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Autore: Selene Black    08/07/2016    2 recensioni
Melissa ha viaggiato parecchio.
Non ha finito l'università, è partita, è fuggita. Sì è spostata di città in città, di stato in stato, fermandosi per qualche mese. Ha riempito il suo blog di racconti su tutto ciò che osservava e che le capitava. Ha attraversato l'oceano ed è arrivata a New York.
A 26 anni ha deciso di fermarsi, fin quando sarebbe riuscita, a Boston. È qui che conosce una persona che le fa mettere in dubbio tutto ciò secondo cui ha vissuto fino a quel momento.
Qualcuno che sente di dover evitare, qualcuno da cui sa dover fuggire ma per cui, forse, vale la pena correre il rischio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fu una settimana strana, principalmente perché vivere con un’altra persona non rientrava nella normalità di Mel. Era certa che il fatto che questa persona fosse Sebastian Stan le facilitasse il compito, chiunque altro avrebbe faticato all’impatto con i ritmi e la routine di un nuovo coinquilino.
Non lui. Niente aveva turbato l’attore di origini rumene: non la colazione mattiniera prima della corsa, non il il disordine che travolgeva ogni cosa quando era in ritardo al lavoro, non i momenti infiniti che passava davanti alle vetrate dell’appartamento, con le cuffie nelle orecchie e la musica ad isolarla dal mondo.
La stessa cosa non si poteva dire di lei. Non provava fastidio, semplicemente non riusciva ad evitare di stupirsi o di presentare un encefalogramma piatto di fronte ai comportamenti di Sebastian.
Così era stato quando si era resa conto che la sua tenuta da casa e relax consisteva in un paio di boxer. Solo in un paio di boxer. Più di una volta le era capitato di doversi ricordare mentalmente di chiudere la bocca e distogliere lo sguardo dai muscoli scolpiti.
E aveva sobbalzato almeno le prime dieci volte che dal nulla, nel silenzio più totale, Seb aveva cominciato a cantare qualcosa. Partiva canticchiando, in falsetto o con la bocca chiusa. Oppure iniziava già a piena voce, mettendo enfasi nel pezzo. Dopo un primo imbarazzo, scoprì che era piacevole ascoltarlo.
Passarono parecchio tempo assieme e, quando lei non era al lavoro, riuscirono anche a vedere alcune possibili nuove sistemazioni per Mel, scartate una dopo l’altra.
Non ci fu bisogno di chiedere cosa avesse inteso Seb con la frase che aveva lasciato lei e Chris di stucco, perché col passare delle ore di convivenza, le fu tutto più chiaro.
Erano attenti l’uno all’altra. Lui era affettuoso nei suoi confronti e lei ricambiava appieno, avevano perfino guardato un paio di film abbracciati, quando l’imbarazzo e l’iniziale rigidità di Mel si erano fatti da parte. C’era stato anche qualche altro bacio a fior di labbra, ma entrambi si erano resi conto che, come affermato esplicitamente, tra loro non c’era quel tipo di rapporto.
Non fu solamente Sebastian ad accogliere il cambiamento con disinvoltura: era così limpido e autentico che quando Mel se ne accorse lo accettò immediatamente e spontaneamente. Non poteva negare di essersi affezionata al moro e le sembrava terribilmente sbagliato allontanarsi da lui, ma provò sollievo nel sentire che non era un legame da considerare pericoloso.
Pericoloso come quell’attrazione che provava nei confronti di Chris.
 
Seb prese il volo per Philadelphia un giorno prima che lo raggiungessero gli amici. Era a dir poco eccitato all’idea che la ragazza li raggiungesse e che potesse anche lavorare, senza perdere preziosi giorni di paga. Aveva sognato ad occhi aperti e pianificato cose “divertenti e imperdibili” da fare in quel lungo weekend, ed era partito dopo aver stritolato Mel in un abbraccio soffocante ed essersi raccomandato più e più volte che non perdesse il volo, il giorno successivo.
 
Era andata in aeroporto con qualche ora di anticipo, non sarebbe comunque riuscita a dormire e non voleva correre rischi. Rilesse l’agenda che l’agente di Chris le aveva inviato per mail e ripeté tutto per l’ennesima volta. La paga era incredibilmente buona e non aveva intenzione di fare brutta figura o combinare qualche disastro, anche perché se fosse successo qualcosa sarebbe stato tutto sotto i riflettori e in pasto ai giornalisti nel giro di pochi secondi.
Inspirò ed espirò lentamente più volte, cercando di placare l’ansia.
Chris arrivò perfettamente puntuale, all’orario che avevano stabilito per messaggio.
Non lo vedeva da una settimana, tutte le volte che era passato da casa sua lei era al lavoro o fuori. Si era chiesta se stesse facendo apposta e se la stesse evitando, ma aveva scacciato il pensiero: non doveva curarsene.
Quando se lo ritrovò di fronte, per un attimo, nessuno dei due mosse un muscolo e restarono immobili come statue di cera. Avrebbe dovuto stringergli la mano? Fargli un cenno? Abbracciarlo? Perché non si muoveva? Perché era tutto così imbarazzante?
Fu Chris a spezzare quel momento di stasi e ad abbassarsi per baciarle la guancia. Quel solo contatto le fece venire voglia di fare retro front e tornarsene a casa. Ma desiderava di più.
- Pronto? - gli chiese, dopo essersi schiarita la voce.
Lui le sorrise passandosi una mano tra i capelli perfettamente pettinati e ridacchiando nervoso.
- Lo spero proprio. -
 
Quando salirono sull’aereo e sentì il sedile sotto di sé, le sembrò che tutto avesse senso. Ignorò del tutto la strana comodità del proprio posto, erano in business class, e avvicinò subito il viso al finestrino, le prime luci dell’alba che tingevano di rosa ed arancione la pista dell’aeroporto.
- È la prima volta che volo, da quando sono arrivata a Boston. - disse, l’eccitazione palpabile.
- Ed è un bene o un male? - le chiese Chris, sporgendosi dal suo posto verso il vetro e verso di lei.
Mel si girò di scatto, e il sorriso a trentadue denti le si paralizzò sulle labbra. Poteva quasi sentire la barba dai riflessi rossastri dell’uomo solleticarle il mento. Il suo cervello cessò di funzionare.
Chris si rese conto della pericolosità di quella vicinanza e si ritrasse, facendo aderire la schiena contro il proprio sedile. Se non le avesse lanciato quell’occhiata così penetrante, prima di allontanarsi, il cuore di Mel avrebbe continuato a battere normalmente, senza impazzire e cercare di uscire dalla cassa toracica come invece stava facendo.
- Decisamente un bene. Amo volare. - si ricordò di rispondere, mentre ricominciava a respirare.
- Anche io. Mi piace guardare le nuvole. - disse lui, senza guardarla. Sembrava assorto nella lettura del giornale di bordo.
- A me piace il decollo. È il momento migliore. -
Lui alzò un sopracciglio e puntò gli occhi azzurri nei suoi.
- Quando ti rendi conto che non sei più a terra. - continuò la ragazza.
- Vorrei essere d’accordo, ma preferisco quando non sei più schiacciato contro il sedile per la velocità. Decisamente meglio le nuvole. - le disse mostrando la sua migliore espressione da “so tutto io”. Mel rise.
 
Quanto era comodo quel posto. Quanto era tremendamente comodo.
Avrebbe rimpianto per sempre la prima classe e avrebbe trovato inaccettabile qualsiasi sedile dell’economy da lì in avanti. Ancora intorpidita, si lasciò sfuggire un mugolio di sconforto.
E il sedile si mosse sotto la sua guancia.
Aprì gli occhi di scatto.
Notoriamente, i sedili degli aerei non hanno la capacità di muoversi. Tantomeno quella di essere caldi.
Le ci vollero pochi secondi per realizzare che era scivolata verso il basso e che gran parte del lato destro del suo corpo era appoggiato a quello di Chris. Aveva il capo abbassato sulla sua spalla e lui, a sua volta, la stava usando come cuscino. La prima reazione fu quella di allontanarsi.
Appena si rese conto di non poterlo fare, sentì ogni parte di sé a contatto con il corpo dell’uomo andare a fuoco. Percepiva perfettamente il suo respiro calmo e la sua guancia premerle sulla testa. Se solo si fosse spostata l’avrebbe svegliato, sicuramente.
Il panico cominciò a farsi strada dentro di lei. Come era possibile che si fossero addormentati entrambi in un volo di un’ora e mezza? Quanto mancava all’atterraggio? Cos’avrebbe pensato Chris una volta sveglio? Perché aveva un profumo così buono? Perché avrebbe voluto stringersi a lui e concentrarsi solo sul suo respiro ritmico?
Distolse lo sguardo dal torace dell’uomo che si alzava e si abbassava sotto di lei e, sospirando, girò leggermente la testa. Si maledisse immediatamente, gettando uno sguardo preoccupato verso l’alto. Chris cominciò ad aprire gli occhi, sbattendo le ciglia incredibilmente lunghe più volte per adattarsi alla luce.
Merda.
Quando gli occhi confusi si puntarono nei suoi sentì il sangue salirle alle guance e imporporarle. Doveva sembrargli davvero ridicola, lì a fissarlo dal basso, spalmata contro di lui, con la faccia da sonno che era totalmente sicura di avere. La realizzazione gli passò come un lampo nelle iridi chiare.
Cercò subito di allontanarsi. Ovviamente fu un disastro.
I capelli di Mel si erano incastrati e ingarbugliati perfettamente tra i riccioli della barba di Chris, e resero la separazione un insieme disordinato di “scusa” e “ahi!” che fece ridacchiare qualche passeggero vicino.
Quando anche l’ultimo filo ambrato fu liberato, si ritrovarono entrambi imbarazzati e accaldati e non pronunciarono una sola parola fino all’atterraggio.
 
- Dovrebbe esserci qualcuno ad aspettarci. Dobbiamo lasciare i bagagli e andare direttamente alla convention. Alle 10 c’è l’evento di apertura con Sebby. - disse tirandosi dietro la valigia e cercando tra la folla un qualcuno che fosse lì proprio per loro.
- Hai studiato, eh? - lo sentì ridere alle proprie spalle e si girò a dargli un’occhiata. Con il cappello e gli occhiali da sole era comunque ben riconoscibile. Scosse la testa e sospirò.
- Faccio bene il mio lavoro, io. -
Una volta abbandonati i bagagli, che avrebbero ritrovato direttamente in albergo quella sera, furono portati al centro. Durante il tragitto Mel si rese conto di quanto entrambi fossero bravi ad ignorare le situazioni imbarazzanti e comportarsi come se nulla fosse.
Quando arrivarono le fu consegnato il badge per l’accesso e, mentre Chris raggiungeva Sebastian e quello che doveva essere Anthony Mackie, lei fu trattenuta e istruita assieme ad altre persone. Cercò di prestare la massima attenzione, ma aveva già letto e riletto tutto quanto nelle mail e le risultò difficile seguire ogni parola. Era molto più interessante cogliere con la coda dell’occhio i movimenti dei tre attori. Si erano abbracciati, con tanto di pacche sulle spalle e gomitatine, avevano parlato di qualcosa gesticolando e poi si erano voltati verso di lei.
Continuò a fingere di ascoltare, sicura di avere tre paia di occhi puntati contro, fino a quando furono congedati. Gli altri assistenti si presentarono e Mel si dimenticò di ogni nome pochi secondi dopo che era stato pronunciato. Ringraziò mentalmente l’identificazione a caratteri cubitali sui pass, altrimenti avrebbe dovuto attirare l’attenzione dei suoi colleghi con cenni e ridicoli “ehi tu”.  
Cominciarono tutti ad allontanarsi verso i rispettivi ospiti e la ragazza non fece in tempo a sistemare i fogli del programma nella borsa a tracolla che si ritrovò stretta tra le braccia di Sebastian, la fronte premuta contro la sua guancia ispida. Le sembrò che tutti ce l’avessero con i suoi capelli, quel giorno. Fortunatamente, dopo l’avventura sull’aereo, li aveva raccolti in una treccia morbida.
- Mi sei mancata, piccola. -
Mannaggia a lui e al suo essere un orsacchiotto gigante.
- Mi sei mancato anche tu, Seabass. -
- Vanilla Ice, lasciane un po’ anche per me! -
Anthony era qualche centimetro più basso degli altri due, ma era ugualmente ben piazzato. Aveva un sorrisetto affettato e smagliante, che risaltava sulla sua pelle d’ebano, e una voce calda e avvolgente.
- Anthony, giusto? - disse, sciogliendosi dall’abbraccio di Seb e tendendogli la mano.
- Esatto, bellezza. So già tutto di te. - le rispose. Invece di stringerle la mano, la prese e sa la portò alle labbra, alzando un sopracciglio e baciandogliela. Mentre lei arrossiva vistosamente, Chris e Seb scoppiarono a ridere.
Nei pochi minuti prima che cominciasse il panel capì che quei tre erano elevavano le battutine all’ennesima potenza quando erano assieme e che sarebbero facilmente riusciti a farle mancare il fiato dalle risate.
 
L’ultimo a essere chiamato sul palco della sala fu Chris. Lo vide inspirare a pieni polmoni, stringere convulsamente le mani e chiudere gli occhi, prima di uscire.
Fu un’intervista a tratti profonda, a tratti immensamente stupida e Mel passò gran parte del tempo con la bocca spalancata. Sebastian tirò fuori una parte di lui che era emersa raramente, a Boston: lanciò delle occhiate che avrebbero sciolto chiunque, riuscì a sembrare incredibilmente serio, sorrise in un modo sghembo e sensuale che le fece venire una vampata di caldo. Poi la risata sonora e il modo in cui gonfiava le guance lo fecero tornare ad essere il solito Boo Bear. Lui e Mackie continuarono a lanciarsi frecciate e a fare battute.
Dei tre, Chris risultò il più taciturno e posato, se così si poteva dire. Da dietro le quinte, lei non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, anche quando la domanda non era rivolta all’interprete del grande Captain America, la sua attenzione tornava a lui come se vi fosse legata da un elastico.
Era teso. Lo capiva dalla mascella contratta e da quella risata trattenuta, così poco da Chris. Continuava a lanciare occhiate strane alla folla davanti a lui, ed era chiaro come il sole, perlomeno a lei, che stesse cercando di regolare il proprio respiro.
Scrosci di applausi le riempirono le orecchie mentre i tre attori lasciavano il palco e tornavano verso di lei. Fece un cenno distratto a Seb, che fu portato via velocemente dalla sua assistente, e attese che Chris la raggiungesse. Si fermò a qualche passo da lei, senza guardarla.
Fu lei ad avvicinarsi. C’era qualcosa che non andava e non riusciva a contrastare la voglia di sapere, di essere d’aiuto.
Si sporse leggermente verso di lui, ignorando tutto ciò che li circondava e cercando i suoi occhi, dal basso.
- Ehi. - gli sussurrò. In tutta risposta lui fece un sorriso tirato e scosse leggermente la testa senza dire nulla. Stava ancora tentando di controllare la respirazione.
Mel sentì lo stomaco stringersi e formarsi un peso sul petto, opprimente. C’era definitivamente qualcosa che non andava in Christopher e questo qualcosa la faceva stare male di rimando.
Al diavolo il programma e i pensieri che era sicura l’avrebbero assalita dopo. Agì e basta.
Afferrò il polso dell’uomo e cominciò a farsi strada tra le persone, cercando un qualche posto dove andare. Non aveva idea di dove si trovassero, né di quale potesse essere la loro destinazione. Sentiva solo il battito accelerato del cuore di Chris raggiungerla e pulsarle contro le dita. Imboccò corridoi a caso, marciando tra banchetti e stand ancora vuoti, trovò un varco tra le tende blu che celavano le pareti della struttura e arrivò di fronte a una porta con il maniglione antipanico. La spinse e una ventata di aria fresca li travolse.
Mel lasciò la presa sul polso di Chris, guardandosi attorno.
Erano finiti sul retro dell’edificio.
Convinta di essere già passata per pazza, salì sulla scaletta di un container appoggiato contro il muro e una volta in cima si sedette.
Sentì i passi di Chris far cigolare il metallo, mentre la raggiungeva e si sedeva vicino a lei. Entrambi guardavano verso il muro di cinta e il sole scaldava loro il viso.
- Soffro di ansia sociale. -
Lei non disse niente, dandogli il tempo di elaborare e farsi avanti. Si concentrò sul suo respiro e lo ascoltò regolarizzarsi e calmarla, sollevandole quel terribile peso dal petto.
- Tutta quella gente… tutte quelle persone che mi guardavano e volevano vedermi essere perfetto e… con le telecamere è diverso. È come se lo schermo mi proteggesse. Ma stare di fronte a loro… mi sale il sangue alla testa, mi sento tachicardico e se cerco di controllarmi peggioro la situazione. - mentre parlava appoggiò le braccia sulle ginocchia e piegò il collo.
Calò il silenzio e Mel si ritrovò a guardare il trentacinquenne che nascondeva la testa tra i bicipiti scolpiti. C’era qualcosa, dentro di lei, qualcosa che l’aveva fatta correre via trascinandoselo dietro, qualcosa che le faceva desiderare con tutta sé stessa di alleviare l’agitazione che trasudava dalle parole di Chris, di porre fine al suo dolore, di fargli evitare anche il più debole attacco di panico.
- Ti sembrerò un’idiota… - ridacchiò nervoso, la voce ovattata - un fantoccio problematico e spaventato. -
Sentire la vergogna nel suo tono, fu come ricevere una stilettata al cuore. Qualcosa la portò a parlare di getto, senza potersi fermare, senza poter evitare che parte dei muri che aveva costruito per anni, per sé e per gli altri, crollasse irrimediabilmente dentro di lei, rendendola nuovamente vulnerabile.
- Ho viaggiato per fuggire, non per girare il mondo. Per fuggire dalle persone, dai legami. - ogni parola le sembrava una pietra di una tonnellata. Ogni respiro una difesa che cadeva. Sapeva che il buco nero dei suoi ricordi stava per riaprirsi e per risucchiarla al suo interno, tirandola a sé con una forza incontrastabile.
Chris aveva alzato la testa e la stava guardando, sentiva il suo sguardo sulla nuca. Non si girò, perché se avesse incontrato i suoi occhi sarebbe precipitata definitivamente.
- So che rovinerei qualsiasi rapporto, perché ce l’ho nel sangue. Non voglio… far del male a nessuno. Se mi fermo troppo a lungo creo un legame. Non posso farlo. -
Sentì la propria voce affievolirsi. Era la prima volta che ripeteva quel suo mantra a voce alta. La prima volta che qualcuno la ascoltava.
Guardò Chris e lo vide serio e colpito, anche se non poteva aver compreso, non poteva sapere tutto. Fu sorpresa di non trovare altro che determinazione e calore nel suo sguardo. Si aspettava di vederci pietà, compassione. Ma quegli occhi azzurri erano limpidi e intensi, nulla di più.
- Grazie. - le disse, senza muovere un muscolo.
Lei sorrise.
Era tutto sbagliato. Non avrebbero dovuto essere lì fuori, non avrebbero dovuto mandare all’aria il programma, non avrebbero dovuto parlare e aprirsi l’uno con l’altro. Lei non avrebbe dovuto scoprire le proprie carte, non avrebbe dovuto indugiare con lo sguardo così a lungo sul suo viso, non avrebbe dovuto sentirsi così sicura al suo fianco. Non avrebbe dovuto desiderarlo così intensamente.
- Dobbiamo… - cominciò, stringendo gli occhi per tentare di tornare lucida.
- Dobbiamo andare. - terminò lui, alzandosi in piedi, quasi le avesse letto nel pensiero. Le tese la mano, sorridendo debolmente.
Mel accettò l’aiuto e Chris la sollevò facilmente e la tirò a sé. Troppo vicini.
Sapevano cosa stava per succedere, perché furono attraversati dalla stessa scossa, dagli stessi brividi, come un preludio al calore che stava già facendosi spazio tra loro. Lo sapevano e lo lessero l’uno negli occhi dell’altro, perfettamente consci che il contatto tra le loro mani non fosse abbastanza.
Lentamente e delicatamente, lui le scostò una ciocca ambrata che le era scivolata sul volto.
- Posso capire…- le soffiò sulle labbra, senza distogliere lo sguardo, - se non vuoi. Se non puoi. -
Le stava chiedendo il permesso. Le stava dimostrando di aver ascoltato quello che gli aveva detto, anche senza sapere il perché, senza aver capito profondamente la questione. Non avrebbe fatto nulla che lei non avesse voluto.
Fu quello a farle decidere di chiudere lo spazio tra loro.
E quando lo sentì rispondere al bacio, quando sentì le sue labbra avvolgerla e le sue braccia stringerla, i suoi muscoli tendersi sotto le proprie dita, quando i loro respiri si furono mischiati, fu invasa di nuovo da quella sensazione di sicurezza che tanto non avrebbe dovuto provare. C’era qualcosa di più dolce della volta precedente. Qualcosa che, assurdamente, era allo stesso tempo più forte e delicato. Si stavano aggrappando l’uno all’altra come se volessero guarirsi a vicenda, come se potessero salvarsi a vicenda.
 
La porta si aprì violentemente, stridendo. Si bloccarono e si allontanarono leggermente l’uno dall’altro, senza che il palmo di Chris abbandonasse la sua schiena.
Una donna era uscita correndo e si era passata la mano tra i capelli scuri.
- Ti prego, Gem! - urlò qualcuno, prima di comparire dall’interno dell’edificio. Una voce ben nota ad entrambi.
Sebastian si fermò a pochi passi da dove si trovavano, il fiato corto. La donna si girò e fece per parlare, ma si bloccò non appena si accorse della loro presenza. Immediatamente il moro seguì il suo sguardo e Mel sì sentì sprofondare quando vide un’espressione confusa farsi spazio sul suo volto.
“Gem”, o qualunque fosse il suo nome, approfittò della distrazione di Sebastian per oltrepassarlo a grandi falcate e sparire oltre la porta.
- Cosa diamine ci fate su un container?! -






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*Sinfonia n. 5 di Beethoven in sottofondo*
Non so cosa possa essere più disturbante di questo capitolo: Gemma che irrompe e rovina il momento dei protagonisti incasinati e problematici, Chris e Mel che sono così infinitamente Chris e Mel o il fatto che io non sia capace di rendere Anthony Mackie simile all'adorabile idiota che è in realtà. Spero di non avervi confuso le idee e di essere riuscita a dare qualche indizio qua e là su come andrà avanti la storia e sul passato della nostra Mel. Ancora una volta ringrazio con tutto il mio cuori vecchi e nuovi lettori (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧ tanto ammore a tutti quanti  
se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, anche le critiche sono più che ben accette!
Sere

 
(Non è un tentativo di corrompervi eh, ma voglio concludere con questa chicca perchè ve lo meritate.)

 
  
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