- Joel, eccoti qui finalmente! Ti ho cercato dappertutto. Su, fila subito a fare il bagnetto!
Esclamò Benedicte, rivolgendosi al figlioletto che però quella mattina non aveva alcuna intenzione di assecondarla come invece avrebbe dovuto. Odiava dover essere costretto a lavarsi tutti i giorni, così era corso a rifugiarsi sul divano, accoccolandosi vicino a Johanna e osservandola con occhietti vispi e attenti mentre si occupava dei gemelli. Il suo continuo armeggiare con quel minuscolo biberon era sicuramente molto più rassicurante dell’odiato bagnoschiuma che lo aspettava al piano di sopra.
Johanna ridacchiò, staccando solo per un attimo gli occhi dal piccolo Shane che teneva intanto fra le braccia per incrociare quelli del bambino, che vide gonfiare le guance paffute fino a sbuffare con aria seccata.
- Hai sentito cosa ha detto la mamma? Vai a lavarti, coraggio.
Gli sussurrò, ottenendo in risposta un “NO!” che non ammetteva repliche e una linguaccia che la lasciò letteralmente a bocca aperta, prima di sgusciare via di nuovo dalle mani della madre e divertirsi a correre per la casa, costringendola così a lanciarsi al suo inseguimento.
- Torna subito qui, piccolo diavoletto, o saranno guai! Accidenti, quel bambino mi farà venire un esaurimento!
Johanna scosse la testa, divertita dall’allegro teatrino a cui di tanto in tanto le capitava di assistere in quelle prime, turbolente ore del mattino, tornando poi a concentrarsi su Shane e sul biberon ancora mezzo pieno che continuava a rifiutare, preoccupandola non poco. L’improvviso arrivo di Christian la distrasse ancora una volta da ciò che stava facendo, spingendola ad arrendersi definitivamente.
- Buongiorno, si può sapere perché non mi hai svegliato?
Lo sentì sussurrare mentre le sfiorava le labbra con un bacio che, riluttante, si sforzò di ricambiare.
- I gemelli ti hanno già intrattenuto abbastanza la notte scorsa, volevo solo farti un favore.
Replicò quasi brusca e Christian si accigliò, guardandola con aria interrogativa. Era abituato ai suoi più che comprensibili sbalzi d’umore, anche se non riusciva mai a nascondere del tutto quanto la cosa lo irritasse. Sapeva che avrebbe dovuto avere molta pazienza con lei, ma era proprio questo il punto. Già, la pazienza non era mai stata il suo forte, e tutto questo cominciava a metterlo in seria difficoltà.
- Tutto bene?
Azzardò e Johanna abbassò gli occhi, afflitta.
- No – disse – Shane si rifiuta di mangiare e non so il perché.
- Vuoi che ci provi io?
Lei scosse la testa, rimettendosi lentamente in piedi e passeggiando nervosamente per la stanza.
- Non voglio che finisca per irritarsi di più, è già così agitato. Lo porterò a fare un giretto in giardino, magari l’aria fresca gli farà tornare l’appetito. Tu resta qui e tieni d’occhio Hope, intanto.
L’uomo annuì e sfiorò con le dita le manine strette a pugno della figlia, che dormiva beatamente accoccolata nel passeggino doppio. Da un po’ di giorni sembrava avere l’aria più rilassata e pacifica, e non smetteva di ringraziare il cielo per questo. Avevano passato dei momenti terribili, momenti in cui più volte si era ritrovato a temere il peggio. Ora però le cose stavano finalmente cominciano ad appianarsi per tutti loro e, presto, molto presto, avrebbe potuto osservare i suoi bambini correre e rotolarsi felici sul prato, ne era sicuro. Immerso in quei dolci e gioiosi pensieri non si accorse quasi che Johanna lo stava chiamando, pronunciando più volte il suo nome con uno strano tremore nella voce che lo mise immediatamente in allarme.
- Che succede? Qualcosa non va?
Chiese andandole vicino e scoprendo così i suoi occhi pieni di lacrime.
- Christian, non respira…il bambino non respira più!
Gridò in preda all’ansia, scuotendolo con forza nel disperato tentativo di rinvenirlo in qualche modo mentre lui si precipitava verso la macchina con il cuore in gola, intimandole di seguirlo.
- Presto, dobbiamo portarlo subito in ospedale!
Disse, facendo intanto cenno a Hèléne di avvicinarsi. La donna, appena scesa al piano di sotto per consumare la consueta colazione li raggiunse in tutta fretta, apprendendo con sgomento la triste notizia e promettendo di occuparsi di Hope in loro assenza. L’auto partì a gran velocità, superando il vialetto e sparendo ben presto dalla sua vista mentre si stringeva nelle spalle, incamminandosi verso casa e pregando silenziosamente che tutto tornasse presto a posto. I suoi amici avevano già sofferto abbastanza per tutto quell’orribile periodo, non meritavano certo di continuare a farlo. Mentre rientrava si accorse che la piccola aveva iniziato a piangere, così si era chinata su di lei per prenderla delicatamente tra le braccia sforzandosi di infonderle una serenità che in quel momento non provava affatto.
- Su, calmati tesoro. La tua mamma e il tuo papà torneranno presto a casa, vedrai.
Mormorò baciando la sua testolina e improvvisando una dolce ninna nanna che Nicolas, passando di lì non potè fare a meno di ascoltare, osservandola rapito per un lungo istante per poi decidersi finalmente a raggiungerla, sorridendole timidamente.
- Saresti davvero una madre fantastica, lo sai? Un giorno potresti cantare questa bellissima ninna nanna a nostro figlio, e…
- Nicolas – lo interruppe, risoluta – non ora, ti prego.
Poi gli raccontò l’accaduto e il viso dell’uomo si rabbuiò lentamente mentre si affrettava a recuperare il suo telefono cellulare, che aveva distrattamente lasciato in camera.
- Chiamo Christian, voglio avere notizie.
Disse ed Hèléne annuì, prendendo posto sul divano dove continuò a cullare la bambina per un tempo che le sembrò interminabile prima di vederlo comparire di nuovo, gli occhi arrossati, il volto teso.
- Allora, ci sono novità? Sono via già da un po’ e la cosa comincia a essere molto poco rassicurante. Che cosa c’è Nicolas, perché non dici niente?
Lo incitò e lui scosse nervosamente la testa, crollando a sedere vicino a lei.
- Shane ha...
Esitò, scompigliandosi i capelli.
- Ha un’emorragia cerebrale. È molto grave.
- Oh mio Dio…
Hèléne si coprì la bocca con una mano, stringendo più forte a sé la piccola Hope che intanto si era di nuovo addormentata.
- Credo che dovremmo raggiungerli – continuò Nicolas, in preda all’ansia – sì, insomma, per cercare di capirci qualcosa.
- Cos’altro ti ha detto Christian?
- Che il bambino è molto debole e che avrà anche bisogno di una trasfusione. Non riusciva quasi a parlare. Non sa neppure se ce la farà…