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Autore: Deliquium    06/07/2016    3 recensioni
Chi è Saori Kido?
Una dea? Una bambina viziata? La nipote di un magnate nipponico?
Forse nessuna di loro. Forse tutte loro e anche altre.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Saori Kido
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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- Questa storia fa parte della serie 'Rovine'
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Una civetta si dondolava sopra un ramo d'ulivo

 

Spettrofobia

 

«Chi è quell'uomo?» ti domanda Shizuka. I capelli corvini stretti in una coda alta.
«Mio nonno!» rispondi con orgoglio.
Nonno sta parlando con Kobayashi, il vostro maestro di equitazione.
I tuoi occhi brillano l'orgoglio e di affetto.
«Bugiarda!» ti volti di scatto.
Shizuka ha le labbra arricciate in una smorfia, giocherella distrattamente con il bottone dorato della divisa da cavallerizza.
La sua accusa ti coglie di sorpresa. Hikaru protesta scuotendo la criniera quando smetti di spazzolarlo.
«Ma certo che è mio nonno. Vuoi che non lo riconosca?»
La tua voce titubante e la risatina nervosa che ne segue esprimono tutto fuorché sicurezza.
«Non dirmi che non ti sei mai accorta della differenza!»
C'è un'ombra di cattiveria nel tono usato da Shizuka. Fai un passo indietro senza volerlo.
«Perdonami, Saori. Ma è così evidente!» continua lei imperterrita. «Prendi il colore dei capelli.» Afferra la coda e se la porta davanti, lasciandola ricadere sul petto. «Hai mai visto un giapponese che non abbia i capelli neri? E gli occhi...»
Stringi i denti.
Lo sai. Lo sai benissimo.
Non sei una sciocca.
«Perdonami, ma tu non hai proprio i nostri occhi.»
Sta zitta!
Hai sempre finto che non fosse vero, anche se lo specchio ti mostrava la verità e proprio per questo le parole di Shizuka fanno male. Non puoi nascondere quella verità, se sono altri a vederla.
«Tu non sei giapponese.» Shizuka sembra parlare a se stessa, quasi come se stesse riflettendo ad alta voce. «Credo che tu sia Europea. Quando sono andata in Francia con mamma e papà ho visto tante persone come te. O forse, chissà magari, sei americana. Persino quei poveracci che stanno alla villa sono più giapponesi di te.»
Inghiotti le lacrime e speri che Shizuka non si accorga di nulla, ma evidentemente non è così, vedendo gli occhi sbarrati con cui lei ti fissa. Solleva una mano a coprirsi la bocca.
«Oh, no! Scusami. Non volevo. Io credevo che tu lo sapessi.» Ma il suo finto tono contrito mostra la verità dietro le parole.
Riacquisti il controllo. Ti sforzi di riacquistare il controllo! Sollevi il mento, tira indietro le spalle, tieni tra le mani la spazzola come lo scettro di una regina.
«Naturalmente.» ribatti. E gioisci nel renderti conto di aver ritrovato la tua sicurezza. «Solo uno sciocco non si accorgerebbe che Mitsumada Kido non è mio nonno.» Hai già afferrato Hikaru per la cavezza. «Ma sai» continui, cominciando a camminare. «Non è il sangue a fare una famiglia ma i legami che si creano tra le persone. E non c'è legame più forte di quello che c'è tra me e mio nonno.» Chiosi, segretamente stupita per le parole che tu stessa hai pronunciato.

Hai riguadagnato la dignità, ma il dolore continua a nascondersi dietro gli atteggiamenti. Non rispondi a nessuna delle domande che Tatsumi ti pone mentre tornate alla villa. Hai cercato tuo nonno alla scuola di equitazione, ma il maestro ti ha detto che era già andato via. Insieme al dolore c'è anche una rabbia che non ti dà tregua, che ti fa digrignare i denti, fissare il tuo volto riflesso dal finestrino dell'auto con astio.
Le vie di Tokyo sembrano formicai. Le insegne al neon lampeggiano a intermittenza nonostante la luce del giorno. Una modella di colore pubblicizza una nota marca di cosmetici sullo schermo gigante in cima al grattacielo. Le formiche - le persone - corrono verso l'ingresso della metropolitana senza guardare in faccia nessuno. Tu vorresti smettere di vedere il tuo volto riflesso nel vetro: i tuoi capelli castani tagliati a caschetto, gli occhi di quella sfumatura bluastra, le palpebre, il taglio, quel profilo così straniero.
Percorri il sentiero del parco della villa a passo di marcia, il frustino serrato nel pugno. Quei poveracci, come di chiama Shizuka, stanno giocando a calcio, nel tuo parco, con uno dei tuoi palloni.
Persino quei poveracci che stanno alla villa sono più giapponesi di te.
Stringi le labbra in una linea sottile.
Fai scivolare lo sguardo tutto intorno a te. Non ti hanno notata e continuano a comportarsi come se fossero loro i proprietari della villa.
I nipoti del nonno.
Le budella ti si attorcigliano dal nervoso non appena senti la voce di Seiya.
Lo chiami, fendendo l'aria con un secco movimento del frustino, quasi a sottolineare l'imperativo del richiamo. Lui ti raggiunge lentamente, le mani affondate nelle tasche, quell'orribile maglietta rossa, dalla quale non si separa mai, nemmeno fosse il suo cimelio più prezioso.
«Ti serve qualcosa Saori?»
Non ha mai usato i titoli onorifici, né tanto meno il tono remissivo che si confà a un poveraccio della sua risma.
«Sì, mi serve un cavallo.» Rispondi secca, guardandolo dall'alto in basso. «Inginocchiati. Fammi quanto sei bravo a fare il cavallo!»
Seiya ti guarda attonito. Non capisce se tu lo stia prendendo in giro o se tu sia seria. Ma tu lo sei! Sei serissima e stanca e irritata. E una marea di altre cose che non sapresti nemmeno nominare.
«Stai scherzando!»
«Inginocchiati!» gridi.
Non dovresti gridare. Il nonno te l'ha sempre detto, che un vero leader non ha bisogno di gridare o minacciare per ottenere rispetto. Lo sai, lo sai benissimo!
«Non hai capito quello che ti ho detto, Seiya? Inginocchiati!»
«Oh, va al diavolo, Saori! Per chi mi hai preso!?»
Il sangue ti incendia il volto; non riesci a placare il tremore dell'ira. Le dita serrate attorno al frustino; sollevi il braccio, pronta a colpirlo, a sottolineare la tua richiesta, ma qualcuno ti ferma. Non fai in tempo a vedere chi.
Un altro di quei poveracci si è inginocchiato davanti a te.
Come si chiama?
Ha i capelli color della sabbia: un biondo decisamente poco comune; gli occhi azzurri. Aggrotti la fronte, mentre lo fissi cercando di rammentarne il nome.
Inspiri rumorosamente, nel notare che persino lui è più giapponese di te.
«Molto bene.» annunci, inarcando il sopracciglio. «Per fortuna che c'è ancora chi sa stare al suo posto.»
Non hai sentito nemmeno una parola di quello che ha detto Jabu.
Ecco! Sì, Jabu! Ecco come si chiama!
Ti siedi a cavalcioni sulla sua schiena.
Sei perfetta! Indossi persino la tenuta da cavallerizza.
Jabu è un pessimo cavallo. Si muove come un poveraccio che imita un cavallo. Non ha nemmeno un'oncia della grazia di Hikaru.
«Avanti, cavallino! Fammi vedere cosa fai fare!» lo esorti, colpendolo ripetutamente con il frustino. «Nitrisci, cavallino! Hai forse perso la voce?»
Il verso che viene fuori dalla bocca di Jabu, sembra più un gatto castrato che un cavallo.
Pieghi le labbra in una smorfia.
Si muove lentamente per i tuoi gusti. Arranca! Un cavallo dovrebbe correre, trottare, al massimo stare al passo... non arrancare!
«Più veloce! Vai più veloce!»
Non guardi gli altri, non ascolti i loro mormori, anche se sai perfettamente quali sono le espressioni che stanno facendo e sapresti ripetere il tenore dei loro sussurri.
Sbuffi. Sei stanca.
Credevi che fosse divertente, che ti facesse sentire meglio. Ma non è affatto divertente e non ti ha fatto sentire meglio.
Jabu non è Hikaru. Non ha la sua grazia, la sua velocità. Non è lo stesso. E tu stai proprio come stavi prima …
E i tuoi occhi continuano ad avere la forma sbagliata.
«Saori!» la voce possente del nonno ti fa alzare di scatto.
È comparso all'improvviso. L'inseparabile bastone, l'abito cucito su misura, la barba bianca a incorniciargli il viso.
Rughe di divertimento attorno agli occhi dalla forma giusta.
Ti solleva tra le braccia, ridendo al sonoro bacio che gli stampi sopra lo zigomo, lì dove la barba non c'è.
«Come è andata oggi, Saori? Ti sei divertita alla scuola di equitazione.»
«Oh, sì certo, nonnino.» menti. «Ti ho visto, sai. Ma quando sono venuta a cercarti, non c'eri già più.»
Ti stringi a lui.
Il tuo porto sicuro. La tua famiglia. La tua casa.
«Sono venuto a parlare con il tuo insegnante e mi ha detto che ultimamente stai battendo un po' la fiacca.»
«Non è vero!» esclami drizzando la schiena.
Lui scoppia a ridere.

I poveracci sono dove li hai lasciati; stretti gli uni agli altri hanno formato un circolo. Allunghi il collo per vedere cosa stanno guardando. Il profilo di tuo nonno s'indurisce.
Riconosci i capelli di Jabu.
«Avete visto che cosa gli ha fatto?» sta dicendo qualcuno.
«Povero Jabu!»
Intravedi il suo volto, sporco di lacrime e muco.
Le sue ginocchia sono due macchie di sangue.
È colpa mia?
Non è colpa mia!
È stato lui! Lui ha voluto farmi da cavallo! È tutta colpa sua!

Sei pronta a difenderti a spada tratta.
«Saori.»
La voce del nonno ti riporta alla realtà.
«Saori.» ripete per essere certo di avere la tua attenzione.
Si è avvicinato a loro.
«Guarda, Saori.» dice.
Abbassi lo sguardo. Il tuo nome ripetuto per tre volte.
«Jabu non è un cavallo, è una persona e come tale merita rispetto.»
Ti mordi un labbro, le lacrime che ti pungono gli occhi.
«Rispettare una persona significa non chiederle nulla che possa ferire la sua dignità.»
Distogli lo sguardo e fissi un punto imprecisato in mezzo all'erba.
«Un uomo può perdere tutto il suo denaro, la sua casa. Può perdere i suoi amici, sua moglie, i suoi figli, ma fino a quando continuerà a conservare la sua dignità, non smetterà di essere un uomo.»
Non dici nulla. Hai paura che se dovessi aprire bocca non potresti impedirti di scoppiare a piangere. Nonno lo capisce, perché non ti domanda nulla.
Vuole solo che ascolti e tu ascolti.
Ogni parola.
«Verrà un giorno, Saori, che capirai il rispetto che dovrai avere nei confronti di questi ragazzi e capirai che non avrai bisogno né di ordini urlati, né di frustini da cavallerizza.»
Appoggi la testa sulla spalla di tuo nonno e chiudi gli occhi.

 

Note dell'Autrice - Spettrofobia è la paura degli specchi, detta anche eisoptrofobia. Da non confondere con la paura degli spettri che si dice phasmofobia. Comunque, specchi-spettri-Specter-Hades. Non ricordo quali furono le esatte parole pronunciate in quella scena, ma ho improvvisato.

 

 

 

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

   
 
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