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Autore: Egomet    20/04/2009    9 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14 La macchina si parcheggiò accanto al marciapiede, e Davide spense il motore. Era una mattina di luglio tardo, e loro due stavano sfidando il caldo, il sudore, l’afa e l’umidità, vestiti lui con un jeans tutto appiccicato alle gambe e una maglietta, e lei di un pantalone corto, nero e una maglietta aderente, anch’essa appiccicata al suo petto.
-Non ce la posso fare. Cosa gli dico?- domandò mordendosi il labbro la ragazza.
-Ma sì che ce la fai-
-Che devo dirgli?-
Il ragazzo sbuffò, lasciando andare il braccio fuori dal finestrino a bruciarsi sul metallo rovente.
-Mi hai fatto questa domanda una ventina di volte e la mia risposta sarà sempre la stessa. E ora andiamo-
Scesero giù, e per fortuna il portone del palazzo era già aperto, così non dovettero suonare al citofono.
-Sicura che è in casa?- domandò lui salendo le scale.
-Sì che è a casa. C’è la macchina- Francesca gli faceva strada, quasi arrampicandosi sui gradini, stanca.
Il cuore le batteva molto forte ed era tutto un tremito. Era agitata, agitatissima. E oltretutto si vergognava da morire. Aveva paura di quello che avrebbe potuto dire Damiano, dopo due mesi che non si faceva vedere; poteva trattarla male e non ci era abituata, da parte sua.
Salirono le scale finché non arrivarono al secondo pianerottolo; lì c’era un solo appartamento, e il corridoio era buio, con una sola finestra rotta che chiusa impediva alla luce di entrare.
Il palazzo era vecchio e in rovina; da fuori, le mura presentavano crepe e all’interno l’umidità avanzava tanto da coprire più di mezza parete. In più, l’elettricità sembrava non esistere nell’atrio.
Davide si guardò intorno critico.
-Caspita che bel palazzo- commentò ironico.
-Non fare lo snob, questo c’è e di questo ci si accontenta- ribatté nervosa la ragazzina.
Lei temporeggiava davanti alla porta, senza il coraggio di suonare al citofono.
-Non ce la faccio- disse sbuffando.
-Sì che ce la fai- ripeté paziente lui.
Sembrò che per un attimo lei si fosse decisa ad andare, ma si fermò nell’atto di premere il campanello, lasciando cadere a terra il braccio.
-Perché non vieni anche tu con me?- domandò rivolta al ragazzo che stava seduto sul davanzale della finestra, al buio, e la osservava.
Francesca gli si avvicinò.
-Perché no. è una cosa che devi fare da sola- rispose serio e irremovibile lui.
La bionda sbuffò e fece una serie di buffe facce che volevano convincerlo; ma nemmeno la più strana di esse lo commosse e infatti Davide restò seduto sul davanzale, nel buio del pianerottolo. Allora lei sospirò e rassegnata si voltò a guardare la porta. Stette indecisa per almeno dieci minuti, finché il ragazzo non perse la pazienza.
-Ancora a zero stai? Eh no, eh!- scivolò giù e la afferrò di peso.
-No, no fermo!- si oppose, ma invano.
L’indice di lui era già saettato verso il campanello e un attimo dopo un trillo suonò all’interno dell’appartamento.
I due ragazzi rimasero in silenzio religioso, in attesa di una risposta dall’altra parte, Francesca imprigionata e spinta in avanti da lui.
-Chi è?- una voce adulta chiese da dietro la porta.
I due si guardarono, l’una terrorizzata e incapace di dire nulla.
Davide le scoccò uno sguardo irritato, ma visto che non accennava ad una reazione, le pizzicò un braccio.
-Ahio!- gridò lei ad alta voce, fissandolo furente. Poi capendo che ormai si era tradita, prese fiato e disse tutto ad un tratto
-Damiano apri!-
Sentirono la serratura che scattava e la porta aprirsi, così lui lasciò andare la ragazzina e si ritirò nell’ombra, lasciandola sola con suo padre.
Un uomo alto, dalla barba fatta e gli occhi azzurri che spiccavano, guardò la ragazza dalla soglia.
Lei fece altrettanto, fissandolo senza spiccicare parola.
Al ragazzo venne voglia di batterle un colpetto per farla scuotere; ma per fortuna non ce ne fu bisogno, dato che lei balbettò, con lo sguardo a terra
-Ciao-
Damiano la osservava chiaramente sbalordito, ma la prima cosa che notò, inevitabilmente, fu il pancione ormai prominente che le sbucava da sotto la maglia.
-Che hai fatto?- chiese indicandolo.
-Te l’avevo detto- rispose la bionda, nervosa perché lui non sembrava proprio accogliente.
L’uomo la guardò negli occhi, e cercò di parlare. Non ci riuscì e indicò la porta.
-Entra dai-
Francesca lo seguì impacciata e non del tutto sicura di ciò che stava facendo.
Prima di farlo volse uno sguardo al ragazzo che stava seduto sul davanzale, e questo le rivolse uno sguardo di incoraggiamento, come a dirle ‘dai, puoi farcela’.
Poi chiusero la porta e Davide si ritrovò solo. Caspita, pensò, se lei non aveva la minima idea di cosa dire, e quelle tre parole erano le uniche cosa che era riuscito a dirle suo padre, si prospettava un dialogo misero. Chissà se avrebbero concluso qualcosa.
Nel frattempo, all’interno del’appartamento, una volta che Francesca fu entrata e la porta si fu chiusa, calò il silenzio totale.
Lei capì che doveva fare la prima mossa, ma temeva di dire la cosa sbagliata e farlo arrabbiare.
Si decise a fissarlo negli occhi.
-Ti devo domandare scusa- cominciò con voce sottomessa.
-Per cosa?- domandò lui.
-Mi dispiace di essermene andata di casa senza dire nulla- continuò, sempre tenendo gli occhi bassi.
Damiano la osservava e le labbra gli tremavano, come se avesse tutto da dire ma in quel momento niente che riuscisse a mettere insieme in una frase di senso compiuto.
Le si avvicinò, ma nei suoi occhi non c’era rimprovero, cattiveria, ma al contrario una gioia celata ben bene.
Allungò una mano e a metà la fece cadere come aveva fatto prima lei.
Francesca notò il suo gesto, e si sentì sollevata: non voleva né picchiarla, né dirle male parole.
-Damiano, mi dispiace, sul serio- disse con voce pentita, alzando per la prima volta gli occhi.
Ma lui non diceva nulla, perciò triste fece per girarsi.
Damiano le prese gentilmente un braccio, facendola voltare verso di lui.
-...come stai?- domandò con una voce leggera e preoccupata che non gli aveva mai sentito.
La ragazza alzò le spalle.
-Bene- disse, più interessata alla sua reazione.
-Ma... questo?- indicò il pancione.
-Aspetta, sediamoci, che ti racconto-
Così fecero, si sedettero su un divano e lei cominciò a raccontare per l’ennesima volta quella storia così impossibile, così strana e inverosimile da essere vera. Damiano la ascoltava, la ascoltava attento e mentre lei parlava incominciava a capire molte cose. Francesca con lui era sempre stata scontrosa, cattiva a volte, ma lui credeva fosse comprensibile visto che infondo lui era solo un surrogato mal riuscito dei genitori che non aveva mai potuto avere.
Verso aprile però questa reticenza iniziò a trasformarsi in qualcosa di più. A volte, parlandoci, la sentiva così distante che pensava che avesse incominciato ad odiarlo.
Invece capì tante cose, cose a cui non avrebbe mai potuto arrivarci con la sola immaginazione. Poverina, pensò triste. Lei era così, aveva questo problema e lui non se n’era né accorto, né l’aveva aiutata. Non aveva provato a capirla, a domandarle cosa c’era che non andava per paura delle sue risposte cattive.
Si sentì talmente colpevole, talmente spregevole, che gli venne voglia di interromperla per chiederle scusa, scusa di tutto, scusa per non essere riuscito a fare il genitore.
Ma visto che per la primissima volta era lei, lei a parlare e a raccontargli cosa veramente provava in quella testolina bionda che tante volte aveva baciato e accarezzato, ciò lo rese incapace di prendere l’iniziativa, restando come imbambolato ad ascoltarla.
Quando ebbe finito, lei alzò lo sguardo triste su di lui. Damiano in un primo momento si controllò, poi la strinse forte, forte in un abbraccio. E mentre l’abbracciava lei poteva sentire mormorate al suo orecchio tante parole, tante scuse.
Francesca sentì per la prima volta come un soffio nel centro del petto mentre lui la abbracciava, e si rese conto di cos’era.
Ricambiò l’abbraccio, grata.
-Ti voglio bene, papà- disse piano.
Anche se aveva fatto forza per non piangere, sentì distintamente una lacrima colarle sulla guancia, proveniente dalla testa. Ma non era sua.
 
Francesca lo prese per mano, conducendolo verso il portone.
-Voglio farti conoscere Davide-
Aprì il portone.
Davide era ancora seduto sul davanzale, a guardare tutto perso il poco cielo che si vedeva dalla finestra quasi chiusa. Se quei due ci mettevano così tanto, significava che stavano parlando, in un modo o nell’altro. A lui non restava che aspettare, aspettare e aspettare. Quando sentì la serratura scattare, scoprì che non vedeva l’ora che quella biondina tornasse con lui. Non seppe mai se era gelosia o cosa, perché non ebbe il tempo di pensarci.
Comunque, dalla porta uscì lei che tirava per mano Damiano.
Il ragazzo saltò giù dal davanzale, aggiustandosi i jeans e osservando i due.
-Lui è Davide- sorrise Francesca, complice al ragazzo.
Damiano lo guardò bene per un attimo. Lui era il ragazzo che l’aveva messa incinta; ma come gli aveva spiegato la ragazza, non era solo questo: lui era quello che l’aveva aiutata, che l’aveva capita e l’aveva convinta a non abortire. L’aveva ascoltata e non le aveva voltato le spalle, ma al contrario si era fatto carico delle sue paure. In sostanza Damiano aveva capito che era stato quel ragazzo la causa del cambiamento di lei.
Francesca domandò ad un tratto
-Senti mi fai scendere un attimo in macchina? Devo prendere una cosa-
Davide, preoccupato dallo sguardo del padre, non comprese subito il senso, ma poi impacciato le diede le chiavi.
-E attenta di non rompere nulla- le raccomandò.
Lei scese scoccandogli un’occhiata furba, e lui comprese troppo tardi cosa significava.
Deglutì perciò e osservò nuovamente l’uomo davanti a sé.
-Salve- disse, e pensò che sarebbe stato educato tendere la mano.
Damiano la strinse, ma non sorrise.
-Piacere. Io sono Damiano. Sono il padre di Francesca. Ma penso che tu lo sappia già-
Lui era preoccupato: infondo era stato lui a togliere, in una notte di ubriachezza, la verginità alla figlia. E come se non bastasse, l’aveva pure messa incinta. Se non altro, non avrebbe potuto, nemmeno a farlo apposta, dargli un’immagine peggiore.
Quindi non disse nulla, pronto alle parole e forse alle botte.
-Io devo ringraziarti-
Questa frase fu così inattesa che lui stupito e incredulo domandò
-Ah sì?- con tono scettico. Poi però si corresse in tempo aggiungendo –perché?-
-Francesca ha un carattere difficile. Non parla mica delle sue cose con tutti. Prima di oggi, non ne parlava nemmeno a me-
-Sì, lo so- commentò il ragazzo.
Damiano sorrise e lui si sentì sollevato.
-Ti devo ringraziare perché lei è cambiata. è cambiata ed è tutto merito tuo-
-Mio?-
Forse lui pensava che le avesse fatto chissà quali discorsi e prediche morali. Ma Francesca non era affatto cambiata. Si incavolava ancora, eccome. Soltanto, si fidava di lui e perciò si sentiva di potergli confidare tutto.
-Francesca non è cambiata. E io non ho fatto nulla. Io l’ho solo ascoltata- disse, chiarendo bene.
-E ti pare poco?- domandò l’uomo.
Ci fu una pausa e i due, il ragazzo e l’uomo si guardarono.
-Devi essere una persona speciale, tu. Se Francesca si fida di te, devi essere speciale. Non un ragazzo qualunque-
A questi insoliti e inaspettati complimenti lui arrossì parecchio, non disse niente ma sorrise timido a Damiano.
Per fortuna arrivò la ragazza bionda a spezzare la tensione creatasi.
Francesca salì le scale che la separavano dai due e si rivolse al ragazzo.
-Dai andiamo!-
Lui la guardò, enormemente sollevato che fosse tornata a portarlo via da quella situazione. Lo prese per mano e lo tirò verso le scale.
-Ci vediamo qualcuno di questi giorni- disse a Damiano.
-Salve- salutò imbarazzato lui, avviandosi sotto.
-Se vuoi io sto sempre qua-
Quando tornarono in macchina, la bionda sorrise a Davide.
-Grazie. Grazie. Grazie-
-Oh pure te? Mi basta tuo padre che mi ringrazia- commentò scherzoso.
-Se non fosse stato per te non ci sarei mai venuta qui. E non sai quanto mi sento meglio- disse, avvicinandosi e facendogli una faccia invitante.
-E cos’è ora quella faccia?-
-Niente. Volevo vedere se diventavi rosso-
-Ma smettila- borbottò lui, che rosso ci era diventato comunque.
 
Da quella prima ecografia, quella piccola foto nera che testimoniava il loro bambino, se n’era aggiunta un’altra. Agosto, il caldo torrido e soprattutto la città che si svuotava erano giunti prima che i due se ne rendessero conto.
Francesca ascoltava i suoi compagni raccontare di vacanze, mare, sole, abbronzature e divertimenti. Lei, col suo pancione di quasi otto mesi, era costretta a stare in casa. Ora non usciva più, perché si vergognava troppo del bambino. Davide non aveva ribattuto su questo punto, ma per lei era un grande sacrificio: ora non poteva nemmeno andare a giocare a carte la sera, con gli amici di Davide, e rimanere su quella panchina a dormire fino a mezzanotte. Le mancava, ma soprattutto ora lui usciva molto spesso. Quel suo corso per ragionieri lo impegnava parecchio.
Spendeva buona parte della mattinata lì, per poi tornare a casa e studiare sui libri formule e cifre di matematica aziendale.
Francesca di tanto in tanto si sedeva in cucina, dove lui studiava, e stava in silenzio, semplicemente guardandolo studiare. Di tanto in tanto poi, seduto a torso nudo per il troppo caldo, lo vedeva scrollare la testa e abbandonarsi all’indietro; ciò era quando non capiva qualcosa. E lei era contenta, perché si poteva permettere di disturbarlo, provando lei stessa a risolvere quel concetto. Al 30% ci riusciva, mentre al 70% ci ridevano sopra e bevevano una coca cola, un tè, una birra o qualunque cosa uscisse dal frigo, ghiacciata.
La sera, alle otto, puntuale come un orologio svizzero, lui si vestiva e usciva per andare a giocare a carte, lasciandola sola almeno fino a mezzanotte. E la stragrande maggioranza delle volte, quando lui tornava lei già dormiva.
Stavano insieme solo il pomeriggio, e le sembrava troppo poco. Prima non poteva vederlo e odiava la sua presenza, ora non riusciva a farne a meno.
Il caldo la deprimeva particolarmente, e per tutta la mattina non aveva la minima idea di cosa fare. Di uscire non se ne parlava, con quel pancione.
I suoi amici ad agosto andavano in vacanza, così addio compagnia. Perciò era contenta e stava bene quando c’era lui.
Sentiva sempre più vicino, come una scadenza da rispettare, l’avvicinarsi del temuto nono mese. E lei, per quella scadenza, non aveva preparato alcun progetto.
Non voleva ammetterlo né a se stessa, né tantomeno a Davide, ma aveva una paura matta; una paura così grande che a volte si sorprendeva a sperare che il bambino morisse così, di punto in bianco. Era solo per Davide, solo per lui che aveva deciso di tenerlo. Perché altrimenti la sua posizione non mutava.
A volte la mattina, quando non sapeva proprio cosa fare, osservava il suo ventre rotondo e gonfio. Guardava le fotografie del bambino, un fagotto raggomitolato, come diceva il ragazzo. Ma non era contenta, o fiera; lei voleva che quel momento del parto non arrivasse mai. Avrebbe desiderato che quei nove mesi non finissero mai.
 
Davide tornò presto, una di quelle calde mattine, e la prima cosa che fece fu togliersi la maglietta sudata, così da rimanere solo con i pantaloni.
Andò in camera da letto per cambiarsi, quando trovò una sorpresa. Francesca stava seduta sul letto, respirando ansante come quando si arrabbiava, e osservava il comodino della sua parte. Lui fece lo stesso, e si accorse con stupore che là dove avrebbe dovuto trovarsi un vaso di terracotta, non c’era nulla. Preoccupato, guardò a fianco del letto, e vide infranti sul pavimento tanti pezzi marroncini. Il vaso si era rotto.
Perplesso, spostò lo sguardo sulla bionda.
-Ma che...?- non finì manco di pronunciare la domanda, che subito lei scattò.
-Non lo so! Non lo so, va bene?- sbottò, infiammata –Non lo so che è successo! Stavo lì, e ho tirato la tenda e quello stupido vaso si è rotto!-
Si alzò in piedi e avanzò minacciosa verso il ragazzo che la osservò preoccupato e incredulo.
-Ma sai che ti dico? Sai non me ne frega niente! Non me ne fo**e un ca**o se si è rotto!-
E mentre lo diceva gli tirava del piccoli colpi contro il braccio.
Davide capì che era una giornata storta, e non disse nulla; cercò di attutire i suoi colpi con le mani. Me lei, a maggior ragione e spinta da chissà quale forza, continuava a dargliene. Si calmò solo quando lui le afferrò piano le mani, togliendole.
La guardò negli occhi, e lei sbuffando sfuggì lo sguardo e tornò a sedersi sul letto.
Cauto e sospettoso, Davide si infilò una maglietta a caso fra quelle che erano nel tiretto, e le si avvicinò piano.
Si chinò a raccogliere un coccio spezzato, esaminandolo, e poi tornò a sedersi accanto a lei.
-Non importa se si è rotto. A me manco piaceva- disse sorridendole.
-Se se- commentò ironica e rabbiosa. Non si capiva se era arrabbiata con lui, o con se stessa perché l’aveva rotto.
Lui pensò che forse non erano questi i motivi per cui era arrabbiata.
-Guarda che davvero, non mi importa. Non valeva nulla- cercò di calmarla.
Ma la ragazzina gli mollò un altro colpo, seguito da un altro, e da un altro pugno ancora. Il ragazzo si riparò con le mani, ma lentamente, come un allenatore di pugili contrasta i guantoni che gli piovono addosso.
-Che hai?- domandò con la voce bassa e calda che aveva quando dovevano parlare di cose importanti.
-Non ho niente! E non sono fuori di testa!- gli tirò un pugno più forte che gli fece male, stavolta.
Riuscì a prenderle gentilmente i polsi e a poggiarli giù.
Francesca sbuffò seccata, respirando forte come se avesse corso.
-Cos’hai?- ripeté.
Lei chiuse gli occhi, abbandonando le mani strette a pugno nelle sue. Poi lo guardò triste.
-Non lo so. Non sapevo che fare, mi annoiavo-
-Scusa- sciolse le loro mani e si chinò per raccogliere i pezzi del vaso, ma il ragazzo la tenne su.
-T’ho detto che non importa. Dimmi che hai-
-Mi annoiavo e non sapevo che fare- ripeté lei –okay, pensa che sono pazza- aggiunse.
Lui sorrise gentile, e con una mano le spostò i capelli che le cadevano davanti agli occhi.
La sua destra sfiorò la fronte della ragazza, permettendogli così di guardarla bene.
-Tu devi essere una specie di santo- disse con un sorriso malinconico la bionda, ricambiando il suo sguardo –o forse un angelo-
Davide di nuovo le spostò i capelli dalla fronte, in un gesto affettuoso, poi la fissò serio.
-Eh no- disse –troppo facile a dire così. Io non sono un santo. Io ti conosco. Lo so come sei-
-Una che si inca**a un secondo sì e l’altro pure-
Davide sorrise divertito e continuò a tenere gli occhi verdi nei suoi azzurri.
-Sei tu- disse, soppesandola scherzoso –e anche se volessi non credo che riuscirei a cambiarti-
Francesca lo osservò intensa per un attimo, poi sciolse le labbra in una smorfia divertita che lo contagiò.
-E poi sai, a me avevano detto che gli angeli avevano i capelli biondi e gli occhi azzurri-
-E chi te l’ha detto?- chiese ormai calmata lei, sorridendogli.
-Beh tu hai mai visto un angelo coi capelli scuri?-
-E poi- aggiunse la bionda –gli angeli non fanno pensieri sconci sulle cameriere-
Davide rise di gusto, poi si fece finto offeso.
-Perché io faccio pensieri sconci sulle cameriere?-
-Certo e anche sulle infermiere-
E anche su di te, pensò improvvisamente eccitato lui. Aveva negli occhi quell’espressione seria, intensa, liquida.
-E comunque quando sei qua non c’è pericolo. Io sono bruttissima. E pensa te, pure grassa come una balena- disse alzandosi.
Davide la guardò camminare in silenzio, troppo preso dai suoi pensieri, poi senza riflettere mormorò, stavolta con voce calda per l’eccitazione
-Non sai quanto ti sbagli-
Per fortuna lei non lo udì, perché continuò ad andare di là senza fermarsi.
Il ragazzo si riprese dal momento di deviazione e iniziò a raccogliere i cocci del vaso. Si era annoiata. Caspita.
 
La prima settimana del mese era passata così, senza eventi particolarmente emozionanti, ma da quella mattina Davide si era messo in pensiero. Si annoiava. Poverina, pensò, in effetti stare da soli, senza nessuno a casa, e senza poter uscire non doveva essere il massimo. Poi lei era una ragazzina, quasi diciassette anni. Insomma, era come se stesse in prigione. Qualche volta la accompagnava dal padre, ma sapeva che anche lì non si divertiva tantissimo. Dopotutto, le sarebbe piaciuto avere i suoi amici con cui passare il tempo, ma purtroppo erano tutti in posti troppo lontani da raggiungere, e per giunta con le famiglie. Il problema  principale era però che lei non voleva uscire con quel pancione. Siccome quello non sarebbe sparito prima di ottobre, non c’erano molte altre soluzioni.
Impegnato fra i bilanci delle aziende, il cibo da preparare, e la ragazza a cui stare attento, gli venne un’idea.
Sotto casa sua c’erano dei box; lui non ne era il proprietario, però aveva ottenuto uno spazio chiuso, una specie di garage, dove teneva alcune cose che non servivano. Per lo più erano mobili, e di tanto in tanto roba che a sua madre non serviva più.
Un giorno, senza farsi vedere, scese giù per cercare ciò che gli serviva. Passò più di un’ora a rovistare fra la polvere e il sudore, i ragni e l’odore di chiuso, ma alla fine, proprio quando aveva incominciato a pensare che sua madre l’avesse buttato, un lungo palo, e il suo corrispondente pezzo di sopra saltarono fuori.
Lo tirò fuori, e poi lo caricò nel bagagliaio, nascondendolo bene e stando attento che il portellone si chiudesse.
Tornò sopra, eludendo le sue domande con un abile dribbling e facendosi perdonare cucinando un bel pranzo.
Trovò il resto in casa, senza faticare troppo, ma ora arrivava la parte difficile.
Si era risparmiato un po’ di soldi e ora aveva intenzione di usarli.
Pregò intensamente che quel negozio non avesse deciso di andare in ferie, perché altrimenti sarebbe stata la tragedia.
Per sua immensa fortuna era aperto. Imbarazzatissimo come poche volte gli era capitato, entrò nel negozio. Domandò, esaminò e scelse, alla fine. Non era proprio sicurissimo di ciò che aveva fatto, ma ormai... era fatto.
Tornò in macchina sentendo ancora lo sguardo divertito della commessa.
Arrivò sotto casa.
Ora era la parte più difficile. Stette per dieci minuti in macchina a decidere il suo discorso, ma quando arrivò alla porta se l’era già scordato.
Entrò in casa, e trovò la bionda sdraiata sul divano scuro, la testa arrovesciata all’indietro e una mano che annoiata le tormentava la pancia.
-Ciao- lo salutò.
Davide le si avvicinò, tenendo una mano in tasca del bermuda.
Mandando il buonsenso e la timidezza a quel maledetto paese, le lanciò un sacchetto.
Francesca se lo vide arrivare accanto al viso, si tirò su e lo esaminò.
Lui si avvicinò al divano, osservando la sua reazione. Lei cercò dentro, guardandolo nel frattempo stupita.
Quando poi ne estrasse un reggiseno nero e il suo corrispondente pezzo di sotto, anch’esso nero, prima arrossì e poi spostò lo sguardo su di lui.
-è per te- spiegò, anche il ragazzo rosso in faccia.
-Per me?-
Lei arrossì, facendo una buffa espressione e schiudendo la bocca. All’improvviso sentì il cuore sbatterle sul petto, come se avesse deciso, in pieno agosto, di farsi una corsa.
-Ti servirà- aggiunse il ragazzo, desideroso di chiarire l’equivoca situazione.
-Perché?- domandò la biondina, facendosi scorrere il tessuto morbido fra le dita.
-Oggi andiamo a mare-
Quando, dopo qualche secondo, capì la sua affermazione, il suo volto si illuminò ad un tratto.
-Davvero?- esclamò, alzandosi di colpo.
-Sì-
-Ma quando?-
-Adesso. Dai vedi come ti va e poi scendiamo- le sorrise, compiaciuto della sua allegria.
Lei non se lo fece ripetere due volte, e si fiondò in camera da letto a provarlo.
Lui la aspettò dietro la porta, caricandosi la borsa col mangiare e quella con gli asciugamani  in spalla.
-Fatto-
La ragazza uscì dalla stanza e improvvisamente gli si seccò la gola. Francesca uscì senza nulla addosso, se non il costume; il quale non poteva evitare di mostrare la pancia rigonfia, ma nemmeno le belle gambe lisce e dritte che aveva, o le spalle piccole. O i capelli biondi che le cadevano sul corpo e sulla schiena. O il pezzo di sopra che non riusciva a celare del tutto le due rotondità che da sotto facevano capolino.
Non seppe dire quanto tempo rimase a fissarla estasiato, ma senza dire nulla, finché purtroppo una gonna corta e bianca, e una maglietta chiara le coprirono il corpo.
-Aspettami, ho quasi fatto!- gli disse, temendo che se ne stesse andando. Ma lui era imbambolato lì, ancora troppo stordito e sorpreso dalla visione precedente.
Quando poi si riprese, lei era ormai pronta, e soprattutto vestita.
Insieme scesero le scale, e anche se la ragazzina tutta contenta voleva aiutarlo a portare le borse, lui non glielo permise.
-Mi piace il costume. L’hai scelto tu?- chiese riparandosi gli occhi con una mano dal sole, mentre lui infilava le cose dietro.
-Sì-
-E perché proprio nero? Non c’erano altri colori?-
Davide arrossì a questa domanda e preferì rispondere con la verità.
-Mi piace come ti sta il nero- alzò le spalle.
Si fece molto rosso, ma per fortuna il sole cocente delle undici e mezza diede l’impressione che fosse solo colpa del caldo.
Poi si sedettero in macchina e partirono.
Davide era già un po’ colorito, in quanto passava le sue giornate al 50% fuori, e spesso con canottiere o addirittura senza maglietta, per il troppo caldo opprimente. Anche in viso era leggermente abbronzato, grazie alla sua abitudine di sedersi sempre accanto alla finestra durante le lezioni del suo professore.
Francesca invece, stando sempre in casa, all’ombra a causa del caldo, aveva la pelle bianca, chiara. Non certo aiutata dal fatto che, essendo bionda con gli occhi azzurri, la sua pelle più che abbronzarsi si scottava, non poteva permettersi di passare tanto tempo al sole.
I due finestrini anteriori, aperti, lasciavano scorrere sui loro volti sudati l’aria violenta, che se non era proprio fresca, almeno dava loro un minimo di respiro.
Davide teneva lo sguardo sulla strada, e un braccio fuori dal finestrino, annoiato. Che seccatura, organizzare tutto quello; cercare tutto il necessario, scegliere il giorno adatto, non farle capire nulla per cosa poi? Per una giornata a mare, estremamente spossante per lui che avrebbe voluto volentieri stare a dormire tutta la mattina nel letto, senza fare nulla.
Francesca, contenta di non dover passare la mattina a casa, ad annoiarsi fino al suicidio, lo guardò, poi disse
-Ma tu non odiavi viaggiare?-
Lui sorrise, sarcastico, senza smettere di fissare la strada.
-Io non odiavo. Io odio viaggiare- precisò.
-E allora come mai hai deciso che oggi dobbiamo andare a mare?- domandò con una punta di malizia nella voce, conoscendo già la risposta ma desiderando umiliarlo.
Lui infatti arrossì e arricciò il naso, facendo una smorfia altezzosa.
-Oh quante cose che vuoi sapere...-
Lei rinunciò ad ottenere quella confessione, ma dentro di sé gli fu enormemente grata. Distrattamente, come un tic a cui non ci si può opporre, con la mano sinistra si accarezzò la pancia.
 









Grazie a tutti quelli che leggono, recensiscono, e hanno messo la storia nei preferiti.

Ergo, vediamo un po'...
vero15star: Caspita, che bel commento, grazie davvero. "è come se ci credessi sul serio in quello che scrivi" come se tutto questo fosse realtà... ecco, devo dire che questa frase mi ha veramente fatto piacere, mi hai fatto dei complimenti che farò fatica a scordare. Grazie per averla condivisa con voi? Oh no, sono io che vi devo ringraziare.

FeFeRoNZa: eh bé, che vuoi farci, è la vita... se la scena di prima è stata romantica? ah boh, non saprei, tu puoi vederci quello che ti pare... Io credo che tu abbia un'idea parecchio "positiva" di Davide, parecchio parecchissimo... bè giudica tu come s'è comportata Francesca.

Devilgirl89: ciao Domizia. Mi vorresti abbracciare forte-forte? Stà attenta di non stritolarmi... "il rapporto tra Fra e Davi?" Davi? Come sarebbe a dire Davi?  

Come puoi leggere Damiano ha perdonato largamente Francesca... e sì, lei era pentita di averci litigato. Grazie dei tuoi complimenti, e no, gli amici delle carte non sono i miei veri amici. Come ti ho detto solo i due protagonisti sono ispirati...

marghepepe: quando aggiorno tu fai "tarzan sulle tende"? ahahaha che forza, ma tua madre sarà d'accordo? io quand'ero piccolino ci provavo ma lei non era un granchè contenta...

Inizi ad adorare Francesca? Oh che bello, e pensare che lei vi aveva tutte contro all'inizio. Non so se i capitoli sono l'uno più bello dell'altro. Anzi, sicuramente non lo sono, ma mi piace credere a quello che hai detto.

Marty McGonagall: sua massima bontà mi concederà anche di conoscere il suo parere per questo capitolo? Lo spero tanto e spero che non ecceda nell'essere smielosa...

"Il caro e innocente Davidino"? Come sarebbe a dire Davidino? Andiamo, non lo trovi...... orribile? Credo che Davide non sarebbe un uomo se non iniziasse a fare questi pensieri...no? Wow, tu accendi il pc due volte al giorno per controllare? Mi sento onorato. Ah certo, tieni pronte le trombette, gli striscioni e i fumogeni...

wanda nessie: da cani e gatti ad angeli? Beh... non saprei se sono proprio angeli... eh già, c'è voluta una bella fatica per convincere quella testa bionda, ma ce l'ha fatta ed è un bel traguardo non credi? Ehm... io? Bambini? La prossima volta che metterò queste due parole vicino sarà tra molto molto molto molto molto molto tempo...


Miss Queen: Buongiorno fanciulla. Visto che alla fine Francesca non è così cattiva? Beh magari solo un poco... Grazie d'aver recensito.


Jiuliet: che bello che tu abbia apprezzato quella frase, ed è molto profondo quello che dici. "Ora deve perdonare se stesso per un peccato che non ha commesso e essere un padre per suo figlio ed un compagno per la sua Francesca." Wow, neanche io che l'ho scritto sarei stato capace di trovare questa sintesi. Brava, e grazie. Sono felice che ti piaccia come loro si 'trovano'.

 
  
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