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Autore: Ella Rogers    12/07/2016    6 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Ricapitolazione
 
Diverse ore prima.
New York.
 
“Ci hanno trovati. Hanno circondato il palazzo e Clint è ferito. Devi farti venire un’idea abbastanza buona per tirarci fuori da questo casino. Noi cercheremo di resistere.”
“Non tarderò.”

 
 
 
Mancava poco ormai alla Tower. Non aveva potuto viaggiare a massima velocità, perché il livello di energia dell’armatura era pericolosamente basso. L’uso dei pannelli retroriflettenti, inoltre, era parecchio dispendioso, ma rinunciare all’invisibilità avrebbe significato compromettere la missione.
Anche se, dopo la chiamata di Natasha, essere compromessi era già un dato di fatto.
Doveva rimanere calmo e ragionare, stilare una lista mentale delle cose da prendere e non farsi distrarre da pensieri poco felici.
Se il Consiglio o l’Hydra - o entrambi - avevano attaccato la casa sicura, c’erano poche spiegazioni plausibili.
O erano riusciti a scovarli, dopo giorni di ricerche, ed erano quindi venuti ad arrestarli.
O Ross non aveva creduto alla messinscena della Hawley e aveva agito di risposta.
O avevano sempre saputo dove la squadra - quel che ne rimaneva - si era nascosta ed era successo qualcosa che li aveva costretti ad agire in anticipo. Ma se li avevano tenuti d’occhio fin dall’inizio, di conseguenza i bastardi sapevano del fatto che Tony fosse diretto alla Tower per il recupero del frammento di energia del Tesseract.
 
La vista della Tower che si stagliava contro l’orizzonte lo strappò per un attimo dalle sue congetture.
Ormai era tardi per tornare indietro. Ed era tardi anche per pensare a un piano di fuga.
Piano? Da quando pensava ad elaborare piani d’azione? Avrebbe agito in pieno Stark style, ovvero ‘Io ho un piano: attacco.’
 
La Tower era circondata da transenne gialle, quasi come fosse la scena di un crimine. C’erano almeno dieci uomini all’entrata e altrettanti sulla piattaforma di atterraggio, dove era posizionato il Quinjet.
C’era anche un altro jet lì sopra. Brutto segno.
 
“JARVIS, quante persone all’interno?”

“Rilevo dodici presenze nel suo ufficio personale. Vuole che attivi il Protocollo Sentinella, signore?”
 
“No. Prima dello sfratto, è educato inviare un avvertimento.”
 
Tony atterrò in quel momento sulla piattaforma, alle spalle dei soldati in nero, i quali ovviamente non poterono vederlo.
L’armatura era ufficialmente in riserva di energia.
La porta a vetri che accedeva direttamente al suo personale ufficio era aperta e riuscì facilmente a riconoscere alcuni volti tra i nuovi abusivi inquilini.
Henry Benson era comodamente seduto su una delle poltrone in pelle dinanzi la scrivania, mentre dietro di essa, seduto sulla sua sedia girevole - come un maledetto usurpatore - c’era il caro vecchio Senatore Stern, con quella sua faccia da orticaria e l’aria baldanzosa.
In piedi, al fianco di Benson, era presente Brock Rumlow, l’accanito seguace dell’Hydra che Wilson aveva definito fuori di testa - quello che si era portato via Steve.
Oltre gli otto soldati armati sparsi per la stanza, tutti impettiti e sull’attenti, c’era anche una donna dai capelli scurissimi e gli occhi verdi. Aveva un’aria assente e continuava a stringersi nel suo lungo cappotto grigio, dando l’impressione di voler sparire.
 
“Non posso credere che ve lo siate lasciato scappare. Questo errore ci compromette tutti” sputò fuori Stern, con un certo fervore.
Era rabbia quella che gli incrinava la voce e le rughe profonde sulla sua fronte erano espressione di una radicata ansia.
 
Tony rimase immobile, appena oltre la porta a vetri. La parola errore era stata sufficiente ad attirare la sua attenzione. Quella poteva essere una buona occasione per capirci qualcosa, per ottenere informazioni utili a tirare fuori i Vendicatori dai guai.


“Non era prevista l’intromissione del Soldato d’Inverno. E sembra che ci siano state controversie con l’Esterno” fu la pacata replica di Benson, che stava palesemente cercando di nascondere l’irritazione dietro una facciata neutra.
Stern emise un verso frustrato e si passò una mano sul viso, asciugandosi la leggera patina di sudore che gli bagnava la pelle.
“Lo voglio morto, quel piccolo figlio di puttana.”
“Non spetta a lei decidere. Schmidt ha espressamente chiesto di tenerlo in vita. Sai fin troppo bene che necessitiamo dell’Arma Zero” asserì Benson, asciutto.
 
“Il ragazzo ha visto in faccia alcuni tra i più importanti capi militari dell’esercito americano, oltre che alcune personalità di spicco della CIA e dell’FBI. Li ha visti mentre si godevano lo spettacolo che Schmidt ha organizzato, per dare prova delle capacità della nuova arma. Steve Rogers va eliminato.”
Stern si era alzato dalla sedia e teneva lo sguardo fisso in quello del commissario del Consiglio. Non sembrava intenzionato a contrattare oltre. La sua era un’imposizione e Benson sapeva che Schmidt non l’avrebbe presa affatto bene, perché mai si sarebbe accontentato del corpo esamine di colui che riteneva a tutti gli effetti la sua nemesi.
 
“Ho contattato Ross ore fa. Adesso i suoi uomini stanno assediando il nascondiglio dei restanti Vendicatori e la notizia si diffonderà velocemente, dato che sono stati avvisati giornalisti e televisioni. Non appena Rogers saprà che i suoi amichetti sono in pericolo, li raggiungerà e saremo lieti di riaverlo con noi.”
Il lineare discorso di Henry fece scuotere il capo a Stern, che si rimise seduto, lisciando la giacca del completo scuro.
Era evidente che tra i due c’era una certa tensione derivante da un’insana corsa al potere. Entrambi miravano ad imporsi l’uno sull’altro, senza avere la minima idea di cosa significasse veramente la parola collaborazione. Era un continuo conflitto di interessi, un conflitto che si stava consumando all’interno della medesima organizzazione, un conflitto che ne danneggiava irrimediabilmente le fondamenta.
 
“Siamo riusciti a tenere Ross buono con la promessa di un esercito di super soldati e consegnandogli Bruce Banner. Controlliamo il Consiglio Mondiale della Sicurezza e abbiamo sedato ogni opposizione grazie allo scettro di Loki. Muoviamo a nostro piacimento intere sezioni dell’esercito e dei servizi segreti. Nemmeno con Pearce, che si trovava ai vertici dello SHIELD, l’Hydra aveva mai raggiunto tali posizioni di potere. Eppure non riusciamo a tenere sotto controllo un dannato ragazzino con lo scudo e la sua dannata combriccola di pazzi. Ancora non capisco perché non avete attaccato prima i Vendicatori rimasti.”
 
Tony storse parecchio il naso nell’ascoltare la brillante definizione che Stern aveva riservato ai Vendicatori. Al tempo stesso, però, era oltre ogni limite soddisfatto di sapere che Rogers fosse riuscito a sfuggire a quei bastardi.
Solo che il Capitano sarebbe tornato nelle loro mani, se si fosse precipitato a salvare il resto della squadra, e Stark poteva scommettere la sua stessa vita sul fatto che quell’Idiota imprudente non ci avrebbe pensato su nemmeno mezzo secondo, prima di precipitarsi a soccorrere i suoi compagni.
 
Steve aveva debolezze imprescindibili, per le quali diveniva maledettamente vulnerabile. Stark doveva già fargli una bella lavata di testa per aver distrutto la ricetrasmittente.
Frena! Ma non era Rogers quello che faceva le lavate di testa? Da quando le parti si erano invertite? Oh, le cose continuavano a degenerare.
 
“Non sapevamo dove i rimanenti Avengers si fossero nascosti. È stato un caso. A Washington ci sono parecchi dei nostri agenti sottocopertura e uno di loro li ha avvistati su un auto sgangherata e li ha seguiti fino alla palazzina dove si sono rifugiati. Li avremmo attaccati con i nuovi super soldati, così da assicurarci una vittoria veloce e sicura, ma il Soldato d’Inverno …”
 
“Vi ha fottuti” concluse schiettamente il Senatore, guadagnandosi un’occhiata affilata da parte di Benson.
 
Tony non seppe se esultare o imprecare.
I bastardi non sapevano della visita dei Vendicatori al Pentagono - non ancora almeno. Li avevano beccati sulla via del ritorno ed ecco come avevano trovato la casa sicura. E li avevano attaccati, perché Rogers era fuggito ed era quindi servito un espediente per riacciuffarlo.
Di mezzo c’era anche il Soldato d’Inverno. James Barnes. L’assassino. Il migliore amico di Steve. L’assassino. La cosa non lo entusiasmava affatto. Affatto.
E chi era Schmidt?
Quanto erano potenti questi nuovi super soldati? Erano già riusciti a renderli attivi?
 
Alla fine dei conti, da quello che era riuscito a dedurre, era l’Hydra ad avere il controllo. Era riuscita ad insidiarsi fin sopra i piani alti, usando lo scettro per sedare ogni forma di opposizione.
Come si era arrivati a questo punto?
 
“Cosa mi dite riguardo le controversie con l’Esterno?” chiese d’un tratto Stern.
 
“L’Esterno è …”
 
Nella sala calò un silenzio tombale.
Tony si ritrovò puntati addosso sguardi squisitamente increduli.
“Energia esaurita, signore. L’armatura è offline” fu l’atono annuncio di JARVIS, seguito dall’apertura della parte anteriore dell’armatura, da cui Stark venne fuori, con un sorriso tra il saccente e il cazzo-mi-hanno-beccato in viso.
 
“Cosa ci fai qui, Stark?”
Stern fece un segno con la mano ai soldati, che puntarono le loro armi contro l’intruso.
 
L’atmosfera si era fatta decisamente tesa.
 
“Fino a prova contraria, questa è casa mia. Piuttosto, già finita la permanenza in prigione, Senatore? Certo che la sporcizia in questo mondo è dura a morire.”
 
Stern si esibì in un sorriso grinzoso e lo sguardo divenne affilato quanto un coltello da macellaio.
“Sei sempre il solito, Stark. Ci tengo a farti sapere che la caduta del Triskelion ha portato a galla parecchia sporcizia, invece di seppellirla come Capitan America avrebbe voluto. Ma dimmi, ti piace la nuova vita da criminale? E come sta la dolce signorina Potts?”
 
Tony si rabbuiò di colpo e fece un passo verso il centro della stanza, ignorando le pistole che seguivano ogni suo movimento.
“Avete colpito le persone sbagliate e non ne uscirete indenni, sappiatelo. E Stern? Lascia la signorina Potts fuori da questa storia, o avrai il privilegio di finire all’inferno per mia mano.”
Niente ironia o sarcasmo flettevano, questa volta, la voce di Tony Stark. C’erano solo odio e rabbia.
 
“Non credo che tu sia nella posizione adatta per minacciare” si intromise Benson.
 
L’inventore incrociò le braccia al petto e piegò le labbra in un sorriso squisitamente canzonatorio.
“Signor Benson, che spiacere rivederla. Davvero interessanti le cazzate che ha detto in televisione. Non sa proprio accettare un no come risposta, eh? Ottimo lavoro, comunque. Ho sentito che Rogers ti è scappato.”
 
Tony notò Brock Rumlow tendersi e il suo sguardo accendersi di rabbia. L’uomo, però, rimase fermo al suo posto.
 
“Ci è scappato, è vero, ma è stato davvero appagante vederlo gridare, dibattersi e piangere. Lo abbiamo piegato e lo avremmo spezzato, se non fosse arrivato Barnes.”
Benson accompagnò quelle parole con un sorriso untuoso, pienamente cosciente dell’effetto che avrebbero sortito sull’inventore.
 
Tony contrasse la mandibola con violenza e la sua determinata fermezza vacillò pericolosamente.
No! Quel verme stava mentendo!
 
“Niente battutine geniali, Stark?” lo incalzò il commissario.
 
Protocollo Sentinella.”
 
A quelle due parole, che l’inventore pronunciò con estrema durezza, seguì un teso silenzio.
Poi, Benson e Stern scoppiarono a ridere, ma Tony rimase impassibile, in attesa.
 
Fu un attimo.
Sei armature - tre rosse e oro e tre argentee - abbatterono una delle pareti dell’ufficio e diedero inizio allo sfratto.
Il Senatore e il commissario si gettarono a terra, coprendosi la testa con le mani, mentre i soldati tentavano vanamente di resistere all’assalto improvviso e gli uomini all’esterno si precipitavano in loro soccorso.
Solo Rumlow si mostrò in grado di danneggiare seriamente le armature nello scontro diretto, rivelando di possedere una forza sovraumana.
 
Nel caos, Tony corse verso l’ascensore, seguito da una delle armature dalla cromatura rossa e oro.
Quando si infilò nella cabina, si accorse che la donna dai capelli scuri l’aveva seguito. Le porte scorrevoli si chiusero e si ritrovò faccia a faccia con lei.
L’armatura era al suo fianco, pronta ad intervenire in caso di emergenza.
“Sono abituato alle donne che mi corrono dietro, ma evito di dare confidenaza a quelle che fanno parte di organizzazioni sovversive, perciò scusami se sarò scortese con te.”
L’ascensore prese a scendere verso l’officina, posta ad uno dei piani più in basso.
La donna sospirò e si sistemò una cioccia di capelli dietro l’orecchio. Era palesemente nervosa e continuava a torcersi le mani, mentre una goccia di sudore le solcava la fronte. Se fosse svenuta di punto in bianco, Tony non ne sarebbe rimasto sorpreso.
 
“Devi portare a Steve un messaggio da parte mia.”
La voce le tremava appena e trasudava insicurezza. Stava lottando per tirare fuori le parole. Gli occhi verdi erano piantati sulle sue scarpe.
 
Stark inarcò un sopracciglio, perplesso.
“E tu saresti?”
 
Finalmente, la donna alzò gli occhi per guardare direttamente il suo interlocutore.
“Scusami, hai ragione. Sono Kristen Myers. Riferisci a Steve che la quantità di sangue che gli abbiamo sottratto è bastata per crearne cinquanta. Non sono ancora attivi, ma lo saranno presto. E Adam Lewis ha intenzione di dare vita a un’arma micidiale. La tiene al Pentagono. Cercherò di sabotarlo, ma non potrò rallentarlo per sempre.”
La mora aveva parlato velocemente, senza permettere a Tony di interromperla, e intanto aveva premuto il tasto di fermata dell’ascensore, che sospese la sua discesa al primo piano disponibile.
L’inventore la afferrò per un braccio, bloccando la sua fuga.
“Spiegati meglio.”
Kristen si sottrasse alla presa dell’uomo e scosse il capo. Era spaventata e l’ansia le aveva irrigidito i tratti del bel viso olivastro.
“Il Capitano capirà. Io devo andare. Se mi vedessero con te, avrei finito di vivere e non sono pronta per questo. Dì a Steve che mi dispiace e che aveva ragione.”
 
Quando l’ascensore riprese la sua discesa, Tony dovette fare uno sforzo assurdo per riacquistare lucidità.
 
‘Devo stabilizzare il frammento di energia per il trasporto e trovare il modo di rendere non rintracciabili le emissioni di raggi gamma’ si ripeté mentalmente più volte, pensando al contempo a soluzioni velocemente attuabili, che inesorabilmente avrebbero richiesto più tempo di quello che avrebbe voluto.
Sperò con tutto se stesso che gli altri tenessero duro fino al suo arrivo.
 
Riusciva ancora a sentire il caos proveniente dal suo ufficio. L’unico a preoccuparlo seriamente era Brock Rumlow e la sua forza non naturale, ma c’erano pur sempre cinque armature a tenerlo a bada.
 
 
“JARVIS, tieni pronto il Quinjet.”
 
 
 
                                                       ***
 
 
 
Presente.
Quinjet.
 
C’era una strana atmosfera.
Una densa apatia riempiva l’interno del velivolo e il silenzio era tanto assordante da farle rimpiangere gli usuali litigi tra i suoi compagni.
E poi c’era quella sottile ma tangibile tensione, una tensione elettrica, pericolosa ed impossibile da ignorare.
Natasha tentò vanamente di riportare la concentrazione su ciò che stava facendo, ovvero disinfettare la ferita che lacerava la carne della spalla destra di Clint. Era accovacciata sulle ginocchia, mentre l’arciere era seduto a terra, con la schiena appoggiata alla parete metallica del jet, in uno stato di semicoscienza. Gli passò una mano sulla fronte sudata, scostandogli ciuffi di capelli biondo cenere, e sul viso dell’uomo fiorì il riflesso di un sorriso.
La Vedova sospirò e, ancora una volta, tornò a sondare l’ambiente circostante. La tensione stava raggiungendo picchi preoccupanti.
 
Pepper era seduta al posto di copilota, completamente abbandonata nel sedile, con lo sguardo rivolto verso il cielo terso al dì là del vetro del jet. Era immersa in chissà quali pensieri e il pallore del suo volto metteva in risalto la spolverata di lentiggini che impreziosiva il naso e gli zigomi.
Tony era in piedi e, considerate le innumerevoli volte che aveva già percorso avanti e indietro l’intera lunghezza del jet - cosa che ancora non aveva smesso di fare -, il nervosismo aveva totalmente eclissato la stanchezza. Gli occhi ambrati dell’inventore, inoltre, continuavano a lanciare occhiate fuggevoli ma intense in direzione del Soldato d’Inverno. Stark guardava male Barnes praticamente da quando erano partiti e Sam non era stato da meno.
James era seduto sul pavimento, la schiena appoggiata alla parete e le mani impegnate a torturare la cinghia della cintura nera. L’espressione neutra ed indecifrabile non lasciava trasparire alcuna emozione, anche se il suo corpo teso, come pronto a scattare da un momento all’altro, era prova inequivocabile della sua irrequietezza.
Steve era in piedi al suo fianco, lo sguardo perso nel vuoto e le braccia incrociate al petto. La mascella tesa, la postura rigida e il respiro spezzato che tentava di regolarizzare, erano diretta conseguenza del dolore che gli incendiava l’addome. Una volta scemata l’adrenalina, il suo fisico aveva preso a rammentargli le pessime condizioni in cui versava. Il giovane super soldato poteva percepire gli occhi cobalto di Anthea studiarlo con cautela, quasi timidamente, e la cosa suscitava in lui emozioni contrastanti.
L’oneiriana era seduta vicino a James e continuava a far ruotare il braccialetto argenteo intorno al polso destro, anche lei visibilmente irrequieta.
 
E quella situazione si protraeva ormai da un tempo interminabile.
 
Natasha terminò di avvolgere la spalla di Clint con fasciature pulite, lo aiutò a rinfilare la maglia bianca macchiata di sangue e gli sistemò il cappotto di Tony trovato nel jet a mo’ di coperta, sperando che bastasse a placare i brividi di freddo che gli scuotevano il corpo. Posando di nuovo una mano sulla sua fronte, la rossa si accorse che la febbre stava salendo e la possibilità di un’infezione si fece spaventosamente concreta.
 
Fu in quel momento che la staticità in cui stavano affogando lentamente andò in frantumi.
Con un fluido movimento, Anthea fece forza sulle lunghe gambe e si spinse in piedi. Era facile immaginare che si fosse sottoposta ad allenamenti piuttosto intensi, dato che il suo corpo, seppur esile, mostrava un muscolatura accuratamente sviluppata.
Tony, che smise finalmente di camminare come un ossesso, non riuscì ad evitare di farle una veloce radiografia, che comunque non parve darle alcun fastidio.
L’oneiriana raggiunse Clint e Natasha e rivolse a quest’ultima una sguardo eloquente, prima di accennare un sorriso. La rossa sorrise di risposta, mentre la osservava accovacciarsi di fronte l’arciere.
“Sei sicura?” le chiese la Vedova, avendo compreso le sue intenzioni.
“Sì. Fammi dare un’occhiata.”
Alle parole di Anthea, Barton parve riscuotersi appena e trovò a stento la forza di parlare.
“Ehi, ragazza. Scusaci per la mancata festa di Bentornata.”
La giovane ridacchiò e scosse il capo. Scostò il cappotto e posò entrambe le mani sopra la fasciatura dell’arciere.
“Beh, mi sono presentata senza avvisare, dopotutto” celiò.

Clint, improvvisamente, percepì un intenso calore pervadergli tutto il corpo e strinse i denti quando arrivò un’ondata di dolore parecchio intenso. Si lasciò scappare un sonoro gemito sofferente e poi ogni sensazione svanì, lasciando posto a tenui formicolii e a un vago senso di spossatezza. Niente più dolore e niente più febbre.
“Come nuovo.”
L’affermazione di Anthea non poteva essere più vera. Tolte le bende, l’arciere si rese conto che della ferita non era rimasta traccia.
“Ti devo un favore.”
Lei gli sorrise e cercò al contempo di non esternare la momentanea debolezza dovuta al processo di guarigione. Tempo un’ora e sarebbe tornata in forze, senza alcun problema. Non riuscì ad evitare di lanciare un’occhiata in direzione del Capitano, la cui espressione imperscrutabile la fece quasi rabbrividire, ma decise di ignorarla. Si rialzò in piedi e scambiò con Natasha uno sguardo di intesa.

“Che ti hanno dato da mangiare su Asgard? Dannazione, sei quasi più alta di me adesso” se ne uscì Tony, di punto in bianco.
L’inventore si chiese sinceramente se quella che aveva di fronte fosse la stessa persona che li aveva salutati quasi tre anni prima, lo scricciolo che spariva tra le braccia di Steve o tra quelle di Thor, durante gli occasionali abbracci.
Era contento che lei fosse tornata, perché in fondo era divenuta parte della squadra - della famiglia - dopo gli eventi che avevano quasi portato alla fine del mondo.
Daskalos era ancora una ferita aperta per i Vendicatori, nonostante fosse trascorso un lungo lasso di tempo. Sfortunatamente, il genio non aveva neppure dimenticato gli attimi in cui lei aveva tentato di strappargli il cuore dal petto.
La parola pericolosa aveva cominciato a turbinargli inevitabilmente in testa, dal momento in cui aveva incontrato quegli occhi bui come la notte.
 
 “Non che ci voglia tanto a superarti. Potresti competere solo con i sette nani” si lasciò scappare Rogers, con finta indifferenza, strappando Tony dai suoi pensieri.
 
Ci fu una risatina generale. Lo stesso Bucky arricciò le labbra in un sorrisetto divertito.
 
“Fai lo spiritoso, Capitano?” sibilò Stark, avvicinandosi a lui con un’espressione che non diceva nulla di buono.
Gli occhi dei presenti saettarono sui due Vendicatori.
Tony fece ancora un altro passo, portandosi a un metro scarso dal super soldato. Gli infilò un dito nel costato senza pensarci due volte e a Steve mancò il respiro per la scarica di dolore che gli provocò quel gesto, date le condizioni delle sue costole.
 
“Sei impazzito?” berciò il biondo, perforando l’inventore con lo sguardo.
“Non si sa.”
“Ti avverto. Questa me la segno. Diamine, fa male!”
La voce del Capitano era salita di un’ottava e una nota isterica ne impreziosiva le sfumature doloranti.
“Oh, lo so che fa male. Anche un cieco si accorgerebbe che ti fa male. Perché non mi fai dare un’occhiata? La tua respirazione è forzata e ho del ghiaccio istantaneo. Che ne dici di lenire il dolore?”
 
Adesso Steve era confuso. Davvero confuso.
Tony non attese una sua risposta. Si diresse verso la parete opposta e aprì uno scomparto, facendo scivolare in avanti una specie di cassetto da cui tirò fuori un paio di sacchette di ghiaccio istantaneo.
“Avanti. Datti una mossa” insistette l’inventore e Steve roteò gli occhi, ma acconsentì.
 
“Io non ricordo che fossero sette, i nani.”
A volte, l’indiscrezione di Barton era fastidiosa quanto un appuntito sassolino che, entrato subdolamente nella scarpa, si conficca nella pianta del piede ad ogni passo.
 
“E adesso questo cosa c’entra?”sbottò Stark.
 
Clint ignorò volutamente l’inventore e iniziò a contare sulle dita.
“Dotto, Brontolo, Eolo, Pisolo, poi c’erano ...”
“Cucciolo, Gongolo” aiutò Sam, tra il divertito e il curioso.
“Bravo. Siamo a sei. Mammolo e Starkolo. Sono otto.”
“Hai dimenticato Clintolo, signor metro e un barattolo. E tu non ridere, Rogers. Ringrazia il siero, o avresti tolto il lavoro a quei poveri nani.”
 
Questa volta la risata generale salì di qualche livello.
Pareva che la tensione stesse cominciando a sciogliersi. Ma, molto probabilmente, era solo una breve parentesi di distensione dei nervi, una boccata d’ossigeno dopo un tempo indefinito di apnea.

“Vorrei sapere perché stiamo ancora parlando di nani” sbuffò Natasha, scuotendo il capo.
“Chiedilo al tuo fidanzato.”
“No, deve chiederlo a te, Starkolo.”
“Ah no, Clintolo. Se proprio devi scaricare la colpa su qualcuno, quello è Capitan MetroeNovanta. Ha tirato lui in ballo i nani.”
 
Mentre era in corso la battaglia delle nano battute, Steve aveva iniziato a disfarsi della parte superiore della divisa.
Natasha si tirò su e raggiunse il ragazzo. Nella sua felpa verde pareva davvero piccola e fragile. Il pallore del suo volto faceva risaltare le occhiaie scure che adombravano le iridi smeraldine.
“Ti do una mano” convenne la rossa, con calma.
Rogers sospirò appena e lasciò che Natasha lo aiutasse a sfilare via completamente il pezzo alto dell’uniforme.
“Niente commenti” fu la piatta raccomandazione del biondo.
 
Inizialmente nessuno proferì parola, ma l’espressione che si dipinse sul volto di ognuno valeva più di mille parole.
 
“Siediti qui.”
Fu Tony a rompere il silenzio, indicando al super soldato il lettino metallico di fortuna sul lato destro del jet.
Steve obbedì docilmente, mentre l’inventore colpiva uno dei sacchetti di plastica per consentire il raffreddamento immediato del contenuto. Poi lo passò al biondo, che se lo premette sull’addome, lasciandosi scappare un gemito.
 
“Ti hanno ridotto proprio male, amico” convenne Sam alla fine, impossibilitato a trattenersi ancora.

Il super soldato si irrigidì visibilmente e l’azzurro degli occhi assunse una tinta più scura, mentre flash confusi e scottanti gli affollavano il cervello. Avrebbe voluto ribattere che stava peggio dentro, ma non riuscì ad aprire bocca.
 
Stark, nell’ascoltare le parole di Wilson, si era fatto improvvisamente assorto.
“Ci è scappato, è vero, ma è stato davvero appagante vederlo gridare, dibattersi e piangere. Lo abbiamo piegato e lo avremmo spezzato, se non fosse arrivato Barnes.”
Le parole di Benson tornarono a rimbombargli in testa e percepì una stretta nauseante allo stomaco.
Non seppe spiegarsi il perché, ma il suo sguardo cercò quello di Anthea e un brivido gli percorse l’intera colonna vertebrale nello scorgere uno strano ed inquietante scintillio in quegli occhi bui.
 
“Il nuovo super soldato” esordì il Capitano, guadagnandosi l’attenzione di tutti.
“Ha una forza assurda. È impossibile tenergli testa.”
 
“Ti riferisci al mostro viola che era con Schmidt? Quello è il nuovo super soldato?” si intromise Clint.
“E come fa Schmidt ad essere vivo?” fu l’intervento di Stark, che dopo aver visto Teschio Rosso aveva capito a quale Schmidt si stessero riferendo Benson e Stern.
La situazione era più grave del previsto.
 
“C’è una base segreta sotto le macerie del Triskelion. Mi hanno portato lì e lì ho incontrato Teschio Rosso. Non ho assolutamente idea di come possa essere riuscito a tornare sulla Terra e mi chiedo da quanto tempo sia qui. Naturalmente ha intenzione di portare a termine ciò che aveva iniziato settant’anni fa, ma questa volta al posto delle bombe vuole usare un esercito di super soldati e sinceramente preferivo le prime.”
Le nocche della mano sinistra di Rogers sbiancarono, quando le dita si serrarono con violenza sul bordo del lettino, piegandone leggermente il metallo.
 
“Steve, abbiamo bisogno di sapere cos’è successo. Nei dettagli. E poi noi informeremo te del resto.”
Le parole di Natasha non erano imbevute di urgenza. Erano state pronunciate con voce ferma e calma.
La rossa andò a sistemarsi seduta al fianco del Capitano, che le sorrise fievolmente e si rilassò appena.
 
Erano rinchiusi nel Quinjet da più di un’ora, girando a vuoto per essere certi di non avere nemici alle calcagna.
Solo un muto accordo aveva evitato che si desse il via alla fase ‘Facciamo il resoconto’.
Erano tutti palesemente provati. La rabbia e la frustrazione danzavano tra loro, fiere di aver conquistato le loro menti e i loro cuori.
 
Steve fece un respiro profondo.
“Non interrompetemi, per favore” e guardò con fermezza prima Tony, poi Clint ed infine dedicò un’occhiata intensa all’oneiriana.
 
“Okay, ricominciamo. Sotto le macerie del Triskelion c’è una base dell’Hydra ed è lì che sono stato. Mi hanno tenuto in vita, perché il mio sangue è indispensabile per la produzione del nuovo siero. Teschio Rosso vuole un personale esercito di super soldati e, per realizzare questo progetto, si sta servendo dell’aiuto di una nostra vecchia conoscenza. Adam Lewis.”
Nonostante gli sforzi di mantenere la calma, a Steve tremava la voce per la rabbia. Teneva lo sguardo fisso sui suoi piedi, che dondolavano al di là del bordo del lettino.
“Hanno testato il nuovo super soldato su di me” gli sfuggì un risolino amaro “e credo proprio che Lewis abbia fatto un lavoro ineccepibile. ”
Rogers abbandonò il sacchetto di ghiaccio alla sua destra e portò le mani sulle ginocchia, lasciando scoperto l’addome contuso. Sembrava una mappa geografica piena di isole grandi più o meno come un pugno. E le condizioni della schiena non erano poi tanto migliori.
Il Capitano mostrò i segni dalla forma di lunghe dita che gli contornavano le braccia.
“Il mostro viola comandato da Schmidt. È lui che ho affrontato. Ha la capacità di divenatare incandescente e la mia velocità di rigenerazione cellulare è niente rispetto la sua. Ho visto l’osso spezzato del suo naso tronare a posto e le sue lesioni evaporare, tutto in pochi secondi, mentre il mio corpo non riesce a guarire le ferite che lui mi ha inferto. Ho provato a contrastarlo in qualunque modo, ma riusciva ad anticipare le mie mosse. La sua velocità è impressionante. Ho fatto breccia nelle sue difese solo tre o quattro volte. È una dannata macchina da guerra ed è stato il mio dannato sangue a darle vita.”
Le nocche di Steve erano di nuovo bianchissime.
“Ubbidisce solo a Schmidt. E non è finita qui. C’era anche Henry Benson il giorno in cui è stato testato il nuovo super soldato e, con lui, parecchi uomini dalle facce conosciute. Credo di averli visti al Triskelion quando ancora ci lavoravo. Comunque, Benson e Schmidt sono davvero in buoni rapporti.”
Adesso era il più crudo sarcasmo ad impregnare la sua voce.
 
“Il ragazzo ha visto in faccia alcuni tra i più importanti capi militari dell’esercito americano, oltre che alcune personalità di spicco della CIA e dell’FBI. Li ha visti mentre si godevano lo spettacolo che Schmidt ha organizzato, per dare prova delle capacità della nuova arma. Steve Rogers va eliminato” erano state le parole di Stern e, solo adesso, Tony riuscì a comprenderne il significato.
 
“Io credo che Lewis …”
Steve esitò. Cominciava a girargli la testa e non ne capiva il motivo.
“Cosa?” lo incalzò Anthea, con una freddezza scalfita solo da una instinguibile nota di pura preoccupazione.
Il biondo le rivolse uno sgurado spaesato, mentre la osseravava avvicinarsi finchè tra loro rimase meno di un passo di distanza.
“Cosa?” ripetè lei, bisognosa di una conferma ad un sospetto che aveva messo radici nella sua psiche da quando aveva visto gli occhi sanguigni di quel mostro viola.
“Credo che Lewis abbia in qualche modo usato cellule appartenute a Daskalos per creare questi super soldati.”
 
Rogers abbassò il capo, impossibilitato a sostenere lo sguardo cupo e tagliente dell’oneiriana.
 
“Per caso hai sentito nominare Extremis?” intervenne Tony.
L’incandescenza e la rigenerazione pressoché immediata avevano aperto una dolorosa finestra sul suo passato. Un passato recente, a dir la verità.
 
Rogers parve pensarci un momento, ma poi scosse il capo.
 
“L’ho sentito io.”
 
Ci fu un generale disorientamento nell’udire quella voce profonda e roca.
James si era appena alzato. I suoi occhi grigio azzurri si posarono sulla figura di Tony, ora teso come una corda di violino.
Sam e Clint si erano fatti più attenti e la stessa Natasha si era visibilmente irrigidita.
Il Soldato ignorò la fredda diffidenza che continuava ad essergli riservata - era giustificata, dopotutto - e si rifugiò nelle iridi chiare del suo migliore amico.
 
“Tenevo sotto controllo Henry Benson dalla prima volta in cui è venuto a farvi visita. E ho sentito alcuni discrosi tra lui e Schmidt” spiegò, asciutto.
 
“Posso chiederti dove eri andato a finire? Io e il Capitano ti abbiamo cercato dappertutto” sbottò Sam, incredulo. Era riuscito a scoprire che il Soldato era a New York qualche giorno prima del casino esploso - letteralmente - alla Tower, ma come sempre non ne aveva scorto nemmeno l’ombra.
“Lo so. Vi ho tenuti d’occhio” fu l’atona risposta di Barnes.
E Wilson evitò di approfondire la questione, perché la cosa era alquanto esilarante e deprimente al tempo stesso.
Il Soldato d’Inverno li aveva tenuto d’occhio. Ed ecco spiegato come era riuscito a tenersi sempre un passo - forse trenta passi - avanti a loro.
 
Passarono alcuni minuti di imbarazzante silenzio, prima che James riprendesse la parola.
“Controllando Benson, sono riuscito a raggiungere Steve e poi Anthea ci ha aiutati ad uscire fuori da quella base sotterranea. Ci siamo nascosti in una casa, finchè non hanno trasmesso in televisione la notizia rigurdo l’assedio del palazzo dove voi vi eravate nascosti e Steve ha deciso di raggiungervi.”
Il Soldato fece un altro passo in avanti, ma decise di evitare altri movimenti non appena si rese conto delle reazioni che essi suscitavano nelle persone che aveva intorno. Solo Steve e Anthea non erano minimamente turbati da lui.
 
“Okay, bene” si sforzò di dire Tony, ora indeciso se fosse peggio sapere che Extremis non era morto con Killian o dover abbozzare la presenza del Soldato d’Inverno.
“Chi è Kristen Myers, Rogers?”
Una sottile ruga di espressione solcò lo spazio tra le sopracciglia del Capitano.
“Lei lavora per Schmidt e Lewis. Collabora alla crezione dei nuovi super soldati. Perché ti interessa?”
Stark fece un mezzo sorriso e, finalmente, distolse l’attenzione da Barnes.
“Non so cosa tu le abbia detto o fatto, ma mi ha pregato di riferiti che le dispiace e che avevi ragione. Inoltre, mi ha infromato del fatto che con il sangue che ti hanno preso sono riusciti a crearne cinquanta e adesso capisco che si stava riferendo ai super soldati. Infine, ha affermato che cercherà di sabotare Lewis, che nasconde un’arma micidiale al Pentagono.”
 
“Quindi è Adam Lewis il nostro Victor Frankenstein. È lui che vuole ridare vita a un surrogato di Daskalos.”
“Esattamente, Clint” affermò l’inventore.
 
“Victor Frankenstein? Cinquanta? Un surrogato di Daskalos? E dove diavolo hai incontrato Kristen Myers?”
Steve era sul punto di gridare e dare di matto.
Kristen si era davvero pentita? Le dispiaceva?
 
“Non fare la donnetta isterica, Rogers” lo canzonò Stark.
 
Natasha incenerì Tony con lo sguardo e avrebbe detto qualcosa di poco gentile, se la voce rotta di Anthea non l’avesse preceduta.
“Un surrogato di Daskalos? Cosa significa?”
Il respiro sensibilmente accelerato, lo sguardo più vacuo, i muscoli terribilmente tesi e il rimbombare frenetico del cuore nella testa. L’oneiriana dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per tenere i nervi saldi.
“Avrei dovuto uccidere Lewis” soggiunse poi, in un tagliente sussurro.
 
Barnes rimase sorpreso nel sentirla pronunciare le ultime parole. Era stata sincera, quando gli aveva detto di essere stata un’assassina pericolosa e instabile. Quell’atteggiamento freddo, la parola uccidere assaporata sulla lingua prima di scandirne il suono, lo scintillio quasi morboso delle iridi. Tutto questo ricordava a James le giovani donne che aveva contribuito a trasformare in assassine silenziose e letali. Gli occhi si spostarono istintivamente sulla Romanoff e lei dovette accorgersene, perché girò appena il capo per guardarlo in viso.
Fu un attimo e quel contatto visivo si dissolse.
 
“Comincio ad odiare questi silenzi. Mi sembra di essere in una camera mortuaria.”
“Sam” lo riprese Rogers, trattenendo un sorrisetto.
“È la verità.”
 
Ci fu una distensione generale.
 
Rogers scivolò giù dal lettino e si ritrovò di fronte l’oneiriana. Le girò intorno fino ad arrivare alle sue spalle, sulle quali poggiò le mani. La sentì rilassarsi sotto quel tocco.
“Andiamo avanti. Nat?”
La Vedova annuì. Raccontò a Steve del piano escogitato per infiltrarsi al Pentagono e della chiacchierata con Ross. Gli parlò di Bruce, dello scettro di Loki e del Tesseract, spigandogli come quest’ultimo era stato utilizzato dal nemico per accedere alla Tower. Continuò descrivendo il terribile faccia a faccia con quello che era il corpo artificialmente creato su immagine di Daskalos - ora sapevano che l’artefice era Lewis.
Poi fu la volta delle esigue informazioni riguardo Thor e l’ignoto Esterno. Infine, lo rese partecipe della fortuna di Tony, che aveva conservato un frammento del Cubo attraverso il quale sarebbe stato possibile entrare ed uscire dal Pentagono senza il pericolo di rimanervi chiusi dentro, ed era andato dunque alla Tower a recuperarlo - ecco perché non era presente al momento dell’assedio al palazzo.

Steve ascoltò in silenzio, senza mai interrompere la donna. Solo quando ebbe finito, si azzardò ad aprire bocca.
“Quindi ...”

“Fermo. Ora tocca a me” lo bloccò Tony.
L’inventore iniziò a snocciolare tutto ciò che aveva sentito uscire dalle bocche di Benson e Stern, tenendo però per sé il commento che quel viscido del commissario aveva sputato fuori riguardo il Capitano.
“Ecco come sapevano dove eravamo ed ecco perché ci hanno attaccati. Comunque sia, non ho ancora capito se ti vogliono morto o no, Rogers.”
 
I pezzi del complicato puzzle con cui avevano a che fare stavano lentamente andando al loro posto. C’era ancora parecchio da chiarire, ma almeno non stavano più brancolando nel buio totale.
 
Steve fece scivolare via le mani dalle spalle di Anthea, che gli sorrise appena voltando il capo.
Si spostò più verso il centro del velivolo, seguito dagli sguardi degli altri.
“È l’Hydra, dunque. È l’Hydra ad avere il controllo.”
 
“L’hai presa meglio di quanto mi aspettassi.”
Tony passò di fianco a Steve e gli mollò un’amichevole - stranamente delicata - pacca sulla schiena, per poi raggiungere la postazione di pilota.
 
“È che a lui piace sapere contro chi combatte.”
Natasha arricciò le labbra in un sorrisetto eloquente e Steve, incrociando il suo sguardo smeraldino, rise in risposta.
“Mi sono perso qualcosa?” si intromise Clint a quel punto, cercando di simulare un’espressione seriosa.
“Chiacchiere tra amici” si limitò a dire la Vedova, scoccando a Rogers un occhiolino.
 
“Ho appena impostato le coordinate per il posto indicatomi da Clint. È stato appurato che non ci segue nessuno, quindi credo sia ora di tornare a terra.”
Tony allungò un braccio, per stringere tra le dita una mano di Virginia, che per tutto il tempo aveva ascoltato in silenzio, assorbendo le informazioni e riordinandole nella sua mente. Fare chiarezza la aiutava ad essere meno spaventata. La ramata ricambiò la stretta di Tony e gli regalò un dolce sorriso, mentre si ripeteva che ogni cosa si sarebbe sistemata.
 
Intanto, Sam raggiunse il Capitano.
“Rumlow è vivo, allora.”
Lo disse mantenendo bassa la voce e Steve annuì.
“Sì. Ed è più forte di prima.”
Accortosi del turbamento dell’amico, Wilson decise di non chiedere altro e di aspettare un momento in cui sarebbero stati soli.
 
“Io non capisco alcune cose. Come è possibile che nessuno ad Asgard si sia accorto del furto del Tesseract? E poi, dite che Thor è tornato, ma se fosse davvero così, lo avrei saputo. Il suo potere non passa inosservato a noi oneiriani. Riusciamo a percepirlo quando arriva ad Asgard. Eppure, io non ho sentito nulla stavolta, ne sono certa.”
L’ultima constatazione proveniente da Anthea fu accolta da facce sbigottite e terribilmente confuse.
E Wilson se ne sarebbe uscito di nuovo con la battuta sulla camera mortuaria, se Natasha non lo avesse preceduto.
“Propongo di smettere di scervellarci per adesso.”
 
“Eh sì. Direi basta parlare di cose brutte.”
Sam emise un sospiro affranto e tornò a sedersi in un angolino del jet.
Steve lo raggiunse e si sistemò al suo fianco, rivolgendogli uno sguardo quasi apprensivo.
“Mi dispiace, Sam. È colpa mia se ti ritrovi in questo casino.”
Il pararescue scosse lievemente il capo.
“Steve, sono nei casini dal giorno in cui ho deciso di accogliere te e Natasha in casa mia. E ti sei scusato già quella volta. Ma non è colpa tua. Io e solamente io ho deciso di rimanere al tuo fianco, perché sento che è la cosa giusta da fare.”
Stavano mantenendo basso il tono di voce, anche se quel logorroico di Tony aveva monopolizzato l’attenzione, descrivendo le facce terrorizzate di Benson e Stern quando aveva attivato il Protocollo Sentinella.

“Certo ... avresti potuto dirmi di avere una fidanzata” decretò infine Wilson, fingendo di essere offeso.
Steve balbettò monosillabi sconnessi, finché l’altro non lo bloccò con un cenno della mano.
“Lasciamo perdere. Per ora.”
Entrambi guardarono in direzione di Anthea e quando si accorsero di avere i suoi occhi puntati addosso, abbassarono simultaneamente il capo, come due bambini colti in fallo.
Poi Sam sussultò nel momento in cui il Soldato d’Inverno si lasciò cadere seduto di fianco a Steve.
“Tranquillo, non cercherò di ucciderti.”
Il lieve sarcasmo di Bucky fece inarcare entrambe le sopracciglia del pararescue, mentre Rogers tratteneva a stento un sorrisetto.
“Ma come sei gentile. E poi ce l’ho con te per avermi distrutto la macchina e poi le ali, mica per i tuoi fallimentari tentativi di ucciderci. ”
Il sarcasmo di Wilson era invece parecchio tagliente e segnò la fine di quella sterile conservazione, che in qualche modo rappresentava sempre un inizio.
 
James avrebbe dovuto impegnarsi molto per guadagnare anche solo un briciolo di fiducia da quelle persone.
 
 
                                                          ***
 
 
“Raggiungeremo la destinazione tra meno di cinque minuti” annunciò Stark, abbandonandosi ad un lungo e sonoro sbadiglio.
Si alzò dal suo posto e, dopo aver regalato un sorriso alla sua fidanzata, si sgranchì le ossa, tendendo le braccia verso l’alto.
 
Anche gli altri, tutti stropicciati ed esausti, si rimisero in piedi e cominciarono a recuperare ognuno la propria roba.
 
“Ho finito le frecce” sbuffò Occhio di Falco, contemplando la faretra vuota che aveva tra le mani.
 
“Devo obiettare. JARVIS, apri gli scomparti delle meraviglie.”
All’ordine di Stark, pannelli della parete destra scivolarono verso l’alto, rivelando scomparti contenenti kit medici, faretre piene di frecce e un equipaggiamento ben assortito di armi da fuoco e da taglio.
“Non ringraziatemi. Ho imparato che è meglio prevenire che curare. Quando ho costruito il jet, l’ho anche attrezzato come si deve.”
Sul viso di Tony si fece spazio un sorriso infantilmente orgoglioso. Aveva concretizzato parecchie idee in previsione della riunione dei Vendicatori. Peccato che poi le cose fossero tragicamente degenerate.
 
“Questo è il paradiso degli arcieri.”
Barton, ora rinchiuso nel suo piccolo mondo di frecce multifunzione, seguitava ad ammirare tutte quelle belle faretre ricolme, come se si trattasse di un qualche raro tesoro.
Natasha e Barnes non erano molto da meno, dinanzi il variegato assortimento di armi.
 
“E ci sono anche dei cambi. Non ho avuto tempo di personalizzarli, ma ci sono un po’ tutte le misure. Almeno potremmo toglierci di dosso questi vestiti che odorano di sangue.”
In uno scomparto, infatti, c’erano pile di pantaloni cargo, maglie a maniche corte, felpe pesanti con zip e cappuccio e qualche giubbotto impermeabile, tutto prettamente nero.
 
“Ogni tanto credo di volerti bene, Stark.”
“Mi accontenterò di ogni tanto, Barton.”
 
 
Dallo scomparto più in alto proveniva un bagliore azzurro. In un piccolo cilindro trasparente, il frammento del Tesseract brillava di luce propria.
Il loro libero accesso al Pentagono.
 
                                                            *
 
Era quasi il tramonto.
Il Quinjet atterrò su una specie di landa coperta da un mantello di candida neve e punteggiata da una distesa di conifere. Era un luogo abbastanza isolato e dava l’impressione di trovarsi in una rassicurante bolla protettiva.
Circondata da una staccionata di legno, una casa bianca a due piani, dal tetto spiovente e le imposte verdi, si stagliava contro il cielo plumbeo.
 
“È una base segreta camuffata?” chiese Tony, perplesso, mentre veniva fuori dal jet con un braccio intorno le spalle di Pepper.
Il resto del gruppo seguiva a ruota l’inventore.

“Non proprio” si limitò a rispondere la Vedova, scoccando a Clint un’occhiata complice.
 
Sam si lasciò andare ad un fischio ammirato e poi tornò a squadrare Rogers e il Soldato d’Inverno, che camminavano poco più avanti. Si chiese se la vicinanza tra i due super soldati non fosse troppa, soprattutto ora che sarebbe bastato un alito di vento per spezzare il Capitano. Al pararescue, infatti, non era di certo sfuggita l’incertezza nel modo di muoversi del suo amico.
Aveva considerato da incubo la situazione che aveva vissuto quando lo SHIELD era stato compromesso, ma adesso si era cacciato in guai molto più grossi. Però non era sorpreso o spaventato, perché aveva messo in conto ogni singolo pericolo che aveva e avrebbe affrontato nell’esatto momento in cui aveva scelto di seguire Capitan America.
 
“Non è pericoloso.”

Wilson sussultò nel trovarsi di fianco la ragazza dai grandi occhi blu. Se da un lato gli metteva i brividi - soprattutto dopo aver assistito alla manifestazione dei suoi poteri -, dall’altra gli suscitava una curiosa ammirazione.
“Preferisco tenerlo d’occhio. E sono Sam, Sam Wilson.”
La giovane sorrise cordiale e allungò la mano destra, che il pararescue strinse prontamente.
“Anthea. È un piacere conoscerti, Sam.”
“Il piacere è mio. Come riesci a fare quelle cose? Telecinesi?”
Wilson gesticolò con le mani, forse a voler imitare oggetti fluttuanti.
“Diciamo che è qualcosa di più complicato.”
Anthea fece spallucce, mostrando l’intenzione di voler liquidare velocemente l’argomento riguardante i suoi poteri.
“Beh, sei forte” ammise Falcon, con genuina sincerità.
“Grazie.”

Quando Sam tornò a guardare dinanzi a sé, beccò Steve distogliere lo sguardo.
“Lui sembra voler tenere d’occhio te, invece” le riferì, mantenendo basso il tono di voce.
Anthea sorrise tristemente e posò lo sguardo sulla schiena del super soldato. Avrebbe voluto sostenerlo o parlargli senza che calasse un imbarazzante e teso silenzio tra loro. Avrebbe voluto solo stargli vicino.
‘Un passo alla volta’ si ripromise l’oneiriana.

“Tremendo litigio?”

Anthea spalancò gli occhi, sorpresa dalla perspicacia del pararescue. O forse era solo maledettamente incapace di mantenere un’espressione neutra quando si trattava di Steve Rogers, dato che le emozioni sembravano amplificarsi esponenzialmente in sua presenza.
“Colpa mia” si limitò a sussurrare la ragazza.
 
Intanto, erano giunti sulla veranda, circondata da una elegante staccionata bianca in legno.
Clint fu costretto a forzare la serratura del portone d’ingresso, perché “Scusa se ero troppo occupato a scappare e non ho pensato a prendere le chiavi, Tony” e, una volta aperta, entrò dentro.
A pochi passi dalla porta, una rampa di scale in legno scuro si inerpicava verso il piano superiore. Sulla sinistra si intravedeva quella che aveva tutta l’aria di essere una cucina. Clint, però, guidò il gruppo verso destra, accedendo ad un ampio salotto dalle pareti giallo ocra e provvisto di un arredamento essenziale, comprendente un divano ricoperto da una fodera blu, un televisore non molto moderno e qualche cassettone in legno chiaro.
 
“Appoggiate la roba dove volete” invitò l’arciere, occhieggiando alle armi, ai vestiti forniti da Tony e agli zaini che occupavano le mani dei presenti. Lui stesso abbandonò l’arco e la faretra - ora ricolma - sul primo cassettone disponibile.
 
“Dove siamo?”
Steve era divenuto l’inconsapevole portavoce della maggior parte della combriccola.
 
Clint e Natasha si rivolsero uno sguardo enigmatico e, infine, la rossa prese la parola.
“La settimana prima che Tony ci chiamasse non eravamo a Budapest. Sì, io e Clint ci siamo incontrati lì, ma poi siamo venuti qui, a Iowa. Questa è, in un certo senso, casa nostra da …”
“Un anno. Ci serviva un posto dove poterci distaccare da tutto. Un posto fuori dai radar dello SHIELD. Ho preso questa casa dopo la battaglia del Brooklyn Bridge e, inizialmente, l’ho fatto senza un preciso motivo. Ci abbiamo passato del tempo. Poi Natasha è tornata al Triskelion e io sono stato reclutato per una missione sottocopertura in giro per il mondo. Siamo tornati qui solo dopo esserci rincontrati in Russia e, passata una settimana, abbiamo accettato l’offerta di Tony.”
 
“Il vostro rifugio segreto” commentò Tony e piegò le labbra in un sorrisetto comprensivo.
Non se l’era presa, così come Steve, e nemmeno Thor e Bruce avrebbero avuto qualcosa da recriminare alle due spie.
 
“Più o meno sì. Diciamo … casa delle vacanze” precisò l’arciere.
 
“Okay, ascoltate. Ci sono due bagni, uno di sopra e uno qui. Che ne dite di darci una sistemata?”
 
Tutti annuirono all’unisono alle parole della Romanoff.
Le donne raggiunsero il piano superiore, mentre la componente maschile della combriccola stabiliva i turni per il bagno del pian terreno.
 
 
Ed intanto nuvole nere stavano ricoprendo il cielo, oscurando la tenue luce del tramonto.
 
 
                                                        ***
 
 
“Grazie.”
Anthea afferrò la tuta grigio scuro che Natasha le stava porgendo e la infilò, per poi chiudere la zip di una delle felpe omologate Stark.
 
“Interessante la tua … uniforme?”
La Vedova indicò il corpetto lucente abbandonato su una sedia della camera da letto, poi tornò a frugare nello zaino che, durante l’assedio al palazzo, aveva riempito di vestiti racimolati nell’appartamento, in previsione di una fuga senza meta.

Da dietro la porta chiusa del bagno proveniva il suono dello scrosciare dell’acqua, segno che Pepper era ancora sotto la doccia.
 
“Sì, è un’uniforme da combattimento. Gli oneiriani l’hanno fatta per me. Ne ho di diverse.”
 
Natasha trovò finalmente un paio di collant neri e un maglioncino rosso di pile abbastanza attillato.
Era pur sempre gennaio e l’impianto di riscaldamento della casa non era ancora funzionante. Il freddo, infatti, era quasi pungente.
“Sei riuscita a riunire il tuo popolo? Se devo essere sincera, non ero sicura che saresti tornata.”
 
Anthea fece un sorriso triste e spostò il peso da un piede all’altro. Lo sguardo indagatore della rossa era in grado di metterla in agitazione.
“È complicato. Ho viaggiato tanto, Natasha. Ho riunito gli oneiriani e adesso occupano un territorio del planetoide di Asgard. Vogliono che li guidi, che garantisca loro sicurezza e io non riesco ad abbandonarli del tutto, nonostante ...”
 
“Vorresti stare qui. E credo che sia inutile esplicare il perché.”
 
“Già.”
Un altro sorriso triste incurvò le labbra dell’oneiriana. Una parte di lei era inevitabilmente rivolta al suo popolo e il senso di colpa per aver momentaneamente lasciato vuoto il trono le rodeva lo stomaco.
Ma Steve ... non poteva abbandonare Steve adesso.
 
“Senti, Natasha ... Clint sa che aspetti?” chiese poi, a bruciapelo.

La rossa spalancò gli occhi e, per un attimo, le mancò il respiro. 
“Come ... come fai a ... ?”

“Quando un essere vivente entra in contatto con i miei poteri, io lo sento. Lo sento intimamente. Sento gli atri e i ventricoli contrarsi, il sangue che scorre nelle vene, l’aria che attraversa le vie respiratorie, i polmoni che si dilatano. E io ho sentito te, quando ti ho trasportata sul jet. Ho sentito l’altra vita che è dentro di te.”
 
Anthea osservò Natasha sbiancare e portare entrambe le mani sulla pancia.

Speravo di sbagliarmi ... non capisco come sia potuto accadere, come sia stato possibile dopo che io …”
La donna strinse tra i denti il labbro inferiore.
“Non dirlo a Clint. Non dirlo a nessuno. Non voglio essere un peso, soprattutto non ora. Promettimi che manterrai il segreto.”
 
Forse fu l’espressione trasudante disperazione, o il modo in cui la sua voce aveva tremolato, o il fatto che non se la sentiva di tradirla.
Fatto sta che Anthea decise di rispettare la richiesta di Natasha. Annuì e le sorrise, ma il sorriso non coinvolse gli occhi.
“Non parlerò. Ma dovresti dirlo a Clint. Lui deve sapere.”
“Lo farò. Sai che lo farò. Volevo farlo. Me ne sarei accertata e glielo avrei detto. Ma poi ci siamo ritrovati in questo casino e ...”
Natasha serrò le labbra in una linea dura e si passò una mano tra i capelli, riportando all’ordine ciuffi rossi.

“Non vuoi creargli distrazioni che potrebbero essergli fatali.”

“Sì” sussurrò appena la Vedova, con in viso una espressione decisa.
 
L’aria si era fatta improvvisamente soffocante. Entrambe si ritrovarono a vagare con lo sguardo tra le quattro pareti della stanza, incapaci di dire qualsiasi cosa.
 
“Vado a prendere una boccata d’aria” convenne Anthea alla fine e, mentre usciva dalla stanza, sentì la rossa sussurrare un ‘Grazie’.
Sorrise tristemente e si scansò dal viso una ciocca di capelli, ora non più raccolti in una treccia ma sciolti. Cominciò a scendere le scale e spinse lo sguardo in direzione del salotto.

Steve era seduto sul divano, il gomito destro puntellato sul bracciolo e la guancia premuta contro il pugno chiuso e rivolto verso l’alto. Gli occhi socchiusi erano segno inequivocabile di stanchezza.
Il resto del divano era occupato da Clint, disteso con la testa poggiata sull’altro bracciolo e le gambe piazzate sui quadricipiti del Capitano.
Tony stava cercando di convincere l’arciere a fargli spazio, mentre Sam camminava avanti e indietro per il salotto sfregandosi le mani, per rendere più sopportabile il freddo.
Erano tutti vestiti con gli abiti messi a disposizione da Stark. Davano quasi l’impressione di una squadra di calcetto al termine di una partita sfiancante.
 
Anthea notò l’assenza di James. Molto probabilmente era ancora in bagno.
Si era accorta della diffidenza che gli era riservata e le dispiaceva sinceramente. Le aveva detto di essere un assassino pericoloso e instabile, ma fino ad allora lo aveva visto lottare al fianco di Steve, pronto a tutto pur di proteggere quest’ultimo. Provava per lui una certa empatia da quando avevano parlato quella notte, dopo aver tirato il biondo fuori dai guai.
 
“Ehi” fu il saluto veloce della giovane, una volta giunta ai piedi della rampa di scale.
Non si fermò ad attendere una qualsiasi risposta. Imboccò il corridoio, raggiunse la porta e sgusciò fuori.
 
Steve la seguì con lo sguardo. Non sentì le successive parole che uscirono dalla bocca di Tony. Non sentì più nulla. Si immerse nei propri pensieri, ascoltando gli echi dei tumulti che si erano innescati nella sua interiorità.
Avrebbe dovuto raggiungerla? Parlare con lei?
Anthea aveva sbagliato e gli aveva fatto intimamente male. Ma tutti commettono errori e lei sembrava profondamente pentita per averlo lasciato senza degnarlo di uno sguardo, dopo che gli aveva detto espressamente di essere tornata per sempre.
Perché non riusciva a perdonarla?
‘Perché hai paura che se ne vada ancora e non vuoi soffrire di nuovo’
si intromise la sua coscienza. Ed era dannatamente vero.
Vederla andare via la prima volta, tre anni fa, era stata dura. La consapevolezza che sarebbe tornata, però, l’aveva aiutato a tenere a bada la nostalgia.
Rendersi conto che lei lo aveva abbandonato, dieci mesi prima, lo aveva distrutto. Riusciva ancora a percepire il senso di nausea e di vuoto che lo aveva colto nel momento in cui aveva realizzato che era andata via.
Eppure, non aveva mai smesso di aspettarla.
Si alzò dal divano con uno scatto, rischiando di mandare Barton a gambe all’aria, e seguì i passi della ragazza, senza nemmeno sapere cosa le avrebbe detto e senza curarsi degli sguardi confusi degli altri.

Una volta uscito, il freddo lo accolse con flebili carezze di vento, scompigliandogli i capelli e infilandosi subdolamente sotto la felpa nera.
La neve, colpita dai pallidi raggi della luna, pareva intramata di minuscoli diamanti. Gli stivali lasciarono impronte abbastanza profonde su quel manto compatto, mentre si allontanava di qualche passo dalla veranda.
L’ombra della casa si allungava dinanzi a lui e, al suo culmine, l’oscurità tratteggiava una figura rannicchiata.
Steve si voltò e spinse lo sguardo in alto, intercettando l’oggetto dei suoi pensieri. Una grande mano invisibile lo avvolse con delicatezza, sollevandolo da terra. Il giovane si lasciò trasportare fin sopra il tetto della casa, dove dovette fare attenzione a non scivolare a causa dello strato di neve che ricopriva le tegole.
Anthea era seduta lì, le gambe contro il petto e le braccia sulle ginocchia a creare un comodo appoggio per il mento. I lunghissimi capelli biondo caramello le ricadevano in morbide onde sulla schiena e davanti le spalle. Le lunghe ciglia scure vibravano leggermente e rendevano ancor più belli gli occhi inumani. La corona dorata intorno la pupilla si era dilatata ed aveva inghiottito quasi del tutto il buio delle iridi.
Steve soffermò lo sguardo sulla pelle bianca del suo viso, dove i raggi lunari disegnavano un disarmonico gioco di ombre. Quel luminoso candore poteva competere con la bellezza di una immacolata distesa di neve.
Anthea era una creatura tanto stupenda quanto misteriosa e Steve provò un sentimento così profondo e caldo nell’osservarla, da dimenticare per un attimo il gelo della notte.
Ventuno anni. Questa era l’età della giovanissima mezzosangue. Eppure, Rogers vedeva in lei una maturità che quasi sfigurava con la sua apparente innocenza. L’oneiriana era in grado di confondere i sensi e la percezione. Un attimo prima era una bambina fragile e innocente, quello dopo una donna risoluta e determinata e quello dopo ancora una creatura puramente istintiva e sensuale.
Era così destabilizzante. Ancora si chiedeva perché lei continuasse ad essere così presa da lui.
Steve si sedette al suo fianco, rimanendo in silenzio.
Lei non aveva mai smesso di guardare il cielo adombrato da nubi scure e punteggiato da rade stelle, quasi ne fosse stata ipnotizzata.
 
“Prenderai freddo.”

E Rogers rabbrividì, non per il freddo, ma nel ritrovarsi d’improvviso gli occhi dell’oneiriana puntati addosso. Inarcò un sopracciglio e le sorrise fievolmente.
“Mi consideri tanto fragile? Sai che-”
“Lo so. Il siero. Ma, Steve, non chiedermi di smetterla di preoccuparmi per te.”
Ecco. Questa era la prova schiacciante del fatto che lei fosse presa da lui. Maledettamente presa.
Calò di nuovo un fastidioso silenzio e il super soldato si decise a romperlo, prima che divenisse insopportabile.
“Come stai?”
Anthea gli rivolse uno sguardo decisamente scettico, prima di assumere un’espressione seria.
“Smettiamola di girarci intorno. Ascolta, dieci mesi fa ho commesso un errore madornale. Non avrei mai dovuto illuderti in quel modo e non immagini quanto mi detesti per quello che ho fatto. Non sarei mai dovuta tornare, sapendo che non sarei potuta rimanere. Non so cosa mi sia preso. È che mi mancavi. Mi mancavi così tanto. Ti ho mentito spudoratamente e poi sono andata via.”
Anthea si ritrovò senza fiato. Il cuore aveva preso a batterle dolorosamente e guardare Steve negli occhi era diventato impossibile.
“Se ne avessimo parlato, avrei capito. So che hai sulle spalle enormi responsabilità. Avrei capito. Perché non hai voluto spiegarmi?”
La tristezza nella voce di Rogers era palpabile.
“Perché mi sarebbe bastato guardarti negli occhi, per perdere anche l’ultima scintilla di volontà di tornare ad Asgard.”

Irreversibilmente presa da lui.

“E perché sei tornata?”
La ragazza sospirò profondamente e scosse piano il capo.
“Davvero non ci arrivi?”
“Come sapevi che ero nei guai?” la incalzò allora il biondo.
“Una sensazione.”
“È bastata quella per convincerti a tornare?”

Anthea annuì e le venne quasi da ridere, perché si rese davvero conto che era sgattaiolata via da Asgard solo per una vaga sensazione di inquietudine.
“È colpa tua, Idiota. Un giorno rischi di farti ammazzare e un giorno rischi di ammazzarti. Hai mai vagamente sentito parlare di un certo spirito di autoconservazione?”
Steve emise un verso frustrato e infilò una mano tra i capelli.
“Colpa mia? Ho già abbastanza sensi di colpa, non infierire.”
Questa volta, l’oneiriana rise sommessamente.
“Sei un campione quando si tratta di sensi colpa.”
 
Rimasero in silenzio per qualche attimo, poi Steve parlò di nuovo.

“Saresti tornata anche se ...”
“Se tu non ti fossi cacciato nei guai? Sì.”
“E quando?”

Anthea non rispose. Stette in silenzio per un tempo che parve lunghissimo, con lo sguardo perso nel vuoto. Poi tirò fuori a forza le parole, ignorando il battito accelerato del cuore.
“Non riuscirai mai a perdonarmi, vero?” sussurrò con voce piccola piccola.
“Credo di averlo già fatto” fu la semplice e sincera risposta del Capitano.
Il cuore di Anthea mancò un paio di battiti, o forse tre, anche se lei non lo diede a vedere.
“Non dovrò pregarti in ginocchio allora” celiò e Rogers le lanciò un’occhiata perplessa.
“Non ci credo. Non l’avresti fatto.”
“È difficile dire cosa non farei per te.”

Steve si morse l’interno della guancia, fino a farla sanguinare. Il sapore ferroso del sangue gli riempì la bocca.
Razionalità ed istinto avevano ingaggiato una battaglia nel suo animo fratturato.
Anthea era lì per lui. L’aveva lasciato, ma era tornata e non era ancora sparita.
Era lì. Per lui.
E non sembrava avere intenzione di andarsene troppo presto.
Senza rendersene conto, Steve le aveva avvolto le spalle con un braccio e l’aveva stretta a sé. Anthea gli poggiò la tempia destra contro il petto.

“Tony ha ragione. Sei cresciuta parecchio” convenne il biondo.
“E tu sei cambiato, Steve. Cosa ti è successo?” azzardò l’oneiriana e lo ascoltò trattenere il respiro per lunghi e tesi secondi.

“Parlane con me.”
Quelle parole sussurrate con cauta dolcezza furono un invito di fronte al quale Steve si trovò spiazzato.
Forse furono i suoi occhi caldi e rassicuranti, brillanti come un faro nelle tenebre. Forse fu la sua stretta gentile e, al tempo stesso, solida come un’ancora in un mare spaventosamente vasto e agitato. O forse fu semplicemente il fatto che fosse lei, lei di cui conosceva ogni curva del corpo e lembo di pelle.
Senza sapere realmente come, Steve si ritrovò a parlare con paradossale calma di tante cose che avrebbe voluto seppellire e dimenticare.
Le parlò della decisione di lavorare allo SHIELD, dell’addestramento sfiancate per diventare più forte, di Rumlow, di come aveva ingenuamente creduto di potersi fidare e di come ingenuamente si era fatto manipolare, permettendo ad altri di usarlo come proficua arma. Le parlò del modo in cui le cose erano precipitate, della finta morte di Fury, del tradimento da parte di coloro che aveva considerato compagni, della fuga assieme a Natasha e della profonda amicizia che era nata fra loro.
Le parlò di Sam, uno dei rari compagni a cui aveva donato la propria completa fiducia.
Le confessò di aver scoperto di essere morto inutilmente e le raccontò dell’Hydra, di Schmidt, di Pearce e del Soldato d’Inverno.
“Credevo fosse morto” fu il mantra che accompagnò i ricordi che vertevano intorno a Bucky e “Non l’ho salvato” l’amara conclusione, a cui il biondo si premurò di aggiungere di come fosse stato James a salvare lui, prima sul treno, poi dall’annegamento nelle fredde acque del Potomac ed infine da Schmidt.
Le disse del ritorno a New York e della riunione degli Avengers pilotata da Tony, o meglio, le riferì di come Tony, segretamente in combutta con Sam e Natasha, era riuscito a riportarlo alla Tower.
Poi, Steve si era fermato. La sensazione di aver appena finito una corsa a perdifiato di parecchie ore lo colpì nella mente e nel corpo. La spossatezza, accompagnata da un vago senso di leggerezza, lo avvolse in un piacevole abbraccio.

Anthea aveva assorbito ogni parola, sfumatura di voce, baluginio delle iridi azzurre e espressione facciale del giovane super soldato, assaporando emozioni fredde e devastanti, quasi come avesse intimamente condiviso con lui un dolore schiacciante.
“Avrei voluto esserci” fu l’unico pensiero coerente che ebbe la forza di formulare nei successivi minuti di placido silenzio. Ma non gli diede voce.

Un lampo abbagliante squarciò il cielo, illuminandolo. Seguì un boato che fece tremolare l’aria.
“Forse sarebbe meglio rientrare” suggerì la ragazza.
Steve aveva le guance e la punta del naso arrossati per il freddo. Gli occhi chiari erano leggermente umidi, come febbricitanti.
“E comunque hai perso peso.”
Anthea fece scivolare una mano sotto la felpa del super soldato e con le dita percorse i solchi armonici degli addominali, soffermandosi poi sulle costole più sporgenti del solito. Conosceva quel corpo e, nonostante fosse passato parecchio tempo, la sua memoria ne conservava ogni dettaglio.
Steve emise un debole sospiro, rabbrividendo per quel tocco delicato.
“Sono un po’ sotto tono. Gli ultimi giorni sono stati duri.”

“James mi ha detto cosa volevano farti. Renderti un burattino. Giocare con la tua mente.”
Le tremò pericolosamente la voce e un moto di rabbia le fece contorcere lo stomaco quando si accorse della scintilla di paura che aveva acceso le iridi chiare del super soldato.
Quasi senza accorgersene, Anthea scivolò nella mente del biondo, affondando nei suoi ricordi e vide. Vide con estrema e spaventosa chiarezza.

 
“Voglio toglierti tutto, anche te stesso.”
“Divertiti finché puoi, perché tra poco userai la lingua solo per dire ‘Come lei comanda, Sir’ e nient’altro.”
“Non potete farlo”
“Fa male, Steve?”
“Non farmi questo”
“Ragazzo mio, avresti dovuto pensare alle conseguenze delle tue azioni sconsiderate. Ormai è tardi per tornare indietro”
“Chissà come reagiranno i tuoi amici, quando ti manderò ad ucciderli”
“Affrontami Schmidt! Affrontami da uomo!”
“Bene. Mi avvisi quando lo ha spezzato, dottore.”



Anthea si alzò di scatto, interrompendo il contatto tra loro. Steve le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Rientriamo” disse lei solamente, prima di dirigersi verso il bordo del tetto.
“Okay.”
Il biondo la raggiunse e saltò giù dal tetto senza alcuna esitazione e la ricaduta fu attenuata dalla neve. Anthea si lasciò cadere subito dopo, atterrando con estrema eleganza al suo fianco, e fece per muoversi in direzione della veranda, ma una decisa stretta attorno al braccio destro la costrinse a fermarsi.
Rogers la fece voltare e le prese il mento tra le dita, sollevandole appena il capo.
“Steve ...”
“Il tuo occhio destro sanguina. Di nuovo. E non dire che non è niente.”
Anthea si tirò indietro, sfuggendo al suo tocco.
“Effetti collaterali della crescita dei miei poteri. Alcune volte ho anche dei momenti di vuoto. Gli anziani del mio popolo dicono che devo solo avere pazienza, aspettare di raggiungere un solido equilibrio interiore.”
La giovane fece spallucce e cercò di piegare le labbra in un sorriso tranquillo.
“Va bene. Posso chiederti dov’è la tua spada?”
La perplessità si dipinse sul viso di Anthea, che esitò un momento prima di rispondere.
“L’ho lasciata ad Asgard. La custodiscono gli anziani per me. Perché ti interessa?”
Steve boccheggiò per dire qualcosa, prima di serrare le labbra in una linea dura.
“Steve? Va tutto bene?”
“Sei certa che sia lì?”
“Sì, ne sono certa. Qual è il problema?”
“Hai detto anche di essere certa di non aver sentito Thor arrivare.”

Rogers scorse uno strano baluginio attraversare le iridi dell’oneiriana.
Qualcosa non andava. Perché gli aveva mentito riguardo la spada? E perché ora sembrava così persa e confusa?
 
Una nuova lacrima rossa tracciò una macabra linea sul volto di Anthea. Questa volta era stato l’occhio sinistro a sanguinare.

“Io non capisco dove vuoi arrivare” sussurrò la ragazza tra i denti, assottigliando lo sguardo.
Steve percepì un brivido gelido risalire lungo la colonna vertebrale.
Un sorriso freddo fiorì sul viso della giovane, che piantò gli occhi, ora due abissi oscuri, in quelli chiari del super soldato, come sfidandolo.
“Tu non mi credi.”

Il biondo rimase immobile, teso come una corda di violino. La volubilità dell’umore di Anthea era spaventosa a volte.
Forse non era il momento giusto per approfondire la questione riguardante la spada, nonostante gli premesse sapere di più. Era sicuro di aver visto la spada nella base sotto il Triskelion. E Thor era tornato ad Asgard, senza alcuna ombra di dubbio.
Eppure, le parole di Anthea dicevano altro.
Inevitabilmente, il suo cervello cominciò a costruire ipotesi che mai avrebbe voluto considerare.

“Ne parliamo domani, okay?” le propose, asciutto.
 
La osservò incrociare le braccia sotto i seni ed abbassare il capo. In un istante, era tornata la ragazza insicura e confusa di anni prima.
“Okay, rientriamo.”
“Sicura di stare bene? I tuoi occhi ...”
“Te l’ho detto. Sto bene” affermò lei, risoluta, mostrando una sicurezza che stonava con lo stato in cui era piombata pochi secondi prima.
Definirla lunatica sarebbe stato decisamente riduttivo. Anthea sembrava possedere una personalità frantumata e Steve era certo che lei non ne fosse del tutto consapevole.

La tensione tra loro aveva cominciato a sciogliersi ed erano riusciti a ritrovare una certa sintonia. Questo almeno fino a una manciata di minuti prima, perché ora le cose parevano essere tornate al punto di partenza e Steve si sentì quasi in colpa per come la situazione era degenerata.
 
“Scusami.”
 
Anthea, che aveva iniziato a incamminarsi in direzione della veranda, si bloccò nel sentirlo pronunciare quell’unica parola. Scosse il capo e tornò da lui.
 
“No. Scusami tu.”
 
Un altro lampo squarciò il cielo e il rombare del tuono fu stavolta più forte. Raffiche di vento crearono piccoli turbinii di neve.
Ancora un lampo. Ancora un tuono.
 
Steve e Anthea si scambiarono un ultimo sguardo incerto e poi raggiunsero la veranda in silezio.
 
                                                            *
 
Quando tornarono dentro, rimasero abbastanza basiti nel ritrovare il centro del salotto ricoperto da lenzuola, cuscini e un paio di piumoni.
 
“Ehi, Rogers, dacci una mano” chiamò Stark.
“Lo farei volentieri se capissi cosa diamine state facendo.”
“C’è un solo letto di sopra, abbastanza grande per permettere a Nat, Pepper e Anthea di dormirci insieme. Noi ci arrangeremo sul pavimento e uno può stare sul divano, cioè io” spiegò Clint, mentre sistemava meglio un lenzuolo a terra. Gli arrivò un cuscino dietro la nuca.

“Volevi dire che dormo io sul divano” precisò Tony, schivando per un pelo il cuscino che l’arciere gli aveva rispedito.
 
“Non vi ammazzate” riprese Natasha, affacciata a metà della rampa di scale.
 
“Va bene, mamma” replicò Barton, mentre Tony si era trattenuto solo perché Pepper, al fianco della rossa, lo aveva guardato preventivamente male.
 
Quando anche Anthea ebbe raggiunto le due donne, i maschi del gruppo le osservarono sparire al piano di sopra.
 
“Okay. È più o meno tutto pronto.”
Clint lanciò un’occhiata perplessa ai letti di fortuna ricavati sul pavimento.
“Molto meno che più” si corresse poi.
 
“Perché li hai messi tutti appiccicati?”
Solo allora Tony parve notare quel particolare.
 
“Abbiamo poche coperte e due soli piumoni. Era impossibile fare un posto a testa. Accontentati. E poi credimi se ti dico che farà freddo, quindi non ti dispiacerà così tanto la vicinanza” spiegò Barton.
“No, non mi dispiacerà. Dormirò sul divano, infatti.”
“No, Stark. Ci dormo io.”

“Carta, forbice, sasso?” propose Sam.
 
Giocarono davvero. Tutti.
E Clint ne uscì vincitore.
L’arciere infilò una seconda felpa e si appropriò di una coperta, sistemandosi dunque sul divano e ignorando al contempo gli insulti di Stark.
 
“Tu stai fra me e il Soldato instabile” impose Tony, rivolto a Steve.
“Okay, okay. Non ti agitare.”
“Beh sai ... vorrei evitare di essere sgozzato nel sonno.”
“Stark.”
“Che c’è? Sono realista.”
 
Dopo qualche altra discussione sulle disposizioni e dopo che Sam vinse il posto laterale giocando a ‘Pari o Dispari’ con Tony, finalmente spensero le luci e si distesero a terra, infilandosi sotto i caldi piumoni.
Bucky era ad uno degli estremi di quell’ammucchiata di piumoni, lenzuola, cuscini e arti scomposti, poi c’erano Steve, Tony ed infine Sam.
 
“Siete ancora svegli?”
“Abbiamo spento la luce cinque minuti fa, Tony” sbuffò Barton, rigirandosi sul divano.
“Avete visto che lampi assurdi? Ce l’ha il parafulmini questa casa?”
 
Effettivamente, i lampi parevano piuttosto vicini e stavano illuminando a giorno il cielo.
 
“Dormi, Tony” lo pregò Sam, che era stanco morto e non voleva altro che farsi una lunga dormita.
 
L’inventore roteò gli occhi e si sistemò su un lato, rivolgendo il viso in direzione di Steve, che era disteso prono con la faccia affondata nel cuscino.
Dal biondo non era arrivata stranamente alcuna protesta. Sembrava essere crollato.
Allora Stark, per sincerarsi che fosse ancora vivo, allungò un braccio e avrebbe piazzato una pacca tra le scapole del super soldato, se Barnes non lo avesse bloccato, afferrandogli il polso con l’arto umano.
Stark scivolò subito via da quella presa, come scottato, e si ritrovò a fissare il volto del Soldato d’Inverno nel buio della stanza.
“Istinto” si giustificò quest’ultimo, in un bisbiglio incerto.
“Beh, spero che rimanga di protezione e che non si trasformi in istinto omicida.”
Anche se sussurrate, le parole di Tony risultarono fredde e alquanto accusatorie.
“Lo spero anch’io” fu la secca replica di James.
 
E da quel momento, ci fu solo il suono della tempesta che imperversava fuori dalle mura di quel nuovo e provvisorio rifugio.
 
 
 
                                                           ***
 
 
 
“È sicuro che funzioni, Sir?”
 
Teschio Rosso dedicò a Rumlow uno sguardo di sufficienza e poi tornò a rivolgere l’attenzione al cilindro di vetro contente la spada dall’elsa bianca.
 
“Credo di potermi fidare di lei. Dopotutto, se sono qui, è merito suo.”
 
Un attimo dopo, il rumore graffiante del vetro che si infrange riempì la stanza.
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao!
Sono tornata e spero con tutto il cuore che voi ci siate ancora :)
Posso ora dire di essere ufficialmente matura, o meglio, lo sono dal 4 Luglio! È stato un po’ triste dire addio al liceo, ma ehi! C’est la vie ;)
 
Il capitolo è lunghetto, lo so, diciamo che può assomigliare ad un riepilogo degli ultimi eventi. È un capitolo di passaggio e dal prossimo ricominciamo con l’azione, promesso ;)
Se qualcosa non è chiara o se notate delle incongruenze, non dovete far altro che chiedere. Io sono qui :)
 
Voglio assolutamente ringraziare voi delle liste speciali <3
Anny2001
DalamarF16
fredfredina
happyfun
Ragdoll_Cat
Ravinpanica
Siria_Ilias
TheMonstersAreHuman
Trafalgar Norah
winterlover97
Eclisse Lunare
Giulietta beccaccina
Mary Grifondoro
mrslightwood
selenagomezlover99
shoppingismylife
StevenRogers
the little strange elf
_Abyss_
_Alesia_ 
 
E un caloroso saluto alle New Entry <3
ReAles
Anthea08
Dragonite
Fex89
genny87
Grazie davvero di aver deciso di seguirmi e scusate per il lungo periodo di assenza!
 
Ci tengo a ringraziare poi Ravinpanica - sono tornata finalmente e, come promesso, cercherò di farmi perdonare l’assenza! Un abbraccio fortissimo <3 -, the little strange elf - sappiamo cosa è successo a Tony! Dal prossimo ti assicuro che mi muoverò in direzione di Thor e Bruce e, piano paino, tutti i nodi verranno al pettine! Tantissimi baci <3 -, Siria_Ilias - come è andata la maturità? Mi auguro tutto bene! Ti mando un abbraccio forte e spero che sia riuscita a farti divertire <3


E infine non posso non ringraziare la mia Sister Ragdoll_Cat  <3
Hai visto? Sono finalmente riuscita a pubblicare! Grazie per i consigli e il supporto, davvero, non ho parole  *.*
Devo ancora rispondere alle tue recensioni, ma prometto che lo farò presto!
 
Beh, credo sia tutto!
Appuntamento a fine mese!
Un enorme abbraccio e tutti <3
 
La vostra resuscitata Ella
   
 
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