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Autore: KyraPottered22years    06/07/2016    2 recensioni
27th Court Road, Edimburgo, 1996.
E' proprio qui che tutto ha inizio, è proprio in un freddo giorno d'inverno che Amelia Helbinger, una bambina timida e codarda, trova un passaggio segreto che la conduce in un mondo completamente diverso da quello in cui abita; un mondo popolato da Æsir e non da esseri umani, un mondo dove magia e creature con capacità eccezionali sono del tutto normali.
Sembra un sogno, tutto sembra così irreale che perfino una bambina piena di fantasia come Amelia stenta a crederci. Ma come potrebbe negare a sé stessa l'esistenza di Loki, il suo amico dagli straordinari poteri magici, anche se sua madre e il suo psichiatra lo considerano "immaginario"?
Come può essere frutto della sua immaginazione se Amelia farà ritorno in quel bellissimo mondo altre due volte?
E come ci si potrebbe sentire quando una verità così irreale, che è stata depistata dalla vita di una ragazzina per tutta la sua adolescenza, diventasse una realtà così raccapricciante che metterebbe a rischio l'intero pianeta Terra?
Ragione o follia?
Verità o menzogna?
Odio o amore?
[Pre-Thor] [TheAvengers]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Wahnsinn



 “Il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo.”
                                                                                                                                         - Guido Rojetti




Ricordava benissimo com’era immergersi in una vasca da bagno, piena di acqua e ghiaccio. Le urla strappate, soffocate a metà strada tra la gola e la lingua. La obbligavano ad immergersi lì dentro quando confondeva la realtà con i sogni, così da farle capire quali erano le vere sensazioni, qual era il vero dolore. Nuda. Solo il ghiaccio a coprire le sue intimità.

Quando uscì dall’ufficio dell’agente Hill, ebbe la sensazione di avere due infermiere dietro di lei che la stessero portando nei bagni del secondo piano.

Camminarono fino a quando arrivarono nella vasta sala di controllo, il cuore dell’Helicarrier. Percorsero un piccolo sentiero che attraversava tutti gli impiegati, scienziati e tecnici, per arrivare in un grande tavolo di vetro circolare in fondo alla sala. Erano arrivate a metà strada quando Amelia individuò Tony Stark, Bruce Banner, Steve Rogers, Nick Fury e una donna dai capelli rossi che Amelia identificò come Natasha Romanoff, una degli agenti più forti e spietati dello S.H.I.E.L.D. Il cuore iniziò a batterle forte per l’ansia. Si sentiva così insignificante vicino a quelle persone così potenti.

Si fermò a due metri dalla meta quando da una porta aperta entrarono Phil Coulson accompagnato dalla causa della paralisi momentanea di Amelia.

Maria Hill affiancò Coulson, solo in quel momento si accorse che la nuova agente era rimasta indietro, con i piedi serrati al pavimento del terzo piano dell’Helicarrier.

Inizialmente non la riconobbe, ma fu la sua chioma rosso carota a catturare la sua attenzione, richiamandogli a mente una persona di vecchia conoscenza, di cui aveva fatto il nome proprio il giorno prima… non poté credere ai suoi occhi, ma le sorrise comunque. Ormai quella scena aveva interessato tutti i presenti vicino a quel tavolo.

«Thor.»

Era proprio lì, davanti a lei.

Avanzò prima piano, senza mai distogliere lo sguardo da lui. Non riusciva a sentire nulla, ogni suono era ovattato. I suoi timpani parvero ricominciare a funzionare solo quando il dio del tuono la chiamò per nome, ridendo di gioia subito dopo.

Ad un tratto si sentì una bambina e non le importò più nulla di nessuno, dimenticò di trovarsi in una sala insieme alle persone più forti dell’intero pianeta terra. Corse verso di lui e in uno slancio gli saltò al collo, cosa notevole dato che Thor era alto circa due metri.
Il dio continuò a ridere felice, stringendo l’amica alla vita.

E in quell’abbraccio lei ne fu consapevole: quello non era un sogno.

Solo Bruce Banner parve avere una reazione alla battuta di Tony Stark, una reazione tutt’altro che divertita.

«Non ci posso credere,» la mise giù e poggiò le mani sulle sue spalle, sempre piccole e ossute, come ricordava. «sei diventata una splendida donna. Gli Æsir affronterebbero le peggiori sfide per chiederti la mano.»

Le guance di Amelia, tra l’emozione e l’imbarazzo, diventarono più rosse dei suoi capelli.
«Come stanno i guerrieri?» Chiese impaziente di sapere, pazza di gioia. «Heimdall?»

«Stanno tutti molto bene, ti ringrazio per averlo chiesto.»

«Va bene così con i convenevoli.» La pesantezza di tutti quegli occhi addosso svanì quando Nick Fury parlò.

Amelia e Thor si guardarono furtivamente negli occhi, con un piccolo sorriso nelle bocche di entrambi, i loro sguardi parevano dire la stessa cosa: “parleremo meglio più tardi.”

Si sedettero tutti al grande tavolo e Amelia si ritrovò accanto a Steve Rogers e a Natasha Romanoff. Si voltò verso quest’ultima per una stretta di mano e una presentazione, ma riuscì solo a schiudere le labbra senza emettere alcun suono quando la vide con uno sguardo tormentato e perso nel vuoto, preoccupato. Poi ricordò il perché.

«Prima riusciamo a catturarlo, meglio è.» Iniziò Fury, proiettando uno schermo olografico davanti al tavolo.

«Fin qui ci eravamo arrivati.» Commentò Tony Stark, che dal mento appoggiato sulla mano pareva essere annoiato a morte. Amelia aggrottò le sopracciglia a quella scena, non  trovò affatto educato quel comportamento, anche se una persona ricca e potente come lui poteva permetterselo, non era comunque giusto nei confronti della gente che era stata rapita e ferita.

Gente rapita e ferita.

Pensare che lui, il suo migliore amico, fosse capace di fare ciò, la fece rabbrividire. Eppure, doveva realizzarlo, perché lo aveva fatto. Ingoiò un fiotto di saliva e si decise a prestare attenzione.

«E’ stato avvistato a Stoccarda, in Germania, non si sa ancora il motivo, ma sappiamo precisamente le coordinate del luogo.»

«Ma perché mettersi in mostra così se ha dei poteri che potrebbero renderlo invisibile a tutti?» Domandò Bruce Banner, una domanda che fece riflettere in molti su questo punto.

«Come ho già detto, non sappiamo perché si trova lì.» Fury fece scorrere le immagini, fermandosi su una foto di un edificio. «Entro il tardo pomeriggio arriveremo lì e ognuno di voi avrà un compito da svolgere. Appena vi dirò cosa fare, voglio che alziate i vostri bei fondoschiena da quelle sedie e iniziate ad organizzarvi. Intesi?» Guardò tutti loro con quel solo occhio, riuscendo a intimidire Amelia anche se non l’aveva ancora guardata. Solo Rogers rispose di sì, e Tony Stark roteò gli occhi al cielo, apparendo infastidito dalla semplicissima risposta del compagno di squadra.

«Banner, tu rimarrai nell’Helicarrier per completare quel lavoro sulla cella.»

«Va bene.» Si alzò dalla sedia, sistemò meglio i suoi occhiali e congedò gentilmente tutti.

E pensare che quell’uomo così pacato è capace di trasformarsi in un enorme mostro verde.

«Stark e Romanoff, voglio un’entrata a sorpresa, mentre Rogers gliene darà di santa ragione-»

«Come fai a sapere se riuscirà a picchiarlo molto forte?» Chiese Tony, con l’evidente intenzione di punzecchiare Steve. «Insomma, è stato Captain Ghiacciolo per un  bel po’.»

«Se vuoi posso darti una dimostrazione di quanto riuscirò a riempirlo di pugni.»

«E’ mio fratello, voglio riportarlo a casa incolume.» Thor riuscì ad intervenire prima che quel battibecco inutile andasse avanti.

«Non c’è di che preoccuparsi,» disse Fury al dio. Fu lì, in quel momento, che guardò Amelia. «il ruolo dell’agente Helbinger è quello di distrarlo al punto di evitare… incidenti.»

«Distrarlo?» Le uscì dalla bocca, imbarazzandosi subito dopo.

«Il tuo compito è quello di indossare un bel vestito, confonderti fra gli invitati dell’evento e distrarlo, onde evitare che Steve pensi a lui prima che la Romanoff riesca ad ingabbiarlo.»

Amelia deglutì. «Okay.» Rispose dopo, senza riuscire nemmeno a dire grazie per la spiegazione in più.

«Il mio compito, invece?» Domadò Thor quando si alzarono tutti in piedi.

«Tu sarai nel jet insieme alla Romanoff e a Stark. Mi serve un altro impatto psicologico.»

Un altro? Perché, il primo quale sarebbe?

Fatti una domanda, datti una risposta, Amelia.


«E se le cose dovessero degenerare?» Chiese Natasha, parlando per la prima volta.

«Attaccherete tutti.»

*

«Dovresti indossare quel bel vestito invece di stare qui.» Steve parlò forte, così che potesse sentirlo anche se aveva le cuffie.

Amelia tolse la protezione dalle orecchie e gli occhiali, posò la pistola. «Scusami, sono stata maleducata prima ad andarmene via senza consultarti.»

«Non c’è problema.» Si avvicinò a lei, fermandosi nella cabina accanto alla sua. Steve guardò gli obiettivi e osservò dove ogni pallottola andò a centrare. «Sei brava.»

«Adesso.» Sospirò, evitando il suo sguardo. Quegli occhi chiari le facevano ricordare la prima volta che li aveva visti, ma nello specifico lo stato d’animo e la situazione che ci fu in quel momento. Le creava imbarazzo pensare a ciò che aveva fatto per lei anche se non la conosceva nemmeno. «Ma quando lo avrò davanti a me, non riuscirò nemmeno a respirare, mi conosco bene.» Perché stava dicendo quelle cose così personali a lui?

«Gli hai voluto bene, non è vero?»

«Gliene voglio tutt’ora, gliene ho sempre voluto.» Le sembrò di parlare più a se stessa che a Captain America (solo in quel momento aveva notato che indossava la divisa).

«Non gli sarà fatto alcun male se faremo bene il nostro lavoro.» Parlava a toni di voce bassi, gentili.

«Allora devo proprio andare ad indossare quel dannato vestito.» Sorrise, contagiando pure lui.

Ha un bel sorriso, si ritrovarono a pensare entrambi.

Avanzarono verso l’uscita, ma prima che potessero andare via da quella sala di allenamento, Amelia si sentì in dovere di farlo una volta per tutte.

«Ti ringrazio per quello che hai fatto per me in ospedale.» Si fermò e, a qualche passo più avanti, anche Steve smise di camminare. «Non hai idea dell’aiuto che mi hai dato in quel momento.»

Ma lui non disse niente, rimase a guardarla con un mezzo sorriso stampato sulle labbra. Ricominciò a camminare e Amelia lo seguì fuori da quel posto.

«Al fronte, quando molte persone perdevano la vita in atroci agonie, io restavo a guardarli senza fare niente. Il mio compito era quello di fare propaganda. Io ero il guerriero tipo mentre i veri guerrieri morivano in battaglia.» Richiamare quei ricordi alla memoria faceva malissimo. Da quando si era risvegliato, non facevano altro che tormentarlo. Ma, in quel momento, scoprì che parlarne ad alta voce con qualcuno, lasciava una piacevole sensazione di vuoto, di liberazione. Amelia lo ascoltava con attenzione, studiando le sue parole e la sua espressione di pietra. «Era come vivere in un incubo e a un certo punto non capivo più cosa fosse giusto o cosa fosse sbagliato, cosa fosse reale o cosa non lo fosse.» Scesero al piano di sotto con le scale, proseguirono fino a una saracinesca.

«E’ per questo motivo che sei diventato Captain America? Quello vero, intendo. Non il modello delle figurine vintage.»

Steve compose un codice e la grande porta di metallo iniziò a scorrere da sopra, dando il libero accesso a una stanza dove vi era un lettino, uno specchio e un alto piedistallo di vetro.

«O restavo a crogiolarmi nella mia confusione, o mi rimboccavo le maniche per rendere il mondo un posto migliore.» Quando arrivarono al centro della stanza, Amelia notò che sul letto era adagiato un abito da cerimonia color oro, senza spalline, molto elegante e raffinato. «Tu mi hai ricordato un po’ me» prima la affiancò, poi si mise davanti a lei, cercando di dare più enfasi alle sue parole guardandola negli occhi. Amelia si sentì le gote bruciare a quella vicinanza. «e detto tutto questo voglio farti capire che se deciderai di aiutarci davvero, ogni cosa risulterà più chiara ai tuoi occhi. Devi solo decidere da che parte stare.»

«Dici questo anche perché non ti fidi abbastanza.» Parlò secondo l’istinto. Improvvisamente non provava più imbarazzo a stargli così vicino.

Steve non si sarebbe mai aspettato quella risposta, ci mise un po’ di più a rispondere. «E’ probabile che sia così. Tu e Thor tenete molto a questo nostro nemico, abbiamo tutti paura che uno di voi due potrebbe tradirci.»

Assunse un’espressione quasi offesa, con le sopracciglia leggermente increspate verso gli occhi. «Non succederà.» Si avvicinò ancor di più e le parve che il suo metro e settanta fosse diventato improvvisamente un metro e trenta. «Dopo anni di aver creduto che tutto questo fosse frutto della mia mente, capisco finalmente che non è così. Una sola cosa non riesco ancora a mandare giù: che quella persona gentile e buona che io ho creduto di conoscere da sempre, adesso sia capace di fare cose così orribili da lasciarmi senza parole.» I suoi occhi caddero un attimo sulle labbra sottili di lui, un po’ per vedere se aveva intenzione di rispondere, un po’ perché non sapeva il perché. «Ma fidati quando ti dico che so da che parte sto e questo posso garantirlo anche per Thor.»

«Bene, allora.» Era quello che voleva sentirsi dire. Si allontanò da lei e per un attimo ebbe una lieve sensazione di vuoto d’aria, come se si fosse piacevolmente abituato a quella vicinanza e a quei grandi occhi blu osservati da più vicino. «Lì c’è tutto quello che ti serve. Tra mezz’ora arriveremo in Germania.»

L’aria divenne finalmente respirabile quando lui andò via. La saracinesca scivolava lentamente verso il basso e il suo cuore batté più forte quando, ripensando a tutte quelle parole ascoltate e dette, si rese conto del perché prima i suoi occhi erano scivolati sulle labbra di lui.

Scosse la testa, scacciò via quel pensiero. Non era il momento di fantasticare su cose inesistenti. Andò verso il lettino e prese il vestito fra le mani. Sospirò e sperò che la taglia fosse giusta.

*

Si fermò ad ascoltare il silenzio. L’unico rumore che si sentiva erano le goccioline d’acqua che dai tubi, finivano per terra. Se evitava di prestare troppa attenzione all’odore di muffa e di umido, poteva anche dire di essere rilassato.

Chiuse gli occhi e quando li riaprì si svegliò dalla visione.

L’esercito dei chitauri era pronto, attendevano solo che lui completasse il portale, e per farlo aveva bisogno di tempo.

«Abbiate pazienza.» Aveva detto all’alieno dalla pelle blu scura, ma quello si era arrabbiato, rinfacciandogli la minaccia, la collera e l’impazienza del suo signore.

Sorrise nel buio. Dopo quella sera, ogni cosa sarebbe finalmente andata secondo il verso giusto, secondo il suo verso. Avrebbe avuto vendetta per ogni menzogna di cui era stato nutrito fin da bambino, la sua vita millenaria non avrebbe più vissuto di altre bugie se non delle sue. D'altronde, lui era il dio delle malefatte e degli inganni. Abile manipolatore di menti, padre del caos, padrone dell’odio.

Strinse lo scettro d’oro fino a quando le sue nocche divennero completamente bianche. Finalmente avrebbe rivendicato il suo diritto di nascita, finalmente sarebbe diventato Re. Governare i midgardiani non era quello che aveva sperato fin dall’inizio, ma l’idea di prendere il possesso del popolo e del pianeta preferito del fratellastro lo faceva ridere di gusto.

Vendetta. Era tutto ciò che chiedeva e tutto ciò che aveva chiesto ai chitauri quando era finito nel loro mondo, dopo essere caduto giù dal Bifrost.

Aveva pianificato ogni cosa: la sua sconfitta, la falsa morte, manipolare la mente di quello scienziato, Erik Selvig, fin dall’inizio. Niente era andato storto fino a quel momento. Secondo i suoi studiatissimi calcoli, sarebbe stato davvero improbabile anche un piccolo fallimento.

Niente gli avrebbe fatto abbassare la guardia.

Vendetta.

*

«Wir ankamen, Fräulein.» La avviso l’uomo non appena posteggiò.

Amelia scosse la testa e distolse lo sguardo da quel magnifico edificio. «Ja, vielen Dank.» Aprì la piccola borsa per prendere il portafogli, ma l’autista interruppe quell’azione.

«Es gibt keine Notwendigkeit, sie haben mich bereits bezahlt.»

«Dann wünsche ich Ihnen einen guten Abend.» Chiuse la borsetta e gli rivolse un piccolo sorriso di cortesia prima di aprire la portiera.

«Guten Abend zu Ihnen auch.»

Quando la macchina partì e andò via, Amelia avanzò verso il tappeto rosso. Doveva ancora abituarsi a camminare con quei tacchi alti, era la prima volta in tutta la sua vita che ne indossava un paio. Respirando affondo, impugnò il lungo abito con entrambe le mani e si fermò davanti a un uomo con una lista in mano.

«Wie heißen Sie, bitte?» Le chiese non appena la vide.

«Amelia Helbinger.» Phil Coulson era riuscito ad inserirla nella lista degli invitati bypassando le impostazioni del tablet.

L’uomo alto e vestito in nero si spostò per farla accomodare, augurandole una buona serata.

Come se a furia di augurarmi una buona serata questa possa esserlo davvero.

L’eleganza che vi era in quell’edificio lussuoso era stupenda, da togliere il fiato. Due file di colonne color panna riempivano i lati dell’enorme salone. Nell’angolo a destra, vi era una piccola orchestra composta da soli violini e violoncelli, lì vicino si ergeva un piccolo e basso palchetto, munito di microfoni e di un pianoforte a coda bianco. Avanzando ancora verso destra, iniziava una larga e alta rampa di scale in marmo che veniva presentata all’entrata dalla prospettiva delle colonne. Amelia guardò in alto e notò la presenza di un secondo piano, perlopiù un grande balcone interno con delle balaustre, anch’esse in marmo, ricche di dettagli molto raffinati. Sul tetto, un enorme lampadario pendente, pieno di swarovski e pietre preziose. Al centro del salone, vi era una scultura che rappresentava due tori uniti dalla parte inferiore dei loro corpi, i dorsi fusi degli animali di pietra erano placcati in oro.
Era un evento di élite, riservato solo alle famiglie tedesche più fiorenti in economia. Se Amelia aveva pensato che il suo abito e la sua acconciatura sarebbero stati troppo vistosi, si era sbagliata di grosso. Lì il budget dell’abito più economico era minimo trentamila euro.

Si avviò verso il buffet anche se non aveva alcuna intenzione di mangiare, stando attenta a non inciampare sui tacchi. Le cinture che aveva legato alle cosce per nascondere le due ruger lc9 stringevano quasi a bloccarle la circolazione. Si sentiva a disagio.

Ma riusciva a sentire anche qualcos’altro.

Una nuova e strana sensazione: era come se delle piccole particelle esercitassero una forza sulla sua pelle, spingendola verso le scale, verso il secondo piano. Non era l’istinto. Era qualcosa di più.

Si appoggiò alla colonna e ascoltò la rilassante musica cessare per lasciar parlare al microfono quello che doveva essere un imprenditore.

In quello stesso istante, il dio degli inganni, camuffato come un essere umano grazie all’aiuto di un raffinato abito da cerimonia, sentì la stessa sensazione di Amelia, solo che quella strana forza agiva verso il salone e non verso il secondo piano, dove si trovava lui in quel momento, anche se non per poco: stava scendendo le scale perché era arrivato il momento di fungere da diversivo.

Amelia aprì di scatto gli occhi quando un colpo secco, come un pugno su una faccia, e un paio di urla di sgomento risuonarono nella sala. Improvvisamente i presenti in quella sala fecero spazio a qualcuno che stava passando fra di loro. Sollevò l’abito da terra e si avvicinò, mischiandosi nella folla, facendosi spazio sgomitando qua e la. Più si avvicinava alla scultura dei tori, più quella sensazione di attrazione dentro di lei cresceva.

E poi, d’un tratto, svanì, come se quella avesse appena portato a termine il suo compito.

Davanti a lei, l’uomo che prima aveva parlato al microfono era steso sul tavolo/scultura placcato in oro, accanto a lui…

«Loki.» Sussurrò in un moto di sgomento, incredulità e timore, trattenendosi dal ripetere di nuovo quel nome in un urlo.

Poi, il dio degli inganni, finalmente libero da quella forza attrattiva che lo aveva oppresso fino a qualche secondo prima, tirò fuori dalla propria giacca un apparecchio delle stesse dimensioni di una penna, ma con una piccola centrifuga a lame all’estremità. Azionò l’affare e lo infilzò nell’occhio sinistro del povero uomo.

Il panico si seminò in ogni persona presente in quell’edificio e il dio godé di ogni urlo, ogni espressione di terrore. Era ciò che voleva: essere temuto. Come un vero Re.
Solo una figura rimase immobile mentre la folla correva verso l’uscita, ma non ci fece molto caso inizialmente. Man a mano che la sala si svuotava, più quella donna si faceva fastidiosa.

La osservò meglio e… accadde.

La guardò negli occhi.

Quelle iridi blu, piene di pagliuzze castane vicino alla pupilla.

Intensi, grandi, profondi.

Li avrebbe riconosciuti fra tutti i sette miliardi di abitanti midgardiani.

«Amelia?»

Rimosse velocemente l’arma dal bulbo oculare dell’uomo privo di sensi e quando alzò lo sguardo la donna era scomparsa.






NDA.

Traduzione delle frasi in Tedesco:

-Siamo arrivati, Signorina.
-Sì, grazie.
-Non c'è di bisogno, mi hanno già pagato.
-Allora le uguro una buona serata.
-Buona serata anche a lei.

-Qual è il suo nome?


Studio Tedesco a scuola, spero di non aver fatto errori, se magari li ho fatti, dei consigli sono accettati :)

 
  
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