Kyungsoo non disse mai, mai, a
Minseok come stesse quando era in ospedale, o di quando si aspettasse
di tornare a casa. Minseok sapeva che non era per le proprie ragioni
egoistiche. Sapeva che nemmeno Kyungsoo
sapeva dare risposta a quelle
domande. Riceveva tutti gli aggiornamenti sulle sue condizioni dai suoi
genitori, perché anche se Kyungsoo avesse voluto
condividerli con lui non avrebbe potuto. Kyungsoo non chiedeva mai ai
medici se stesse bene, se avessero trovato qualcosa di nuovo, nemmeno
quale fosse la sua diagnosi. Sapeva come si sentiva
ovviamente, ma a quanto pare
Kyungsoo sapeva di non potersi affidare solo su quello quando si
trattava della sua salute. E non chiedeva mai quando sarebbe potuto
tornare a casa. Non voleva saperlo.
Non voleva mantenere le
speranze troppo alte, perché troppo spesso quando era
più piccolo, gli avevano detto una cosa, per poi informarlo
il giorno seguente che le cose erano cambiate.
Nonostante questo, a Minseok
faceva piacere sapere, anche solo per alleggerire la propria coscienza,
quindi riceveva aggiornamenti regolari dai genitori di Kyungsoo. Sapeva
che le cose sarebbero potute cambiare nel giro di un'ora o anche meno,
ma voleva sapere almeno come stavano andando le cose. Quindi sapeva che
Kyungsoo stava leggermente migliorando quando lui tornò a
scuola quel mercoledì (ancora malato e debole ma abbastanza
lucido da poter lasciare la casa), e che lo avrebbero dovuto dimettere
sabato; quando però ebbe una ricaduta il giovedì,
rimandarono la data almeno fino al martedì successivo. Aveva
sentito che Kyungsoo aveva cominciato a tossire sangue a un certo
punto, ma che per fortuna aveva smesso qualche giorno fa. Aveva sentito
che Kyungsoo, debole e fragile, era così esausto per la
ricaduta improvvisa e per il costante sforzo fisico di tossire che
aveva dormito per diciannove ore di fila (ed era per questo che non
aveva mandato messaggi a Minseok per tanto tempo, facendolo preoccupare
tantissimo). Ma sapeva anche che Kyungsoo si era ripreso rapidamente
dall'infezione secondaria, molto più in fretta di quanto non
fosse abituato, e che la data di dimissione del martedì
rimase programmata.
Questo rendeva la sua
permanenza in ospedale di esattamente due settimane, e paragonato alle
volte in cui ci era rimansto per mesi quando era più
piccolo, sembrava quasi un miracolo, e Minseok li considerò
estremamente fortunati.
Kyungsoo tornò a
casa martedì, ma se i suoi genitori non glielo avessero
detto esplicitamente, non lo avrebbe mai saputo. Kyungsoo non gli disse
nulla, nemmeno quando era già a casa, ma Minseok sapeva di
non doversi aspettare altrimenti, ma lo stomaco gli si strinse comunque
per l'ansia. Mandò un messaggio all'amico, dandogli il
bentornato a casa, ma non ricevette risposta. C'era da aspettarselo.
Non ebbe il coraggio di dire nulla a Luhan; sapeva che il ragazzo
voleva vedere Kyungsoo, e non voleva dirgli che non poteva farlo.
Oltre all'impressionante
guarigione rapida di Kyungsoo, l'unica notizia ottimista a cui Minseok
poté appigliarsi fu che Kyungsoo non chiese ai genitori di
distruggere tutte le cose della sua stanza, come era abituato a fare.
La madre di Minseok era andata nella sua stanza lunedì notte
per aiutare a disinfettare ogni minimo centimetro – come
infermiera, era l'unica persona della quale Kyungsoo si fidasse.
Quello, almeno, fece sentire Minseok leggermente meglio. Avevano
affrontato di peggio in passato. Questo potevano superarlo.
Mercoledì non
sembrò andare meglio di martedì. Dopo la scuola,
Minseok era tornato a casa e aveva gettato la propria sciarpa gialla
sopra il muro che divideva i loro balconi, un segnale, e
aspettò li fuori al freddo per ore, nonostante lui stesso si
fosse appena ripreso dalla malattia. Kyungsoo non aprì mai
la sua porta.
Quella notte, Minseok
pensò per più di un'ora prima di mandare un altro
messaggio al vicino. Mi
piacerebbe davvero parlare con te, Soo.
Ci volle un'altra ora prima che
ricevesse risposta.
Kyungsoo: Non posso, hyung.
Minseok si morse il labbro e
prese un profondo respiro. Ti
prego, Kyungsoo. Ho bisogno di te.
Kyungsoo: Per favore non rendermi tutto più difficile. Non
posso.
Minseok si ritrovò a
cacciare indietro le lacrime. Ti
prego, prenditi cura di te, fu tutto quello che
poté rispondere.
Giovedì si costrinse
ad andare a casa di Kyungsoo e bussare alla sua porta, anche se aveva
paura di peggiorare le cose. Rispose il padre, e confermò
quello che Minseok aveva già immaginato: Kyungsoo non usciva
dalla propria stanza, né per Minseok né per
nient'altro se non andare in bagno, e anche allora solo dopo essersi
assicurato che fosse stato pulito. Minseok annuì triste e
tornò a casa.
Venerdì, Minseok ne
ebbe abbastanza della reclusione di Kyungsoo, e decise che un approccio
più diretto fosse ovviamente necessario. Lo aveva fatto solo
una volta prima, quando erano considerevolmente più piccoli,
ma aveva funzionato allora, e Minseok non si sarebbe arreso fino a che
non avesse funzionato anche stavolta. Non avrebbe lasciato che
accadesse ancora.
Quindi si mise il giubbotto, la
sciarpa e il cappello, e uscì in balcone,
scavalcò goffamente il muro che li divideva e
bussò al vetro di Kyungsoo.
Le tende erano chiuse, quindi
non poteva vedere Kyungsoo o sapere se avesse sentito, ma a meno che
non fosse stato in bagno, doveva per forza averlo sentito.
“Kyungsoo,” disse, cercando di non lasciare che la
voce gli tremasse. “Kyungsoo, posso parlarti un secondo, per
favore?”
Non ci fu risposta. Minseok non
se ne aspettava una. “Kyungsoo, ho
davvero bisogno di parlarti. Ho bisogno che esci.”
Il silenzio si
prolungò, e Minseok era piuttosto sicuro di star provando
uno di quei cambi d'umore dati dal diabete, e probabilmente se ne
sarebbe dovuto preoccupare, ma al momento non gli importava, quindi
sbatté i piedi e disse, “Kyungsoo, esci in
questo momento,” cominciando poi a
gridare per la rabbia, la paura e lo stress e un milione di altre
emozioni travolgenti. Si voltò e si sedette con la schiena
poggiata alla porta, sbattendo la testa sul vetro un paio di volte
mentre cercava di darsi una calmata, prendendo dei profondi respiri e
asciugandosi gli occhi quando il dolore alla testa cominciò
a farsi sentire. Si rese conto che la stava ancora sbattendo contro la
finestra e si fermò, pensando che si sarebbe procurato una
commozione cerebrale e questo sicuramente
non avrebbe migliorato le cose.
“Kyungsoo ti
prego,” disse, con voce
debole. “Sono preoccupato per te e mi manchi e so cosa ti
stai facendo, e non deve andare per forza così, e ho bisogno
che esci. Ti prego, esci.”
Tutto rimase perfettamente
immobile e silenzioso, e Minseok sentì il bisogno di
ricominciare a sbattere la testa alla porta. Prese un profondo respiro
e si asciugò ancora le guance, immaginandosi Kyungsoo seduto
nella sua stanza, probabilmente sul letto, raggomitolato e spaventato e
solo, e cercò di ricomporsi.
“Kyungsoo,” disse ancora, con voce più
ferma. “Ne abbiamo già parlato prima, no? Non puoi
lasciare che la tua paura abbia la meglio su di te. So
che sei spaventato, e so che
sei stravolto, che senti di non poterne fare a meno, ma io so
che puoi. So che sei forte, e che non hai
mai lasciato che qualcosa del genere ti sconfiggesse prima. So che
è terrificante, che senti che sia troppo, ma ho bisogno che
pensi un secondo all'anno appena trascorso, okay? Ascoltami e basta.
Pensa a tutte le cose che hai fatto quest'anno. Ti sei fatto dei nuovi
amici, giusto? Luhan e Baekhyun e Chanyeol e Junmyeon. Sei venuto a
casa mia, hai dormito qui. Ti sei seduto sul mio divano e hai mangiato
marshmallow arrostiti al tuo compleanno, e hai toccato la sabbia. Te lo
ricordi? E hai lasciato che io e Luhan entrassimo in camera tua. E so
che ti sei ammalato, e so
che è stato
spaventoso, difficile e doloroso, ma pensa a tutte le cose che hai
fatto. E a quanto in fretta ti sei ripreso. Nonostante tutto, Kyungsoo,
sono così orgoglioso di te. Sei così forte,
più forte di quanto non potrei mai essere io, e so che
uscire dalla tua stanza e affrontare ancora il mondo sembra pericoloso
e terrificante, lo capisco, ma tu sei
più forte di così. So che lo sei. So che
è un rischio, ma Kyungsoo, a volte devi correre dei rischi
per essere felice. Voglio solo che tu sia felice.”
Prese un gran respiro e chiuse
gli occhi. “E pensa a me, Soo.
Come pensi che sopravvivrò senza di te? Sai che non farei
mai niente che penso possa farti male, vero? Sai che voglio solo il
meglio per te. E io... non so nemmeno cosa fare senza di te. E pensa a
Luhan. Sai come si sente in questo momento? È
così preoccupato per te. Mi chiede di te cento volte al
giorno. Non so mai cosa dirgli. Vorrei dirgli che supererai tutto
questo, che tornerai ad essere quello di prima, ma ho bisogno che tu mi
dica che ci proverai. Dipende tutto da te, Kyungsoo, e questo non
significa che noi non ti aiuteremo e supporteremo, ma tu devi fare il
primo passo. Luhan vuole parlare con te, vuole assicurarsi che stia
bene, si sente così
in colpa per tutto e vuole solo che le
cose migliorino. Tutti vogliamo che le cose migliorino. Rivoglio
indietro il mio Sooseongong. Quindi ti prego, ti
prego, vieni fuori.”
Detto questo, Minseok si sporse
in avanti e chiuse gli occhi, rabbrividendo per il freddo e contando
indietro da cento, aspettando, sperando. Novantotto.
Novantasette. Probabilmente sarebbe arrivato
a zero e avrebbe ricominciato. Novantacinque.
Novantaquattro. Sentiva come se il freddo gli
stesse circolando nel sangue. Novantadue.
Novantuno.
La porta si aprì.
Minseok sussultò, girandosi e sollevando lo sguardo per
vedere Kyungsoo sulla soglia, che sbirciava dai quattro o cinque
centimetri di porta aperta, vestito con il pigiama e dall'aspetto
fragile ma vivo. Minseok sbatté le
palpebre, gli occhi gonfi e rossi.
“Ho paura,”
sussurrò, con voce così sottile che quasi si
perse nel vento invernale.
“Lo so,” rispose Minseok,
alzandosi in piedi. “Ma lo supereremo.”
“Ho paura,” ripeté
Kyungsoo, con le lacrime che gli scendevano sulle guance.
“Io credo in te,”
disse lui, deglutendo a fatica. “Devi fidarti di
me.”
E lentamente, con esitazione,
Kyungsoo annuì. Era un inizio.
Kyungsoo sapeva molto sui
meccanismi di coping. Aveva letto un sacco di libri e di ricerche, e
sopratutto li aveva sperimentati in prima persona. Crescere e capire
lentamente sempre più circa la sua condizione lo aveva
portato a conoscere diversi modi di gestire tutto per evitare di essere
travolto, che ovviamente era la sua prima reazione. Aveva attraversato
diversi periodi di negazione, regredendo ad inaccettabili comportamenti
infantili, dissociandosi da tutto e praticamente chiudendo tutti fuori,
e rendendo tutto una specie di grande gioco malato. Aveva un terapista
quando era più piccolo, qualcuno che veniva a casa sua per
lavorare con lui un paio di volte a settimana, ma a un certo punto
aveva sviluppato una terribile fobia delle persone che entravano a casa
sua, e di lasciarla lui stesso, quindi la cosa si era conclusa
abbastanza in fretta.
Aveva passato un periodo di
profonda depressione per circa un anno, ed era stato davvero difficile
per lui uscirne; si richiudeva in passatempi oscuri e faceva delle
ricerche su argomenti strani per distrarsi dalla negatività
della propria vita. La distrazione era diventata la sua ultima
spiaggia, per evitare di pensare troppo a tutto. Minseok era diventato
una distrazione. Un amico certo, ma anche una distrazione. Minseok era
sempre stato suo amico, ma per la maggior parte del tempo, Kyungsoo gli
aveva tenuto nascoste tutte le sue difficoltà, per paura di
perdere l'unico amico che avesse mai avuto. Minseok lo aveva aiutato
molto, anche senza accorgersene. Era sempre stato infinitamente di
sostegno, infinitamente di supporto, e infinitamente orgoglioso di lui.
Come se Kyungsoo meritasse il suo orgoglio.
Kyungsoo aveva lavorato
duramente per meritarlo, anche solo un poco.
Ora, e in questi ultimi anni,
Kyungsoo stava molto meglio. Lo sapeva. Aveva ancora dei giorni
difficili, e dei giorni tristi, ma aveva imparato a gestirli. Aveva
alterato il proprio modo di pensare, ed era diventato molto
più ottimista, in qualche modo. Per altre cose, Minseok gli
aveva detto che doveva ancora lavorarci su. Kyungsoo sapeva di aver
sviluppato irrazionali fobie e un disturbo ossessivo compulsivo, e
sapeva che erano quelle le aree in cui aveva ancora bisogno di
lavorare, ma erano chiamate irrazionali
per un motivo. Anche se
Kyungsoo sapeva di essere troppo paranoico, e che molte delle cose di
cui aveva paura non erano nemmeno reali, a volte gli sembravano
terribilmente, insopportabilmente
reali.
Era migliorato, ma ammalarsi di
nuovo aveva cambiato molte cose.
Ammalarsi significava molte
cose per Kyungsoo, che era stato nella stessa situazione innumerevoli
volte prima. Ammalarsi significava stare davanti alla porta della
morte, con le dita che a volte sfioravano il suo campanello. Ammalarsi
significava avere paura della morte, averne così tanta paura
da non riuscire ad aprire gli occhi perché forse, se li
avesse tenuti chiusi, questo significava che non era mai stato vivo
dopotutto. Ma allo stesso tempo in cui temeva la morte, Kyungsoo
lottava contro l'istinto di accettarla, perché accettarla
come possibilità sembrava così invitante, gli
avrebbe sollevato un bel macigno dal petto; ma dopo l'accettazione
arriva il desiderio. Il desiderio di scomparire. Il desiderio di essere
libero dal dolore, libero dal terrore, libero dalla sofferenza. La
morte lo stava aspettando da molto tempo. Sin dal giorno in cui era
nato. Sarebbe stato così facile arrendersi semplicemente.
A volte, il desiderio era tanto
spaventoso quanto la paura iniziale.
E poi era migliorato. A volte,
nei suoi momenti più bui, Kyungsoo biasimava il processo di
guarigione. Era una speranza, ma a quale prezzo? Un altro paio di mesi
di paranoia e solitudine prima di ammalarsi di nuovo? E la paranoia era
sempre così forte quando stava meglio. Tutto sembrava una
minaccia. Gli sembrava come se la sua pelle bruciasse per i batteri,
come se tutto quello che toccava fosse infetto, come se niente e
nessuno fosse sicuro. Non poteva lasciare la sua stanza
perché tutto era pericoloso, persino la sua stanza era
pericolosa, raramente si muoveva dal letto, perché l'ultima
volta che l'aveva fatto si era ammalato, e guardate dove l'aveva
portato.
E poi era arrivato Minseok.
Come sempre, era arrivato Minseok, e gli aveva ricordato perché
avesse lasciato la sua stanza.
I suoi amici. Nuove esperienze. Quella luminosa e distante
possibilità di felicità, anche se effimera. Le
cose per le quali valeva la pena vivere, persino per Kyungsoo. E
Minseok era così orgoglioso. Come se Kyungsoo meritasse
quell'orgoglio.
Kyungsoo voleva meritarlo,
quindi mercoledì pomeriggio era uscito da camera sua e si
era seduto in cucina, dove Minseok lo aveva raggiunto.
“Hey Soo,” disse piano
il maggiore, sedendosi di fronte a lui e sorridendogli gentilmente.
“Come stai?”
Kyungsoo dovette fermarsi e
prendere dei profondi respiri, perché Minseok si era seduto
a pochi centimetri da lui e Kyungsoo sapeva che fino alla settimana
scorsa era malato e anche se lui
sapeva che non era
più contagioso, il suo cuore aveva cominciato a correre
perché il
suo cuore non sapeva nulla di scienza e
medicina. Minseok aspettò pazientemente, e alla fine
Kyungsoo disse, “Sto bene.”
Minseok aveva chiamato la
cucina di Kyungsoo una 'zona neutrale'. Non doveva lasciare casa sua,
ma nessuno doveva entrare nella sua stanza. Era meglio di qualsiasi
altra opzione, se non altro. Gli piaceva di più rispetto al
salotto. I divani lo rendevano nervoso; i materiali morbidi erano molto
più difficili da pulire e disinfettare rispetto a quelli
duri. “Te la senti ancora?” Gli chiese con cautela
Minseok.
Kyungsoo annuì
lentamente. Erano passate tre settimane da quando era stato ricoverato
in ospedale. Era decisamente arrivato il momento di farlo (Minseok
sarebbe stato orgoglioso di lui). “Sì. Puoi...
puoi dirgli di entrare.”
“Ne sei assolutamente
certo? Potrebbe agitarsi. Potrebbe agitare te.”
Kyungsoo annuì
ancora. Onestamente, non sapeva come avrebbe reagito. Non aveva mai
conosciuto le persone che lo avevano contagiato prima. Non sapeva come
si sarebbe sentito. “Voglio parlargli.”
“Okay,” rispose piano
Minseok, poi si alzò in piedi e andò alla porta,
aprendola per far entrare Luhan. La prima reazione automatica di
Kyungsoo fu quella di balzare in piedi e andarsene, ma si costrinse a
rimanere seduto mentre i due ragazzi tornavano al tavolo e si sedevano
di fronte a lui. Luhan lo guardò con gli occhi spalancati e
lucidi, e Kyungsoo deglutì e usò tutto
l'autocontrollo che possedeva per incontrare il suo sguardo invece che
guardare dove le mani del ragazzo stavano lasciando sudore, batteri e
germi sul suo tavolo.
“Ciao Kyungsoo,”
sussurrò Luhan.
“Ciao hyung,”
sussurrò lui in risposta, mordendosi il labbro.
“Io—tu—sembri...
stare bene.” la voce di Luhan tremava pericolosamente, e
Kyungsoo dovette sorridere per la scelta delle sue parole.
“Sto bene,” rispose.
“Più o meno.”
“Questo—mi fa davvero
piacere,” disse sinceramente Luhan. Kyungsoo non
dubitò nemmeno un secondo di quelle parole. “Sono
davvero contento, Kyungsoo, non ne hai idea.”
“Lo so, hyung,” disse
Kyungsoo. E lo sapeva davvero.
“Mi dispiace non
averti potuto mai mandare un messaggio personalmente,” si
scusò il ragazzo. “Non ho un cellulare, quindi
dovevo sempre chiedere a Minseok di dirti le cose, e mi dispiace,
volevo parlare con te ma non potevo e avevo così paura
e—”
“Lo so, hyung,” disse
ancora Kyungsoo, sorridendo leggermente. Luhan chiuse la bocca, gli
occhi grandi spalancati. “È tutto okay. Non ti do
la colpa.”
“Tu—no?”
Kyungsoo scosse la testa
lentamente. “Per nulla. Penso di averlo fatto un po', subito
dopo essermi ammalato. Ma non più. Pensavo che l'avrei
fatto, quando ti avessi visto. Ma non è
così.”
“Nemmeno un po'?”
chiese Luhan, con la gola secca. “Ma io – era colpa
mia, dovresti incolparmi.”
“No, non dovrei,”
disse Kyungsoo. “So molte cose sulle malattie, hyung. So che
le persone diventano contagiose prima che sentano loro stesse i
sintomi. Ecco perché sono sempre così paranoico.
Ma non era colpa tua. Non ti biasimo.”
Luhan lo fissò a
lungo, e poi il suo labbro cominciò a tremare e le lacrime
cominciarono a scendergli lungo le guance. “Mi dispiace
così tanto, Kyungsoo,” singhiozzò.
“Non piangere, hyung,” disse
Kyungsoo, con gli occhi che gli bruciavano, sorridendo per evitare di
crollare del tutto. “Comincerò a piangere se non
la smetti. Ti prego non piangere, non è stata colpa tua. Mi
ammalo e basta a volte, è così che va.”
Luhan tirò su col
naso e si asciugò velocemente le guance, cercando di darsi
un contegno. “Scusa,” mormorò.
E Kyungsoo rise, per la prima
volta in tre settimane. “Non scusarti
più,” disse. “Da ora in poi, basta
più scuse e... si va avanti.”
Luhan sbatté le
palpebre, asciugandosi l'ultima lacrima.
“Sì?” chiese titubante.
Kyungsoo esitò, poi
annuì deciso. “Sì. Ci
proveremo.”
Guardò Minseok, e il
ragazzo stava sorridendo e annuendo leggermente.
Kyungsoo avrebbe reso Minseok
orgoglioso, e se stesso felice, non importava quanto ci sarebbe voluto.
Le settimane passate erano
state strane per Minseok. Essere malato gli aveva fatto perdere la
cognizione del tempo, intrappolato nel suo piccolo mondo fatto di
tosse, febbre e Luhan. E poi, dopo la malattia, c'erano state due
settimane di niente se non scuola e Kyungsoo. Era rimasto terribilmente
indietro con la scuola, e dovette rimanere quasi ogni giorno dopo le
lezioni per fare test di recupero e ricevere aiuto dagli insegnanti o
dai compagni, e Luhan non poteva aiutarlo perché lavorava
letteralmente ogni ora che non passava a scuola, per recuperare tutti i
giorni che aveva perso quando era stato male. Non diceva mai nulla, ma
Minseok sapeva che a malapena dormiva, arrivava a scuola con delle
profonde occhiaie, lavorava talmente tanto che probabilmente si sarebbe
ammalato ancora. E tra tutti i test e i compiti, Minseok si preoccupava
anche per Kyungsoo, pensando a come poter migliorare la situazione,
lavorando insieme al vicino, facendo i passi necessari verso il
progresso.
Era stato così
impegnato con la sua vita e a tenere sotto controllo lo stress che non
si era nemmeno accorto che periodo dell'anno fosse. Senza che se ne
rendesse conto, Gennaio era diventato Febbraio e, entrando in cucina
dopo l'incontro con Kyungsoo, seguito da Luhan, vide il piccolo
calendario sul bancone: 12 Febbraio.
“È quasi
San Valentino,” disse sorpreso,
alzandosi in punta di piedi per prendere un bicchiere dallo scaffale
alto.
“Lo so,” disse Luhan, da
qualche parte dietro di lui. “Il mio capo – quello
di giorno, non quello di notte – mi ha dato
venerdì libero. Ha detto che dovrei uscire invece che
lavorare tutto il tempo.” rise esausto; Minseok sapeva che
tutta questa cosa di Kyungsoo lo aveva stancato tanto quanto le lunghe
ore di lavoro. Doveva comunque andare fra un paio d'ore, dopo cena.
Minseok si concentrò
nel prendere un altro bicchiere. “Un appuntamento?”
chiese, mantenendo un tono di voce leggero.
“Già,” rispose Luhan.
“Credo pensi che abbia una ragazza.” Rise ancora,
come se solo il pensiero fosse ridicolo (o come se fosse davvero
esausto e trovasse tutto divertente).
“E cosa le hai detto?” chiese Minseok,
portando i bicchieri al frigo per riempirli d'acqua. Non
guardò Luhan.
“Le ho detto che lo
avrei fatto, perché volevo un giorno libero,” rise lui.
“Ho così sonno.”
“Allora dormi,” gli disse,
concentrandosi nel liquido che si riversava nel bicchiere invece che
sull'immagine di Luhan che usciva con una delle tante ragazze che a
scuola continuavano a sorridergli. “Manca ancora poco
più di un'ora a cena. Puoi fare un sonnellino se
vuoi.”
“Mmmh,”
acconsentì, e poi all'improvviso delle braccia circondarono
i fianchi di Minseok, delle mani si chiusero sulla sua pancia, un petto
premette contro la sua schiena, e una testa si posò sulle
sue spalle. Si irrigidì subito, facendo quasi cadere il
bicchiere a terra.
“Co-cosa stai facendo?” gli chiese,
arrossendo e balbettando per poi schiarirsi la gola.
“Un sonnellino,” mormorò
Luhan, con la voce che vibrava lungo il suo corpo, facendolo arrossire
ancora di più.
“Su di me?” chiese, con
voce quasi roca.
“Esatto,” rispose lui, per
poi rimanere in silenzio per un momento. “Sei così
caldo e profumato.” Minseok tossicchiò nervoso.
“E in più ricevo un abbraccio così. Mi
piacciono gli abbracci.”
“Ho notato,” mormorò
lui, anche se era impossibile dire qualcosa senza che Luhan lo
sentisse, data la vicinanza. A Luhan piacevano davvero gli abbracci,
però. Ultimamente abbracciava tutti, soprattutto quando
aveva sonno come oggi; Sehun, quando lo vedeva in corridoio dopo le
lezioni, o Jongdae a pranzo, persino la madre
di Minseok, quando andava a
casa sua. Di tanto in tanto ne era vittima anche lui, quando non
prestava abbastanza attenzione da evitarlo. Gli abbracci non erano una
cosa buona. Gli abbracci gli facevano provare cose. (Luhan abbracciava
tutti. Non significavano niente).
Luhan sospirò,
soffiando aria calda contro la schiena di Minseok. “Volevo
abbracciare Kyungsoo,” disse piano. “Ma non potevo.
È stata dura.”
Minseok annuì.
Conosceva quella sensazione. “Ecco, vuoi un po'
d'acqua?” chiese, per distrarsi dal regolare battito
dell'amico contro la sua schiena, e dal suo profumo.
Luhan scosse la testa.
“Berrò dopo essermi svegliato,”
mormorò.
“Okay,” disse, bevendo
anche l'acqua dell'amico, perché si sentiva ancora piuttosto
accaldato (e forse avrebbe potuto usare la scusa del bagno se avesse
bevuto abbastanza).
Le dita di Luhan gli
solleticarono la pancia da sopra il maglione, e Minseok le
schiaffeggiò via imbarazzato, “Ti va di vedere un
film con me venerdì?”
Minseok sbatté le
palpebre sorpreso. “Un film? Dove?”
“Al cinema,”
sbadigliò lui. “Sono sempre voluto andare in un
cinema.”
“Non ci sei mai stato?” chiese incredulo
Minseok, quasi dimenticandosi che i fianchi di Luhan erano a pochi
centimetri dal suo fondoschiena.
“No, non ne avevamo uno nel mio
piccolo paese in Cina, e costava troppo andare in quello della
città,” mormorò l'amico.
“Volevo andare, per fare delle foto per il mio
progetto.”
Ci volle un po' prima che il
suo cervello connettesse. “Vuoi che venga con
te a San Valentino?”
“Mmph,” disse
vagamente Luhan. “È il mio giorno
libero. E sei il mio compagno per il progetto. E il mio migliore amico.”
Minseok non sapeva come
sentirsi per quei titoli, e per quelle ragioni. Lusingato? Sollevato?
Deluso? Provò tutte e tre le emozioni. “Non lo
so…” disse lentamente, perché non era
sicuro fosse una buona idea.
“Ti preeego?”
piagnucolò piano Luhan, scuotendo leggermente il corpo del
maggiore. “Non voglio andarci da solo. Voglio che vieni con
me.”
Il cervello di Minseok stava
per abbandonarlo completamente, quindi disse semplicemente,
“D'accordo.” Non era nello stato migliore per
pensare bene alla cosa e per soppesare i pro e i contro delle possibili
conseguenze. Ed era piuttosto sicuro che Luhan sarebbe comunque stato
capace di convincerlo, in un modo o nell'altro. Quindi tanto valeva
accettare subito.
Luhan emise un suono
compiaciuto e lo strinse più forte, e Minseok
arrossì, grato che l'amico non potesse vederlo.
Fu ancora più grato
per il fatto che quando la madre entrò in cucina un minuto
dopo, era riuscito a darsi un contegno. Eppure, quando vide il figlio
in piedi con un ragazzo che lo abbracciava da dietro, tutto comodo e
mezzo addormentato, sembrava piuttosto sospettosa. Minseok
cercò di comunicare la propria impotenza con lo sguardo. “Sta facendo un
sonnellino, a quanto pare,” disse.
“Lo vedo,” disse la donna,
guardandoli attentamente. Lo faceva spesso ultimamente –
Minseok era abbastanza sicuro che avesse qualcosa a che fare con tutte
le volte che li aveva beccati accoccolati insieme (o meglio, Luhan si
accoccolava su Minseok) mentre l'amico stava da loro.
Luhan annuì e disse,
“Salve mamma di Minseok. Sto rubando suo figlio.”
“Capisco…,” disse
lei, sollevando un sopracciglio. Minseok fece un'espressione sconfitta.
“Luhan, perché non vai a riposarti sul
divano?”
“Okay,” rispose il
ragazzo, ma non si mosse. “Posso portare Minseok con
me?”
La donna guardò il
figlio, che la implorò di dire no. “Um, ho bisogno che
Minseok mi aiuti con una cosa. Vai a sdraiarti per un po'.”
“Ah. Okay.” Alla fine
le braccia di Luhan caddero da attorni ai suoi fianchi, e si diresse
assonnato, con gli occhi mezzo chiusi, in salotto. Minseok fece un
sospiro di sollievo.
Vide la madre lanciargli uno
sguardo, e scosse la testa. Non ne voleva parlare. Aveva già
abbastanza problemi così; riconoscerne un altro gli avrebbe
solo causato più dolore.
Junmyeon era davvero il
più grande enigma di Jongdae. Non capiva davvero come
funzionasse quel ragazzo. Sembrava avere solamente un'emozione:
piacevole e amabile. Lo aveva visto sempre e solo in questo modo.
Jongdae di solito era un ragazzo spensierato, ma a volte si arrabbiava
e altre volte era di malumore, triste, turbato o frustrato. Junmyeon
no. Era come se fosse permanentemente programmato per essere sempre
piacevole e amabile, e tutto il resto fosse una variazione di quei
tratti.
Silenziosamente piacevole e
amabile. Cupamente piacevole e amabile. Entusiasticamente piacevole e
amabile. Distantemente piacevole e amabile.
Jongdae non lo capiva. Era
così difficile capire come il maggiore si sentisse davvero,
perché sorrideva sempre e la sua voce era sempre leggera,
gentile e allegra. Gli ricordava la sua insegnante delle materne o
l'infermiera o qualcosa del genere. Le uniche volte che non aveva
sorriso era quando parlavano di Kyungsoo (aveva chiesto a Jongdae
dell'amico spesso, mentre Kyungsoo era in ospedale) o di altri
argomenti ugualmente tristi o seri. Ma non appena l'argomento cambiava,
tornava il suo solito lato allegro.
Era quasi impossibile dire come
si sentisse Junmyeon, ma allora perché a Jongdae sembrava
che di recente si fosse allontanato e fosse diventato freddo con lui?
Continuava a sorridere, a chiacchierare e fare battute, come sempre, ma
c'era qualcosa di diverso
e Jongdae non riusciva capire
cosa, ma sin dal giorno in cui Junmyeon gli aveva chiesto della teoria
di Minseok, aveva sentito il cambiamento. Se lo sentiva nelle ossa.
Qualcosa era diverso, e non in senso buono.
Per un po', Jongdae aveva
considerato la spaventosa ipotesi che Junmyeon pensasse ancora
che fosse gay e che questo lo
mettesse a disagio. Ma Junmyeon non gli sembrava il tipo che si
preoccupa per qualcosa del genere. A meno che non pensasse che Jongdae
fosse innamorato di lui,
probabilmente per qualcosa che
gli aveva detto Minseok (quell'idiota). Ma non sembrava nemmeno a
disagio, a dire il vero. Solo un po'...
scoraggiato. O deluso da lui.
Oh merda, e se avesse detto
qualcosa con la quale Junmyeon non era stato d'accordo, ma era troppo
educato per affrontarlo? Jongdae non si ricordava
nemmeno cosa gli avesse detto durante
quella conversazione, ma si era sentito piuttosto agitato quindi era
possibile che avesse detto qualcosa di molto stupido e possibilmente
offensivo. E se ora Junmyeon stesse evitando Jongdae perché
pensava che fosse un completo idiota e non voleva essere associato a
lui?
Non andava affatto bene.
Jongdae aveva il più alto rispetto per l'opinione di
Junmyeon; per lui aveva molta importanza cosa pensasse il maggiore. Per
ragioni di... ammirazione e cose così, ovviamente.
Perché Kim Junmyeon era una persona fantastica e Jongdae
voleva che pensasse che anche lui fosse fantastico!
Ed era per questo che, durante
il loro incontro dopo le lezioni di giovedì, Jongdae
sollevò lo sguardo dal poster pubblicitario che stava
facendo e mormorò, “Che fai
domani?” (Era importante che Jongdae distruggesse ogni
traccia di ostilità con il maggiore.)
Junmyeon lo guardò
sorpreso. “Domani?
È San Valentino.”
Oh. Questo cambiava le cose.
“Oh, giusto. Heh, quasi me ne dimenticavo. Ma ancora meglio!
Perché tutti quelli che conosco fanno qualcosa domani, ne
sono sicuro. Tipo, Minseok-hyung a quanto pare va da qualche parte con
Luhan-hyung, come
amici dice lui, ma vabbè.
E Chanyeol e Baekhyun hanno le prove della commedia. Quindi
sì! Tu sei libero?”
“Um—”
Cominciò il ragazzo.
“Solo per sapere!” disse velocemente
Jongdae, sentendo il bisogno di spiegarsi prima che Junmyeon lo
fraintendesse. “Voglio dire. Non ho niente da fare. E io sono
un ragazzo, tu sei un ragazzo, dico, se entrambi non abbiamo niente da
fare potremmo semplicemente sfuggire a tutte quelle disgustose
coppiette che fanno cose disgustose e magari passare un po' di tempo
insieme, se ti va. Per divertirci, sai, se non sei impegnato.”
Junmyeon sbatté le
palpebre per un momento, chiaramente colto di sorpresa ma anche
qualcos'altro, qualcosa che, per una volta, non era piacevole e
amabile. Fissò Jongdae per un po'. Poi disse, “Scusa,
Jongdae-yah, sono impegnato domani.”
“Ah... ah
sì?” Jongdae non
l'aveva considerata una vera
possibilità.
“Già,” disse Junmyeon.
“È San Valentino. Esco con la mia
ragazza.”
La mente di Jongdae si
annebbiò per pochi secondi o minuti o ore. Non ne era
sicuro. Fissò il ragazzo fino a che il maggiore
probabilmente non si sentì a disagio, e poi alla fine disse, “Cosa?”
“Sì” rispose lui
lentamente. “Questo... questo è quello che si fa
il giorno di San Valentino. Si esce con la propria ragazza.”
“Tu... non sapevo
avessi una ragazza,” disse debolmente
Jongdae. Si sentiva frastornato e sconquassato.
Junmyeon sorrise leggermente,
un po' imbarazzato. “È una
cosa recente,” disse. “E va in un'altra scuola. Si
è dichiarata e io... beh, mi sono buttato, no?
È... è molto gentile, e carina, e sembra che le
piaccia. Sai, in quel modo. Non come certe persone.”
Jongdae ormai a malapena lo
stava ascoltando. C'era una sensazione spiacevole che lo riempiva, e il
suo cervello aveva finalmente ripreso a funzionare. Una ragazza. Certo.
Ovvio che Junmyeon aveva una ragazza. Era un ragazzo attraente,
stra-gentile, fantastico e etero. Aveva senso che avesse una
ragazza. Jongdae era... felice per lui. E glielo avrebbe
detto. Arrivò a dire 'Sono' ma poi il resto gli rimase
bloccato in gola e tossì e disse semplicemente, “Ah.”
Junmyeon annuì
lentamente. “Scusa,” disse.
Jongdae sapeva che si stava
scusando per non averglielo detto prima, o forse per non poter uscire
con lui, ma sentiva che si stava scusando anche per qualcos'altro.
Jongdae non voleva accettarlo. Ma alla fine, disse, “Oh, no,
non c'è problema, sto bene. Assolutamente bene.” E
proprio in quel momento, tirò fuori il cellulare,
“Oh, è mia mamma, devo andare. Scusa hyung, devo
tornare a casa. È un'emergenza. Ciao.” E
lasciò la biblioteca senza guardarsi indietro
perché solo pensarci gli faceva male, e non doveva davvero
andare a casa, e sua madre gli avrebbe chiesto perché fosse
tornato così presto, quindi cambiò direzione e
andò dritto a casa di Minseok.
Il suo migliore amico era
agonizzante su qualche equazione matematica o qualcosa del genere
quando entrò. Sollevò lo sguardo e lo
guardò. “Che ci fai
qui?”
“Volevo solo stare
qui per un po',” rispose Jongdae,
con voce debole. Si sdraiò sul divano dell'amico e
fissò il soffitto.
“Non dovresti essere
con Junmyeon, a pianificare l'evento o qualcosa del genere?”
Jongdae emise un piccolo suono
al nome del ragazzo. “Me ne sono dovuto andare,”
disse onestamente.
“E sei venuto qui?” gli chiese
incredulo Minseok. “Perché?”
Jongdae si voltò
verso lo schienale del divano. Lo fissò per un po'.
“Junmyeon ha una ragazza. Lo sapevi? Me l'ha appena
detto.”
Ci fu un lungo silenzio. Poi,
alla fine, Minseok chiese, “Stai
bene?”
Jongdae rise, anche se era
doloroso. “Sì, certo. Non è che... non
che mi piacesse, o niente del genere. Chi se ne
frega. Ero solo sorpreso.”
Sentì Minseok
avvicinarsi. “Hai bisogno che ti
consoli?” chiese.
Il più piccolo si
strinse nelle spalle e grugnì. “Chiudi il
becco,” disse. “Il tuo scherzo non è
più divertente.”
L'amico rimase in silenzio per
un po', prima di dire, “Sono serio,
Jongdae.”
Jongdae strinse gli occhi e non
si girò. “Beh, chiaramente
non ce n'è bisogno,” disse, ma lasciò
comunque che Minseok gli accarezzasse la schiena, che gli passasse le
dita tra i capelli e che gli portasse qualcosa da mangiare. Minseok non
fece altre domande, né insinuazioni, e Jongdae era grato per
il fatto che, almeno, il migliore amico sapeva quando doveva smetterla
di parlare.