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Autore: achilles29    12/07/2016    0 recensioni
Titolo e intro modificate. Ex titolo: Ways to love
Tratto dalla storia:
In lontananza sentiva il rimbombo dei fuochi d’ artificio, ma per lei, poteva anche essere il suo cuore che batteva all’ unisono a quello di Percy.
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...una preghiera sulle labbra a qualsiasi dio dell’ Olimpo per salvarlo. Per fare in modo che la notte d’ amore appena trascorsa non fosse l’ ultima.
**********
Ci sono una decina di bicchieri sull’ orlo del tavolo, illuminati dal baluginio delle candele; dieci bicchieri ormai vuoti, con il fondo lucido di liquore, ed un undicesimo in disparte, ancora asciutto, vuoto … la bottiglia a fianco è ancora piena per metà …
**********
Rimangono zitti, storditi dalle parole dette, fino a quando il cielo comincia a tingersi d’ arancio, e lasciano il salone per tornare alle rispettive case, stringendosi la mano un po’ più lungo di prima.
*********
Raccolta di One shot, tutte dedicate a coppie crack pairing all' interno del Mondo dei semidei.
Inspirata dalla storia Crack Paring- coppie improbabili di Ari_Messi10, a cui ho chiesto il permesso per la pubblicazione della mia raccolta, e che vi consiglio di leggere.
Genere: Fantasy, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SUPERHERO          

Personaggi: Percy Jackson, Jason Grace, Un po’ tutti
Coppia: Percy/Jason (Jercy)– Solangelo appena accennata
Rating: Giallo
Genere: Romantico, Drammatico
Avvertimenti: Nessuno. Bhe, no, uno ci sarebbe. Nel fandom di Percy Jackson, vi è un' altra Jercy, che tratta anch' essa il tema del cancro. Il mio non vuole essere assolutamente un plagio. Ho contattato l' autrice, che però non mi ha ancora risposto. Aspettando il tutto, ho deciso di pubblicarla, dato che è da giorni che mi impegno per finirla. Giudicate anche voi: se pensate che sia un plagio, contattatemi immediatamente. Mi impegnerò a cancellare questa storia.
Disclaimer: Tutti i diritti appartengono a Rick Riordan; rivendico mia solo la situazione
 
“Manca poco ormai, sai?” Il suo tono lo spaventa: non gli ha mai parlato in quel modo, mai, nemmeno prima della battaglia contro Gea; è tutto troppo surreale, come uno di quei strani film dell’ orrore di serie b che ogni tanto vede con sua sorella Thalia,.
I suoi occhi li vede solo attraverso il riflesso della finestra: due centimetri di vetro a dividerli dal resto del mondo, un muro invisibile che non riesce a superare.
Sotto di loro, le luci abbaglianti di New York e il movimento incessante di migliaia di anime mai ferme; dopotutto, è la città che non dorme mai, giusto?
Dietro di lui, dall’ altra parte della porta, sente il vociare dei semidei lì riuniti, romani e greci, riuniti nella hall dell’ Empire State Building, stranamente deserto eccetto loro.
Sono solo loro due in quella stanza; due semidei, e tanto, troppo silenzio.
“Non sappiamo ancora se l’ attacco sia casuale o comandata da qualcuno di più potente dei mostri…”
“Davvero Jason… ormai dovresti saperlo…”
“Sei troppo fatalista”
I tre metri che li separavano si sono ridotti ad una cinquantina di centimetri. Gli mette una mano sulla spalla, da conforto, e l’ altro si volta piano, quasi spaventato.
Non li ricordava così grandi e lucidi i suoi occhi; non ricordava nemmeno le occhiaie che ora marcano la pelle attorno agli occhi: indelebili, incancellabili.
Ricorda solo il suo sorriso, serafino, da piantagrane, che tanto gli ricorda quello dello Stregatto.
Gli scosta il braccio, con leggerezza: “Ma smettila Grace…”
Riesce a vedere la pelle tendersi sul dorso della mano, con le vene in rilievo di un blu tanto scuro quanto l’ inchiostro.
E’ tutto sbagliato, come l’ assolo di una chitarra scordata, un’ eco stonato che riecheggia nel cervello:” C’ è qualcosa che non va?”
Vede la sua schiena tremare, un sussulto per una domanda che di certo non si aspettava:
“No… niente di importante” e lascia correre, perché forse sta per iniziare un’ altra guerra, e all’ improvviso la sua gli sembra una domanda idiota. Lascia il braccio inerte accanto al fianco:
“Ne sei sicuro? Davvero,se avessi bisogno di qualcosa…”
Quasi scoppia a ridere, e lui sente il sangue ribollire per la rabbia:
“Sei la solita chioccia protettiva… non imparerai mai… torna tranquillo tra le braccia della tua Piper…”
La rabbia si tramuta in imbarazzo:” Sei il solito rompiscatole Jackson!”
Lo sente ridere, sottovoce, prima di andarsene.
Solo più tardi ricorda di essere andato in quella stanza solo perché Percy lo aveva cercato.
 
Quando gli dei sentenziano che l’ attacco è manovrato, in tutto la Sala dei Troni si diffondono le voci, caotiche e concitate, dei ragazzi dei due campi. Cominciano a pianificare la guerra, a organizzarsi… Quando si volta, cercandolo con lo sguardo, lo trova all’ ombra di una colonna: il sorriso che gli rivolge sa molto di sfottò:
Te lo avevo detto Grace
Gli passano davanti due figli di Marte, e quando torna con lo sguardo a cercarlo, al suo posto non trova altro che ombre.
 
Quando tornano, rimangono tutti al Campo Mezzosangue, perché il Campo Giove è in gran parte da ricostruire. Non può fare a meno di paragonare la barriera invisibile, al fiume impetuoso che fa da confine rispettivamente ai due campi.
La casa dei figli di Zeus è fredda e impolverata, dato che su a sorella è in continuo viaggio con le Cacciatrici di Artemide, e non fa altro che acuire il peso opprimente che avverte sul petto.
Si stende su uno dei letti, immobile, concentrandosi sulle voci dei campeggiatori, per non soccombere a quei suoi pensieri che a un certo punto sono diventati ingombranti.
Gli rimane dietro alle palpebre, come un’ immagine residua, un volto pallido e due occhi troppo lucidi.
 
“E’ iniziata la guerra, ragazzi miei…” suonerebbe banale e melodrammatica detta da qualcun altro, ma non da Chirone, alle cinque del mattino e con la consapevolezza che alcuni dei “miei ragazzi” ora sono al confine a respingere un’ orda di mostri, quei ragazzi nottambuli o dal sonno leggero che hanno saputo distinguere il respiro affannoso di una Manticora dal fruscio del vento.
Non resta che aspettarli… aspettare e sperare di non farlo invano: è così che va la guerra; un mostro rabbioso che ti scava nel petto strappandoti tutto ciò che hai ancora di buono, lasciando al suo posto un vuoto. Incolmabile, irreale, quasi come quello che gli sembra di avvertire al suo fianco sapendo che Percy non è lì.
 
Quando torna, è talmente pallido che quasi gli sembra di venire incontro ad un fantasma; lo guarda, sorride, quasi sardonico, nell’ alba che tinge l’ orizzonte.
Gli rivolge un cenno di intesa, sfinito, prima di sparire, inghiottito dal chiaroscuro tra gli alberi e il sole nascente.
 
Lo trova in bagno, ad un’ ora assurda della notte, piegato in due sul water alla fredda luce del neon: ha i capelli appiccicati sulla fronte e alle tempie, e il corpo scosso dai conati di vomito.
Quando si rialza, appoggiandosi pesantemente al muro di piastrelle, gli prende un braccio e se lo porta dietro il collo, spostando tutto il peso sulle sue spalle.
Lo guarda, quasi febbricitante, mentre cerca di scostarsi da lui.
“Non pensarci nemmeno…” lo sta fulminando con lo sguardo, letteralmente, e quasi sente le scintille volare fuori dal suo corpo.
Lo trascina quasi di peso fino alla sala mensa, in silenzio, attento a non farsi beccare da un’ arpia, anche se in cuor suo sa che come lui centinaia di altri semidei saranno in piedi, tesi, nell’ attesa di un’ alba a volte tanto attesa e altre quasi disprezzata.
Si siedono al tavolo di Poseidone, tutti e due, mandando al diavolo tutte le regole e gli dei, ma conoscendo in cuor loro che in guerra tutto ciò è comunque irrilevante.
Irrilevante: come il cameratismo di Percy, che ora se ne sta zitto, guardandolo negli occhi, fisso, alla ricerca di qualcosa che Jason non saprà mai.
“Vuoi qualcosa?”
Gli sorride sghembo, e alla luce delle fiaccole gli pare sfinito e inerme.
“Andrebbe benissimo un bicchiere d’ acqua”
Glielo porta appannato dal gelo, e il ragazzo se lo porta alla fronte, cercando di attirare del fresco attraverso il vetro, alla pelle bollente nonostante i brividi, forse di freddo, o forse di stanchezza.
Trangugia tutto a piccoli sorsi, sempre in silenzio, mentre Jason guarda dappertutto tranne che dalla sua parte. Quando finisce, non lo bombarda di domande, non gli urla davanti… solo 3, semplicissimi interrogativi, e un pugno nello stomaco per ciascuno di essi.
“ In quanti lo sanno?”
“ Solo tu, credo… no, aspetta, anche Will Solace, il fidanzato di Nico, figlio di Apollo.”
“Da quanto tempo?”
“All’ incirca un anno, forse meno… poco dopo la sconfitta di Gea.”
L’ ultima domanda, gli costa una certa fatica, le parole quasi soffocate dal nodo che ha in gola:
“ Quanto tempo…” Non riesce a dirlo, ma sa che l’ altro ha perfettamente capito. Lo guarda con occhi acquosi e incespica a parlare:” Non lo so”.
E’ la consapevolezza, quella che vede nel suo sguardo; consapevolezza, e l’ eterna paura di mostrarsi senza armatura, scoperto… il voler mostrarsi forte e invincibile nonostante tutto, anche quando non vorresti fare altro che crollare.
Attorno a loro le ombre danzano al ritmo della fiammella dell’ unica torcia accesa in tutto il salone, che non gli è mai parso così grande e vuoto.
“Sai che non ti lascerò vero?”
Annuisce, stanco, dopotutto lo conosce bene… forse fin troppo.
“Non voglio trascinarti nell’ oblio con me… se mi aggrappassi a qualcuno so già che non riuscirei più a lasciarlo andare”.
“Lo so… ed è per questo che non ti lascerò solo…” Rimangono zitti, storditi dalle parole dette, fino a quando il cielo comincia a tingersi d’ arancio, e lasciano il salone per tornare alle rispettive case, stringendosi la mano un po’ più lungo di prima.
 
Ci sono giorni in cui sta bene, più o meno, e quasi sembra di essere tornati indietro nel tempo. Giorni in cui, nonostante la guerra, sono tranquilli, perché sanno che tanto moriranno comunque, e sono meglio loro che bambini e ragazzi…
Ci sono altri giorni in cui per farlo rimanere in piedi a volte deve tenerlo per il passante dei pantaloni; e allora lui ride, in modo disfatto, si gira di colpo e sussurandogli nell’ orecchio gli da dell’ eroe e lo chiama SuperJason; e allora è più difficile trattenere le lacrime.
Partecipano a tutte le battaglie, senza riserve, e tra una lotta e l’ altra Percy trova anche il tempo di vomitare persino l’ anima, e Jason quello di prenderlo e trascinarlo dritto alla mensa, per fargli mangiare qualcosa, prima e dopo quel macabro rituale ormai di routine.
Si rannicchiano in un letto, stretti per non cadere, o in una o nell’ altra cabina, con un portatile davanti e una pila di film a fianco, quando gli antidolorifici sono troppi e portano con loro tanta sonnolenza, lasciandoli in quella strana posizione fino al mattino successivo.
Gli altri non si fanno troppe domande; o se le fanno, di certo a lui non sono arrivate. Vede solo passare davanti a lui il tempo che scorre, come una manciata di sabbia in balia del vento, mentre guarda Percy consumarsi simile alla fiamma troppo vivida di una candela.
 
“Chirone, non so se riuscirò ad arrivare alla fine…”
Si sente un ladro a nascondersi così, dietro la porta dell’ ufficio del Centauro, ma non riesce a staccarsi, non quando dall’ altra parte c’ è Percy, rintanato lì a notte fonda, per parlare al suo Mentore senza farsi sentire da orecchie indiscrete.
Non riesce a vederli in viso: può solo immaginare il volto di Chirone e la stanchezza nei suoi lineamenti.
“ Fermati Percy, puoi ancora farlo… puoi ancora fermarti figliolo…” La voce di Chirone è stanca e preoccupata: ha visto centinaia di semidei morire, ma Jason crede che nessuno di essi abbia mai vissuto una cosa del genere. Ha paura, una paura folle e irrazionale della sua risposta.
“Non funziona Chirone” la voce gli si incrina in un singhiozzo:”La cura non sta funzionando…”.
E’ come cadere nel vuoto: i polmoni gli si svuotano d’ aria. Aspetta con ansia il seguito della risposta, una spiegazione, disperato, ma non arriva nulla, solo singhiozzi a stento soffocati. Vorrebbe consolarlo, ma rimane li, immobile e zitto, con le lacrime agli occhi. Sente un fruscio di stoffa e metallo, e immagina che Chirone si sia avvicinato al ragazzo per stringerlo.
Non basterà, si dice. Non basteranno forza o amore a tenero ancorato a questa terra.
 
 Fa davvero caldo. Davvero troppo caldo; e nonostante il sole cocente, nell’ assenza di ombre all’ interno dell’ arena, ci saranno una trentina di giovani semidei, tutti con un’ arma in mano.
Bambini con lo sguardo tenace e in mano una spada grande il doppio dl loro braccio. Eppure non si arrendono, e ci provano e riprovano con tutte le loro forze, mentre lui e Percy girano tra le coppie che hanno formato per allenarsi e correggono andatura o posizioni sbagliati.
Ogni tanto incontra i suoi occhi; sono stanchi, cerchiati, ma nonostante tutto non si ferma nemmeno per un attimo.
Jason sa che fa male: è una tendenza autodistruttiva, un bisogno esasperato di aiutare gli altri per non concentrarsi troppo su se stessi. Ma non riesce a farglielo notare. Lo sa.
Per lui non è altro che un modo come un altro per sentirsi vivo.
Aspetta il tramonto, quando tutti se ne sono andati: lo prende di spalle, gli sussurra che non può continuare così.
L’ altro si gira, gli sorride in modo quasi sarcastico.
“Ma certo, Superman…”
Non può che sbuffare esasperato, mentre lo prende per mano e lo riporta alla cabina di Poseidone, borbottando su quanto Percy non assomigli di sicuro a Louis Lane o a Wonder Woman *
 
“Sai Jason, fin dalla prima volta che ti ho visto, pensavo fossi un supereroe…”
“Davvero?” Non fa troppo caso a quello che sta dicendo, al buio nella casa di Poseidone, stordito dalla stanchezza e da non sa quali pillole gli abbia dato Will.
“Eri troppo bello… troppo perfetto… ti odiavo perché eri ciò che io non sarò mai…”
“E sarebbe?”
“Credevi abbastanza negli Dei da riuscire a credergli ed a ubbidirgli senza riserve…forza… rigore… ubbidienza agli Dei… sai sempre importi qualsiasi regola, anche la peggiore, tutto perché sei Romano”.
Lo guarda, stupito, con gli occhi spalancati.
“Io invece ti invidiavo perché eri riuscito in poco tempo a conquistare ciò che io avevo ottenuto in una vita…”
Si volta a guardarlo, in controluce rispetto alla luna, e non riesce più a capire a che cosa stia pensando.
“Promettimi che li proteggerai”.
“Non dovresti dirglielo?”
Squote la testa, sfinito, mentre gli si avvicina per non farsi sentire.
“No… è meglio così, non voglio che lo vengano a sapere, non mi farebbero più combattere…”
“E allora?” Cosa c’ è di sbagliato nel ritirarsi per provare a curarsi nel tentativo di sopravvivere?
Gli mette appena due dite sotto il mento, per farlo voltare nella sua direzione, per guardarlo negli occhi: due iridi celesti che si scontrano con le profondità negli abissi.
“Guardiamoci in faccia… ormai è inutile… non sacrificherò un’ altra vita per la mia. Non manderò al macello dei bambini per tentare una cura ormai infattibile”
E’ come un pugno nello stomaco: non pensava fosse così grave, e di certo, non pensava fosse già tutto scritto e deciso… le Parche stavano già giocando malignamente con il filo della sua vita.
Lo stringe forte, nella paura che il vento o l’ oscurità potessero portarglielo via.
 
 
“Se si sente male, devi dargli queste” La bottiglietta che sta stringendo tra le mani è piccola e fredda, con l’ etichetta plastificata scivolosa tra le sue mani. Davanti a lui, Will lo sta riempiendo di istruzioni su come e quando usarle, con un gergo medico che lui proprio non riesce a comprendere.
Non sa nemmeno perché il figlio di Apollo gli abbia affidato questo incarico, e quando glielo chiede, l’ altro gli sorride, come se stesse per spiegare una cosa ovvia.
“Perché tu ci tieni, e lui si fida di te abbastanza da non allontanarti…” e se ne va, lasciandolo solo, lui e quella bottiglietta troppo piccola ma stranamente pesante.
 
Stanno vincendo; battaglia dopo battaglia, al nemico non rimane altro che un ultimo baluardo di difese, difese che loro stanno progettando di abbattere per l’ indomani.
Sono tutti nuovamente riuniti nell’ Empire State Building, a progettare l’ attacco con gli Dei.
Jason però non se l’ è sentita di lasciarlo solo. Non ora, e non così.
Rimangono quindi sono loro, in quella stessa stanza in cui gli sembra di essere stato un secolo prima. Sono seduti assieme, tra quattro mura al buio, mentre la luna sale e sotto di loro il traffico si fa meno intenso.
“Domani combatteremo per il mondo…” è un’ affermazione scontata, quasi banale, ma non può fare altro che affermare la realtà. Forse lo sta ascoltando, forse no: è da giorni che sta peggio del solito. Sa che domani ci sarà l’ atto finale, ma non può fare altro che pensare al presente.
Al loro presente: con la schiena di Percy contro la sua, mentre aspettano in silenzio la venuta di un’ alba tanto attesa quanto terrorizzante.
“Lo so… combatteremo per un mondo per cui noi nemmeno esistiamo.”
Fa male la consapevolezza. Dargli ragione sarebbe un’ ennesima stiletta al cuore. Preferisce annuire e rimanere zitto, senza sapere cosa dire.
Percy vorrebbe riderne: tanto forte e potente, ma nel profondo è un impacciato timidone.
“Mi mancherai” si gira, e Jason si aspetterebbe un sussurro, una risate, mentre invece si trova le sue dita nei capelli e le sue labbra sulle sue.
Rimane interdetto, ma non dice nulla, senza scostarsi da lui.
E’ un bacio che sa di morte e di speranza: la salvezza del mondo mentre lui spira; l’ ultimo dono da un amore sempre più trasparente ed evanescente.
Quando si staccano, per l’ assenza d’ aria, ha le lacrime agli occhi: non basterebbe un Ti amo; non servirebbe, non ora, e non così.
Gurardarlo negli occhi è una tortura, ma non riesce a scostare lo sguardo.
“Sei la mia Kriptonite, Jackson” sorride, da piantagrane. Lo tiene stretto, per non farselo portare via.
Dalla morte, dalla guerra… Non sa nemmeno lui da cosa. Sa solo che se l’ indomani andrà in battaglia, non  tornerà più.
“Non andare… ti prego Percy, non andartene via” Non sa cosa dire, cosa aggiungere. Spera solo che per una volta, per l’ ultima volta, lo ascolti.
E’ testardo: quasi cocciuto; questo Jason lo sa. La negazione non è altro che un’ ennesima affermazione.
Per dovere, per principio, per coraggio… non rinuncerà.
Il suo difetto fatale è la fedeltà agli amici.
Ma nemmeno gli Dei avrebbero potuto prevedere questo; solo le Parche: che mentre loro parlano staranno lustrando le forbici d’ argento, nella loro sperduta e sicura grotta, preparando centinai di stringhe per tranciarle irrimediabilmente.
Vorrebbe urlare ma sarebbe tutto inutile.
“Rimarrai con me?” è un sussurro flebile, nell’oscurità che va schiarendo. Annuisce, stringendogli la mano, lasciandogli un ultimo bacio sull’ angolo delle labbra, là dove iniziava a sorridere quando nei tempi ormai passati, si divertivano tutti insieme al Campo Mezzosangue.
Rimangono lì, stretti, senza dirsi una parola. Aspettando una chiamata alle armi che forse sarà l’ ultima: un ‘ ultimo sorriso prima della fine.
“Addio, SuperJason”


Note dell' autore (di nuovo)
* Wonder Woman e Louis Lane sono rispettivamente la prima e la terza partener di Superman. Ce ne sarebbe un' altra, ma ho preferito mettere queste, forse perchè ho appena iniziato i fumetti Dc Comics. Sono spiacente per qualsiasi errore potrebbe derivare da questa scelta.
La storia si inspira al libro Morte di un supereroe, che però io non ho letto, dato che me lo deve ancora prestare un mio amico: proprio quest' ultimo mi ha dato l' idea, e mi ha raccontato brevemente il tema del libro, senza spoilerare nulla. Spero che vi piaccia; se siete arrivati fino a quest punto, grazie per aver letto la mia storia.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
   
 
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