prassi dell’esercito richiedeva che quei corpi venissero coperti con un telo bianco e legati all’altezza del petto e delle gambe.
Un ragazzo infatti, addetto a fare quel tipo di cose, si avvicinò al Capitano e gli chiese se poteva lasciare il corpo di Petra disteso per terra, in modo che potesse coprirla con quel telo.
-Ci penso io, tu preoccupati degli altri- fu la risposta di Levi a quella domanda.
Ovviamente il ragazzo non replicò, quindi gli passò un drappo bianco e lo lasciò fare, mentre andava a controllare le altre salme.
 
L’uomo si guardò attorno per controllare se qualcun altro lo stesse osservando da lontano.
Quando si assicurò che non fosse più sotto l’attenzione degli altri soldati, piegò le ginocchia e posò delicatamente Petra per terra, di fianco agli altri cadaveri.
Alzò una mano e l’appoggiò sulla sua fronte, per poi farla scendere fino al piccolo mento velocemente, ma con una gentilezza incredibile.
Infine, prima di coprirla con quel telo, si sporse con il collo in avanti e posò le sue labbra sulla sua fronte fredda per poi sussurrarle nell’orecchio:
 
-Perdonami…-








Spazio dell'autrice:

Salve a tutti popolo di EFP :)
Era da un sacco di tempo che volevo postare qualcosina su questo fandom, ma per paura, per imbarazzo o per mancanza di tempo non ho mai potuto fare niente.
Comunque, come avete letto nell'introduzione, ho voluto dare la mia versione dei fatti su un pezzo della storia che mi sta veramente a cuore. E siccome sia nel manga che nell'anime questo pezzo non è stato molto approfondito, diciamo che ho voluto approfittarne ;)
Poi la bellissima fanart che ho messo all'inizio mi ha dato un notevole aiuto ehehe~
Spero di non aver reso Levi troppo OOC (per sicurezza ho messo l'avvertimento) e di aver tenuto le personalità dei personaggi abbastanza fedeli al manga/anime.
Non sono brava a scrivere storie del genere, ma mi è piaciuto molto sviluppare questa one-shot e spero che sia stato lo stesso per voi dopo averla letta ^.^
Se dovessero esserci degli errori non esitate a segnalarmeli! Io ho controllato, ma qualcuno di sicuro mi è sfuggito xD
Ciao ciao :)
NikoruChan

 
  
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