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Autore: Clockwise    09/07/2016    2 recensioni
Chiudono gli occhi, entrambi, uniti e lontani ad un tempo. Lo stesso sospiro – tornare a casa.
[...]
«Mi dispiace, John.»
Scosse la testa.
«Di esserti innamorato di me?»
Sherlock non rispose; lo fecero i suoi occhi, trasparenti come acqua.

Amanda ha diciannove anni quando va a Londra per la prima volta in cerca di suo padre, in cerca di risposte, costringendo John e Sherlock, ormai estranei, a fare i conti con loro stessi.
"Nostos": in greco, "viaggio di ritorno", "ritorno a casa".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dalle ceneri
 
 
A person is, among all else, a material thing, easily torn, not easily mended.
I. McEwan, Atonement
 
 
Mrs Hudson se ne era andata una notte, silenziosa e discreta. Sia lui che Sherlock si erano accorti delle sue cattive condizioni di salute, qualche tempo prima; l'avevano aiutata, portata in ospedale a fare controlli, comprato le medicine. Non era stata una lunga battaglia.
John sospira, mentre si spalma con attenzione la schiuma da barba sul viso. Povera Mrs Hudson. Per John, era stato come perdere di nuovo sua madre; Sherlock non aveva parlato per giorni.
Apre il rubinetto e bagna il rasoio sotto il getto d'acqua. Sospira, guardando il suo riflesso. Non ha chiuso occhio, stanotte, ed è piuttosto evidente.
 
«Sai, John, se c'è una cosa di cui sono contenta è che prima di andarmene avrò visto Sherlock felice. E non fare quel sorriso compiaciuto!»
John aveva ridacchiato dietro la sua tazza di tè.
«Lo hai fatto penare per anni, povera anima!»
«Beh, deve ammettere che non è mai stato un tipo semplice.»
«No, è vero. Mi dispiace così tanto, però, per la povera Mary, e per quella creaturina, ogni tanto ci ripenso...»
Lui aveva abbassato gli occhi, una familiare morsa al petto – non c’era giorno che non ci pensasse.
«Già.»
«Per voi due dev'essere stato tremendo. Però sono contenta che alla fine vi siate trovati. Io l'ho sempre detto, fin dall'inizio...»
 
Il rasoio scorre rapido sulla sua pelle, come pattini sul ghiaccio. Ad ogni riquadro di pelle scoperta, John sente un anno scivolargli dalle spalle.
 
«Giusto cielo, mi sembra ieri che siete venuti in questo appartamento per la prima volta, te lo ricordi? Tu con quel bastone...»
«Sì, ricordo bene.»
«Alla fine vi siete anche decisi ad usare una camera sola, come avevo sempre suggerito.»
John aveva sollevato gli occhi al cielo, divertito e imbarazzato.
«Mrs Hudson...»
«John, non so cosa credi tu, ma sono stata giovane anch'io, ho avuto tante di quelle esperienze...»
Sherlock aveva fatto trasalire entrambi.
«Mrs Hudson, smetta di estrapolare informazioni a John sulla nostra vita sentimentale, non le dirà mai niente. Ne parla a malapena con me.»
«Non sono il vostro consulente matrimoniale, ma se avete qualche problema nell'altra stanza...»
«Mrs Hudson!»
«Siamo a posto, grazie. Non ha una spesa da sistemare?»
«Non ho fatto la spesa.»
«John, vai a fare la spesa per Mrs Hudson.»
 
Sorride, nonostante tutto, al ricordo. Posa il rasoio e si sciacqua il viso con acqua fredda. Lo tampona con l'asciugamano e applica appena una goccia di dopobarba. Quindi, con un pettine appena bagnato, passa ai capelli, pettinandoli diligentemente all’indietro, per cambiare. Piega la testa di lato, prima a destra poi a sinistra. Le rughe rimangono al loro posto e i capelli sono sempre grigi, ma non può fare a meno di pensare che John Watson ha un'aria decisamente più viva, adesso.
Ora, è il turno del 221b. La sua camera è relativamente a posto, deve solo dare una passata di aspirapolvere. In quella di Sherlock non entra da anni, ma non ha il coraggio di farlo oggi.
Decide di iniziare dalla cucina. C'è una pila di piatti sporchi vergognosa, alcuni armadietti di cui non ricorda il contenuto e il frigorifero non ha per niente un buon odore. E non è nemmeno colpa di organi in decomposizione.
 
 
•••
«Dottor Watson, la sua pausa è finita da un pezzo.»
John si voltò, colto di sorpresa. Una donna bionda dai grandi occhi azzurri risplendeva di un affascinante sorriso, divertita.
«Non ho appuntamenti questo pomeriggio, soltanto la signora Emerson con le sue malattie immaginarie.»
Mary ridacchiò, sedendosi accanto a lui sulla panchina fuori del piccolo bar di fronte alla clinica.
«Cos'era l'ultima volta? Amnesia?»
«Alzheimer.» Scosse la testa, mentre Mary rideva. «Gesù. Se usasse il tempo che passa su Internet a inventarsi malattie a studiare rimedi per quelle esistenti, curerebbe il cancro.»
Il bel sorriso di Mary si spense poco a poco, lasciando una vaga luce sul suo viso.
«Sai, a volte le persone hanno bisogno di dare un nome al malessere che sentono. La dignità di una diagnosi, qualcosa che dica “tu hai questo e devi fare così e così e poi starai meglio”.»
John corrugò le sopracciglia, guardandola.
«Non ti seguo.»
Mary volse la testa quanto bastava per rivolgergli il sorriso di chi ha capito tutto.
«Mi segui più che bene, invece. Hai una zoppia psicosomatica post-traumatica, che non è altro che un nome altisonante per dire che c'è qualcosa, qui dentro,» disse, picchiettando gentilmente l'indice sul petto di lui, «che non funziona ancora bene.»
John annuì, più colpito di quanto avrebbe ammesso.
High-functioning sociopath, do your research.
«Non dicevi che anche il tuo amico si era “autodiagnosticato” un sociopatico?»
Come tutte le volte, John raddrizzò la schiena e inspirò bruscamente.
«Sociopatico ad alta funzionalità, stai attenta.»
Il sorriso di Mary virò su toni più caldi, confortevoli, dolci.
«Già. Non è un po' la stessa cosa? Un nome, una diagnosi, una spiegazione dietro cui rifugiarsi, in tutta l'autorevolezza della scienza medica.»
John annuì di nuovo, lasciando che Mary gli strofinasse gentilmente un braccio, il tempo necessario a dissipare il pesante grumo scuro che gli opprimeva il petto.
•••
 
 
Chiude il sacchetto nero e lo deposita sul pianerottolo. La cucina tira un sospiro di sollievo. Controlla l'orologio: quasi l'una. Deve muoversi se non vuole arrivare in ritardo al funerale. Sale le scale due a due.
 
La luce verdastra che sommerge Highgate e il caldo soffocante, fuori stagione, gli danno la strana sensazione di trovarsi sott'acqua. La piccola folla è raccolta intorno ad una lapide solitaria, davanti a cui stanno scavando una buca sempre più profonda.
John è ai margini della comitiva, si guarda intorno. Distingue i signori Holmes, accanto alla bara; Lestrade e Molly, il capo chino fra la folla; Amanda e Sherlock in disparte, quasi spettatori capitati per caso. Si avvicina, senza esitare.
«Ehi.»
Sherlock si limita a guardarlo e ad annuire, Amanda gli sorride. Passano diversi momenti prima che Sherlock si schiarisca la voce e parli.
«Non pensavo saresti venuto.»
«Nemmeno io» risponde John, la voce chiara e ferma. Rimangono in silenzio, tutti e tre vicini, osservando la bara di Mycroft scendere giù e coprirsi di terra. Sherlock ha occhi di bambino, grandi e pallidi, spaventati; John gli si fa più vicino, gli stringe il braccio. Amanda china il capo, smarrita, incerta su cosa fare; quando incontra il suo sguardo, John le sorride con gli occhi, la tranquillizza.
La folla sciama via in silenzio come granelli di sabbia in una clessidra. John e Amanda rimangono indietro mentre Sherlock viene abbracciato da sua madre – non ha accettato che nessun altro gli facesse condoglianze o gli si avvicinasse. Alla fine, rimangono solo loro tre davanti al cumulo di terra. Sherlock lo guarda con occhi vitrei, che riflettono tante emozioni violente, contrastanti. John lo prende per la mano – dopo tanti anni, prova il brivido di ritrovare qualcosa di conosciuto ma a lungo dimenticato.
«Andiamo.»
Sherlock si lascia guidare, docile, verso Baker Street.
 
 
•••
Strinse la radice del naso fra due dita, strizzando gli occhi. Si concentrò sul suo respiro, cercando di calmarsi. Il passo deciso di Sherlock risuonò su per le scale; John strinse a pugno la mano che teneva il giornale, accartocciandolo. Si chiese da quanto tempo il rumore di quei passi non lo faceva più sorridere (Sherlock era finalmente a casa, insieme a lui) ma gli faceva stringere i pugni e serrare le mascelle. Non appena uno dei due entrava nell'appartamento si instaurava una tensione logorante – i muscoli si tendevano e i nervi scottavano, bastava una scintilla a far esplodere liti furibonde.
«Bello vederti, ogni tanto.»
Sherlock non rispose, nascondendosi direttamente in cucina. John tamburellò per qualche istante le dita sui braccioli, rapide e nervose. Quindi si alzò, stringendo i fogli di carta che aveva nascosto nel giornale.
Sherlock si accigliò, quando lo vide sulla soglia: c'era una sicurezza militare, nella sua schiena rigida, una sorta di dolorosa baldanza nelle sue spalle troppo dritte, le mani dietro la schiena.
«Cosa succede?»
Quel sorriso ferino, mero piegamento di labbra che lasciava gli occhi freddi e scuri, lo faceva rabbrividire.
«Dovresti dirmelo tu. Ci trasferiamo?» chiese, con finta innocenza, porgendogli i fogli ripiegati. Sherlock sentì un peso precipitargli nello stomaco, le dita diventargli fredde, la pelle ricoprirsi di sudore nervoso. Non rispose, si costrinse a rimanere attaccato ai suoi occhi neri.
John annuì più volte, chiudendo gli occhi.
«Bella zona, vicino al Bart's. Sicuro di potertela permettere da solo? Non ti servirà un coinquilino?»
Il sarcasmo nella sua voce era come acido nella gola di Sherlock.
«John, le cose fra noi non vanno più bene da diversi mesi, la soluzione più semplice è che io mi allontani per un po'...»
«Fai pure. Ovviamente non c'è bisogno che tu mi metta a parte dei tuoi piani, sei libero di buttarmi via come un vecchio paio di calzini, certo...»
«John...»
«Pensavo che dopo tanti anni almeno ti saresti degnato di spiegare...»
«John, è esattamente perché tengo a te che me ne vado.»
John tacque, scosse la testa, mordicchiandosi il labbro.
«Abbiamo bisogno di tempo. Di risolvere... le nostre questioni.»
John chiuse gli occhi, tornò in soggiorno.
«Non farti più vedere, Sherlock.»
Fu appena un mormorio stanco; Sherlock quasi si stupì di non vedersi addosso nessuna ferita – eppure il dolore c'era.
•••
 
 
John li fa sedere in cucina e inizia ad armeggiare fra gli armadietti per preparare il tè. Amanda prende posto chiedendosi distrattamente perché mai gli inglesi si sentano in dovere di bere tè ogni volta che qualcosa va storto – non è esattamente una pozione magica che sistema tutto, è acqua calda e foglie secche. Medita di farci una battuta su, ma ci ripensa: John è un ex-soldato inglese, potrebbe cacciarla via.
«Ti sei fatto la barba» commenta Sherlock, lo sguardo inchiodato sul tavolo. John si ferma per un momento, le mani sospese a mezz'aria; sorride appena. Anche Amanda se n’era accorta, ma le sembrava inopportuno farglielo notare.
«E hai anche pulito la cucina.»
John annuisce, continuando a voltargli le spalle, occupato con i fornelli.
«Cosa puoi dedurre dal mio comportamento?» lo punzecchia, girandosi per un attimo a guardarlo. Sherlock alza gli occhi per incontrare i suoi, ma Amanda risponde prima che possa farlo lui.
«Determinazione, buoni propositi, rinascita. Hai deciso di prenderti cura della tua persona, darti un nuovo aspetto, costruire un nuovo personaggio per iniziare da capo. Così è anche per la casa: hai iniziato dalla cucina, probabilmente non sei andato avanti per mancanza di tempo o perché altre stanze richiedevano un impegno emotivo più profondo, essendo legate ad un bagaglio di esperienze più vasto, forse. Tutto indica rinnovamento, volontà di andare avanti. Stai grattando via il vecchi e il superfluo per far riemergere il vero te.»
Sono orgogliosa di te, dicono i suoi occhi, luminosi. John le sorride, la ringrazia con un cenno del capo. Si rivolge di nuovo a Sherlock, incrociando le braccia al petto con fare divertito.
«È d'accordo con la diagnosi, detective?»
Sherlock rimane in silenzio per lunghi istanti, guardandolo da sotto in su. Non sa come accogliere tutte queste informazioni, come analizzare il comportamento di John. Cosa gli sta veramente dicendo?
«Ottimo lavoro, Amanda. Psicologia non è affatto la tua strada.»
John ridacchia suo malgrado. Cerca di rispondere a Sherlock come può, recuperando un'antica danza di sguardi e gesti che gli era diventata così familiare, un tempo, ma gli occhi del detective rimangono dubbiosi, incerti.
Amanda alza le mani al cielo.
«Come sarebbe? Ho fatto un'ottima analisi!»
Non riceve risposta. John e Sherlock continuano a studiarsi come un astronomo e una supernova, in silenzio reverenziale. Finché la teiera fischia.
Per qualche minuto, sono tutti impegnati a versare il tè nelle tazze, passarsi lo zucchero e il latte, mescolare. Quindi, John azzarda la sua domanda.
«Ieri… Per Mycroft, cos’è successo?»
Sherlock non alza gli occhi, ipnotizzati dai movimenti circolari del cucchiaino dentro la tazza.
«Verde di Parigi. È un pigmento particolare che contiene un’elevata concentrazione di arsenico. L’esposizione prolungata può portare all’avvelenamento. Le pareti della camera d’albergo di Mycroft, in Nigeria, erano di questo colore, ritinteggiate di fresco. Curiosamente, gli addetti dell’albergo erano stati pagati profumatamente perché il sistema d’areazione risultasse fuori uso. Mycroft passava più di quattordici ore, in quelle stanze, complici il caldo e la sua scarsa propensione al turismo. È rimasto lì quattro giorni, più che sufficienti perché l’arsenico entrasse nel suo organismo.»
John scuote la testa. Senza pensarci, allunga una mano sopra il tavolo e gli stringe l’avambraccio, massaggiando delicatamente con il pollice. Sente Sherlock sospirare sotto le sue dita.
«Siamo riusciti a risalire al colpevole, se ne sta occupando l’MI6. Un suo sottosegretario. Mi sono premurato di assicurarmi che non metta più piede in Inghilterra. O in nessun altro paese civilizzato, se per questo.»
Sherlock manda giù un lungo sorso di tè. Storce le labbra, pensieroso. «Si dice che anche Napoleone sia morto allo stesso modo.»
Bevono in silenzio per lunghi minuti.
«Ti serve una mano per il soggiorno, immagino?» domanda quindi il detective, in un tono leggero che non inganna nessuno. John non osa rispondere – la sola idea di rovistare fra le cianfrusaglie del loro passato, insieme, dopo tanti anni, lo fa tremare non sa bene se di terrore o di silenzioso sollievo.
«Oh, credo che qualunque aiuto sarebbe bene accetto» si intromette Amanda, cercando di scherzare. Sherlock annuisce e finisce i rimasugli del suo tè.
«Iniziamo, allora.»
Si alza e si dirige in soggiorno; John lancia un'occhiata di ringraziamento alla ragazza e lo segue. Lei sparecchia e lava tazze e teiera, mettendoci molto più tempo del dovuto.
«Iniziamo dalla libreria, direi?»
Sherlock annuisce e vi si avvicina, John va dall'altro lato.
«Molte nuove aggiunte, vedo» commenta Sherlock, scorrendo i titoli dei volumi. John alza le spalle.
«Molto tempo libero, tanti libri che avevo sempre voluto leggere.»
Sherlock lo studia con un'occhiata, ma non commenta oltre. Si allunga in punta di piedi e afferra il primo libro sullo scaffale più alto. Ci sono decine di vecchi libri, fogli sparsi, cartacce, fascicoli –non si era portato dietro molto quando se n’era andato.
Procedono in silenzio, prendendo un libro per volta e decidendo se metterlo nella pila dei “da tenere” o in quella degli scartati, esaminando le carte e i fascicoli, buttandone la maggior parte in un sacco nero.
«Oh, guarda.»
È una vecchia foto, incorniciata. Qualcuno l'aveva infilata tra due tascabili, chissà perché – John non ne ha il minimo ricordo. Sherlock si avvicina, curioso, e anche Amanda si affaccia alla soglia della cucina.
Ci sono solo loro due. Sono seduti sulle loro poltrone davanti al caminetto; a giudicare dalle luci colorate sulla mensola, dev'essere Natale, o giù di lì. John ha un giornale davanti a sé e sembra catturato nel mezzo di un’accesa discussione, che tuttavia lo diverte – si vede nella piega degli occhi, nell'angolo delle sopracciglia. Sherlock, invece, ha il viso rivolto verso l'obiettivo, che lo ha immortalato in un momento del tutto spontaneo: sta ridendo.
John alza gli occhi sul profilo marmoreo di Sherlock. Dove è andato a finire tutto questo? L'affetto, la complicità, l'armonia, l'amore – sì, l'amore, ora che è troppo tardi John riesce a chiamarlo con il suo vero nome. Da dove è arrivato il dolore che ha scavato quelle rughe sulle loro fronti – o meglio, perché glielo hanno lasciato fare?
«Bella foto. L'ha scattata Molly, sicuramente.»
Sherlock raddrizza le spalle e fa qualche passo indietro – John riconosce quei gesti, i fremiti impercettibili del suo viso, non è cambiato tanto: fugge, si trincera dietro la sua fedele maschera di algida compostezza.
John annuisce.
«Ci serviranno degli scatoloni» annuncia, avviandosi verso le scale. Si accorge di avere ancora la foto in mano solo quando entra in camera sua. La spolvera con la manica della camicia e la appoggia sul comodino.
 
Un bip inaspettato.
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Apocalisse.
Corruga le sopracciglia, fissando lo schermo del cellulare. Amanda lo nota e gli si avvicina.
«Tutto bene?»
«Indovinello» risponde Sherlock, girando il telefono affinché anche lei possa leggere. Lancia uno sguardo alle scale, temendo che John torni. Amanda spalanca gli occhi, perplessa.
«Cos’è, gallese? Perché qualcuno dovrebbe mandarti roba simile? È la prima volta?»
Sherlock rotea gli occhi, girando di nuovo il cellulare.
«Ma per favore. Faccio questo lavoro da quasi trent'anni, ne ho ricevuti a centinaia.»
Assume la sua posa meditativa preferita, il cellulare fra le mani in preghiera sotto il mento.
«È un messaggio in codice, usa il cifrario di Vigenère, per codificarlo è fondamentale la parola chiave.»
«Apocalisse?»
«“Y-H-X-R-J-S…”. Dubito.»
«Apocalisse, Apocalisse... Se ne parla nella Bibbia, no? Vangelo di Giovanni.»
Sherlock si ferma, guarda il telefono.
Giovanni. John.
P-E-C-C-A-T-O-R-I P-A-G-H-E-R-A-N-N-O.
«“Peccatori pagheranno”. Molto originale.»
Ne ha ricevuti a decine, di simili, per posta o per messaggio, mesi fa, prima di andare in Sussex, sa di non doverne tenere troppo conto. Lo turba, però, che abbiano usato il suo numero di cellulare – a pochissimi ha permesso di averlo in rubrica – e soprattutto, che abbiano menzionato John.
Lui torna in quel momento, con un paio di scatoloni. Si ferma, guardando le loro facce inquiete.
«Che succede?»
Amanda guarda Sherlock, che fa un lieve cenno di no con la testa.
«Risolviamo indovinelli» risponde, nascondendo il cellulare in tasca e assumendo la sua migliore aria spensierata. «A cosa servono le scatole?»
«Per i libri che non vogliamo tenere, posso donarli a qualche scuola...»
«Alle scuole interessano trattati di tossicologia forense e cronache della vita di Jack lo Squartatore?» chiede Sherlock, sbattendo le palpebre con finta innocenza.
«Ok, magari non proprio quelli, ma…»
Torna accanto alla libreria, il capo piegato per leggere i titoli.
«Oh, forse ti riferivi a Guida intergalattica per autostoppisti? Oppure Lo Hobbit? Questo cos’è, Espiazione…»
«Ehi, quelli sono bei libri, rimettili dov’erano…»
«“Storia di un amore travolgente, e di una passione letteraria assoluta, Espiazione è stato salutato nel mondo anglosassone come il capolavoro di McEwan”…»
John rotea gli occhi, mentre Amanda ridacchia divertita alle sue spalle. Sherlock si gira il libro fra le mani, ne scorre le pagine con il pollice, tornato improvvisamente serio.
«Sottolinei ancora i passaggi che ti piacciono?»
John incrocia le braccia al petto ed annuisce. Sherlock continua ad accarezzare il libro, senza osare aprirlo – scoprirebbe un altro pezzo di John, del John solitario di questi ultimi anni, che è entrato in libreria a comprare questo libro, senza dubbio attratto dal titolo più che dalla fama dell’autore o dal prezzo speciale dell’occasione del giorno; il John che ha riletto quel libro almeno tre volte, a giudicare dallo stato della costa, ne ha sottolineato le frasi e piegato gli angoli. Espiazione.
Oh, John.
«E questi invece? Storia del crimine in Gran Bretagna dal XVI al XIX secolo, Trattato sulla decomposizione dei tessuti, Mummie e altri segreti, Santo cielo…» Amanda storce il naso, scorrendo i titoli. John e Sherlock sembrano sollevati di poter rivolgere la loro attenzione a lei e Sherlock fa scivolare il libro nella sua giacca.
«Queste sì che sono letture ricreative» commenta lei, asciutta. John ride e Sherlock sorride di riflesso, quasi in automatico. Se ritagliasse quel momento e lo sistemasse sotto un microscopio potrebbe affermare con sicurezza che si tratta di una tranquilla mattina di pulizie al 221b, corredata di battute scherzose e sorrisi affettuosi. Ma non potrebbe mai cacciare Amanda dal vetrino e con lei la consapevolezza che niente è più come prima e che c’è ancora tanto da sistemare, tanti nodi ancora da sciogliere – tanto fango e tanta neve da grattare via dalle loro scarpe, prima di poter entrare in casa.

 







Ehilà!
Per vostra somma gioia (?), da oggi in poi sarò libera come l'aria e riuscirò ad aggiornare in tempi umani. Intanto, grazie come di consueto a chi ha letto fin qui, a chi segue e soprattutto alla cara emerenziano, per tutte le belle parole :)
I primi due romanzi che Sherlock cita (li avrete riconosciuti) sono anche film in cui Martin Freeman ha recitato, mentre in Atonement (Espiazione) ha recitato Benedict (e aveva una parte orribile, fra parentesi!). Il resto me lo sono inventato :)
A presto!
-Clock
 
  
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