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Autore: Ilarya Kiki    12/07/2016    4 recensioni
La vita dopotutto è come un puzzle, no? Fatta di tanti piccoli tasselli che si incastrano perfettamente l'uno nell'altro: capita però che a volte questi tasselli si perdano, e poi chissà dove cavolo vanno a finire, lasciando un sacco di buchi. Anche la tua vita è un puzzle, un milk puzzle: mancano fin troppi tasselli, e rappresenta solo e soltanto una cosa: il niente. Rassicurante, eh? Il nulla totale. Tanta fatica e poi nessuna immagine, così funzionano i milk puzzle.
O, almeno, così piacerebbe a te.
Dopotutto, il latte fa pure bene alle ossa.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frisk, Sans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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*Sesto tassello.

 

 

Core.

 

...e all’improvviso sei di nuovo qui.
I tuoi pensieri tornano tutti insieme riempiendo il vuoto, veloci come un risucchio e rumorosi come una fanfara, così disordinati e sovrapposti tra loro da frastornarti la testa.
Chiudi gli occhi in preda al dolore. Ti stringi le tempie tra le dita.
Colori, visi, voci, luoghi, cose… ma cosa…?
Respiri. L’aria prima entra, poi esce. Entra. Esce. Nella tua testa i rumori si abbassano, smettono di martellare contro la scatola cranica. Fanno meno male rispetto a prima, rilassi la mente.
Apri gli occhi, e vedi fuoco. Fuoco ovunque. Le ginocchia fanno male, sei a terra, accasciato sulle rotule, appena visibili oltre i pantaloncini anneriti di cenere e braci.
Ma cos’è questo posto… dove sei?
Chi sei…?
Ah, che domanda stupida: certo che lo sai chi sei. Tu sei… sei… sei il grande Papyrus. Ma certo. Hai dieci anni e adori collegare con la matita i puntini della settimana enigmistica. Ma certo.
Appoggi le mani al suolo e le senti ardere: il pavimento metallico è ustionante e annerito. Confuso, ti guardi attorno: sollevi gli occhi verso l’alto e ti accorgi che la sala in fiamme è talmente alta che non riesci a scorgerne il soffitto.
Non riesci a raccapezzarti di cosa sia quel posto, non lo hai mai visto prima. Ceneri volatili si sollevano dal pavimento insieme al vento rosso delle fiamme, rendendo poco riconoscibile l’ambiente: tutto brucia.
All’improvviso non ti importa più nulla di sapere dove ti trovi, quando i tuoi occhi incontrano una figuretta distante, di spalle, confusa dalle onde dell’aria surriscaldata. Non ti poni nemmeno il problema di chi sia, perché lo riconosci subito.
“SANS!”
Urli il suo nome, spaventato, e il crepitio dell’incendio copre quasi del tutto la tua voce. Sta bene? Perché è immobile? Cosa sta guardando?
Sollevandoti su gambe tremanti corri verso tuo fratello, di fronte a te, ignorando il fatto che alcuni pezzi di parete metallica stiano iniziando a crollare, cadendo dall’alto.
È seduto in ginocchio: la sua felpa grigia è completamente annerita, sembra quasi non respirare mentre con espressione atona fissa di fronte a sé, apparentemente ignaro dell’inferno che lo circonda, con i suoi occhi azzurri e luminosissimi accesi come fiaccole. Ah, no, in realtà solo un occhio è acceso, il sinistro, mentre l’altro è nero come la cenere che ricopre quella parte del volto. Non sai se è normale, se sia sempre stato così oppure no, ma ora non importa.
Cerchi di capire che cosa sta fissando, puntando gli occhi nella direzione in cui sta guardando lui, e di fronte a te trovi un precipizio; per un secondo le vertigini ti scuotono, poi ti rendi conto che vi trovate su una specie di enorme piattaforma di metallo sospesa, e sotto di vuoi c’è un mare di lava ribollente.
“SANS! – lo chiami, e lo scuoti – SANS!”
La sua espressione non cambia, non sembra nemmeno accorgersi della tua presenza.
“COSA È SUCCESSO? DOVE SIAMO?”
All’improvviso sembra avere un sussulto, si volta verso di te, mentre i suoi occhi grandi si riempiono di preoccupazione.
“Paps! Stai bene? Sei ferito?”
Ti afferra per le spalle e senti le sue mani stringerti le clavicole, mentre fa correre la sua unica pupilla azzurra su tutto il tuo corpo per accertarsi che tu stia bene. Ma tu stai bene?
“Non… non lo so, non mi fa male niente.”
“Oh meno male…”
Le sue braccia ti circondano e ti stringe forte, senti le sue ossa scuotersi, ti rendi conto che trema dalla testa ai piedi: dalla sua faccia capisci che è appena successo qualcosa di terribile, ma non sai che cosa.
In realtà, pensandoci, non hai nessuna idea nemmeno di come tu sia arrivato in quel posto, o tantomeno di cosa tu abbia mangiato per colazione stamattina – dov’eri stamattina…?
Senti un nodo stringerti la gola sempre più forte mentre questi pensieri ti riempiono la testa, e l’idea di una misteriosa catastrofe incombente ti riempie gli occhi di umida paura. Tuo fratello è forte, è grande, lui non si fa spaventare se non per qualcosa di gravissimo, tu non l’hai mai visto tremare così, esitare così…
Ti lascia andare e ti guarda ancora negli occhi con quella sua faccia disperata, sembra star male, digrignando i denti si prende la testa fra le mani.
“…sta svanendo…”
Farfuglia.
“…sta scomparendo tutto… io non… sta scomparendo!”
Tu non sai che fare, vorresti aiutarlo e vorresti capire di che accidenti sta parlando, gli afferri i polsi e lo costringi a guardarti, intercettando i suoi occhi che ora sembrano tentare di aggrapparsi a fantasmi nel vuoto.
“Ma Sans… cosa sta scomparendo?”
Lui sembra fare uno sforzo immenso di concentrazione prima di poterti rispondere, aggrottando le cavità oculari e stringendosi una tempia con le dita.
“Gas… Gaster. Lo sto dimenticando Papy, mi sta scivolando via…”
Chi?”
“Gaster, nostro fratello!”
“Ma Sans io ho un solo fratello, e sei tu!”
Sans spalanca gli occhi e tu hai l’orribile impressione di avergli tirato una coltellata al cuore, con le tue parole. Ma non ci puoi fare nulla… non hai idea di cosa tuo fratello stia farfugliando e vederlo così ti fa solo stare male. Con tuo sommo sconcerto due sottili rigagnoli di lacrime iniziano a scorrergli sulle guance.
“Cosa c’è Sans? Perché piangi?”
Non ricordi di aver mai visto tuo fratello piangere.
“Sans!”
Balbetta qualcosa, ma non riesce a finire le parole perché i singhiozzi lo soffocano. Si guarda in giro, si copre gli occhi con le mani, digrigna i denti e ti stringe ancora più forte sulla clavicola, piegandosi in due. Tu non sai che fare, non ci capisci più niente, il posto dove vi trovate sta cadendo in pezzi in preda alle fiamme e il tuo fratellone sta crollando ancora più rovinosamente delle mura di metallo.
Ti protendi in avanti, d’istinto, ti appendi al suo collo e lo stringi forte, mettendoci tutta la tua anima. Non puoi vederlo piangere così, perché se continua a soffrire in questo modo senti che il cuore si spezzerà anche a te e inizierai a piangere anche tu, e lui è l’unica persona della tua famiglia e non esiste che nella famiglia del grande Papyrus ci sia qualcuno che stia così male.
Lo senti appoggiarsi sulle tue spalle con tutto il suo peso e cerchi di consolarlo come meglio puoi, nonostante i suoi singhiozzi sembrino solo aumentare di ritmo.
“Sta scomparendo… - continua a farfugliare - …non me lo ricordo più, non me lo ricordo più… è troppo tardi…”
“Dobbiamo uscire di qui Sans, o scompariremo anche noi!”
Puntellandoti sulle ginocchia cerchi di rialzarti in piedi, trascinando su con te anche Sans, che sembra aver perso la volontà di spostarsi di lì e magari di evitare di finire carbonizzato. Con qualche sforzo riesci a sollevarti tenendo il braccio di tuo fratello sopra tue le spalle, facendogli da stampella, e facendo lo slalom tra i pezzi di soffitto che cadono sempre più numerosi dal soffitto immerso nel fumo, inizi a zoppicare alla ricerca di una possibile uscita.
“AIUTO! AIUTATECI, QUI CROLLA TUTTO!”
Qualcuno deve pur essere rimasto, in quell’inferno in rovina, per aiutare due ragazzini senza memoria, apparsi da nulla.

 
Apri la porta e riconosci l’appartamento dove vivi, ma c’è qualcosa di strano nell’aria.
Ti senti come se stessi tornando da un viaggio durato anni, e quella che ti accoglie è sì casa tua, ma con qualcosa di irrimediabilmente diverso che vibra tra le mura: come se fosse stata abitata da persone completamente altre da te fino a cinque minuti prima che tu tornassi, ed entrando la riempissi di nuovo con la tua memoria, ma, ormai, è irrimediabilmente diversa da quando ci avevi vissuto tu.
Con un brivido lungo la spina dorsale chiudi la porta alle tue spalle e tuo fratello, arrancando dalla stanchezza, si va a buttare sul divano a faccia in giù, per poi rimanere immobile in quella posizione tranne che per il lento alzarsi e abbassarsi del suo respiro addormentato.
Avete avuto tutti e due una giornata terribile. Strana, e terribile.
Arrancando con Sans sulle spalle sei stato capace di individuare una porta, in quella sala infernale, e straordinariamente l’hai trovata aperta: fuori, l’immenso corridoio dello strano palazzo metallico in cui vi trovavate era deserto, ma c’erano delle luci rosse che lampeggiavano e una sirena straziante annunciava a tutti i mostri del circondario che qualcosa di molto pericoloso e distruttivo si era appena abbattuto nella stanza con il lago di lava.
Distrutto dalla stanchezza sei crollato di nuovo sulle ginocchia, ma presto qualcuno è arrivato davvero a salvarvi: un gruppo di mostri in tuta da lavoro e con dei caschetti di sicurezza ben saldi sulla testa.
“C’è stata un’esplosione, siamo in stato di emergenza! E voi due da dove sbucate?” aveva chiesto un piccolo roditore dai denti a punta e la voce stridula.
“… non lo sappiamo nemmeno noi…” avevi farfugliato tu in risposta, e l’operaio facendo spallucce vi aveva accompagnato in un bar lì vicino per offrirvi qualcosa di corroborante prima di indagare sulla vostra famiglia e rispedirvi a casa sani e salvi.
La cosa più preoccupante, però, è stata che quando ti ha chiesto chi erano i tuoi genitori, la tua memoria ha iniziato a non collaborare più.
“Chi è vostra madre?” aveva chiesto la talpa gentile, una volta che eravate tutti e tre seduti al tavolo in quel piccolo locale illuminato di luce elettrica.
“È morta. – Avevi risposto tu con sicurezza – Quando ero piccolo.”
“Oh… e vostro padre?”
“Noi non abbiamo un padre.” Avevi farfugliato, confuso. Già, confuso, perché anche se sapevi benissimo di non aver mai avuto un padre, c’era qualcosa di molto strano in tutta quella situazione.
“… ma allora con chi vivete, con uno zio, una nonna?”
Ecco, quella era stata la domanda che ti aveva mandato in crisi. Non ricordavi assolutamente nessuno tranne te e Sans. Tu andavi a scuola, e anche tuo fratello ci andava – eri andato a scuola quella mattina…? Proprio non riuscivi a ricordare – ed era impossibile che voi due foste cresciuti da soli. Almeno, eri assolutamente convinto che non fosse così, dato che era piuttosto strano che due ragazzini vivessero per conto loro e sicuramente una cosa del genere te la saresti ricordata.
Eppure…
“…viviamo da soli… credo.”
Speravi che in qualche modo Sans venisse in tuo soccorso, dicesse qualcosa che ti aiutasse a capire un po’ che diavolo era successo, ma era chiuso in uno stranissimo mutismo, così insolito per un tipo ciarliero come lui: se ne stava con la testa appoggiata sulle braccia, scoraggiato, e sembrava volersi trovare in qualsiasi altro luogo che non fosse lì.
“Se mi dite dove vivete, posso accompagnarvi a casa. Così potete farvi una bella dormita. Il Core a partire da questo momento sarà chiuso per riparazioni, quindi non andate più a curiosarci dentro! Anche quando è completamente operativo, comunque, non è posto per ragazzini.”
E così, eccovi a casa, nel complesso residenziale delle Hotland, in un piccolo appartamento vicino ai fiumi di magma.
Prendi una coperta, abbandonata disordinatamente sul tappeto, e la usi per coprire tuo fratello sul divano, prima di deciderti a farti una doccia per levarti di dosso tutta quella fuliggine nera.
La casa è silenziosa, così a luci spente, riscaldata da una fioca luce che penetra orizzontale dalle imposte semi abbassate.
Ti sembra terribilmente vuota.
Al frigorifero sono appesi dei disegni, ma non li riconosci: eppure li hai fatti tu.
Il piccolo bagno è tutto in disordine, e ti pare strano pensare che sia una cosa normale, perché anche se tuo fratello è un disordinato cronico, sei convinto che una casetta così carina debba per forza avere qualcuno che la riordini qualche volta. Sono sempre i misteriosi ospiti immaginari di prima, quelli che hanno vissuto lì dentro mentre tu non c’eri, che l’hanno lasciato così.
O forse, loro erano i veri abitanti della casa, e l’estraneo sei tu.
Sei piombato in questo mondo come un fulmine a ciel sereno e hai spazzato via loro, occupando la loro vita e cancellando tutto il resto.
Questa sensazione orribile non viene lavata via dall’acqua incessante della doccia, ma anzi inizia a scivolarti sulle guance con essa, bollente e dolorosa.

 

La maestra, a scuola, ti chiede se ti sei appena trasferito nei quartiere.
Tutti i tuoi compagni ti guardano incuriositi, e tu senti tutti i loro occhi magnetizzati su di te come se fossi uno strambo magnete da frigorifero. Tu riconosci tutti, riconosci anche la maestra, ma nessuno sembrerebbe aver mai visto te. Avevi sperato che quella brutta sensazione che avevi avuto fin da ieri, dall’incidente nel Core, fosse stata appunto solo una tua impressione, e invece nel mondo c’è davvero qualcosa di sbagliato: ora ti rendi conto che, in effetti, è come se non fossi mai esistito.
Come se tutto ciò che tu sei stato prima dell’incidente fosse stato spazzato via.
“Ma io sono il grande Papyrus, vivo a Hotland da quando sono nato, avevo tanti amici ed ero pure bravo a scuola… come avete fatto a scordarvi di me!?”
È andata a finire che sei scoppiato in lacrime sul tuo banco – che vergogna – e la maestra ciclope ha passato mezz’ora a consolarti, pensando probabilmente che tu fossi solo un po’ strano e avessi in testa una grossa confusione. Tu ti sei asciugato le guance, ma la paura e il dolore non se ne erano andati via insieme ad esse.
Finalmente a ora di pranzo sei scappato via da lì – scappato, perché non sopportavi più di stare in mezzo a quelle persone – correndo più veloce che potevi verso casa, verso tuo fratello, che era l’unica persona che ancora ti sembrava normale in quelle ore impazzite.
Ora apri la porta di casa e ti affacci all’uscio, cercando una figura familiare e rassicurante nell’interno, e trovi Sans in piedi in mezzo a un gruppo di scatoloni pieni di oggetti, con una delle sue mille felpe avvolta intorno ai fianchi, parecchio indaffarato in qualcosa che in un primo momento non ti è molto chiaro.
“Sans! – lo chiami, sentendo il pianto nascerti ancora nel petto quando alza gli occhi su di te – Sans! Tu almeno ti ricordi di me, vero!? Non sei impazzito pure tu, vero!?”
Vedendoti sull’orlo delle lacrime scavalca con un balzo un paio di scatole, ti si piazza davanti, piega le ginocchia per raggiungere il tuo livello e ti afferra per le spalle, guardandoti negli occhi con un gran sorriso.
“Ma certo che mi ricordo del mio fighissimo fratellino! Come potrei mai dimenticarti?”
E poi ti stringe forte in un abbraccio rassicurante, che ti fa passare all’istante qualsiasi residuo di tristezza che ti era rimasta da quella mattina. Cavolo, tuo fratello è il migliore. A volte ti chiedi se diventerai mai alto e forte come lui.
“Cos’è successo Paps? Ti va di raccontarmelo?”
Gli racconti quello che ti hanno detto i tuoi compagni e la maestra quella mattina a scuola, e Sans pare raccogliere quelle informazioni con una certa flemma, come se già si aspettasse di sentire una storia del genere. Pare pensarci un po’ su.
“Oh, cerca di non farci caso. Tanto adesso non ci dovremo preoccupare più di queste cose.”
Entrate in soggiorno e tu, facendo lo slalom tra gli scatoloni, ti rendi conto che normalmente Sans non avrebbe avuto il tempo di prepararli poiché di solito tornava a casa solo trenta minuti prima di te, dato che frequentava le scuole superiori.
“Che stai facendo fratello? Non c’eri quando mi sono svegliato. Non sei andato a scuola stamattina?”
“No.”
“Come mai?”
“Perché appena sono arrivato in classe mi è successa la stessa cosa che è capitata a te. Così sono tornato a casa subito.”
Sei andato a frugare in credenza per vedere di trovare qualcosa di buono da sgranocchiare per pranzo, ma aprendola la trovi desolatamente vuota. Ti accorgi che anche tutti gli altri scaffali sono vuoti, e che ci sono due panini già pronti sul tavolo.
“Perché hai svuotato tutto, Sans?”
 “Perché sto facendo le valige.”
“…e perché?”
“Perché domani ci trasferiamo, Paps.
“Cosa!?”
Ti giri verso tuo fratello e lo trovi in piedi a piegare magliette sul divano, ti guarda, fa spallucce e torna al suo lavoro.
“Certo, cambiamo casa.”
“Ma perché!?”
“Beh, l’hai visto anche tu. Qui sono impazziti tutti quanti, la lava fa bollire il cervello alle persone, e diventano tutte delle teste calde, eheheh. Meglio che andiamo a raffreddare un po’ i pensieri da qualche altra parte.”
Non sopporti quando fa le sue battutacce nel bel mezzo di un discorso serio.
“Ma scusa, come farò con la scuola?”
“Ce ne sono altre anche nelle altre città, stai tranquillo.”
“…e tu?”
“…io… mi sono davvero rotto le scatole della scuola. Magari mi troverò qualcos’altro da fare.”
“Sans!”
“Oh dai sai come sono fatto. Sono già più avanti di tutti i miei compagni in realtà, e in classe mi annoio e basta. Potrei mettermi ad aggiustare frigoriferi.”
“Ma Sans…”
“Papy, sai meglio me che non possiamo stare più qui.”
Ti si teletrasporta davanti, appoggiandosi al tavolo. In effetti ha ragione. Anche tu non desideri altro che andartene da quel posto più in fretta possibile, lontano da quella gente che dovrebbe sapere chi sei e da quella casa vuota, dagli echi di malinconia che rimbombano tra le sue pareti come il costante ricordo di qualcosa di perduto per sempre e che hanno già cominciato ad infestare i tuoi incubi.
Tuo fratello prende un panino dal tavolo e te lo porge, sorridendo confortante.
“Non so bene cosa sia successo ieri, sto cercando di capirlo, ma qualsiasi cosa sia ha sfasato il nostro mondo. Noi non stiamo bene qui, dobbiamo ricominciare da capo in un posto dove non ci conosce nessuno, lontano il più possibile da Hotland, ed essere felici di nuovo. Va bene?”
“…e dove andremo?”
“Stavo pensando a Snowdin, vicino alle Rovine. Ti andrebbe?”
Un pensiero felice ti si gonfia nella testa come un palloncino colorato cancellando tutto il resto.
“Sì! Che bello! Non ho mai visto la neve!”
Tuo fratello sorride ancora di più in risposta.
“Oh, lì ce ne sarà quanta ne vorrai. E faremo un sacco di pupazzi!”
“Evvai!”
Finalmente una bella notizia! Dopo questo discorso vi sedete a mangiare tutti e due, parlando di quando sarà bella la vostra nuova casa e di quanto sarà lontano tutto quel caldo e quel vapore fastidioso di Hotland. Ma come avete fatto a vivere lì fino a quel momento e a non scappare a gambe levate anche prima, a solo un ascensore di distanza da quel mostro di metallo e fuoco che è il Core? Questi discorsi felici aiutano ad attenuare lo spavento che vi siete presi un giorno fa, e anche quel crescente senso di disagio che vi attanaglia le ossa ogni secondo di più che passate tra queste mura.
Piccolo Papyrus, Sans non ha avuto il cuore di dirti che, con i soldi che avete in casa, non potreste permettervi di vivere in questo complesso residenziale carissimo per più di due mesi prima di finire per strada. E non ti ha detto nemmeno che forse qualcosa l’ha capito, di quello che è successo ieri in quella camera divorata dalle fiamme, ma sarebbe troppo orribile da ascoltare e un ragazzino vispo e felice come te di certo non ha bisogno di sentire certe cose brutte. Non ti ha detto dei progetti che ha trovato tra le carte dello studio, delle domande che ha fatto a metà degli abitanti di Hotland e persino al re questa mattina, chiedendogli di me.
Non ti ha più parlato di me.
Forse non l’ha fatto, più che per proteggerti, per salvare se stesso dalla disperazione. Ma probabilmente è meglio così, almeno non sarai costretto a sentire la mia mancanza.

 

L’indomani mattina sei in partenza insieme a tuo fratello, con un carrellino di legno pieno di tutte le cose che potete portare con voi fino alla vostra nuova città ed il cuore pieno di speranza. Nessuno vi saluta mentre ve ne andate, nessuno ricorda il vostro viso: questo posto non vi appartiene più.
Trotterellando per la via ti accorgi che qualcosa sfugge dalla tasca di Sans e svolazza via, senza che lui se ne accorga: con uno scatto corri a recuperarlo.
Anche lui sorride; forse non l’hai notato, ma una strana luce gli brilla negli occhi: non ha nessuna intenzione di abbandonarmi e sta già pensando a dove recuperare il materiale per costruire la macchina che gli servirà venirmi a salvare. È davvero brillante, anche se si vergogna così tanto ad ammetterlo. Ce la farà?  ...
Guardi l’oggetto che hai raccolto dal suolo umidiccio, è uno dei disegni che hai fatto tu, e che prima stava appeso al frigo della vecchia casa: siamo noi tre, anche se per te adesso non ha più nessun significato.
Lo restituisci a Sans, e lui lo fa sparire in un secondo nella larga tasca della felpa, ringraziandoti.
So che non sarà facile, ma potete farcela, siete forti.

 

Fratellini miei.

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*Ciao a tutti, scusate se sono stata via così tanto, ma ho avuto da fare.
*In ogni caso, eccomi qui con il sesto tassello.
*Spero che vi sia piaciuto, anche se è un po' malinconico.

*Ci si rivede presto!

 

  
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