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Autore: Master Chopper    07/07/2016    5 recensioni
Xian, divenuta folle per la rabbia, sfida Tengoku per decretare chi sarà degno del titolo di Boss dei Vongola. Vengono decisi degli scontri, ma a quanto pare, tra un rifiuto di Tsunayoshi e un'affermazione da parte di Xanxus, non si riesce ancora a capire la reale motivazione dei Bravi.
Perché mirare alle sconfitta di Ten, anche se consapevoli che non otterranno mai il titolo di Boss e Guardiani?
Cosa si nasconde dietro il silenzio dei Boss e le cicatrici della Figlia dell'Ira?
- STORY OF A FAMILY: SAGA DEI SETTE PECCATI CAPITALI -
E' obbligatoria la lettura di '[SoF] Saga della Nascita' per la comprensione delle vicende e degli avvenimenti trattati.
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Reborn, Sorpresa, Tsunayoshi Sawada, Xanxus
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stories of a Family [SoF]'
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Target Number 9: Vita ed Esistenza.


 
Restyle di Tengoku Marco Sawada, a cura di nekomata04

 

 
 

“ Questa è la resa dei  conti.” Annunciò Corex Licaone, mentre sul suo petto nudo si richiudevano e rigeneravano numerosi fori di proiettili e ferite terrificanti di arma da taglio.

Soltanto un marchio nero, incastonato nella sua pelle all’altezza del cuore, rimase perfettamente illeso.

Raffigurava una testa di lupo rivolta verso l’alto, con una mezza luna in secondo piano.

 

“ Non penso proprio che questa frase ad effetto ti porterà fortuna, come invece successe con mio fratello.” Sebastian spalancò il suo ghigno, mostrando i suoi denti affilati e spalancando al limite del possibile i suoi oscuri occhi rossi.

 

 

 

Non era passato più di un minuto dall’incontro tra Corex e Sebastian, ma già l’atmosfera iniziava a piegarsi, incrinandosi tra saette di energia pura.

“ Quindi è la vendetta che hai cercato per tutto questo tempo ?” domandò il Boss dei Licaone, con voce grave e incrollabile. Sapeva per certo, nel suo cuore, che quelle atrocità si sarebbero concluse per mano sua in quello stesso giorno.

 

Di risposta, l’Anonimato sorrise con aria sorpresa, rilassando la sua energia. Come se volesse prendersi beffa dell’avversario, permettendosi di abbassare la guardia.

“ Assolutamente no !” sibilò con tono tagliente e con un sorriso perfido.

“ Non ho mai pensato, neanche solo per un istante, a mio fratello per la realizzazione del mio piano. Anzi, al suo tempo sperai vivamente che lui potesse fallire nella sua missione.”

 

Aggiunse, puntando il dito avvolto dal guanto bianco verso il ragazzo dai capelli bianchi.

“ Ma non ti sono debitore solo perché l’hai ucciso: con più tempo, mi sarei sporcato le mani io stesso.”

“ Sei un mostro !” ruggì con amarezza Corex, mentre l’odio dei suoi occhi si manifestava sotto forma di piccole vene pulsanti attorno alle palpebre.

 

Come un’esplosione, la Fiamma della neve che lui manovrava si manifestò attorno a lui, scatenando terribili correnti di vento gelido.

“ Probabilmente merito davvero questo titolo… rispetto a te, debole ed insignificante omuncolo, sono un mostro.”

 

Fu questione di un istante. Un battito di palpebre. Meno di un secondo.

“ Nero Bocciolo !”

Sebastian azzerò la notevole distanza tra lui e il Boss, e con un semplice movimento, gli assestò un pugno all’altezza del tronco.

 

Lo spostamento d’aria disperse come semplice fumo la tormenta di neve della Fiamma.

Corex si rese conto di essere stato colpito soltanto quando i polmoni si inzupparono di sangue. La sua cassa toracica era stata pressata così brutalmente che il liquido rosso gli inondò presto la gola, e venne costretto a vomitarne un’ingente quantità.

 

In ginocchio. Era stato ridotto in ginocchio, con il torace ridotto ad una lattina spiaccicata.

Ma non era morto, continuava a vivere.

Per un istante Corex desiderò di essere stato un normale umano, così da non poter vivere in quel momento un terrore simile.

 

“ Sei solo un piccolo cucciolo con un potere più grande di te. Non ti serve a niente !” disse secco Sebastian, mentre la sottile membrana di fiamme nere e viola che aveva ricoperto la sua mano svaniva.

Rimase immobile, sovrastando il Lupo Immortale come un colosso, mentre quest’ultimo si rigenerava l’orribile frattura.

 

Corex venne inghiottito dalla paura. Dopo aver sfidato con lo sguardo Sebastian in totale sicurezza, si era reso conto che non c’era nemmeno una parità di forze tra loro due.

Non era stato il colpo a dimostrarglielo, ma gli occhi.

 

Gli occhi di quell’uomo ora erano rilassati, ma non in modo sarcastico per sbeffeggiarlo. Erano seriamente tranquilli, come se avesse appena bevuto un bicchier d’acqua.

Per questo il Boss dei Licaone comprese il reale impegno di Sebastian in quello scontro: nessuno.

“ … quindi lascia che prenda questo tuo dono.”

La mano dell’uomo si chiuse nello stesso punto dove Corex aveva la testa. Fortunatamente per l’albino, i suoi sensi allenati sviluppati dall’adrenalina, gli avevano permesso di percepire l’avvicinarsi di qualcosa.

 

Sollevò lo sguardo, mentre la sua mente si puliva da ogni pensiero, lasciando che quelle ultime parole ascoltate ritornassero chiare e nitide.

“ Tu vuoi… la mia immortalità ?” domandò, mentre una vaga sensazione di collera si faceva largo dentro di lui, risvegliandolo da un sonno di terrore.

 

“ Saprei benissimo come usarla.” Rispose con semplicità Anonimato, muovendo un passo in avanti con un sorriso pacato in volto.

 

‘ Corex… vivi per me. Vivi per Himeko e per i Vongola…’

‘Papà…’

 

“ …Papà !” ripeté Corex, sovrastando la voce nei suoi pensieri, provenienti dal passato.

“ Tu vorresti il sacrificio di mio padre ?!!” ringhiò infine, liberando nuovamente la sua Fiamma con un’esplosione.

Questa volta però, l’energia rilasciata fu il triplo della precedente, talmente tanto impressionante che il corridoio intero venne trasformato in un cratere ghiacciato.

Sebastian sussultò, vedendo il soffitto sopra le loro teste venir disintegrato in pochi secondi, lasciandoli sotto il cielo notturno.

 

Una colonna di luce e neve perforò il manto della notte come una freccia,  mentre alla sua base Corex urlava di rabbia con la sclera e le pupille diventate fari luminosi.

 

“ Non posso vanificare questo sacrificio! Sulla morte di mio padre sorgerà un’epoca di pace… E NON SARAI CERTO TU A FERMARLA !!”

Con la voce che tonava nella notte di tempesta, Corex distese le braccia davanti a sé, per la prima volta sostenendo lo sguardo di Sebastian con una nuova forza.

La forza degli ideali di suo padre, dei suoi sogni e di coloro che aspettavano il suo ritorno.

 

Ruotò i polsi verso l’esterno, e due fasci di Fiamme bianche vennero sparati dai suoi pugni.

Questi due lampi, manifestandosi come versioni argentee di fiamme del Fulmine, si trasformarono in un istante in grossi quadrupedi dalla forma instabile che crepitava in saette.

 

Spalancando le loro fauci, azzannarono l’Anonimato prima ancora che lui potesse muoversi, rilasciando nell’atmosfera particelle fluttuanti simili a fiocchi di neve elettrificati.

 

A quel punto Corex, rilasciando tutte le sue forze con un urlo disumano, spalancò le braccia, ruotando nuovamente i polsi verso l’interno.

“ Fiamma della Bufera: Divoramento del Sole !”

 

Una raffica di gelo iniziò a turbinare attorno al bersaglio ad una velocità tale da formare una cupola impermeabile di vento. Ma all’improvviso, i fiocchi di neve sospesi fino ad un secondo prima, si uniformarono in un solo punto, accompagnati da un boato che scosse la terra.

 

Dal vento e dall’oscurità, emerse un’enorme testa di lupo dagli occhi formati da saette azzurre, che dopo essersi innalzata terrificante, chiuse le sue fauci sulla cupola.

Una seconda esplosione si levò nel cielo non appena l’aria dentro la  testa venne schiacciata, facendo crepare il terreno circostante per diverse decine di metri.

 

Corex rimase immobile, con la testa alta e uno sguardo furente ma fiero, mentre i palazzi abbandonati di quella città fantasma crollavano nelle vicinanze.

Guardò a lungo la polvere sollevarsi nell’aria, per poi posarsi sulle macerie una volta placato il vento.

 

Sospirò: sentiva un’angosciante dolore al petto. Non era di certo la giusta sensazione di un vincitore alla sua vittoria. Lo raggiunse l’idea di star perdendo tutto quello che aveva.

Se stesso, Himeko e la sua Famiglia. Ovvero tutto quello per cui lottava, da quando Reborn gli aveva fatto notare che lottare per i Vongola sarebbe stato solo pericoloso.

 

Non era arrivato fin lì per vendicare le Alleate, né per punire Xanxus.

In quel momento si sentì il peggior egoista bastardo del mondo, perché lo aveva spinto il suo cuore e non la sua testa a compiere quelle azioni.

Un ragazzo chiamato Majiin aveva ucciso suo padre, sfoggiando il nome della stessa Famiglia a cui apparteneva Sebastian.

Ma Majiin era morto sei anni prima, quindi suo padre era stato vendicato.

Gli Estraneo fin ad allora non avevano ucciso nessun altro che lui avesse a cuore.

 

Sebastian era stato ucciso… ma Corex non si sentiva più sicuro di cosa fosse. Un guscio vuoto.

 Himeko l’aveva aiutato a dimenticare la morte di suo padre e a non preoccupandosi più delle sue colpe i Licaone.

Ma allora… cosa ci faceva lì?

“ Io sono già morto, vero Hime ?” quel debole sussurro si perse nella notte, mentre lacrime scintillanti scivolavano sulla pelle chiara di un uomo, che più uomo non si sentiva.

 

“ Come puoi vedere, il tuo modo di usare l’immortalità ti ha corrotto.”

Una mano avvolta da un guanto bianco si posò sulla sua spalla. Il tocco però non lo fece sussultare, perché sentiva la sua stessa pelle fredda come roccia.

“ Io conosco il sigillo che ha messo tuo padre sul dono… fin quando i tuoi ideali non crolleranno, l’immortalità resterà legata alla tua anima.”

 

Una creatura minuscola ronzò via dai capelli bianchi del ragazzo, leggermente macchiati di sangue.

Pareva essere una minuscola mosca, ma con la parte inferiore del corpo più appuntita e le ali più lunghe del normale. Il fattore più inquietante era il suo colore: viola scuro con vene pulsanti nere e due lucidi occhi rossi come il sangue.

 

“ Ma tu non credi più in quelle stupide parole, vero ?”

L’espressione immutabile di Corex era ben diversa da quella di Sebastian, adesso in piedi sopra il suo corpo con un ghigno serpentino che gli tagliava il volto da orecchio ad orecchio.

 

Il suo vestito era stato portato via in parte dall’esplosione e dei lievi tagli comparivano sul suo torso, spaventosamente ricoperto di muscoli che nessuno avrebbe mai immaginato di vedere, nascosti all’apparenza del suo fisico esile.

Con movenze delicate, come se stesse dipingendo nell’aria, scostò il suo dito indice destro dalla tempia di Corex, e quell’insetto oscuro scomparve senza far rumore.

Infine, con la mano destra prese il volto del ragazzo, costringendolo a voltarsi per guardarlo dritto in quegli occhi spenti da ogni voglia di opporsi.

 

“ Non è mia la colpa, se per tutto questo tempo non hai scovato il lupo camuffato da pecora.” Sogghignò Sebastian, lasciandosi sfuggire una risata malvagia e colma dall’eccitazione per il dolore che aveva causato in quel ragazzo un tempo felice.

 

Poi… diventò qualcosa di incredibile.

Sollevando la testa, spalancò la sua bocca oltre ogni limite umano ed animale, trasformandola in un enorme buco munito di denti.

Infine, calando le sue fauci come una tenaglia azzannò Corex sul petto, conficcando i suoi denti all’interno della carne.

 

Come una sanguisuga antropomorfa, cominciò a succhiare da quel mostruoso apparato una luce bianca proveniente dal corpo del Boss dei Licaone, ora illuminatosi completamente.

Emanando rumori mostruosi, prosciugò il corpo fino a quando della luce non rimase che scintille, che vennero comunque estinte dentro la sua bocca.

 

“ Hime…” dalle labbra secche di Corex scivolò questo nome, sussurrato talmente tanto piano che nemmeno a distanza ravvicinata Sebastian se ne accorse.

E dopo quello sforzò, Corex Licaone, Ottavo Boss della Famiglia Licaone, crollò a terra.

 

Il Secondo Boss degli Anonimato non fece neppure caso a quella scena, tanto pietosa gli apparve.

Si limitò a portarsi una mano al di sotto della mandibola e cercare con potenti strattoni di far ritornare la bocca alla sua forma originaria.

Ma all’improvviso, dopo una spinta particolarmente forte, la sua mascella si staccò dal cranio.

Anche lui cadde a terra, inerme e rigido.

Morto.

 

Rimase disteso a faccia in giù fino a quando la stessa luce bianca non lo avvolse, e a quel punto si rimise in piedi senza sforzi.

“ Uhuhu! Che momento divertente… uhuhu…” Sebastian rimase immobile a ridacchiare sotto voce, mentre dentro di lui un demone ruggiva di contentezza, consapevole di aver ottenuto un potere oltre l’immaginario umano.

 

 

 

Ventiseiesimo giorno. Meno sette giorni agli scontri.

Ultima settimana.

 

Nella Stanza dei Pistoleri, l’ambiente virtuale creato per l’allenamento di Ten, la temperatura aveva raggiunto il suo picco più alto.

In un mezzogiorno di fuoco, il sole brillava incandescente sopra la terra arida e le catapecchie disabitate.

I passi di un uomo trascinavano polvere, che si perdeva nel vento caldo di quel Far West illusorio.

 

Leon camminava lentamente al centro di quella strada che tagliava la cittadina, con la fedora calata sulla fronte. Nonostante il capello sugli occhi, il suo sguardo e tutti i suoi sensi erano seriamente dedicato nella ricerca dell’obbiettivo: Tengoku.

“ Hai imparato a cancellare le impronte, finalmente.” Sussurrò tra sé e sé, accennando un sorriso compiaciuto dopo aver a lungo osservato per terra.

In seguito cercò di cogliere un riflesso nei dintorni, per trovare almeno la Smith & Wesson 357 Magnum.

 

Dopo diversi secondi, con grande sorpresa, constatò che il ragazzo si era volatilizzato: da almeno un quarto d’ora l’aveva perso di vista, e ancora non riusciva a stanarlo.

 

Le uniche cose che riflettevano la luce del sole erano dei chiodi sull’insegna di un saloon, qualche pallottola sparata nei giorni precedenti da Ten e l’acqua di un abbeveratoio per cavalli.

Leon escluse la possibilità che il bruno si fosse nascosto nelle abitazioni, perché erano stati i primi luoghi da lui esplorati pochi minuti prima. E in uno spazio chiuso, il respiro sarebbe stato più facile da individuare.

 

-Che sia… scappato ?- il pensiero lo fece sussultare dalle sue speculazioni.

Volse subito lo sguardo verso la pianura illusoria che si stagliava oltre la recinzione della cittadina.

- D’altronde non so se è impossibile scappare, oppure no. - rifletté, concentrando infine tutta la sua vista sul paesaggio lontano.

Le sue capacità animalesche erano molto più sviluppate di un normale umano, rendendolo alla pari di un super-uomo come gli Arcobaleno. Riuscì a contare tutti i serpenti nascosti sotto le rocce, scovò un formicaio tra le piante aride, vide persino un cavallo selvatico brucare a parecchie miglia di distanza… ma di Tengoku…

 

Tutte le sue attenzioni e tutti i suoi sensi si erano involontariamente concentrati su di un punto solo, persino i suoi pensieri, il che non gli permise di accorgersi di aver lasciato un’enorme apertura.

Così, nella cittadina deserta, sulle note di quella canzone ripetuta all’infinito in quei giorni, dall’abbeveratoio fuoriuscì una figura umana.

 

Con l’ausilio della mano sinistra riuscì a saltare fuori da quel giaciglio, mentre contemporaneamente con la mano destra afferrava qualcosa da una frattura nella cassa di legno sottostante.

Ne estrasse una pistola, e quando la puntò avanti a sé, aveva appena appoggiato i piedi per terra.

 

Leon reagì più in ritardo di quanto avrebbe voluto, cercando con difficoltà di mantenere la calma quando si accorse che un proiettile gli aveva appena sfiorato il fianco, bucandogli la giacca nera.

Era riuscito a schivare lo sparo, seppur di pochissimo, ma ammise a se stesso che una frazione di secondo era diventato un margine di errore troppo grande.

 

Riuscì solo ad intravedere gli occhi verdi e luminosi di Tengoku, tra i capelli bruni bagnati ed incollati sulla sua fronte, prima di sfuggire con uno scatto felino dalla stessa traiettoria.

“ Stavi per farmela, moccioso! Me la pagherai quando saremo usciti di qui.”

Un istante dopo, Leon estrasse la sua pistola e sparò verso il ragazzo mentre era ancora in volo.

 

Ma, sorprendentemente, Ten rimase immobile.

“ Quando si spara si spara, non si parla Leon.”

Il camaleonte per poco non perse l’equilibrio quando vide la sua pallottola sfiorare appena il volto di Tengoku, senza però che questi si fosse mosso.

 

Allibito, osservò di nuovo quel volto, accorgendosi solo in quel momento di un espressione fredda ed estremamente seria.

“ Che ingrato… con tutte le volte che ti ho risparmiato la vita !”

 

-Non ha mai avuto dei nervi così saldi !- il colpo di Leon era ovviamente intento solo a spaventarlo e non a centrarlo, ma comunque non si sarebbe mai aspettato che il ragazzino potesse intuire le sue intenzioni.

-Ha deciso di dare il tutto e per tutto in questo ultimo giorno… non mi aspettavo di meglio !- da Tutor in carica, Leon non poteva sentirsi meglio in quel momento, di fronte alla tenacia di quel ragazzo e del suo sguardo di fuoco.

Sorrise, stringendo ancor di più la presa intorno all’impugnatura.

 

“ Tutte le pistole hanno una voce… e io questa la conosco.” Ma all’ennesima citazione, quel sorriso si smorzò: nuovamente un proiettile, troppo veloce si stava dirigendo verso la direzione dove era destinato ad atterrare.

Non potendo decelerare in quella situazione, usò uno sforzo maggiore per superare la velocità del proiettile e sfuggire.

Atterrò infine dietro il saloon, fuori dalla traiettoria.

 

Espirando dopo aver trattenuto a lungo il fiato, si appoggiò alla parete. Si lasciò scappare una risata liberatoria, divertito dalla strana piega che aveva preso quell’allenamento.

“ Ma allora…” esclamò, mentre apriva il tamburo della pistola per contare quanti colpi gli fossero rimasti dopo quattro giorni.

-Tutti !-

“… allora hai dormito, Ten? Pensavo di conoscerti: quando sei molto sotto stress non prendi sonno.” Il tono di voce di Leon era scherzoso, come se volesse iniziare una chiacchierata amichevole con il ragazzo. Infondo loro due si conoscevano da tanto, e sebbene non avessero parlato mai, avevano condiviso molti momenti felici.

 

“ Dormo tranquillo, perché so che il mio peggior nemico veglia su di me.”

Improvvisamente, non appena il camaleonte rimise la cartuccia al suo posto, udì la voce del ragazzo spaventosamente vicina.

Voltò appena la testa, accorgendosi che Ten lo aveva raggiunto e puntava la pistola a pochi centimetri dal suo volto.

 

Il ragazzo dai capelli bruni e dal ciuffo bianco sorrise soddisfatto dell’espressione sorpresa di Leon, e senza battere ciglio cominciò a sparare.

Il Tutor, seppur in stato di shock, riuscì a reagire seguendo il suo istinto animale: ricordandosi di una finestra posteriore del saloon posta a poca distanza da lui, saltò verso l’alto evitando la raffica di proiettili.

Raggiunta l’apertura, si capovolse all’indietro e sfondò il vetro con il suo corpo, mettendosi subito al riparo.

 

Atterrò in piedi, mentre la sua fedora cadde qualche secondo dopo sulla sua testa.

- I precedenti quattro giorni non ha fatto nessun progresso di questo genere, si è limitato a sparare, senza nemmeno venirmi a cercare quando sfuggivo, oppure a correre via nascondendosi. Nell’ultimo periodo i suoi riflessi sono rallentati di molto per via della disidratazione, il che gli ha procurato molte ferite.-

La domanda fondamentale era come avesse fatto Tengoku a migliorare così significativamente tutte le caratteristiche fondamentali per l’allenamento.

 

- L’acqua !- esclamò mentalmente Leon, ricordandosi dell’abbeveratoio.

- Solitamente usava gli abbeveratoi per cavalli forniti di vera acqua potabile durante la notte, perché per il resto della giornata non aveva mai il tempo. Ma di giorno i liquidi persi superavano abbondantemente quelli acquisiti bevendo: deve aver passato parecchio tempo in apnea nell’abbeveratoio, forse da stamattina.-

Infine, non era difficile escludere come l’Istinto d’Emulazione e il Super Intuito Vongola avessero fatto il loro dovere per memorizzare i suoi tempi di reazione e i momenti in cui sfruttare le aperture.

 

- Non mi sta lasciando alcuna tregua: è diventata una caccia !- il Tutor umanizzato sorrise, sebbene iniziasse ad essere stremato, vedendo un’ombra furtiva irrompere dall’entrata principale del saloon.

 

Purtroppo, però…

“ Ma adesso basta, Ten …”

Alle parole di Leon, il ragazzo si arrestò improvvisamente.

La luce del sole illuminava la metà superiore del suo corpo, rivelando il suo volto bagnato.

Gli occhi erano vivi ed energici, seppur fosse visibilmente stanco anche lui e la sua espressione fosse concentrata.

Boccheggiò a lungo, sforzandosi di domandare qualsiasi cosa gli servisse per decifrare la frase del Tutor.

 

Ora appariva… triste, quasi sconvolto. Aveva iniziato a prendere molto sul serio quella prova, o forse era stato così sin dall’inizio.

 

“ Il motivo è uno solo: i tuoi proiettili sono finiti. Le regole comprendevano anche che chi avesse finito per primo i proiettili non avrebbe avuto ricariche, e quindi avrebbe perso.”

Disse calmo Leon, mantenendo uno sguardo duro, seppur quella durezza fosse forzata.

“ Me ne sono accorto poco fa: prima di entrare dalla finestra, ho sentito chiaramente che dopo aver premuto il grilletto la tua pistola non ha sparato.”

Sospirando con riluttanza, si andò a calare la fedora sugli occhi, gesto ripreso da Reborn nei momenti in cui voleva mostrare amarezza nei confronti di un comportamento. In questo caso, il suo.

“ Ma seriamente non penso che questo allenamento servirà a molto, quindi parlerò personalmente con Reborn per idearne un altro !” sorrise infine, spiazzando il ragazzo con delle parole tanto superficiali quanto forti.

 

Ten rimase sorpreso, mentre il Tutor lo guardava e rideva come si fa di una persona che casca in uno scherzo. Ma infine, Tengoku comprese che era sciocco arrabbiarsi per una causa del genere e si lasciò andare in una risata nervosa, ma liberatoria per tutta la tensione accumulata.

“ …pensavo intendessi fermarci per un qualsiasi altro motivo, eh eheh. Non basta una corda per fare l’impiccato …” Concluse infine, mormorando dopo aver finito di ridere.

“ Come ?” domandò Leon, che non aveva prestato attenzione a quelle parole.

 

Il ragazzo non disse altro, ma si limitò a passarsi la Smith & Wesson 357 Magnum nella mano sinistra e a puntarla alle sue spalle dopo aver sollevato il gomito.

“ Sei… il numero perfetto, Leon !”

Esclamò Tengoku, con un nuovo sorriso determinato, mentre i suoi occhi avevano ripreso a brillare.

 

Leon conosceva quella battuta nel film wester che tanto piaceva a Reborn. La stessa pellicola il Tutorn l’aveva fatta guardare a Ten, Azura, Drake, Akane e Veronica quando ancora erano a Namimori.

Lui, in questo caso il personaggio B, avrebbe dovuto domandare: ‘Ma non era tre il numero perfetto ?’

E così fece, perché curioso di comprendere quello strano comportamento.

 

Ma prima ancora che l’altro rispondesse, cercò di analizzare e forse prevedere la situazione.

Se Ten aveva sorvolato la conclusione della prova per la fine dei proiettili, voleva dire che non era ancora a secco. Sarebbe stato inutile bleffare.

Ma allora come aveva fatto a caricare la pistola ?!

Di tutti e sette i proiettili della Smith & Wesson 357, dovevano essergliene rimasti zero.

Uno sparato nel primo giorno, uno sparato nel terzo giorno e per fini gli ultimi tre sparati nel quinto, ossia in quella stessa giornata.

 

“ Sì, ma la mia pistola ha sei colpi.” Concluse la battuta Ten, e Leon sussultò perché non era ancora arrivato a scoprire il segreto delle munizioni riapparse.

Mentre cercava con lo sguardo il punto dove la pistola avrebbe sparato, gli venne in mente un altro dubbio:

-Perché a questo punto ha solo sei proiettili, e non tutti e sette ?-

 

Sei!

Quel numero, dopo esser stato pronunciato ad alta voce, sembrò volergli dire qualcosa di molto importante.

“ Mi piacciono quelli grandi e grossi come te, perché quando cadono fanno tanto rumore. E quando ti butterò giù io… ne farai di rumore.”

 

Il grilletto venne premuto, e finalmente il Tutor comprese quale fosse il bersaglio: uno dei tanti barili di polvere da sparo posto negli edifici abbandonati.

 

Una piccola seppur potente esplosione fece vibrare l’aria e tremare le pareti del locale.

Ten, venne sbalzato in avanti, ma a causa della distanza considerevole e dall’acqua che lo ricopriva, i danni furono benché minimi.

 

Mentre iniziava a sorvolare il pavimento, fece scorrere il braccio sinistro in avanti e contemporaneamente lasciò la pistola, riprendendola al volo con la sua mano destra, quella regina.

Puntandola in avanti, i suoi occhi fissarono a fondo quelli grandi e arancioni di Leon, in quel  momento spalancati, mentre i primi proiettili iniziavano a venir sparati.

 

“ Accidenti, questa settimana mi sono rimasti solo sei Proiettili …”

- Sono Proiettili del Coraggio di Morire !-

 

Il fedora venne perforato per primo, a pochi millimetri dalla sua testa.

Uno.

Due proiettili polverizzarono due ciuffi verdi dei capelli.

Tre.

Uno colpì la canna della sua pistola.

Quattro.

E due colpirono il pavimento di legno.

Sei.

 

Ai piedi del corpo paralizzato del camaleonte, Tengoku si schiantò violentemente a terra dopo aver rotolato per qualche metro.

“ Cos …?!”

 

Ore 17:40.

Il sole ormai appariva come un’enorme palla arancione in un cielo non più chiaro e luminoso, ma prossimo al buio della notte.

Tra pochi minuti il tempo a disposizione sarebbe scaduto e lo spazio virtuale stava iniziando a scomporsi.

Presto i due sarebbero tornati nella realtà.

 

Leon si voltò verso il ragazzo, ora in ginocchio e con la testa bassa. I capelli gli coprivano la fronte e le braccia erano accasciate al suolo.

Il camaleonte, non bravo come Reborn nel nascondere le sue emozioni, cercò di reprimere una smorfia di serio dolore e compassione per Tengoku.

Ma compatirlo non lo avrebbe aiutato, e tutto quello che poteva fare era lasciarlo con i suoi rimorsi.

 

Non riusciva a dire niente, ma si rassicurò pensando alla miriade di idee che sfornava regolarmente il Tutor Hitman e suo collega.

Così, offrendo al ragazzo un sorriso molto forzato, raccolse la Smith & Wesson 357 dalla canna gliela porse.

Tengoku sollevò lo sguardo, trovando negli occhi buffamente giganteschi e luminosi di Leon, il rispetto di un avversario dopo un duello leale.

 

Ma per il bruno stava andando tutto per il meglio.

“ Grazie !” esclamò a quel punto, sorridendo con una vivacità che mise in allerta il verde.

Ma quest’ultimo reagì troppo tardi, per la seconda ed ultima volta.

 

Il tempo…

Il dito della mano del ragazzo che aveva già premuto sul grilletto.

Il tempo non…

Il proiettile che gli trapassava il petto.

Il tempo non era ancora scaduto, e Ten era riuscito a sparargli.

 

Un segnale acustico molto forte e limpido risuonò nello spazio circostante, mentre l’ambientazione western si dissolveva in sempre più piccoli pixels.

“ Evviva !!” Tengoku iniziò a saltare, alzando le braccia al cielo e gridando per la gioia, nonostante la stanchezza e il sudore si facessero sentire sul suo corpo.

 

Mentre urlava a squarciagola, il corpo umano di Leon iniziò ad illuminarsi di Fiamme del Sole, per poi sgretolarsi lentamente.

 

Stava cercando nel mentre di pensare alla sua sconfitta, e di come fosse stato preso alla sprovvista.

D’altronde aveva fatto attenzione, come sempre, all’Intento Omicida che con gli anni in compagnia di Reborn aveva imparato a ricono-

-Che sciocco !- fu il suo ultimo pensiero, prima di ritornare ad essere Leon il camaleonte verde.

- Il principale vantaggio di Ten sugli assassini, è proprio di non possedere Intento Omicida …-

 

 

 

???- Biblioteca 20:00

 

“ Non riesco ancora a capire dove ci troviamo. ” Mormorò Yukiteru, un istante dopo aver percorso il lungo corridoio che separava lui e Reborn da una porta di ferro.

- Abbiamo semplicemente preso un ascensore in un ufficio nella città dove ci trovavamo …-

Diventava sempre più difficile comprendere il Tutor Hitman e tutte le situazioni irreali che rendeva possibili.

 

“ E’ un quartier generale di noi ex-Arcobaleno. E’ stato costruito circa vent’anni fa per allenare Dame-Tsuna e renderlo il Boss dei Vongola.” La risposta di Reborn sbalordì l’uomo dai capelli neri, mentre intanto la porta d’acciaio veniva aperta.

Si presentò una grande stanza circolare, con le pareti nascoste da altissime librerie che sfioravano i tre metri e mezzo. Tutte colme fino a riempire il più minuscolo spazio, da tomi di ogni dimensioni e rilegature.

Dei fari posti sull’alto soffitto garantivano una buona illuminazione complessiva.

 

“ Immagino che questa stanza fosse adibita allo studio.” Ipotizzò Yukiteru, accarezzando distrattamente uno scaffale polveroso, quasi provando ad immaginare un giovane Tsunayoshi intento a studiare tra quei libri.

La sua ammirazione verso Tsuna risaliva a diversi anni prima, quando ancora entrambi erano poco più che ragazzi.

 

“ Esatto. E’ stato Ten-baka a chiedermi dell’esistenza di una biblioteca in questo posto, così sono venuto un attimo a controllarla. Ha detto chiaramente che voleva fare delle ricerche…” senza farsi notare, Reborn estrasse un fazzoleto ed andò a tamponarsi una lacrimuccia di gioia.

Era al settimo cielo per aver, secondo la sua opinione, ispirato la mente del ragazzo ad una conoscenza sempre più grande. Si sentiva estremamente orgoglioso… di se stesso.

 

“ Intanto tu !” nuovamente il tono di voce del killer distolse la mente di Yukiteru dai ricordi e dai pensieri.

“ Per favore, prendi i libri che mi ha richiesto e poggiali su quella scrivania.” L’uomo dai capelli neri si voltò, andando ad osservare una lista di titoli, scritti con l’elegante calligrafia del Tutor Hitman.

 

Subito rimase incuriosito dai primi nomi che lesse:

- ‘Tecniche difensive degli animali’, ‘Suggestione della mente umana’, ‘Istinti e reazioni, il funzionamento dell’Amigdala’… Non saranno un po’ troppo pesanti per un ragazzino ?– Quasi immediatamente, Yukiteru si sentì in colpa per quel pensiero così diffidente e offensivo, sotto certi versi: per quanto fosse difficile ammetterlo, nessuno più era rimasto un ragazzino normale.

Corresse subito la sua impressione dopo quel ragionamento, trovando così molto interessante e  curiosa quella scelta, senza però più nessun dubbio in merito ai gusti di Tengoku.

 

“ Inoltre, Yuki …” Yukiteru appena accorto della serietà improvvisa di Reborn, assottigliò lo sguardo.

“ Fossi in te presterei più attenzione: Dame-Tsuna sta giocando sporco.”

 

Base degli Arcobaleno, un paio di ore prima.

 

“ Sei davvero sicura che non ti facciano male le gambe ?”

“ Andiamo, Azura… te l’ho già ripetuto.”

 

Due voci femminili risuonavano nella stanza fredda e dalle pareti metalliche. Nonostante lo spazio chiuso, una luce di discreta intensità rischiarava le due figure.

“ Per fortuna che Reborn ci ha spiegato come funzionava il passaggio segreto nella sua camera. Ah, ecco le armi che mi aveva promesso.”

Una ragazza alta, dai lunghi capelli corvini sistemati al meglio dopo un evidente lungo periodo di trascuratezza. Il fisico sinuoso, unito al suo viso dai lineamenti delicati e la pelle quasi perlacea, sembrava donarle un’età ancora più matura.

 

Distrattamente si scostò una ciocca dalla guancia, mostrando così una piccola cicatrice a forma di ‘x’, tra il labbro inferiore e il collo. Gli occhi color zaffiro erano fermi, forti e determinati.

Akane Mizuno terminò di ispezionare il contenuto di una scatola posta su di una mensola di ferro. Aveva posizionato nello spazio restante un mucchio di caricatori per pistole e mitragliatrici, con le rispettive armi.

Facevano anche sfoggio degli esemplari di pistole-coltello, nel cui utilizzo lei si era dimostrata un’esperta in diverse situazioni.

- Sono dei nuovi modelli …- osservò, ripensando con un brivido inaspettato a come i suoi precedenti armamenti fossero stati distrutti.

 

Per un secondo le parve di sentire la voce del suo vecchio mentore.

“ Korvo …”

 

Ma non ci fu tempo per la tristezza. All’improvviso, come se fosse stata illuminata da un raggio di sole nell’oscurità, l’abbraccio di una persona alle sue spalle la risvegliò dal tremore.

“ Akane…” Azura Schlmit, sprofondando la sua testa nei suoi capelli rossi bagnati delle sue stesse lacrime, si appoggiò ad Akane.

 Iniziò a singhiozzare molto forte, stringendo sempre di più, come se la paura di perdere l’amica vivesse ancora dentro di lei.

“ Akane… sono felice che tu sia… viva !” pronunciò infine la rossa scoppiando in un pianto liberatorio, mentre intanto l’amica si scioglieva dall’abbraccio, solo per girarsi e abbracciarla a sua volte.

 

Sebbene fosse stata lungo un’assassina addestrata a non avere sentimenti ed emozioni tranne il rispetto per i Vongola, rimaneva pur sempre una ragazza non ancora maggiorenne.

Era forte nella sua debolezza.

Pianse a sua volta, ringraziando tutto per aver avuto la capacità di riabbracciare ancora una volta i suoi amici.

 

 

“ E così tu saresti la nuova arrivata? Mi stanno sulle scatole i raccomandati.” Sbottò all’improvviso una voce maschile, facendo voltare la ragazzina che appena scesa dalla lunga limousine presso il palazzo-fortezza dei Varia.

“ Cosa vorresti dire ?!” si indignò lei, stringendo forte i pugni e puntando il suo sguardo di forte determinazione, su quello glaciale e metallico di un ragazzo dai lunghi capelli neri.

Quello che il giovane assassino vide nei due occhi blu, lo sorprese. Si rese conto che mai, nella sua carriera e vita da killer, era esistita la scintilla di forza di volontà che gli permettesse di rimanere attaccato alla realtà.

La realtà dei momenti comuni, del piacere di condividere.

 

“ Se una come te deve diventare un’assassina…” continuò, stavolta accennando un sorriso imbarazzato che abilmente seppe nascondere.

“… allora solo uno come me potrà sopportarti.”

A quell’affermazione, la ragazzina si indispettì ancora di più, tanto che le venne naturale l’idea di andarsene.

Però, dopo un’attenta riflessione… si rese conto di non avere casa a cui fare ritorno, tantomeno una reale famiglia. Aveva bisogno in quel momento di persone reali , perché neanche le parole sul Boss dei Vongola da ammirare e rispettare le davano conforto.

“ Io sono Akane.” Mormorò infine, mostrando una smorfia di riluttanza verso l’antipatia di quell’individuo.

“ Bene. Io sono Korvo.”

 

“ Pa pa pa pa pa pa …”

Da diversi minuti ormai, quello strano ragazzo dai capelli viola ricoperto di piercing, stava canticchiando a voce alta la canzone che ascoltava dalle sue cuffie. Nel mentre sfogliava una rivista, ma comunque nella stanza simile ad una specie di sala d’attesa, soltanto la sua voce rimbombava tra i muri.

Seduta al suo fianco, una ragazza dai lunghi capelli neri e lisci guardava per terra.

 

Il suo volto era di una tristezza indecifrabile, come se fosse stata una statua di pietra o un vecchio dipinto.

Immobile, con uno sguardo vuoto e le mani serrate sulle ginocchia.

Era vestita con una camicia bianca di almeno una taglia in più di quella che portava, ricoperta da un cardigan nero lungo. Indossava anche dei jeans, sulla quale ogni tanto sfregava le dita bianchissime, e delle scarpe da ginnastica.

 

Lei ERA Akira Shiogawara.

Una descrizione di quello che era stata non sarebbe servita a nulla.

Era rimasto solo un nome e un cognome.

 

Per il resto, lei non era sicura di star capendo qualcosa di ciò che accadeva e che era accaduto.

Non si sentiva certa di niente…

Non sentiva niente.

 

“ Eh? Hai detto qualcosa !?” esclamò a voce alta il ragazzo vestito con l’aderente tuta nera, voltandosi verso di lei e facendola sussultare dallo spavento.

L’Arcobaleno Viola Skull, togliendosi le cuffie dalle orecchie e guardando la ragazza, mise molto a disagio quest’ultima, facendole abbassare ancora di più la testa con un rossore ben evidente sul suo viso pallido.

“ Ah… Reborn mi aveva detto che eri una ragazza seria, ma non pensavo parlassi così poco.”

A quel punto, finalmente un vago pensiero iniziò a vagare nella mente di Akira: quel tipo era forse idiota, oppure aveva semplicemente poco tatto?

Fortunatamente, senza neanche accorgersene, quel pensiero le aveva permesso di distrarsi dal vuoto mentale di pochi attimi prima. Ringraziò mentalmente quello strambo motociclista.

 

“ Vabbè, alla fine non ci sono problemi.” Concluse Skull, sorridendo sinceramente come se non ci fosse nulla da preoccuparsi.

- Perché lui non può capire.- Era il pensiero fisso della corvina, mentre con un sentimento simile all’odio si rendeva conto di essere in una situazione per nulla nuova.

 

Le persone in grado di comprenderla esistevano, ma in quel momento le erano lontane.

- Sakura …-

Con un impegnativo sforzo nel trattenersi dall’esprimere troppo le sue sensazioni, ripensò all’amica lasciata a Namimori.

Chissà se stava bene? Perché erano state separate?

- Perdonami Sakura… io pensavo di star facendo la cosa giusta !-

 

Quando aveva riconosciuto il ragazzo dai capelli rossi che era intervenuto durante il pericoloso attacco di criminali evasi alla Namimori High School, qualcosa nel suo cuore le aveva suggerito una via di fuga…

Era rimasta grata a Tengoku Sawada, così come ai suoi tre amici che avevano lottato per un oggetto tanto inutile… un taccuino dove lei era solita scrivere quello che avrebbe voluto dire.

Perché una voce, la Presidentessa del Consiglio Studentesco, idolo di molte classi della Namimori… non la possedeva più.

 

Rumore di gomme che stridono sull’asfalto.

Fuoco.

Metallo tagliente e freddo che lascia tagli roventi.

Luce di fari e di sirene dell’ambulanza.

 

Ecco cosa le ricordava la parola voce.

Ma i pensieri più tremendi nei suoi incubi, erano quelli di due tombe al cimitero, diventate tre dopo che un letto da ospedale era stato svuotato.

 

“ Come puoi essere così inutile ?!”

Il bruciore delle ferite.

“ Sei un’ingrata, ecco cosa sei !”

Lo schiocco di una mano sulla pelle, rigata da lacrime.

“ Come puoi sprecare tempo a pensare, mentre io invece mi faccio in quattro per educarti e crescerti ?!”

 

Perdonami.

Erano momenti in cui, con una voce avrebbe voluto dire perdonami.

“ Sei uno spreco di ossigeno! Se sei ancora viva non devi permetterti di lamentarti !”

Non lo faccio più, zia.

Mi mancano mamma e papà.

 

Ma come imparò presto dopo quel giorno, le persone che la circondavano non erano disposte ad aiutarla.

Imparò a rialzarsi con le proprie mani, a sopprimere il dolore delle sue cicatrici e a non disobbedire.

 

Era forte, ma si sentiva debole nel suo resistere.

Ogni volta che indossava abiti che sua zia voleva che indossasse…

Ogni volta che sua zia le proibiva di uscire con le uniche amiche che la invitassero fuori…

Ogni volta che agli elogi che riceveva a scuola, si sostituivano insulti e critiche infondate quando ritornava a casa…

Tutte quelle volte lei si guardava allo specchio. E pensava di essere all’inferno.

 

Passarono due anni. Le uniche amiche che aveva avuto durante il periodo delle medie erano sparite, e la porta della Namimori High School si apriva per mostrale un futuro.

Non si sentiva pronta ad andare avanti, ma aveva paura a mostrarsi debole davanti ai suoi nuovi compagni: la scuola doveva rimanere il suo angolo di paradiso quando sfuggiva dall’inferno.

 

Rimase comunque sorpresa quando, un giorno, il preside della scuola volle che lei salisse in cimo al palco dell’auditorium della scuola, davanti a tutti gli studenti.

Quell’uomo aveva un grande cuore: raccontò con il permesso di una piccola ed imbarazzata Akira la storia di lei davanti a tutti. Una ragazza anglo-nipponica rimasta orfana e muta dopo un incidente stradale: una storia triste ma purtroppo non dissimile da quella di un altro studente.

Era infatti noto a tutti l’origine di Kevin Celeste, lo studente bocciato che in quel momento svolgeva il ruolo di Presidente del Comitato Disciplinare.

 

Nessuno fu quindi sorpreso quando il preside, lodando la forza d’animo quanto l’intelligenza e la diligenza di Akira, assegnò alla ragazza il titolo di Presidentessa del Consiglio Studentesco.

 

 

 

Passò un anno. Forse la sua storia, o magari il carisma dimostrato, la permise di essere nuovamente eletta per lo stesso incarico dagli studenti.

Esistevano comunque individui pronti a deriderla e a farsi beffe di lei, ma ormai gli rispondeva a tono, zittendoli con una forza d’anima da farli impallidire.

In quel periodo Akira veniva ammirata e adorata, e grazie anche al supporto di Sakura Pinku, la prima che si era messa a disposizione per integrarla nella scuola, la sua autostima si risollevò dall’oblio.

 

Esisteva ancora l’inferno tra le mura di casa sua, ma era convinta di poter finalmente ritornare a vivere.

Tutto questo fino a quando…

 

“ Akira-senpai !!”

Un urlo disperato che squarciò il silenzio tombale.

Era passato più di un mese da quel giorno, ma la ragazza lo ricordava ancora in immagini chiare e nitide.

 

Era successo durante l’intrusione alla Namimori School dei cento evasi dalla Russia: lei era riuscita a richiamare numerosi studenti e studentesse, per poi nascondersi nella palestra.

In quell’ora avrebbe dovuto supervisionare il corso di scherma, in quanto Capitana, per cui le prime a mettersi al sicuro furono proprio le sue kohai.

Mentre stava richiudendo la porta, dopo aver fatto entrare l’ultimo gruppo trovato, quell’urlo lanciato da una ragazza la fece rizzare sull’attenti.

 

Immediatamente si voltò verso l’ingresso, pietrificandosi nel trovare un uomo molto alto sogghignare gelido mentre li osservava.

Si era sempre creduta forte, e doveva sembrare tale davanti agli studenti… ma in quel momento la volontà gli stava scivolando via, come se fosse stata ghermita dalla paura.

 

Fortunatamente riuscì a recuperare una fermezza mentale in tempo, sfuggendo con un salto per evitare che le mani di quel criminale la afferrassero alla gola.

In quel momento, si rese conto di ciò che avrebbe potuto fare. Scappare non era contemplato, e fu la prima opzione a venir rimossa, ma anche far evacuare gli studenti dalla palestra sarebbe stato pericoloso.

 

Quindi, con un forte tremore che si era impadronito di lei, comprese che avrebbe dovuto difendersi.

Istintivamente, mentre era in cerca di studenti da far nascondere, aveva recuperato un fioretto vero dall’archivio della presidenza.

Era un’arma vera e propria, probabilmente un trofeo per un precedente torneo vinto dalla scuola, e per questo conservata e accessibile solo al preside.

 

In quel momento Akira scoprì una nuova sensazione: la paura di uccidere.

A lungo aveva provato la paura di morire, risalente al suo lungo ricovero in ospedale dopo l’incidente che le aveva  tolto la voce. Le cicatrici che nascondeva con bende sin dalla sua infanzia, erano complici di quel terrore.

Ma mai prima di quel momento aveva pensato alle conseguenze di uccidere qualcuno, o al senso morale nel farlo.

 

Sarebbe stata ricordata come un’eroina, oppure come un’assassina? Togliere la vita a qualcuno era la peggiore cosa che potesse venirle in mente.

Ma…

 

Nel momento del bisogno, seppe come agire, isolando ogni pensiero e ogni rumore.

Come se si fosse trasformata, non appena vide l’uomo avvicinare la mano al manico di un coltello nascosto malamente nella sua giacca, estrasse il fioretto.

 

Un secondo dopo, il criminale si era ritrovato con un’espressione sbigottita, senza capire ancora perché nel suo polso ci fosse un buco.

La ferita non era né profonda né lunga, ma comunque il dolore misto ad un vero terrore, gli raggiunse il cervello, paralizzandolo.

Akira ricordava ancora quell’espressione, quando lei fieramente quel giorno si frapponeva tra la porta e gli studenti. Non si sentiva forte, non si sentiva un’eroina, ma soprattutto non era un’assassina.

 

Qualche secondo dopo, era stato un ragazzo alto, dai capelli rossi e dagli occhi rossi e verdi ad atterrare quell’uomo. Lo fece sorridendo, e annunciò che tutto si era risolto al meglio.

 

- Quella volta io ho capito dove si trovava il mio posto nel mondo… una vita che avrei passato a combattere per non farmi strappare via la libertà.-

Ma ora, nel presente, qualcosa stava straziando il cuore della ragazza, perché era stata abbandonata sia dai suoi amici che dai suoi nemici.

Era sola nel silenzio.

 

“ So che Reborn ti ha mandato per una settimana in Scandinavia, per allenarti con quel killer suo amico… come si chiamava, Aaren Britt ?” Skull riprese a parlare, stavolta attirando ancora di più l’attenzione di Akira.

Ma la corvina, nonostante si fosse voltata in direzione dell’ex Arcobaleno, non sapeva proprio come rispondergli.

 

“ Grandissimo Skull !”

All’improvviso, un terzo individuo irruppe nella stanza.

Era un uomo molto più alto di Skull, dalla pelle quasi rossa con dei capelli a spazzola neri. Vestiva un completo grigio ripieno di borchie e placche di metallo, con due catenine che dalle orecchie si collegavano ai piercing ai lati della sua bocca.

Aveva dei piccoli occhi verdi, con un viso duro che inquietò subito la ragazza.

 

“ Cosa c’è Oodako ?” domandò stizzito il ragazzo dai capelli viola, rivolgendosi al suo Pet umanizzato.

“ Pare che la signorina Shirogawara sia impossibilitata a parlare a causa di un’operazione di molti anni fa.”

Oodako era davvero spaventoso e il suo look poteva chiaramente mettere in soggezione, ma il suo comportamento leale verso il suo padroncino tradiva questa sua apparenza.

 

“ Porca… !” imprecò Skull, arrossendo di colpo per l’imbarazzo, mentre a denti stretti ringraziava il polipo umanizzato e lo invitava ad andarsene.

“ Ehm…” cercò di riprendersi, ma nel farlo notò un curioso sorriso sul volto di Akira.

La ragazza non lo avrebbe mai ammesso, ma quella scenetta era stata davvero divertente per lei.

 

“ C-comunque, se vuoi so leggere il labiale! So fare un sacco di cose, infatti sono super intelligente.”

L’Arcobaleno si era finalmente guadagnato un po’ di simpatia da parte della studentessa.

Così Akira, molto lentamente perché ancora non si fidava della bravura enunciata dalla stesso ragazzo, sillabò: ‘ È morto dopo cinque giorni.’

 

Fortunatamente il killer comprese.

“ Cavolo, quindi Aaren è morto prima che potesse completare il tuo addestramento?! Mi… dispiace, insomma …”

 Skull sapeva bene che Aaren Britt era stato uno dei più grandi assassini all’infuori degli Arcobaleno, e sicuramente se Reborn gli aveva affidato il compito di addestrare una sua allieva, voleva dire che avrebbe potuto tirare fuori il meglio anche da una ragazzina di sedici anni.

Il killer scandinavo per anche famoso per il suo caratteraccio, e per non essere mai un tipo di molte parole.

Quindi, il principale interrogativo di Skull era su che cosa mai potesse averle insegnato in soli cinque giorni.

 

Poi, di colpo, un tepore gli riscaldò il viso.

L’ex Arcobaleno sussultò da seduto, chiedendosi cosa da dove potesse venire quel calore.

Viola, il colore della Fiamma della Nuvola.

 

Una scritta stava venendo tracciata nell’aria, composta da purissime Fiamme del Coraggio di Morire della Nuvola.

E straordinariamente, era Akira in persona a scrivere, usando come penna la punta del suo fioretto sfoderato.

 

- Magari quello che posso esprimere è poco, ma ci tengo a dimostrare la mia forza a Reborn. Solo così potrò rivedere dei volti familiari, e spero che la felicità mi restituisca la sicurezza di cui ho tanto bisogno.

Aaren è stato un buon maestro, e per questo ti chiedo gentilmente di riporre fiducia in me e di ciò che lui ha lasciato. -

 

Il volto della ragazza era rilassato, non le importava nemmeno delle lacrime che le sfuggivano dagli occhi. Era naturale nel suo sorriso gentile, e armoniosa nella calligrafia.

Skull comprese il perché della purezza di quelle fiamme: dopotutto erano anche chiamate Fiamme del Coraggio di Morire.

“ M-merda… Non sto piangendo, ho solo gli occhi umidi per il raffreddore !”

 

 

 

 

“ Quindi sei stata veramente tu …” Una nuvoletta di fumo salì fino al soffitto, per poi venir catturata dalle fessure di un climatizzatore.

“ Esattamente come ti avevo detto, Verde.” L’ex Arcobaleno della Nebbia, Viper, si voltò in corrispondenza dell’ex Arcobaleno del Fulmine.

“ I miei poteri non possono sbagliare.” Annuì serie e tagliente, con un tono di voce degno del suo nome.

 

“ Intanto, non era tua intenzione il risultato.” La interruppe l’uomo, con uno strano ghigno provocatorio in volto, che non si curò di far svanire neppure dopo una tremenda occhiataccia della donna ammantata.

 “ Nemmeno in quel caso è stato uno sbaglio !”

“ Certo, certo.”

 

L’uomo dai capelli verdi irti si appoggiò ad una parete, finendo di fumare la sua sigaretta nella penombra. Il bagliore del fuoco si rifletteva appena sui suoi occhiali tondi.

“ Quindi tu volevi davvero donare gran parte dei tuoi poteri a questa ragazzina? Mi stai proprio dicendo questo, Viper.”

La donna non si fece provocare oltre dal tono cantilenante del ricercatore, e con uno scatto gli si parò davanti. In quello stesso momento due lampi sinistri si poterono intravedere da sotto il cappuccio viola del mantello, mentre l’atmosfera iniziava a vibrare .

“ Uomo povero di intelletto, non sfidare ancora il mio potere !”

 

“ Già, alla fine sono solo un avido bastardo materialista.” A Verde quella minaccia non toccò minimamente, ma parve invece soffermarsi a riflettere. I suoi occhi erano puntati sullo schermo del potente computer di sua invenzione, ancora acceso e funzionante.

“ Ma è proprio perché io giudico dai risultati… che  riesco a crederti. ”

Stavolta il suo sguardo si posò sul capo chino di una ragazza, seduta a poca distanza da loro due.

- Poco fa questa ragazzina è riuscita ad accedere ad un sito segreto dei Vongola, cancellando completamente il login con poche crack come se si fosse trattato di un banalissimo forum. A questo punto non posso stupirmi proprio di niente …-

 

Intanto, Momoka, mentre cercava in tutti i modi di combattere il malessere di trovarsi in quella situazione tanto tesa, rimaneva ancora stupida dalle risposte che aveva ricevuto.

Risposte a quesiti che la tormentavano da almeno un mese prima.

 

Ormai quasi rimpiangeva quei giorni, seppur all’epoca li detestasse. Sono questi gli assurdi paradossi della vita, pensava.

In quel periodo viveva a Namimori con la madre, ma a causa dell’avvicinamento del periodo estivo, si sarebbe trasferita per pochi mesi a casa del padre, in America.

Erano momenti dove non sapeva se essere felice o triste: innanzitutto aveva paura di parlare dell’altro genitore in presenza di uno, nonostante suo padre e sua madre le ripetessero in continuazione che erano adulti e non c’era nessuna forma di rancore. Eppure le piaceva passare del tempo nella villa del padre, ma non per godersi il lusso, più che altro per rivedere dopo tempo il suo fratellastro Alex.

Momoka sapeva bene il perché del divorzio dei suoi, e anche che Alexander fosse in realtà figlio di una segretaria del padre, in quanto amministratore di una fabbrica di computer americana.

 

A lei però… bastava sapere che i suoi genitori le volessero bene, e anche solo il pensiero di poter passare del tempo con entrambi.

Non in maniera equa, certamente: a causa della cosiddetta “scappatella” del padre, sua madre aveva chiesto il divorzio e si era presa una discreta parte di denaro, senza la quale sarebbe stato difficoltoso iniziare una nuova vita con sua figlia a Namimori.

Ma prima che i suoi raggiungessero un accordo sulla spartizione dei periodi in cui tenerla, Momoka era vissuta a lungo senza vedere un padre, praticamente nei periodi cruciali della sua infanzia.

A causa di questo, un sociologo infantile, aveva annunciato ai suoi sette anni, che la bambina soffrisse di un’afefobia selettiva, riguardante il sesso maschile.

Disagio e repulsione del contatto fisico, ma solo se ricevuto o dato a uomini e ragazzi.

 

- Perfetto. - si era detta la allora piccola Momo. – Che senso ha allora vivere un giorno di più ?-

Ma non aveva mai tentato il suicido, perché fortunatamente consolata ed incoraggiata dalla madre per tutti quegli anni.

 

La sua vita si era finalmente stabilizzata: nella sua scuola, questo suo disagio non era stato neppure notato dai suoi compagni di superiore. Era stata fortunata nel trovare diverse amiche con la sua stessa passione nei computer, nei gatti e nel nuoto.

Fortunatamente per lei, era normale che le ragazze facessero gruppo e passassero pochissimo tempo in compagnia dei ragazzi durante le ore scolastiche.

 

Ma un giorno, qualcosa cambiò.

 

Sua madre, poco più di un mese prima, tornò a casa presentendole un amico. Sembrava giovane, forse un universitario.

Era un tipo che da subito si dimostrò gentile ed educato, nonché assolutamente rispettoso di sua madre, ma comunque Momoka trovò subito in lui qualcosa di misterioso e strano.

Non ne era incuriosita affatto, anzi, cercò sin da subito di evitare qualsiasi contatto con lui, iniziando anche ad uscire di casa inventandosi scuse ogni qualvolta il ragazzo veniva invitato in casa loro.

Lei non sapeva niente di lui, soltanto il suo nome: Takayama.

 

Forse non vedeva di buon occhio il fatto che sua madre avesse trovato un compagno che interrompesse la loro quotidianità, o forse era condizionata dal classico cliché dei ragazzi buoni ed educati che si fingono tali solo per ingannare le donne innamorate.

Dentro di sé Momoka sapeva che quelle fossero idee stupide, ma nonostante provasse a fidarsi di quel misterioso giovane, sentiva che in lui c’era qualcosa che non avrebbe voluto nella sua vita.

 

Una famiglia, arrivò a pensare un giorno. Egoisticamente, pensò che il suo essersi abituata alla condizione del divorzio, potesse aver generato una repulsione per il modello di famiglia che spesso trovava in casa delle sue amiche.

Si pentì molto di quel pensiero, perché significava andare contro alle scelte di sua madre, una donna adulta che con tutti gli sforzi e i sacrifici che compiva, si meritava solo il meglio del mondo.

 

Per questo decise di accettare la situazione, e di sforzarsi di non scappare ogni volta che Takayama veniva invitato da loro. Lui la salutava cordialmente, ma dopo qualche giorno notò il suo terribile disagio ed evitò di forzarla al dialogo.

Curiosamente, persino il piccolo gatto bianco di casa, Purin, sembrava evitarlo quando lo incrociava in giro per le stanze.

 

Ma una notte, improvvisamente, successe l’impensabile: Takayama venne ospitato per la notte.

Momoka sapeva per certo che tra lui e sua madre c’era qualcosa, ma nonostante tutto l’ospite avrebbe dormito in un’altra stanza.

Si sentì stranamente presa in giro da sua madre, come se si aspettasse che non avrebbe così capito i sentimenti che la legavano a quel ragazzo.

 

Successe quello che doveva succedere, semplicemente lasciò andare tutto come doveva andare.

Ma durante la notte, iniziò ad avvertire una strana, soffocante paura, che si riconduceva ai precedenti dubbi su quell’individuo misterioso.

‘E se quell’uomo di notte avesse voluto… violentarle ?!’

 

Mentre quel terrore continuava ad attanagliarle il corpo, la lancetta delle ore passò finalmente sulle 03.

Ed in quell’esatto momento, mentre gli unici suoni udibili di erano Purin accovacciata sul lenzuolo che faceva le fusa nel sonno, la porta della camera di Momoka si aprì.

 

Lei si sentì improvvisamente mancare, ed il sangue pompato a ritmo accelerato dal cuore, andò a conglomerarsi nel cervello per quegli interminabili secondi di nulla.

Poi dei passi molto lenti.

 

Le venne quasi istintivo urlare, ma la gola si era fatta secca, al sol pensiero che quell’uomo avesse già ucciso sua madre.

“ Strano. Sei sveglia.” La voce dal tono basso di Takayama interruppe il silenzio, mentre il volto del giovane veniva illuminato dallo schermo in accensione del computer di Momoka.

Aveva appena puntualizzato l’ovvio con pacatezza e in quel momento era completamente dall’altra parte della stanza rispetto al letto, ma nonostante questo la ragazza non riusciva a calmarsi.

 

“ A quanto pare anche tu sei speciale, come me. Sono pochi i figli di persone normali con queste capacità, ma visto che sei ancora sveglia nonostante la mia Coperta di Nebbia …”

In quel momento Momoka trovò terribilmente strano che la sua gattina non si fosse svegliata per via della luce o della voce.

Ma poco dopo che iniziasse a tremare, spaventata e confusa per quello che le stava venendo detto, nuovamente il ragazzo le parlò.

“ Tranquilla, ti posso assicurare che non ho cattive intenzioni, e soprattutto non intendo mettere nei guai voi due.”

Con un’espressione seria, ma non per questa dura e fredda, il giovane si voltò verso una piccola fotografia appesa al muro. Ritraeva un uomo e una donna giovani, mentre tenevano per mano una bambina dai corti capelli castani a caschetto che rideva.

“ Io non l’ho mai avuta una famiglia.” Sembrò voler dire, ma le parole si ridussero automaticamente ad un sussurro spirato con voce rotta.

 

“ Cosa stai facendo ?” Invece a Momoka le parole in quel momento le erano appena tornate, e non arresa alla paura si mise a sedere sul letto, cercando di tenere d’occhio ogni singolo muscolo in movimento dell’altro.

Ad inquietarla, era stato anche un altro fattore: da quando aveva iniziato a parlare, Takayama stava digitando incessantemente sul suo computer, aprendo e chiudendo pagine dove scriveva o copiava codici.

“ Sei un hacker… ” Subito la ragazza si sentì stupida e completamente fuori luogo per quella domanda, come quelle persone che affermano ‘ti sei tagliato i capelli’, credendosi gentili mentre in realtà ripetono ad alta voce l’ovvio.

 

“ Sì, ma quando avrò finito nessuno potrà rintracciare questo computer. So bene che sei stata sospettosa fino all’ultimo, e ancora adesso mi stupisco nel pensare che esista qualcuno come te che non abbassi la guardia dopo tanti giorni in mia presenza.”

“ Quindi mi stai dicendo… che la tua intenzione era far abbassare a tutti la guardia per il tuo scopo ?”

Con quel tutti, Momoka si riferiva solamente a sua madre. Non sopportava l’idea che quella donna, per lei la più gentile e dolce del mondo, fosse stata truffata.

Era come se la paura di pochi attimi prima fosse svanita, lasciando posto ad una grande forza d’animo rimasta sopita per tempo.

 

“ Affatto. Io sono grato a tua madre, ma nonostante la mia fosse solo una copertura, il nostro è stato un semplice rapporto fra insegnante e studente universitario. Non sono mai stato convinto al cento per cento di questa scelta, per questo ho esitato per molti giorni prima di venire qui.” La faccia di Takayama era immobile ed inespressiva, concentrata completamente sul suo lavoro mentre scaricava e componeva chiavi d’accesso per protezioni.

 

“ Ma ora vorrei che tu dormissi, per piacere.”

Quelle furono le ultime parole che Momoka sentì dire da quell’uomo. Dopo qualche secondo venne avvolta nel buio, ed il giorno dopo si svegliò solo in compagnia di Purin nel suo letto.

 

Passò non molto tempo, e la notizia che la scuola superiore Namimori High School aveva subito un tremendo assalto da parte di criminali sbarcati da oltreoceano, si era sparsa rapidamente in tutta la città e province.

Fortunatamente la ragazza andava ad una scuola privata poco fuori città, e nessuno che conoscesse era stato coinvolto nella tragedia.

Sapeva soltanto che c’erano stati diversi molti, soprattutto tra gli insegnanti e il preside della scuola, e che tra i criminali era stato fatto il nome di Tengoku Marco Sawada.

 

Quasi nessuno in città sapeva dell’esistenza di questo ragazzo, ma dopo diverse ricerche da parte della polizia ricondussero il nome ad una studentessa italiana maggiorenne, Veronica Cavallone.

Due ragazzi della stessa scuola invece erano scomparsi, ma alcuni avevano affermato di averli visti tra i criminali nel momento dell’assalto.

 

Oltre loro due, tutti coloro che erano stati associati al nome di Tengoku Sawada, erano stati dati per dispersi, e ricercati dalla polizia.

La prigione russa dalla quale erano evasi in massa i criminali era stata ritrovata colma di cadaveri appartenenti a poliziotti e guardie, segno di un evasione di massa, per il momento non riconducibile a nessuno.

L’unico sopravvissuto era Mark Ariyame, l’addetto alle telecamere giapponese che continuava soltanto a ripetere disperatamente il nome del figlio scomparso, in apparente stato vegetativo.

 

In breve tempo, quella vicenda e soprattutto il mistero di Tengoku Marco Sawada, divennero un motivo di paura per i cittadini Namimori, e un caso di interesse in tutto il Giappone.

 

Ma, il primo giorno del periodo estivo, Momoka trovò una strana sorpresa, ritornando a casa…

Appena mise piede nella sua camera, si rese conto che qualcosa non andava: lei era sempre stata una ragazza molto attenta alle cose di sua proprietà. Più di quanto non lo fosse con gli affetti personali di altri.

Ed il computer era acceso quel giorno, l’unica luce fredda nella camera buia.

 

Insospettita, fece caso che Takayama non si era più presentato a casa loro da quella notte, e finalmente accettò di non aver sognato tutto l’accaduto.

Si sedette sulla sua sedia, notando che era rimasta fredda come dalla sera precedente. Nessuno si era seduto, nonostante il computer fosse acceso.

Infine, prestò attenzione a ciò che presentava lo schermo.

 

Inizialmente le parve una banalissima home page di un blog, come quelle che offrivano i social network dei primissimi anni duemila. Era abbellita con un gusto femminile, nonostante qualche sfondo di pioggia o nuvole grigie. Grazie ad un Widget radio, era possibile sentire una melodia rock come sottofondo.

- Sarà il blog di una dark ?- pensò senza alcuna ironia, chiedendosi però come mai il suo computer fosse acceso su quella pagina.

 

Successivamente, osservò con una punta di stupore come la Dashboard fosse piena di messaggi di altri utenti, tutti abbastanza simili tra loro ‘ m o f ??’ ‘d dv dgt ?’ oppure ‘X Ke Nn Cariki + Ft ???’.

Lo stupore, era ovviamente dettato dall’incredulità che persone parlanti nel cosiddetto ‘SMSiano’, esistessero ancora e non si fossero tutti estinti in sofferenze atroci.

 

Senza ancora ispezionare per bene la pagina, erano possibili vedere discussioni, probabilmente dove partecipava anche il gestore del blog, dove si parlava di film o personaggi famosi.

‘ hai guardt quel lultimo film con il protagonista keè un lupo mannaro ke di giorno è normale ma di notte gli cresce la coda e brilla *^*!??’

La risposta: ‘ Ti stai riferendo a Blacklight, giusto? Non l’ho gradito molto ^^’. ’

 

Fortunatamente, Momoka si interruppe immediatamente prima di andare a vedere il link della proprietaria del blog.

Si accorse subito che il puntatore del mouse si era trasformato nella tipica manina non appena lo aveva mosso.

- C’è una finestra invisibile che conduce ad un pop-up.- Fu la prima idea.

Era una tattica che spesso aveva visto, soprattutto in siti che offrivano uno streaming gratuito, ma che necessitavano di un host molto costoso.

Non appena avesse cliccato su un punto qualsiasi della pagina, sarebbe stata aperta una pubblicità di qualsiasi tipo.

L’unico problema in pop-up invisibili del genere, era che Momoka sapeva fossero utilizzati molto spesso per nascondere download di malware o spyware.

Era un sistema molto losco, ma la scarsa fiducia che ormai la ragazza riponeva in tutto quello che le accadeva da quando era arrivato Takayama, le permise di agire di conseguenza.

 

Utilizzò il tasto destro del mouse per attivare un tipo di antivirus installato nel sistema. Era molto funzionale, infatti lo aveva scoperto anni prima nei computer di suo padre quando assisteva ai processi di debug del sistema.

Infine usò l’impostazione di Ispeziona Elemento attraverso una combinazione di tasti. Provò numerose volte ad eliminare la finestra invisibile, ma probabilmente conteneva un link che non veniva riconosciuto dall’antivirus.

- E’ un sistema parecchio complicato. Chi mai metterebbe una Booby Trap(*) del genere ad un semplice blog ?- Mentre pensava ciò, Momoka si asciugò un rivolo di sudore dalla fronte e decise di legarsi i capelli in una piccola coda.

Era preparata a sistemi del genere, e nonostante l’ardua trappola, sarebbe riuscita a renderla inefficace grazie alle sue conoscenze.

 

 

Fortunatamente era stata in grado di rendere visibile il contorno della finestra invisibile, così poté ridimensionarla e renderla più piccola. Purtroppo il codice del link rimase della stessa dimensione, ma utilizzando un programma di Crack che era solita adoperare tramite un’altra combinazione di tasti, riuscì a modificare la stringa del codice e renderla innocua.

 

Automaticamente e senza accorgersene, le venne da sorridere in quella situazione, pensando a quanto fosse strano che tutte le tecniche insegnate da suo padre che usava solo per scaricare musica, anime o per innocenti scherzi, le stessero servendo per un fine che nemmeno lei conosceva.

 

Dopo aver patchato definitivamente quella trappola informatica, tirò un sospiro di sollievo, distendendosi sullo schienale dopo almeno una mezz’ora di tensione.

Chiuse tutti i programmi utilizzati e assottigliò il suo sguardo color nocciola, preparandosi a scoprire il segreto di quella sciocca home page protetta in maniera tanto ermetica.

 

Ma quello che vide, non appena mosse di poco il mouse, le fece a stento cadere dalla sedia per lo spavento.

Immediatamente lo schermo si era ridotto ad un ammasso di pixel informi, che mutavano di colore ad alta velocità, mentre dalle cuffie si sentivano solo suoni distorti e una versione corrotta della musica di poco prima.

“ Ma che cosa… diavolo sta succedendo ?!” sussurrò a voce rotta Momoka, spaventata da quello che aveva di fronte e incapace di capire dove avesse sbagliato.

“ Maledetto White Noise(**) !!” si lasciò sfuggire, stavolta ad un tono di voce più alta. Provò a staccare il jack delle cuffie, ma il rumore persisteva, fuoriuscendo dalle casse, spente o scollegate che fossero.

 

Dopo innumerevoli ed inutili tentativi di spegnere il modem, riavviare il sistema o scollegare l’alimentatore del computer, si lasciò cadere sulla sedia.

In volto era una maschera di sudore, con gli occhi spalancati e le mani tremanti.

 

Il suo computer stava venendo distrutto da un virus, per via forse di un suo errore, che aveva manomesso o hackerato un sistema di sicurezza.

Una sua compagna di classe, conosciuta per essere molto maliziosa, le aveva detto che una volta si era beccata un virus molto pesante mentre visitava un sito pornografico ad insaputa dei suoi genitori.

Ma lei… con quale coraggio Momoka avrebbe rivelato tutto quello ai suoi?

Avrebbero sicuramente pensato che anche lei si fosse spinta in siti che non doveva visitare.

 

“ Ma in che cazzo di angolo del deep web(***) l’hanno trovata questa pagina ?” sussurrò dopo molti minuti di silenzio, con voce tremante e rotta da piccoli singhiozzi.

- Forse Takayama mi ha hackerato il computer ?- arrivò a pensare.

 

Ma mentre stava per lasciarsi andare alla disperazione, le venne una sciocca ed insensata idea:

- Se riesco a salvare i documenti rimasti sul mio telefono, come se fosse un hard disk esterno…-

Il piano le sembrò subito inutile, perché era possibile che non si fosse salvato proprio nessun documento, magari perché il virus aveva già intaccato la memoria del computer.

 

Decise di provarci lo stesso, sebbene la sua espressione fosse molto preoccupata.

Tramite un’applicazione scaricata da suo padre circa un anno prima, riuscì a collegarsi a tutti gli hard disk del computer.

Ma improvvisamente, partì un download, sebbene lei non avesse premuto ancora nulla.

 

Non ebbe nemmeno il tempo di preoccuparsi o stupirsi, perché contemporaneamente lo schermo del computer tornò normale, e apparve una piccola icona sul suo telefono: ‘Scaricato: Viper Mobile’.

 

La home page era tornata normale, ed ogni applicazione era rimasta così come cinque minuti prima.

 

“ Come …”

Momoka si voltò di scatto, con i nervi già a fior di pelle per i numerosi spaventi in quella mattinata.

 

“ Takayama… ?”

Il ragazzo dai capelli viola scuro e gli occhiali, la guardava sbigottito, apparso improvvisamente in camera sua.

“ Come facevi a sapere ?”

Domandò, mentre lentamente il suo corpo si trasformava in una sottile nebbia color indaco.

 

Quando la foschia si diradò, davanti allo sguardo ancor più incredulo della ragazza, al suo posto c’era una donna alta e avvolta da un lungo mantello indaco con un largo cappuccio.

Si poteva riconoscere il suo sesso, per via del volto delicato e il profilo sottile che sporgeva da sotto il cappuccio, e dai lunghi capelli viola.

Due triangoli allungati viola dipinti sulle guance erano gli ultimi dettagli visibili, dato che occhi e fronte erano nascosti dal buio.

 

L’ex Arcobaleno della Nebbia Viper, ripreso il suo vero aspetto, cercò di porre fine alla sua stessa espressione stupida, ricomponendosi dopo poco.

“ A quanto pare devi essere tu quella giusta che erediterà il mio potere.”

 

 

“ Bene. Ascoltami bene adesso, ragazzo…”

“…”

“ Rispondimi quando ti chiamo !!”

“ Scusami…”

“ Buono a nulla. Dicevo, se è vero che la vostra prossima tappa sarà Namimori, allora farò preparare da domani dei miei uomini che possano informare la polizia, l’esercito ed ogni forma di militare disposto a farsi pagare pur di riportare voi due a casa! E’ chiaro ?”

“ Sì… padre.”

“ E non ti azzardare a mancare. Già solo il fatto che voi due andiate in giro per l’Italia a combattere una battaglia con cui non centrare nulla, mi fa imbestialire. Cercherò, quando tornerete a casa, di farvi dimenticare da ogni persona vi abbia conosciuto: non sopporterei se mio figlio in futuro rovinasse il lavoro della sua famiglia per delle voci portate da fuori. Vale lo stesso per quell’altra deficiente !”

“ Va bene.”

“ Non voglio sentire più niente! Voi tornerete in Germania costi quel che costi, e da allora dovrete dimenticarvi gli idioti che vi hanno seguito in questa gita da quattro soldi da mafiosi. Da ora in poi da te voglio sentire solo scuse, Drake.”

“ Scusaci, padre…”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Booby Trap*= Così come i malware e gli spyware, è un tipo di virus informatico.

White Noise**= Un termine utilizzato per indicare una sequenza di suoni distorti, spesso ad alto volume. Sintomo anche della corruzione di una traccia audio.

 

Deep Web***=  Insieme di documenti che non sono possibili da visitare tramite normali motori di ricerca. Momoka la usa come battuta, perché molto spesso il Dep Web contiene pagine di contenuti banditi perché dannosi, come siti di malware e commercio e pornografia illegale.

 

ANGOLO AUTORE:

 

Welcome back!

Yep, episodio… come dire…

Ah, non trovo le parole per descriverlo! E’ sicuramente diverso dai precedenti, e per questo sono molto demoralizzato dall’idea che vi abbia potuto annoiare.

In fin dei conti, non c’è stato molto progresso nella trama, eppure avete aspettato tanto per potervelo godere. Spero solo che almeno questa ‘cacchiata’ sia decente (odio essere insicuro sul mio stesso lavoro, di solito vi assicuro che ho molta più autostima).

Abbiamo visto, dopo molto e molto tempo, un’introspezione su personaggi mai sfiorati prima.

E’ un peccato se molti di voi si sono dimenticati di Akira Shirogawara, perché vuol dire anche che le ho prestato poca attenzione. Mi scuso anche con Maki Chrome, la sua creatrice (che ricordo, non recensisce da un po’, esattamente come Lunaix).

 

Adesso però, gli allenamenti stanno volgendo al termine e manca esattamente una settimana agli scontri contro i Bravi.  Spero di rendere i prossimi capitoli sempre più decenti, perché sarà difficile scrivere i giorni delle battaglie per come me le sono immaginate.

Ci vediamo il mese prossimo, boyz and girlz ( Boys and Girls era anche una Opening di Katekyo Hitman Reborn, lol)!!

Alla prossima!

 

P.S: Secondo anno su EFP ^^!! Aspettatevi un secondo aggiornamento, in serata. Per chi è interessato, può tranquillamente tenere d’occhio il mio account, oppure inserirmi tra gli autori preferiti per poter visualizzare ogni mio aggiornamento (non include offerte del tipo: ‘una giornata con Master’, oppure ‘mi saluti nell’angolo autore??’ )

P.P.S: Ringrazio nekomata04 per avermi fatto, recentemente, un catalogo intero di nuovi disegni dei personaggi di questa fan fiction. In quel momento mi son commosso tantissimo, chiedete per crederci :’)


P.P.P.S: “Ma Master, guarda che non hai finito di revisionare tutti i capitoli della prima saga. ”

M*rda, mi hanno scoperto!!

   
 
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