Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Suicide Crown    12/07/2016    2 recensioni
"Quale angelo mi sveglia dal mio letto di fiori? Ti prego, grazioso mortale, canta ancora. Il mio orecchio si è innamorato delle tue note come il mio occhio è rapito dal tuo aspetto. Il potere irresistibile della tua virtù mi spinge fin dal primo sguardo a dirti, anzi a giurarti che t'amo".
-Whilliam Shakespeare.
Tutto...iniziò quel giorno.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2.

 

 

 

 

Arricciai il naso in una piccola smorfia, non appena un timido raggio di sole illuminò il mio viso, facendomi aprire lentamente gli occhi, quest'ultimi ancora impastati dal sonno.

Mi grattai distrattamente uno zigomo con la punta dell'indice, nell'intento di scostarmi una piccola ciocca di capelli che, per via della costante umidità, si era incollata sulla mia guancia, provocandomi un leggero solletico. E, dato che io soffrivo abbastanza il solletico... mi incazzai con me stessa, per via dei miei ricci ribelli. Aprii una palpebra, poi l'altra, lottando contro la luce del giorno, in cerca di riacquistare visibilità. Mi morsi il labbro inferiore e soffocai uno sbadiglio, prima di trascinarmi fuori dal letto, manco avessi novant'anni.

Scostai le tende dalla finestra ed emisi un piccolo suono, simile ad un biascicato lamento, per via della abbagliante luce che penetrò in un attimo nella piccola camera. Per degli occhi abituati all'oscurità, il sole è il nemico più temibile, pensai, ravvivandomi i capelli con le dita affusolate. Staccai il suono della sveglia, che ancora continuava incessantemente a sfondarmi i timpani, e girai la maniglia della porta. Ma, non appena la aprii, subito cacciai un urletto di sorpresa e balzai all'indietro, tanto da perdere l'equilibrio. Fortunatamente, riuscii ad aggrapparmi all'anta dell'armadio, altrimenti sarei caduta.

Good morning, sorellina!” Mio fratello, con l'accento straniero che aveva preso in America, ora era lì, davanti a me, appoggiato allo stipite della porta. Spalancai la bocca, ma poi la richiusi, incapace di dire nulla. Rimasi semplicemente immobile a fissarlo, pur mantenendo il mio sorriso colmo di ironia e strafottenza.

La maschera che porto per anni, pensai.

Drake Wood, mio fratello maggiore, mi somigliava molto. Eccezion fatta per i capelli, d'un colore nero corvino. Nonostante sia stato sempre al mare, non aveva preso neanche un minimo di colorito. Difatti era pallido, proprio come me. Disponevamo di poca melanina, per permettere alla nostra carnagione di abbronzarsi. Lui, non notando alcuna mia reazione, ma solo quel sorrisetto sul volto, decise semplicemente di imitarmi, cosa che mi spinse inevitabilmente a parlare.

“Sparisci di qui, Drake.” Ordinai, inarcando un sopracciglio. Ma egli non sembrò ascoltarmi. Difatti, senza alcuna vergogna, oltrepassò la porta e posò il pesante borsone a tracolla sulle lenzuola sfatte del mio letto. Mi rivolse un sorriso innocente e si passò una mano tra i capelli ondulati, scostandosi il ciuffo dall'occhio sinistro, che bloccava la vista di quella penetrante e adulatoria iride verde. Roteai gli occhi e mi avvicinai a grandi passi a lui, fino ad arrivargli davanti. Rimasi sorpresa, dalla sua altezza. Rispetto a prima, adesso ero io la più bassa, tra i due.

“Mamma mi ha detto di rimanere qui a tenerti compagnia. Sai com'è, il lavoro le sta dando molto da fare, ed è dovuta partire.” Aggiunse lui, sfiorandomi con il polpastrello del pollice il piearcing che portavo al labbro. Trasalii, al suo gesto, e mi scostai istintivamente. Ma lui si avvicinò ancor più a me e, piegandosi lievemente in avanti, mi scoccò un bacio sulla guancia.

Mi sforzai di non arrossire per l'imbarazzo, anche se era ormai diventato inevitabile, dato che sentivo i suoi occhi socchiusi e divertiti puntati sul mio viso. Sbottai un “'Fanculo.”, prima di ritrarmi nuovamente ed aprire il primo cassettone dell'armadio, nel tentativo di cercare qualcosa da indossare. Non avevo il desiderio di rimanere nuda, sotto i suoi occhi. Avrebbe avuto sicuramente qualcosa da dire sul mio seno, quest'ultimo a dir poco piatto.

Lo sentii solo sbuffare una risata, per poi uscire dalla camera, con la solita tranquillità di uno che dorme.

Mi affrettai a scendere le scale ed entrai in cucina, dove lì venni accolta da un profumo invitante di frittelle dolci. Feci per inumidirmi le labbra, ma la voce di mio fratello interruppe quel momento.

“Accidentalmente, ho cucinato qualche frittella in più. Vuoi?” Chiese, sporgendosi appena verso di me. Ed io, in tutta risposta, delineai le labbra in un piccolo sorriso ed annuii, abbozzando una risata strafottente. Come sarebbe a dire che le aveva fatte “accidentalmente” in più?, pensai. Mi scostai i capelli da una spalla e li raccolsi sull'altra, per poi aprire il frigo ed afferrare una bottiglia ancora intatta di liquore. Me la rigirai tra le mani, inarcando appena le sopracciglia.

Mi morsi il labbro. “E questo? Prima non c'era.”

“Regalino. So che a te piace bere.” Disse, prima di spegnere il fornello e posizionare le frittelle sul piattino di ceramica. Serrai le labbra e, con ancora quella strafottenza sul mio viso, annuii lentamente, quasi sorpresa dal suo gesto. Posai la bottiglia e chiusi il frigo, per poi allontanarmi da esso, volendo resistere alla tentazione di aprire quel dannato tappo e scolarmi il contenuto, tutto d'un fiato, ora che mamma non c'era. Ma non lo feci, e, dopo essermi seduta al tavolo della cucina, in contemporanea si accomodò anche lui.

Iniziammo a mangiare. Accompagnato al sapore delle frittelle, aggiunsi dello sciroppo d'acero e, nel giro di qualche minuto, le avevamo già finite tutte. Non appena alzai lo sguardo verso Drake, lui stava bevendo un bicchiere d'acqua, e solo allora notai che stava indossando la sua maglia preferita: si trattava di un semplice capo nero, dove, dietro la schiena, vi erano disegnate due maestose ali bianche. Anche a me piaceva, ecco perchè ne avevo una simile.

Distolsi lo sguardo ed iniziai a torturarmi il piearcing. Sentivo ancora il sapore della sua pelle, sull'anellino che portavo al labbro.

“Allora.. hai già finito gli studi?” Trattenni una risata. Come se fosse possibile. Mi rimaneva ancora un intero anno per completare le superiori, e quelle dannate sedute psicologiche rubavano tutto il mio tempo, come se fosse inutile il fatto che dovevo recuperare un bel po' di materie. Ma questo era solo colpa mia.

“No. Mi manca ancora un anno, se non vengo rimandata.” Mormorai sommessamente, prima di impilare i piatti sporchi e depositarli dentro il lavabo. Aprii l'acqua e, nel mentre che si riscaldava, mi avvicinai di soppiatto a lui e gli afferrai con delicatezza i capelli, costringendolo a piegare il capo all'indietro per guardarmi.

“Sai, Drake...? Non mi importa più un cazzo della scuola. Che senso ha studiare, se poi vieni considerata 'la squilibrata' della classe e ti sottovalutano al punto da non considerarti né in campo scolastico né in campo sociale?” Sussurrai tutto d'un fiato, guardandolo in quegli occhi, così simili ai miei. Lui accennò un sorriso e, a sua volta, fece scorrere le sue dita sulla mia nuca, per poi afferrarmi alcune ciocche scarlatte, tirandomi ancor più verso di lui.

“Sorellina, ascoltami: delle volte, essere diversi al resto del mondo non è considerato come un fatto sfigurativo o denigratorio. Se la gente è ignorante e tutta uguale, non è mica colpa tua.” Sussurrò flebilmente, con la sua voce roca e calda, tipica del suo atteggiamento frizzante, seppur protettivo e gentile. Di una cosa ero certa: non mi avrebbe mai fatto del male. Ma la mia diffidenza non mi permetteva di fidarmi di nessuno.

Distolsi lentamente lo sguardo e le nostre prese, contemporaneamente, si sciolsero, lasciandomi un leggero rossore sui pallidi zigomi. Mi morsi il labbro e mi girai di schiena, iniziando a passare le mie mani sotto il getto d'acqua, quest'ultimo divenuto di una temperatura ormai calda. Quel contatto bollente con la mia pelle sempre fredda mi rese piacere, tanto che il mio viso si arrossò ancor di più, per via del calore che esso provocava.

Dopo quella conversazione, tra me e Drake calò il silenzio più profondo. Ma non era tensione, bensì intesa. Era quell'intesa tra fratelli, che molti non possedevano.

Dopo aver finito di lavare ed asciugare i piatti, allargai l'elastico nero che portavo sempre al polso e mi legai i capelli in uno chignon, da cui ricaddero successivamente alcune ciocche ondulate ai lati del viso. Drake era uscito: diceva che doveva vedersi con alcuni suoi amici per fare un giro, e mi aveva chiesto se volevo accompagnarlo. Ma io mentii, dicendogli che dovevo fare ancora delle cose. Non avevo mai avuto un buon rapporto con quei ragazzi, quindi avevo preferito rimanere a casa, per evitarmi possibili scocciature. Alzai lo sguardo sull'orologio della cucina, che segnava le 20:00. Inoltre, tra poco dovevo andare allo studio psichiatrico. Salii le scale ed entrai in camera, per poi sfilarmi i vestiti sporchi ed indossare quello che mi capitava a tiro: una maglietta bordeaux a maniche scollate e un paio di skinny-jeans neri, con lo strappo al ginocchio. Mi infilai le Vans scure ai piedi ed, infine, mi coprii le spalle con una giacchetta dello stesso colore dei jeans, solo leggermente più chiara. Mi coprii la testa con il cappuccio e, dopo aver preso il piccolo zaino di pelle nera in spalla, scesi le scale ed aprii la porta di casa, per poi richiuderla alle mie spalle. Arrivata fuori, l'aria gelida e puntigliosa dell'inverno mi colpii in pieno, facendomi stringere la giacchetta sul busto, nel tentativo di trovare un po' di calore, per potermi così riscaldare. Iniziai a camminare, diretta alla fermata della metropolitana.

Come ogni giorno, ero costretta a percorrere la stessa strada e a vedere la stessa gente che, come se fossi malata, non osava neanche guardarmi, per il timore di prendere qualche strana malattia.

Mentre camminavo, notai che il mondo stava cadendo in rovina. Nello scorrere lento dei pendolari, nessuno osava guardarsi o scambiare una parola, e chi lo faceva veniva considerato fuori di testa. Molta gente moriva di Overdose, negli ultimi anni l'inquinamento del Sistema portò molte malattie, tra cui alcune venivano considerate fatali, per il debole e limitato organismo umano. Ovunque ti girassi, trovavi sempre persone che, prive di soldi per sfamare i propri figli, rimanevano sedute sul logoro marciapiede, nel disperato tentativo di fare compassione per ricavare qualche soldo.

Distogliendo lo sguardo da tutta quella merda, feci cadere dieci euro sulle mani di un vecchietto accovacciato sul marciapiede e ritornai sui miei passi, decisa ad arrivare il più in fretta possibile alla metropolitana, dove lì si sarebbe sicuramente ripresentato tutto questo. Ma, ormai, era un dato di fatto. La vita era così. E nessuno poteva o, quantomeno, voleva, fare qualcosa per cambiarla.

Arrivata a destinazione, il treno non era ancora ritornato.

Oh, Cristo.

Sarei arrrivata in ritardo e mi sarei subìta le lamentele da parte della Dottoressa, sia per la mia maleducazione nell'arrivare tardi all'appuntamento, che per la sfuriata della volta scorsa, nel suo studio.

Mi passai una mano sul viso e mi appoggiai al muretto grigio, ricoperto interamente di scritte, per lasciar passare i pendolari che, come un numeroso fiume in piena, scorrevano uno dopo l'altro su quello sporco marciapiede, rivolgendo di tanto in tanto occhiate indignate a chi stava lì, in disparte, senza far niente, come se si sentissero importanti e considerassero l'altra gente mosche da schiacciare.

Finalmente, con tre quarti d'ora di ritardo, il treno arrivò. Mi feci spazio tra la gente che, come se volessero bloccarmi, si stringevano a me, lasciandomi quasi senza fiato.

“Sei in ritardo!” Esclamò la Dottoressa, proprio come previsto, non appena arrivai nel suo studio. Avevo un aspetto orribile: lo chignon si era sciolto, lasciando il posto ad una massa di riccioli rossi e ribelli, mentre i miei vestiti erano completamente stropicciati, ridotti a poco più di stracci. Sbuffai sonoramente ed ella allargò le braccia, spazientita.

“Mi segua, non ho molto tempo da perdere con lei.” Così, subito dopo, mi condusse nel solito studio e mi fece sedere sulla poltrona a rotelle. Quel luogo odorava di alcool e medicinali, ne avevo ormai la nausea. Volevo uscire una volta per tutte da qui, non sopportavo più il falso sorriso di tutta questa gente, che crede che io non abbia tutte le rotelle al proprio posto. Mi morsi il labbro e, dopo che anche lei si sedette, iniziai a guardarla fissa negli occhi, torva. Odiavo tutto di lei, perchè dovevano esistere gli psicologi? Secondo la Teoria di Darwin, nessun individuo umano è del tutto sano di mente, quindi perchè si facevano tutti questi problemi?

“Durante questo lasso di tempo in cui noi, signorina Wood, non ci siamo viste, le sono mancata?” Ed ecco che ritorna quel dannato sorriso falso, pensai. Delineai le labbra in un sorrisetto alquanto strafottente ed afferrai il labbro inferiore tra pollice ed indice, iniziando a tirarlo delicatamente.

“Oh, l'ho pensata moltissimo in ogni momento, quando verrà investita da un camion e mi lascerà in pace.” Le riferii io, prima di trattenere una piccola risata divertita, nel vedere l'espressione a dir poco allibita della Dottoressa. Ella scosse appena la testa e si schiarì debolmente la voce, per poi iniziare ad esaminare la mia cartella clinica.

“Allora, vediamo un po': i battiti cardiaci sembrano regolari, non vi è alcun problema interno. Lei è solo stressata, probabilmente. Potrebbe avere solo una lieve forma di bipolarità, o potrebbe soffrire di personalità Bordeline. Ma sono cose che non si possono curare, e..” Soffocai un lamento disperato e sbattei il piede per terra, provocando un rumore secco.

“Finita la diagnosi?” Chiesi, inarcando un sopracciglio. La donna mi guardò, trattenendo il respiro, incapace di proferire parole. Rimase immobile, senza dire nulla, così optai per andarmene. Mi alzai dalla poltrona, mi sistemai la maglietta bordeaux sui fianchi e raggiunsi la porta, fermandomi poi sull'uscio. “...Arrivederci.”, mormorai, prima di uscire dallo studio, sotto lo sguardo indignato della Dottoressa.

Scesi dalla metropolitana, dopo aver fatto una mezz'oretta di viaggio. Alzai lentamente lo sguardo verso il cielo, ed il riflesso dei nuvoloni carichi di pioggia arrivarono alle mie iridi, quindi era il momento di muovere il deretano. La passeggiata pigra del tragitto verso casa, si trasformò ben presto in una corsa sfrenata, non appena le prime fredde gocce di pioggia caddero sul suolo ed il cielo iniziò a tuonare.

Incespicai più volte in alcune pozzanghere, ma alla fine riuscii ad arrivare a casa, sana e salva. Forse, un po' fradicia. Prima di varcare l'uscio del portone, mi strizzai il più possibile i vestiti, lasciando che l'acqua accumulata nelle vesti cada al suolo, provocando un piccolo “splash”.

Chiusi a chiave la serratura ed asciugai la suola delle scarpe sul tappetino nero.

“Drake?” Chiamai, ma non ottenni nessuna risposta. Evidentemente, non era ancora tornato. Così, dopo aver appeso la giacchetta nera nell'appendiabiti, sciolsi lo chignon ormai disordinato e decisi di farmi una doccia, tanto per rinfrescarmi le idee. Salii di sopra ed entrai in bagno, richiudendomi poi la porta alle spalle. Portando lo sguardo davanti a me, mi ritrovai riflessa nello specchio, e solo allora notai le visibili scure occhiaie che contornavano i miei occhi. Mi morsi apppena il labbro ed iniziai a spogliarmi, constatando di avere un aspetto a dir poco orribile. Il mio corpo, privo di alcuna curva, lo odiavo. Avrei voluto cambiare, avrei desiderato che persino la mia vita cambiasse. Ma non eravamo in un film. Questa era la vita vera. E la vita, si sa, è ingiusta.

Mi infilai nella doccia ed aprii il rubinetto, appoggiando poi la fronte contro le fredde piastrelle beige del muro, lasciando che l'acqua scorresse lungo il mio corpo, bagnandolo. Adoravo la sensazione di quell'acqua bollente sulla mia pelle, ora intorpidita più che mai dal freddo. La doccia, per me, era l'unico luogo in cui potevi “ripulirti” dai tuoi pensieri ed abbandonarti alla piacevole tranquillità che lo scorrere dell'acqua ti dava.

 

 

Buonasera, miei cari lettori e lettrici.

Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma Internet non mi facilitava la procedura della storia.

Ebbene sì, questo è il secondo capitolo, e spero con tutto il cuore che vi piaccia.

Sarei grata se lasciaste una recensione, sia positiva che negatica, per sapere cosa ne pensate.

 

Affettuosi saluti,

 

sacrificie anonymous

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Suicide Crown