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Autore: arsea    05/07/2016    5 recensioni
Post Apocalypse e possibili spoiler!
Charles ed Erik non sono così lontani come è stato in passato, ma l'ennesimo tradimento è troppo vicino per poter essere cancellato. Charles non può permettersi più di perdonare, anche se è certo che il ci sarà presto un'altra occasione per farlo. Non può permettersi di credere alle parole di Erik. Non può più permettersi di credere in Erik e basta.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Dottor Henry 'Hank' McCoy/Bestia, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Due mesi dopo l’incidente di Cuba, una vita fa
 
Anche questa volta la riabilitazione non aveva mancato di essere dolorosa e sfiancante come sempre, per poco non aveva urlato quando la giovane terapeuta aveva usato le sue delicate e forti dita per massaggiare la base della sua schiena, ma Charles cercò di non pensarci mentre si appoggiava ai cuscini del letto della clinica ed esalava un lungo respiro profondo.
Il dolore significava che qualcosa funzionava ancora perlomeno, o almeno era quello che il medico continuava a ripetergli, cosa che poteva suonare confortante pressoché per qualunque altro paziente meno che lui, giacché la sua mente rivelava invece tutt’altro.
Non camminerà più. Povero ragazzo, è così giovane... Deve avere più o meno l’età di Etan
Etan era suo figlio, un medico anche lui naturalmente, da qualche parte esisteva una regola non scritta secondo la quale i figli di avvocati e medici diventano necessariamente avvocati o medici, ma Charles ovviamente non lo conosceva, o almeno non avrebbe dovuto, quindi si sforzò di dimenticare anche quello.
Lo faceva sempre più spesso ultimamente. Dimenticare, ignorare, sforzarsi di non pensare.
Imprecò a labbra serrate quando una stilettata più dolorosa delle altre si arrampicò lungo gli ammassi di carne morta che erano state le sue gambe, il modo in cui il suo corpo cercava di capacitarsi di come da un giorno all’altro una sua metà avesse deciso di smettere di funzionare.
All’inizio c’era stata l’incredulità.
Aveva stentato a credere ciò che leggeva nella mente e negli sguardi di chiunque gli fosse vicino, non aveva ben capito cosa significasse davvero vivere senza camminare, non finché non aveva dovuto subire l’umiliazione di aver bisogno d’aiuto per i suoi più semplici bisogni, fisiologici e non, la consapevolezza aveva lavorato impietosa in lui, come in un arcano laboratorio alchemico tutto il suo dolore si era trasformato in rabbia, rabbia devastante, rabbia che aveva costretto i medici a legarlo e Hank a sedarlo prima che il suo potere facesse qualcosa di irreparabile.
Aveva urlato e pianto, aveva odiato e covato vendetta, aveva respinto chiunque gli si avvicinasse, costringendo i medici persino a nutrirlo per endovena, ma alla fine, alla fine, aveva semplicemente ceduto.
Adattamento. Evoluzione.
Persino il suo dottorato si prendeva beffe di lui.
Raven non era venuta da lui nemmeno una volta.
L’aveva cercata. Solo Dio sapeva quanto aveva bisogno di lei.
Ogni mattina si svegliava cercandola nei volti che lo circondavano, sondava le menti per trovare quella di lei, desiderando disperatamente che l’ultima immagine che aveva di sua sorella, della persona che era stata il suo mondo per più di metà della sua vita, non fosse più quella piena di sofferenza e rammarico che lo aveva ricambiato sulla spiaggia di Cuba.
L’aveva sognata. Spesso, troppo spesso, erano semplici ricordi rivissuti in quel mondo onirico dove erano ancora possibili, altre volte erano dolorose fantasie dove lei lo accusava e denigrava, dove si vedeva sbriciolare sotto quello sguardo che aveva pensato di capire e che invece gli era divenuto completamente estraneo.
Era ironico che l’unica persona su cui non avesse mai usato il suo potere fosse anche quella che aveva perso a causa delle incomprensioni.
Eppure doveva andare avanti.
La rabbia non poteva tenerlo in forze ancora a lungo, ne era cosciente, aveva bisogno di uno scopo, di un motivo per continuare a respirare anche adesso che la sua vita sembrava essersi accartocciata su se stessa.
Moira gli aveva portato dei libri, alcuni titoli li riconosceva perché erano gli ultimi che aveva lasciato sulla sua scrivania prima di partire, ma appartenevano ad una vita diversa da quella di adesso, persino troppo pesanti da sfogliare.
Lo fece lo stesso.
Pagina dopo pagina, macigno dopo macigno, si era arreso a continuare a vivere.
Aveva chiesto ad Hank di mostrargli i progetti per Cerebro, aveva ordinato le modifiche alla villa visto che avrebbe accolto un paralitico, e adesso l’inchiostro della carta stampata era tornato a rappresentare un rifugio, proprio come quando era un ragazzino e il suo potere una soffocante maledizione.
Piano, pianissimo, con lentezza quasi esasperante, il suo mondo ricominciava a girare.
Erano passati esattamente sessantaquattro giorni, li aveva contati anche senza volerlo, un’ora faticosa dopo l’altra, e stava prendendo appunti per la creazione della sua Scuola per Giovani Dotati quando la porta si aprì e Moira fece capolino con una busta di carta in mano.
Gli sorrise con quel suo modo semplice e schietto, senza cerimonie, senza cercarlo con lo sguardo, limitandosi a chiudere l'uscio e avanzare verso il letto << Buonasera >> avevano passato da un pezzo la fase dei convenevoli, non dopo essere sopravvissuti a Shaw, non dopo che lo aveva visto dare il peggio di sé, ma dopotutto erano il modo migliore per cominciare una conversazione: << Come stai oggi? >> chiese e Charles usò la penna con cui stava tenendo impegnate le dita come segnalibro prima di mettere da parte il volume che stava leggendo << Meglio. Sembra che potrò tornare a casa per la fine della settimana >> le sorrise, lei lo ricambiò, ma i pensieri che le galleggiavano nella mente rendevano amari entrambi questi gesti.
Per un momento si guardò con i suoi occhi, vide la propria pelle pallida e tirata, prosciugata persino del rossore che aveva così odiato nella sua adolescenza, gli zigomi erano scavati, le orbite infossate, le mani strette a pugno sulle cosce ormai inutili avevano dita smangiate dalla sofferenza e infettate dallo stesso tremore che percorreva tutto il suo corpo, inevitabile dopo il dolore della riabilitazione.
Tutto in lui trasmetteva stanchezza e debolezza, ma quel che più lo tradivano erano gli occhi: le sue iridi, che aveva notato essere sinistramente cangianti, avevano acquisito l'annacquato verdastro di una pozza torbida, ancora più risaltato dagli abiti bianchi della clinica.
Nonostante questo aspetto riprovevole comunque, Moira riusciva a vedere in lui persino della bellezza, percepì la sua tensione alla bocca dello stomaco quando sedette al suo fianco, e anche se non stava leggendo propriamente i suoi pensieri non poteva nemmeno esternarsi del tutto da quello che provava << Hank mi ha detto che alcuni studenti lo hanno contattato >> Charles assentì assente, abbassandosi lo sguardo in grembo << Mi ha chiamato stamattina. Alex e Sean avevano alcuni nomi, altri risalivano a... >> “a quando cercavo mutanti con Erik”
La frase rimase spezzata, nessuno dei due riuscì a completarla e dopotutto era anche superfluo visto che ne conoscevano il contenuto << Va tutto bene? >> no, naturalmente.
Come poteva andare tutto bene?
Ma assentì come le altre volte, sperando in fondo al cuore che ripeterlo abbastanza spesso l'avrebbe reso realtà.
Grossa parte dei suoi sforzi consisteva nel non pensare a lui.
Non a quello sguardo di ghiaccio, non alla sua determinazione, non al suono, al disperato suono delle proprie urla mentre sentiva una moneta d'argento trapassargli il cranio.
Nonostante tutto quello che aveva passato, quel dolore era stato il più devastante, la sensazione fisica della propria morte, della propria impotenza, anche se alla fine erano appartenute entrambe a Shaw.
Si portò una mano alla fronte al pensiero, se la grattò nervosamente nel punto in cui sentiva ancora l'oggetto premere per entrare.
Eppure non lo odiava.
Era questa consapevolezza irragionevole a consumarlo con voracità, lo sapeva, era assurda la propria incapacità di voler ripagare la propria sofferenza infliggendogliene almeno una parte, eppure… dentro di sé, dopo l'istintiva rabbia che lo aveva prosciugato come lo stoppino di una candela nei giorni passati, non restava che qualcosa di simile alla riconoscenza, alla nostalgia, un dolore fantasma come quello che sentiva alle proprie gambe, quasi che insieme a quelle avesse perso anche un altro pezzo di sé, altrettanto importante.
Gli mancava.
Era inutile lottare con una cosa simile, era un bisogno, fisico e psichico, la necessità materiale e imprescindibile di averlo al suo fianco, anche solo per un momento, un momento sarebbe bastato, se lo sarebbe fatto bastare, vederlo per un istante e poi lasciarlo andare, nient'altro.
Sarebbe bastato per farlo rialzare, ne era sicuro, sarebbe bastato per attingere a quel fuoco che aveva visto brillare dentro di lui e che lo aveva reso capace di sognare come mai prima, di credere nei propri sogni almeno.
Si era sentito grande al suo fianco, potente, invincibile persino, utile in un modo che probabilmente non avrebbe più sperimentato << Charles >> si accorse di star piangendo solo quando lei si alzò per cingerlo tra le sue braccia, la ricambiò, ma tutto ciò che riusciva a pensare era che non erano le braccia giuste.
E Moira lo sapeva. Più di chiunque altro << Non sei solo >> cercò di consolarlo, ma non lo credeva, non lo pensava, e non fu più doloroso delle altre volte leggerlo in lei, proprio come non lo era per gli altri.
Poteva essere un mentore e un leader per Alex e gli altri, poteva incoraggiare Hank e parlargli, ma dentro di sé, in fondo a quel cuore insaziabile che sapeva di possedere, nessuno di loro era alla sua altezza.
Proprio come poteva riversare su di loro le premure e l'affetto che non poteva più donare a Raven pur essendo certo che nessuno di loro era lei, ugualmente poteva parlare e confrontarsi con tutti loro pur rimanendo ben conscio che nessuno di loro avrebbe mai potuto leggergli dentro come poteva Erik.
Non serviva la telepatia tra loro due, per parlarsi bastava uno sguardo, un sorriso, un gesto d'intesa << Charles >> sentire quella voce gli rapì il fiato dai polmoni.
Ansimò, Moira se ne accorse da come il suo corpo si irrigidì intorno a lei, ma quando si scostò per cercare di comprendere il motivo di quel comportamento, lui con un tocco la fece addormentare, facendosela ricadere in grembo a peso morto << Charles! >> quel richiamo tanto familiare fu come balsamo per lui, un bicchiere d'acqua dopo mesi di peregrinazioni nel deserto: riconobbe Raven prima ancora che lei riprendesse il suo aspetto, la bellissima ragazza con cui aveva diviso l'esistenza, e mentre il suo cervello ancora cercava di assimilare quelle immagini, quella figura tanto amata, le sue braccia lo cinsero in una stretta cui il suo corpo si adattò con facilità, si incastrarono con quella naturalezza che hanno solo due persone che si conoscono bene e a lungo << Non lo sapevo… non lo sapevo! >> singhiozzò contro la sua spalla, stringendolo con forza mentre piangeva, il suo profumo di pulito e sapone agli agrumi, qualcosa che per lui significava casa e affetto e dolcezza, gli colmò il respiro aiutando a rilasciare un grumo di tensione che nemmeno sapeva di covare << Va tutto bene, Raven… non piangere >> si ritrovò a consolarla, passando le dita trai capelli biondi e lunghi, stringendola a sé mentre le baciava il capo come aveva sempre fatto quando l'aveva vista in lacrime << Sarei venuta da te se avessi saputo. Dio Charles… sai che sarei venuta! >> << Certo. Lo so. Tranquilla adesso >> << Le tue gambe… >> gemette << È stata la pallottola, vero? Avrei dovuto immaginare…! Sono stata così stupida! >> si rimise dritta, gli prese il volto tra le mani e si concesse una lunga occhiata, che terminò scuotendo il capo e soffocando altro pianto << Come l'hai saputo? >> le chiese lui invece, ed era facile esser saldo adesso, come sempre, era facile esserlo davanti a lei che ne aveva bisogno, perché lei era sua sorella e non le avrebbe mai negato nulla << I-il giornale >> << Hanno scritto di me sul giornale? Nessuno si è preso la briga di informarmi >> riuscì persino a ridacchiare, ma lei gli lanciò un buffetto sulla spalla << Mi dispiace >> << Non è colpa tua >> << Lo so. Ma mi dispiace lo stesso. Sarei dovuta essere qui, accanto a te. Mio Dio Charles… hai un aspetto orribile >> quelle parole, così vere eppure così taciute, dette con il tono che era così da Raven, furono tanto meravigliose che lui si sentì rivivere solo ad ascoltarle.
Scoppiò a ridere come non faceva da settimane, rise e strappò un sorriso anche a lei, prendendole le mani poi per ristorarsi di quella presenza così amata << Sto già molto meglio adesso >> rivelò, ed era assurdo quanto fosse vero << Ti hanno già detto quando tornerai a casa? >> le rispose placidamente, senza lasciarla << Che cosa hanno detto i medici? C'è qualche… speranza? >> << Hank dice che il danno potrebbe essere circoscritto. Non so cosa significhi, non mi interessa. Tutto ciò che so è che rimarrò su una sedia a rotelle. Forse non per sempre, ma per certo qualche anno >> la sofferenza che le animò il volto era genuina, senza compassione o pietà, solo il puro dolore che travolge quando una persona cara sta male.
E Charles era ancora una persona a lei cara.
Avere questa rassicurazione, nonostante avesse scelto Erik, fu calore ristoratore nel suo cuore rattrappito e titubante << È stato lui a portarmi qui >> in qualche modo Charles non se ne stupì.
Non fu nemmeno doloroso come prima pensare a lui << Come sta? >> chiese invece, stupendo persino se stesso con la propria tranquillità.
Raven scrutò il suo sguardo, come a cercarvi quanto potesse dire o tacere << È qui anche lui. Sul tetto. Era molto preoccupato per te >> ovviamente non percepiva niente di lui.
Doveva indossare l'elmetto di Shaw, quel maledettissimo oggetto che lo schermava << È assurdo che rimanga lì. Non posso fare niente contro di lui, lo sa. Non potrei nemmeno se volessi, soprattutto non adesso >> Raven lo guardò intensamente, avvicinandosi ancora, e lui sostenne il suo sguardo e il suo esame come aveva fatto molte altre volte in passato << Sai che andrò con lui >> non era una domanda, ma rispose lo stesso << Sì >> << Mi dispiace, Charles >> << Non dire sciocchezze. Non sei più una bambina e io non ho il potere di tenerti con me. O almeno non voglio averlo >> << Non pensare di me che io sia un'ingrata o… >> << Non l'ho mai pensato. Sei mia sorella, Raven, l'unica famiglia che ho. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre, qualsiasi cosa tu faccia. Ci sarò sempre per te >> la stretta sulle sue mani si fece più forte << Sempre >> sottolineò ancora, facendola assentire con gli occhi lucidi.
Lei lo abbracciò ancora, si avvicinò e gli si accoccolò accanto come avevano fatto tante altre volte, la sua testa trovò facilmente quel punto sulla sua spalla che sembrava creato appositamente per permetterle quella posizione, e gli cinse il torace mentre lui la stringeva a sé << Mi sei mancato >> << Anche tu >> aveva pensato che una volta rivista avrebbe avuto un torrente di parole da riversarle contro, furia e impotenza mescolate a cocente senso di perdita, invece Charles non provava altro che sollievo, il primo momento di pace da quando quell'inferno era cominciato, e non voleva altro che godersi quel calore familiare e lasciarsi cullare dalle dita sottili che si posavano sul suo fianco.
Rimasero così a lungo, almeno finché lui non cominciò a sentire la stanchezza che il dolore finora non gli aveva permesso di provare, e Raven se ne accorse dall'ammorbidirsi del corpo sotto di sé << Dovresti riposare >> disse rimettendosi dritta, con rammarico in entrambi, ma lui non riuscì a trovare la forza per contraddirla.
Sapeva che se ne sarebbe andata, sapeva che non aveva alcuna certezza di rivederla, eppure stava troppo bene per preoccuparsene adesso << Se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, sai dove trovarmi. Non mi importa se siamo “nemici”, qualsiasi cosa significhi questa parola adesso >> << Lo so, Charles >> si avvicinò e lo baciò sulla guancia, regalandogli uno dei suoi bei sorrisi.
Subito dopo quelle parole qualcuno bussò, un suono distinto e fermo, e a lui bastò per sentirsi il cuore accelerare.
Non attese alcun permesso, lui non aveva bisogno del permesso di nessuno, si limitava ad annunciare la sua presenza.
Era esattamente come lo ricordava, in pantaloni grigi e camicia blu scuro su quel corpo prestante e temprato, la giacca piegata sullo stesso braccio sotto cui teneva anche l'elmetto, per metà nascosto dalla stoffa.
Era un gesto di fiducia, sfida impavida come era la maggior parte dei suoi atteggiamenti, ma non riuscì a volergliene per questo, c'era una tacita regola tra loro a riguardo e in fondo al suo cuore Charles era certo di non essere pronto per anche solo provare a sfiorare quella mente.
Gli occhi di metallo si posarono su di lui implacabili, taglienti, qualcosa di simile alla sofferenza che aveva visto in Raven li animò per un momento quando si soffermarono sulle gambe, ma poi tornò solo la forza, l'incrollabile forza che c'era sempre stata, quella fiamma di luce viva che aveva sempre visto in lui << Charles >> disse, e nessun altro pronunciava il suo nome con la stessa intensità, rispetto misto ad ammirazione, un suono che esigeva di incarnare almeno la metà della persona degna di rappresentarlo << Salve, amico mio >> non si dissero altro, si guardarono e basta, ma nel tempo che Raven impiegò a salutarlo e raggiungere il tedesco, la fredda tempesta che erano gli occhi di Erik riuscì con facilità a spazzar via qualsiasi impurità dalle pozze d'acqua torbida di Charles, la forza che aveva devastato la sua esistenza gli diede anche il coraggio di contrastarla, di rialzarsi anche solo con il fine di lottarle contro, di dimostrare a lui prima che a se stesso che non si sarebbe fatto abbattere così facilmente.
Non ci fu bisogno di parole. Con loro non ce n'era mai stato bisogno.
Solo uno sguardo, un sorriso appena accennato, un cenno del capo prima di chiudere la porta.
 
 
 
 
 
 
 
 
Da qualche parte nel cielo del Connecticut, nel presente
 
Si poteva dire quasi qualsiasi cosa di Erik, tranne che fosse possibile ignorarlo.
Entrava nelle vite delle persone con la potenza di una guerra, la stessa impetuosità e gran parte delle stesse conseguenze, ma esattamente come per questa niente restava invariato dopo il suo passaggio.
Fino al suo arrivo le sue aspirazioni erano semplici: avrebbe occupato una cattedra fin troppo facile in una delle decine di università che lo avevano contattato già prima del suo dottorato, avrebbe sposato una collega o una ricercatrice come le tante che avevano puntellato il suo periodo come studente, e avrebbe vissuto placidamente patrocinando le varie follie di Raven a giro per il mondo.
Non desiderava nient’altro, a parte studiare i mutanti.
Ma dopo averlo incontrato gli era stato impossibile accontentarsi della propria mediocrità.
Non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno in punto di morte, ma quella era la più grande e silenziosa delle vittorie di Erik, l’essere riuscito a piegare anche lui alla propria idea di superiorità in qualche modo.
Charles non si credeva migliore degli umani, non come razza almeno, credeva semplicemente nelle proprie capacità, confidava nel fatto di essere diverso dagli altri e dover agire di conseguenza, valorizzando con responsabilità i propri doni.
Non sarebbe stato degno della propria telepatia vivere come semplice professore, per quanto ammirato e influente, e non l’avrebbe mai capito se non lo avesse incontrato.
Era stato Erik a fargli capire quanto poteva essere d’aiuto a quelli come loro, era stato vedere i risultati su di lui, il suo primo allievo, a convincerlo della propria vocazione.
Erik era sempre stato l’uomo delle grandi rivelazioni del resto.
Che fosse la sua presenza o il suo solo ricordo, era stato capace di tirarlo fuori dalle situazioni più disperate, da ogni fossa in cui aveva gettato se stesso, per combattere al suo fianco, per combattere contro di lui, perché loro due erano come due pianeti collegati e in costante pericolo di collisione, sempre occupati nel tentativo di vincere l’uno la forza d’attrazione dell’altro.
Non era successo solo quella volta alla clinica, in altre occasioni aveva sconfitto le proprie debolezze grazie ad Erik, foss’anche solo per dimostrare a quel maledetto bastardo che non era completamente sconfitto.
Una parte di lui era sicura che anche questa volta non si fosse risollevato per nessun altro motivo << Hai smesso di fissarmi? >> gli chiese, anche se aveva gli occhi chiusi non dormiva affatto, ma ovviamente non cercava certo di ingannare lui.
Aveva reclinato un po’ la poltrona del jet, allungando le gambe e incrociando le mani sullo stomaco, la posa più rilassata di sempre, come se non lo sfiorasse nemmeno una preoccupazione nonostante il motivo di quel loro viaggio << Charles >> lo richiamò ancora, forse un po’ infastidito questa volta, ma il telepate non si diede la pena di ascoltarlo, cercando invece di ricordare la prima volta che aveva pensato che fosse un bell’uomo.
Non appena lo aveva conosciuto, di questo era certo.
A parte imprecazioni furiose e immagini d’odio e d’orrori non ricordava molto altro del loro primo incontro, solo acqua gelida e una rabbia divorante, ma anche dopo, una volta in salvo sulla nave della guardia costiera, tutto ciò che aveva continuato ad occupare il suo sguardo era stata la sua mente, i suoi ricordi, una coscienza tanto immensa che non aveva avuto il tempo per soffermarsi sull’involucro che la conteneva.
Ricordava quanto avesse desiderato aiutarlo però, ricordava esattamente quanto fosse stato disposto a cedere pur di portare sollievo a quell’anima tormentata << Sei fastidioso >> era stato solo una volta al quartier generale della CIA.
La stessa sera in cui aveva letto in lui che se ne sarebbe andato e lo aveva atteso fuori della porta per tentare di fermarlo.
Solo allora aveva notato le spalle salde, il torace ampio, quelle gambe flessuose e troppo abituate a calpestare per accorgersi di quel che lasciavano dietro di loro.
Aveva notato quindi il suo volto, la bocca avara, lineamenti perfetti e taglienti come quelli di una magnifica spada, ed era rimasto letteralmente sconvolto dal colore dei suoi occhi impietosi.
Aveva pregato dentro di sé che non se ne andasse.
Dio, aveva voluto così disperatamente che non se ne andasse.
Era stato come ritrovare un pezzo d’anima che non si era accorto di aver perso.
Avrebbe pensato di lui che fosse un fratello, lo aveva pensato allora almeno, ma già da quel momento avrebbe dovuto sapere che era troppo bello perché potesse restare tale a lungo << Dimmi almeno se sono pensieri piacevoli o meno >> sospirò infine esasperato, rimettendosi dritto per guardarlo con qualcosa di vagamente simile al rimprovero << Cercavo di capire cosa fosse cambiato in te >> Erik sbuffò ironico, scuotendo il capo << Meno di quel che vorresti probabilmente >> << Non ho mai voluto cambiare niente in te >> ed era vero naturalmente.
Per quanto esasperante e dolorosamente diverso, Erik non sarebbe stato Erik se fosse cambiato << È quasi sinistro, sai >> lo sentì commentare, con un sorriso incerto di cui Charles si accorse solo quando era ormai quasi sparito.
Stava fissando le sue labbra, ma non era concentrato sui loro significati << Cosa? >> << Il modo in cui i tuoi occhi guardano >> << Se non vuoi che legga nella tua mente dovrai sforzarti di spiegarti un po' di più, amico mio, perché sopravvaluti la mia capacità di comprensione >> ridacchiarono entrambi, gustandosi quella complicità ritrovata, così facilmente per di più, come se fosse sempre stata lì, solo nascosta da qualche parte << Riesci a focalizzare il tuo sguardo a livelli. Scommetto che non sapresti indicarmi il colore dei capelli nemmeno di metà dei tuoi studenti, eppure riesci a distinguerli anche solo dal suono dei loro passi. Tu di solito non guardi di altri, tu li vedi. Non con il tuo potere, non ha niente a che vedere con la mutazione, è una tua capacità ma non ho la più pallida idea di dove tu abbia imparato a farlo >> << Non capisco se il tuo sia rimprovero o compiacimento >> Erik si alzò da dove era seduto, il divano centrale dell'aereo, e lo raggiunse al tavolo, mettendosi di fronte a lui proprio come era stato per il giorno prima << Intendo dire che sei sempre così impegnato a comprendere gli altri che a malapena ti accorgi di come sono fatti. Ed è esattamente questo che permette a quelli come Kurt o Hank di brillare sotto la tua luce. Quello sguardo ci fa dimenticare che siamo mostri >> Charles lo guardò ancora un momento, poi sorrise debolmente scuotendo il capo << Lui mi ha detto qualcosa di molto simile una volta >> << Chi? >> << Saman. Il Collezionista. Dio… ho sempre odiato questi stupidi appellativi e adesso mi ritrovo ad averne inventato uno io stesso. Devo essere impazzito >> << Hai già parlato con lui? >> Charles sospirò, prendendo un sorso dall’acqua tonica nel suo bicchiere.
Niente di alcolico, non in quel momento << Pensavi che mi sarei fatto bastare qualche telefonata per accettare un insegnante nella mia scuola? >> << Maledizione, Charles! Dovevi dirmelo >> << Non credevo fosse importante. Sapevo che era potente, ma non così potente. Credevo che fosse un idrocineta, o almeno è quello che mi ha permesso di credere >> << Ha ingannato la tua telepatia? >> Charles abbassò il capo, lasciando passare un momento prima di rispondere: << Non ero al mio meglio a quel tempo, diciamo così >> Erik si rabbuiò, ricordando facilmente quando non era “al suo meglio” << Prima o dopo il siero? >> << Prima. Qualche mese prima. Avevamo appena cominciato il semestre >> << Che cosa è successo? >> Charles si strinse nelle spalle, richiamando i ricordi alla mente, poi cominciò a raccontare.
 
 
 
Una settimana dopo l’apertura della Scuola per Giovani Dotati di Charles Xavier, una vita fa
 
Si massaggiò la fronte con irritazione, era sempre irritato o infastidito da qualcosa per la maggior parte del tempo ultimamente, dal suono delle ruote della sua sedia a rotelle al mormorio compatto che aleggiava nel silenzio intorno a loro.
Esalò un lungo respiro profondo, lungo quanto riuscì a concederselo, e con la quieta presenza di Sean al suo fianco percorse la navata da cattedrale del famoso college, ignorando tutto ciò che non fosse il sussurro lento della mente dell’uomo che lo aveva fatto viaggiare sin lì.
Ignorò i due che stavano pomiciando nell’aula alle sue spalle, ignorò il ragazzo che li stava spiando, ignorò la giovane docente che stava letteralmente spogliando nella propria mente uno dei suoi studenti.
Era incredibile come il suo potere riuscisse a catalizzarsi sulle cose più insopportabili quando era irritato.
Ritemprante, davvero, una manna dal cielo.
Non imprecò solo perché Sean era ad un passo da lui, ma quando si fermarono davanti all’ufficio dalla bella porta in legno scuro dovette concedersi un altro respiro profondo prima di proseguire.
Bussò, cercò di non odiare il fatto che fosse costretto a farlo più o meno all’altezza della maniglia, e si spinse persino un sorriso affabile sul volto quando un uomo fin troppo alto per i suoi gusti e con un paio di gelidi occhi verdi si presentò allo stipite << Il dottor Xavier, suppongo >> disse con voce baritonale e sicura, di quelle che non si sarebbe stupito a sentire a teatro, se avesse continuato a frequentare il teatro naturalmente, il tipo di voce che ha una persona dal carisma innato.
Era un uomo decisamente piacente anche se doveva aver raggiunto la quarantina, con il corpo dalle spalle ampie che tradiva il suo passato di campione di lotta greco-romana, grandi mani che accettarono la sua tesa in saluto con decisione e senza incertezza, anche la sua stretta gli piacque, né troppo forte né troppo debole, e quando si fece da parte per farli entrare il piccolo passo che fece conteneva compostezza e fiducia.
Non era intimidatorio, anzi, la bella bocca circondata di barba sottile e ben curata si apriva spesso in un sorriso genuino, il tipo che porta le persone a parlare piacevolmente.
Di questo del resto aveva bisogno: poteva trovare insegnanti mutanti in tutto il mondo, ma non poteva affidare a chiunque i suoi ragazzi, non con le loro insicurezze, le loro debolezze da adolescente ingigantite da poteri più grandi di loro.
Aveva bisogno di persone disponibili all’ascolto, alla comprensione, persone che non fossero solo capaci di insegnare una materia, ma anche a vivere.
Parlarono di piccole cose mentre lo osservava, lo accolse nel suo studio ma non si mise dietro  la scrivania, spostò la sedia di fronte alla sua e gli offrì da bere, scusandosi con Sean del non possedere che acqua tonica per lui, e non lo interruppe mentre cominciava a parlare della scuola e dei suoi progetti.
La sua mente era un solido blocco di cemento.
Charles non avrebbe saputo definirlo meglio. Non c’erano spiragli o crepe da cui penetrare, un chiaro frutto di meditazione e lunga analisi psichica e spirituale, ma anche se avrebbe potuto comunque superare quelle protezioni decise di non farlo, perché per certo non erano state approntate per lui.
Necessitavano di anni quelle mura, non certo delle due settimane che erano trascorse dal loro scambio di lettere.
Riuscì comunque a percepire il suo potere, la magnifica capacità di manovrare l’acqua, e trovò persino che gli si addicesse visto il modo placido e tranquillo con cui parlava.
Era una presenza... confortante in qualche modo, tutto in lui era gentile e compassato, il genere di persona, di professore, che avrebbe voluto essere lui invece che l’irritabile telepate che si ritrovava ad incarnare, e dopo due giornate infernali era bello parlare con qualcuno così << Cosa ne pensa della mia proposta? >> domandò Charles infine, riprendendo fiato e bevendo un sorso di bourbon profumato.
Devine tornò ad appoggiarsi alla propria poltrona imbottita, il bicchiere in mano e lo sguardo assorto.
No, non assorto, attento.
Improvvisamente Charles si rese conto che non era stato sottoposto ad un esame meno approfondito durante la conversazione, quegli occhi verdi passarono su di lui con l’insistenza di una mano tangibile, ma assecondò il suo sguardo e lo sostenne perché dopotutto non aveva fatto niente di troppo diverso nell’ultimo quarto d’ora << Dovrei finire il mio semestre qua. Non posso sparire senza preavviso >> << Naturalmente. Posso aiutarla a trovare un sostituto se lo desidera >> le labbra carnose si mossero in un sorriso divertito << Immagino che con la sua capacità non sarebbe troppo difficile >> << Giusta osservazione >> prese un sorso dal proprio bicchiere, l’ultimo, quindi accavallò le gambe con disinvoltura, lasciando le mani sui braccioli << Ammetto che il suo progetto mi entusiasma non poco, professore >> << Mi chiami pure Charles >> il sorriso si allargò per un istante << Charles allora. La prego di ricambiare. Come dicevo, l’idea di trovarmi in una casa ricolma di giovani mutanti è a dir poco allettante, non vedo perché dovrei rifiutare il suo invito per il prossimo semestre. Sarebbe per me un piacere ed un onore >> il suo tono però era incompleto, e non fu difficile indovinare l’avversativa che ne seguì << Tuttavia voglio essere onesto con lei, Charles, non posso evitarlo vista l’onestà con cui si è espresso finora. Io non condivido le sue idee. Non penso affatto che la razza umana sia pronta per una convivenza pacifica, non credo affatto che possano accettare la nostra esistenza e inglobarci semplicemente nella loro società, non adesso almeno. E non per i prossimi vent’anni. Posso essere un suo insegnante nonostante questo? >> il cuore di Charles accelerò, ascoltò e tornò indietro di quasi due anni ormai, ad una partita a scacchi mai terminata, ad occhi diversi e sguardo diverso << Per favore, mi spieghi meglio >> Devine assentì, prese un respiro profondo e gli rivolse un’altra occhiata penetrante, infine parlò: << Sono fermamente convinto che i mutanti possano inserirsi in questa società solo nascondendosi. Gli umani sono... deboli, non possono comprendere ciò che siamo, ci vedranno sempre come una minaccia. Ma ci superano in numero. Sono un uomo di scienza, Charles, non ho alcun interesse per la guerra, che so sarebbe inevitabile se ci mostrassimo come fronte unito, quindi preferisco pazientare e aver fiducia nel futuro >> non come Erik.
Erik voleva governare, voleva il potere che pensava gli spettasse di diritto.
Devine voleva solo non finire ucciso da qualche fanatico << Alcuni fra noi possiedono mutazioni che non possono nascondere e comprendo che un luogo come la sua scuola potrebbe portar loro sollievo e fiducia, ma il mondo reale non è pronto >> << Possiamo renderlo tale, Saman. È esattamente il mio scopo >> un sopracciglio castano scuro si sollevò mentre sorrideva sorpreso di quella risposta, ma assentì << Non la facevo un’idealista >> Charles ridacchiò, si passò una mano trai capelli e scosse il capo per il suo divertimento << Pensa che io sia uno sciocco >> << No, no, non farei mai un errore simile. È chiaramente l’uomo più intelligente in questa stanza, pensavo solo che fosse più... pragmatico dopo quello che le è successo >> il telepate si oscurò in volto, e non riuscì a nascondere del tutto l’allarme che accelerò il suo battito << Sono stato un frequentatore dell’Hellfire Club a suo tempo >> rivelò Devine, ma lo fece con rammarico, come se non ne andasse fiero << Ero giovane e stupido, mi sono lasciato tentare dall’ideale della “superiorità” evolutiva, il parlare di Shaw mi ha fatto credere in qualcosa che non è reale. Quando ho capito quanto fosse folle però mi sono allontanato da lui e ho inviato i miei dubbi ad un contatto della CIA. Non è stato semplice imparare a nascondersi alla Frost, e a lungo ho temuto che mi avrebbero ritrovato e ucciso per il mio tradimento, ma non posseggo un potere abbastanza potente per giustificare i loro sforzi di ricerca probabilmente >> sospirò, un pugno tradì per la prima volta un po’ di nervosismo, ma Charles non riuscì a volergliene per questo << Ho saputo di quello che è successo dal mio contatto, so che sono informazioni riservate, ma avevo bisogno di tornare a vivere da uomo libero >> << Mi dispiace per la sua esperienza. Deve essere stato terribile >> Devine diede in un cenno noncurante della mano, distolse lo sguardo e sospirò << Sean, ti dispiace lasciarci soli per un momento? >> il ragazzo irlandese assentì una volta sola, rivolse un’occhiata minacciosa a Devine e infine uscì con passo tranquillo << Adesso comprendo le protezioni sulla tua mente >> disse Charles, passando ad un tono più confidenziale << Sono state indispensabili per troppo tempo perché io possa semplicemente abbatterle. Non sono contro di te, te lo posso assicurare >> << Lo capisco, non preoccuparti. Non ho pensato che tu fossi meno degno di fiducia per questo >> << Perché non sei una persona maliziosa. Non so davvero come tu riesca a fidarti così facilmente anche senza usare il tuo potere >> il telepate si strinse nelle spalle << Mi sembra normale concedere il beneficio del dubbio ad una persona che incontro per la prima volta >> Saman lo scrutò per un momento, si sporse in avanti con il busto mentre gli occhi verdi si assottigliavano, ma di nuovo Charles lo lasciò fare.
In realtà il mormorio tranquillo dei suoi pensieri, solo un sottofondo leggero e incomprensibile, era rassicurante.
Aveva conosciuto solo un’altra persona capace altrettanto ordinato silenzio << Hai degli occhi eccezionali, Charles >> fu un commento così fuori luogo e estraneo che il telepate rimase interdetto per un momento << Non parlo del fattore estetico, naturalmente. Parlo della capacità che hai di guardare. Dipende dalla tua telepatia? >> << Temo di non capirti >> Saman scrollò le spalle come se non importasse, o come se quella risposta fosse sufficiente in realtà, e sospirò lisciandosi la barba con una mano << Sarò felice di lavorare con te, Charles. Non vedo l’ora di incontrarti ancora >> disse infine con un gran sorriso.


NA: Ciao a tutti! Prima di tutto mi scuso se ci ho messo così tanto a mettere il nuovo capitolo, ma spero di aver compensato con la lunghezza :D
La trama viene fuori più lentamente del previsto, non credevo che sarebbe diventata una long così "long" ma spero che continuiate ad apprezzare!
Nel frattempo ringrazio tutti voi che leggete, grazie infinite, e un bacio speciale va alle mie specialissime lettrici: franny87, Winchester_D_Fra, Frheya, LittleGinGin che ogni volta mi incoraggiate e mi aiutate a non sprofondare nella depressione del "ma che cavolo ho scritto?!?!?!"
Vi amo bellissime <3 <3

 
   
 
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