Quattordicesimo capitolo – Black
Wilson aveva
appena comunicato una notizia infausta al signor Drachen e il suo umore non era
certamente gioioso.
Distrattamente
guardò nello studio dell’amico, gli era venuta la strana voglia di fargli la
morale per una questione qualsiasi, del resto era facile trovare House in
fallo, ma, invece di vedere il diagnosta che giocava con la sua palla
sovradimensionata, vide Cuddy. Era in piedi, ferma immobile, come se un
maleficio l’avesse resa di pietra. Guardava avanti senza vedere e il respiro
era tanto lieve che quasi non si notava l’escursione toracica.
L’oncologo non ci
pensò un istante ed entrò in quell’ufficio stranamente più gelido del solito.
“Lisa, che ti
succede?” – Scegliendo istintivamente di usare il suo primo nome.
Lei non ebbe
nessuna reazione.
Wilson allora
toccò gentilmente la spalla della donna e quella si sciolse in lacrime
silenziose.
Guidato dal suo
grande cuore, l’oncologo la abbracciò stringendola piano al petto mentre con
una mano dava dei delicati colpetti alla schiena. Lo sguardo di Wilson era
smarrito eppure quello che stava facendo sembrava esattamente ciò di cui aveva
bisogno la donna: un posto caldo e confortevole che non giudicasse il proprio
momento di debolezza.
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L’acqua calda
scorreva gentile sul suo corpo portando con sé almeno una parte di quella
malefica tensione che non le permetteva di affrontare con serenità il lavoro.
Appoggiò il capo al muro piastrellato e lasciò i pensieri vorticare liberi
nella propria mente.
Stare con lui le
aveva dato quel genere di stabilità e tranquillità che aveva sempre invidiato a
tante altre coppie, eppure … Dio come si era sentita viva baciando House.
Strinse i pugni
fino a conficcare le unghie nei palmi, doveva dimenticare, ma come?
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“Cominci con un
ritmo lento e tranquillo.” – Disse la giovane dottoressa Hadley. – “Tra circa
un minuto comincerà a percepire una certa resistenza come se fosse in salita.”
Il signor Patrick
Highland, coperto di ogni sorta di cavi, pedalava adagio su una cyclette
tecnologica. – “Dov’è la dottoressa Cameron?” – Chiese l’uomo impacciato.
Uno sguardo
imbarazzato corse tra Kutner e Taub che fu notato da Irene, normalmente non
sarebbe stata ammessa in quel laboratorio di fisiopatologia, ma i suoi grandi
occhi verdi sembravano essere il miglior passepartout
del mondo.
Hadley fece
scorrere le dita tra i capelli e con un sorriso ammaliante entrò nel campo
visivo del loro paziente che ancora attendeva una risposta. – “La dottoressa
era impegnata, ci raggiungerà per la lettura dei risultati.” – “Premette un
tasto vicino a un monitor e il bracciale dello sfigmomanometro iniziò a
gonfiarsi. – “Si rilassi signor Highland e cerchi di non parlare, a breve
percepirà un aumento della resistenza.
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In qualche modo
era riuscito a pilotare Lisa fino al proprio studio, ma ancora non sapeva che
cos’era successo, o meglio, sapeva che c’entrava House e che probabilmente
aveva a che fare con quella cosa dei sentimenti che il diagnosta aveva
accantonato tempo prima, ma non riusciva proprio a immaginare che cosa avesse
potuto scatenare nel decano di medicina tanto dolore da renderla quasi apatica.
“Se non mi dici
che succede come ti posso aiutare?” – Chiese Wilson in un disperato tentativo
di estorcerle la verità.
La donna aumentò
la presa sulla camicia dell’uomo, quasi che ne dipendesse la propria vita, ma
non proferì verbo.
I sussulti si
erano placati, ma il bisogno impellente di essere stretta in un caldo e
comprensivo abbraccio erano ancora presenti.
“Se devo fargli la
ramanzina ho bisogno di un appiglio da cui iniziare.” – Propose ancora
l’oncologo.
Un sorriso blando
comparve sul volto di Cuddy. – “Ha solo detto la verità, niente di più.” – Con
un incerto filo di voce.
“Lui ci gioca con
la verità e riesce sempre a fargli dire quello che vuole senza mai tenere conto
di quanto dolore provoca nelle persone.” – Sussurrò perplesso mentre continuava
delle carezze ritmate sulla schiena della donna.
Cuddy lo guardò
finalmente negli occhi e si accorse che lui provava pena per lei. Si staccò
dall’abbraccio dell’uomo e si rannicchiò nell’angolo più lontano, non voleva
che qualcuno avesse pena di lei.
Wilson rimase
quasi shoccato da quel comportamento, ma saggiamente non disse nulla, si limitò
ad attendere che lei dicesse qualcosa.
Lei abbassò lo
sguardo e si mise a giocare distrattamente con le proprie unghie, era cosciente
dell’attesa di lui, ma per Lisa era troppo difficile ammettere quella cosa che
negava anche nel silenzio della propria coscienza.
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House entrò nello
spazioso laboratorio, ma non fece nulla per farsi notare, solo un cenno del
capo verso Kutner che stava per rompere il monotono ronzio della cyclette.
“Come andiamo
signor Highland?” – Chiese Taub mentre segnava su un modulo l’ultima pressione
rilevata.
Con un cenno del
capo l’uomo fece capire di potercela fare ancora.
“Deve cercare di
avvisarci circa un minuto prima del suo esaurimento fisico.” – Disse Taub ponendo
l’accento ancora una volta quella particolare condizione. – “Sta andando molto
bene.”
Nonostante il
boccaglio che serrava tra i denti, Patrick riuscì a inviare un sorriso
rassicurante verso Irene che sembrava sempre più tesa.
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Cameron si tamponò
il corpo con un grande telo da bagno bianco e poi si sedette sulla panca di
legno appoggiando il capo al muro. Si sentiva stremata nonostante avesse sempre
ritenuto la doccia rigenerante, ma per giornate simili un lungo bagno sarebbe
stato il vero tocca sana.
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Lisa si abbracciò
le ginocchia e vi appoggiò sopra la fronte. – “Mi sono illusa.” – Sussurrò
talmente tanto piano che Wilson pensò di esserselo immaginato. – “In queste
settimane mi sono cullata nell’idea che House poteva essere quello giusto per
me.” – Aggiunse piano mentre cercava di ignorare un pungente imbarazzo che le
premeva nello stomaco.
Wilson fece per
parlare, per dirle quanto giusta fosse quell’impressione, che non c’era nulla
di male nel pensare che House potesse essere quello giusto per lei, ma un
tragico sospiro lo fece desistere.
“Lo avevo
immaginato come padre dei miei figli.” – Esorcizzando finalmente quel sogno
proibito. – “Nonostante tutto io penso che sarebbe bravo sul serio con i
bambini.” – Cercando di giustificare quella fantasia che per settimane aveva
tenuto segreta. – “Quando … quando lei … quella ragazza … si è ripresa la mia
Joy, il mio cuore si è rotto, ma quel bacio improvviso ha alimentato una
speranza impossibile.” – Un lungo sospiro la interruppe. – “Ho cercato di
razionalizzare la cosa, ci ho provato sul serio, ma tutti quei discorsi sul
provare a cercare di avere una relazione con lui, mi hanno fatto perdere la
lucidità necessaria per sapere che era semplicemente impossibile.” – Le spalle
si alzarono e abbassarono con lentezza e profondità. Lisa voltò il capo verso
Wilson e un amaro sorriso le tirò gli angoli delle labbra. – “Patetico vero?”
L’oncologo era
rimasto in silenzio, quasi impietrito. Dentro di sé sentiva la colpa per
quell’incitamento con cui aveva spronato Cuddy ad avere una relazione con
House, dall’altra il suo cuore martellava furioso perché House aveva rifiutato
ancora una volta una persona tanto bella e tanto sincera. – “Mi spiace.” –
Bisbigliò colpevole.
Lei allungò una
mano per stringere quella di Wilson. – “Non hai fatto niente di male, hai solo
pensato alla felicità di due persone a te care.”
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Una pedalata, un’altra
ancora e poi un’altra. Ormai il rombo del proprio sangue nelle orecchie gli
impediva di sentire che cosa stava dicendo quella dottoressa magra dai capelli
castani di cui non ricordava il nome. Una pedalata, un’altra ancora e poi
un’altra. La testa gli girava e non riusciva più a mettere a fuoco quello che
lo circondava. Che cosa gli aveva detto il piccoletto con quel grande naso? Non
riusciva a ricordarlo. In testa gli era rimasto solo un ordine e quello gli
diceva di pedalare senza fermarsi. Il sangue pompava veloce e poi il nero lo
avvolse.
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