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Autore: Suicide Crown    17/04/2016    1 recensioni
"Quale angelo mi sveglia dal mio letto di fiori? Ti prego, grazioso mortale, canta ancora. Il mio orecchio si è innamorato delle tue note come il mio occhio è rapito dal tuo aspetto. Il potere irresistibile della tua virtù mi spinge fin dal primo sguardo a dirti, anzi a giurarti che t'amo".
-Whilliam Shakespeare.
Tutto...iniziò quel giorno.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Scolastico
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New Moon





"Mi ricordo ancora l'ultima volta che ti vidi, che riuscii ad intravedere i tuoi occhi.

Eri seduto esattamente nello stesso posto in cui noi due ci incontrammo, per la prima volta.

Agli inizi, ti comportavi stranamente.

Eri freddo, acido, a volte odioso. Cercavi di incutermi timore, anche solo con una semplice occhiata.

Tutti i tuoi metodi, però, non ebbero effetto su di me.

Non appena tu te ne accorgesti, cambiasti tattica.

Un sorriso divertito andò ad incurvarti quelle magnifiche labbra, in cui potevo perdermici anche solo sfiorandole.

Mi ricordo ancora il tuo viso confuso, quando non mi vidi spaventata o intimorita dal tuo modo di fare.

Poi, infine, il tuo divertimento sfociò in imbarazzo.

Iniziammo a frequentarci.

Un'amicizia come tante, che infine diventò qualcosa in più.

I nostri sguardi si incontravano sempre.

Succedeva spesso e per puro caso, anche se a volte arrossivamo entrambi.

Adesso sento solo il calore delle tue pallide dita intrecciate alle mie, come un vago ricordo di una vita passata.

Pochi mesi più tardi, ci dammo il primo bacio.

La morbidezza delle tue labbra posate sulle mie mi fece ricredere.

Era come se, con quel semplice ma importante gesto, avessi fatto diventare le Tenebre più temute in un Paradiso.

Il nostro Paradiso.

Il nostro mondo, solo io e te.

Mi avevi detto che non mi avresti mai lasciata.

Che avrei continuato a sentire il calore della tua anima ed i tuoi battiti vicini.

E, invece, il tuo cuore smise di battere.

Inalasti l'ultimo respiro, prima di sprofondare nel tuo letto di morte.

Quei dolci e bellissimi ricordi di noi due sfociarono in lacrime e singulti violenti, che ogni giorno e ad ogni ora non esitavano ad arrivare.

Nonostante tu, però, non riuscisti a mantenere la promessa di starmi accanto, io decisi di continuarla.

Ti vengo a trovare ogni giorno, sai...?

Porto sempre con me un mazzo di rose bianche, il tuo fiore preferito.

Ormai sono qui presente.

Rimango seduta per giorni accanto alla tua lapide, a parlarti di cose che ci sussurravamo un tempo, come se sperassi che tu sia solo vittima di un coma farmacologico.

E che, fra non molto, ti risveglierai.

E invece no.

Il mondo è fuor dai cardini.

Ha ucciso te e, di conseguenza, anche me.

Non esisterà più un 'noi'.

Non esisteranno più le tue risate ed i tuoi sorrisi, ora sono solamente un vago ricordo di quella vita fatta di noi due."

 

                                                                        ^_^_^_^_^_^_^

 

"Signorina Wood?"

Una voce femminile, forse fin troppo smielata, mi condusse bruscamente alla realtà.

Riaprì gli occhi e mi sistemai meglio nella scomoda sedia di metallo, su cui vi ero seduta da almeno un'ora.

I miei occhi vagarono lungo la stanza grigia e monotona in cui mi trovavo, per poi concentrarmi sulla figura davanti a me.

Già, ora ricordo.

Sono qui, per volere dei miei genitori.

Mi trovavo nella sala d'attesa di uno studio psichiatrico.

Durante tutto il mio silenzio, mi misi ad esaminare la donna: meno di cinquant'anni, sicuramente. Il suo bel visino ancora giovane, segnato da qualche piccola rughetta lungo i contorni morbidi del suo viso, sembrava tranquillo.

Grandi ed espressivi occhi del colore della speranza, il verde, mi stavano osservando attentamente, come se intendessero attirare la mia attenzione, mentre i capelli castani, raccolti in una crocchia ben ordinata, le scoprivano un paio di orecchini perlati che indossava elegantemente alle orecchie.

Vestiva di una semplice camicia bianca, abbinata ad una gonna bluastra e stretta, che le fasciava le curve sinuose. Il tutto, veniva abbinato a delle scarpe laccate e nere, con un tacco abbastanza vertiginoso.

Mi sorrideva.

Un sorriso gentile e dolce, ma...incredibilmente falso.

Ed io, personalmente, odiavo le persone che nascondevano una maschera dietro la maschera del proprio volto.

Era odioso.

Mugolai flebilmente un "sì..?", sperando che la donna si accontentasse solamente di questo.

Sapevo già che, arrivata al suo studio, mi avrebbe tempestata di domande,  parlandomi come se avesse a che fare con una non proprio sana di mente.

"E' il suo turno, la stavo aspettando, sa?" chiese lei, raddrizzando la schiena.

Mi limitai ad annuire.

Non amavo particolarmente socializzare, anche se un tempo adoravo farlo.

Già, un tempo.

Ora era tutto svanito. Nel nulla.

Mi alzai contrariamente dalla sedia e decisi di passarle con noncuranza davanti, avviandomi verso il corridoio che, di lì a poco, mi avrebbe condotta al solito studio, cioè il complice dei miei segreti più intimi.

La donna, un po' attonita, decise solamente di seguirmi, senza dire una parola. Stringeva una cartella nera al petto, tenendola ben salda con le braccia.

In realtà, non comprendevo il motivo per cui mi trovavo qui.

Per i miei genitori, era meglio per me che seguissi queste sedute.

Causa? La morte del mio fidanzato, Simon.

Un nodo in gola mi costrinse ad ansimare sottovoce, in cerca d'aria.

Dopo poco, però, tutto ritornò alla normalità.

Pensavano che la sua decessione mi avesse disorientata e sconvolta, a tal punto da perdere la ragione.

Ero diventata..pazza?

Sapevo che, in fondo al mio cuore, non avrei mai dimenticato quello che successe un anno fa.

Scossi il capo e la donna si accostò davanti ad una porta dai tratti marmorei. Estrasse dalla borsetta in cuoio nera una chiave argentata e fece scattare la serratura, spalancando successivamente l'entrata.

Mi invitò ad entrare, poggiandomi una mano sulla schiena, ma io mi allontanai bruscamente.

L'occhiata torva che le rivolsi la fece ammutolire, costringendola ad abbassare il capo.

Lasciai che sprofondassi nella poltrona di pelle, proprio davanti alla cattedra su cui si sarebbe seduta, di lì a poco, la mia 'consulente'.

Ed, infatti, dopo poco...lei fu esattamente davanti a me.

Dispose sul tavolo alcune carte, dovevano essere probabilmente i miei documenti e gli esami.

"Sembra che le carte non coincidano con quello che dice, signorina, ehm..."

"Vanille." Mormorai, inarcando un sopracciglio.

"Giusto, Vanille!" Esclamò la donna, stavolta non lasciandosi intimidire dalla mia espressione. Infine, cautamente, sporse il busto verso di me, continuando.

"Insomma, come posso spiegarle..lei è..in una situazione difficile, e posso capirla."

Cosa..?

Capirmi?

Sbuffai una risata. Le sue parole ebbero l'effetto contrario, mi fecero davvero alterare.

Strinsi con maggiore forza i pugni, fin quasi a far sbiancare le nocche.

Nessuno poteva capirmi. Non era questione di vittimismo, a nessuno avrei augurato di passare quello che era accaduto a me.

Dio, a nessuno.

"Capirmi? Capirmi!? Non stiamo parlando di oggetti!" Sbattei i palmi delle mani sulla cattedra, digrignando i denti. La donna, intimorita, rimase a fissarmi, come se avesse paura di un mio altro possibile movimento.

Senza dire più niente, uscii dallo studio e, successivamente, dall'edificio.

Arrivata fuori, respirai a pieni polmoni l'aria fresca di quella gelida sera.

Sentii il mio stomaco brontolare, ma non avevo il bisogno di mangiare qualcosa.

Percorsi qualche kilometro e mi sedetti sulle scale che, se scese, conducevano alla metropolitana.

Mi lasciai avvolgere dai rumori frastornanti della città, nel più totale silenzio.

Perchè...non riuscivo a capire più nulla? Perchè non pensavo a niente?

"Cos'ho che non va..?" Mormorai, senza neanche accorgermene.

Una violenta spallata mi fece trasalire e, successivamente, sbilanciare. La testa mi girava vorticosamente, per cui facevo fatica a reggermi in piedi. Puntai lo sguardo sulla figura che mi aveva urtata: si trattava di un ragazzo, poteva avere non più di vent'anni. 

"Guarda dove vai, coglione.." Mormorai acidamente, trattenendomi dall'imprecare ripetutamente.

Lui si girò a guardarmi.

Un pesante brivido mi costrinse a stringermi nelle spalle, dando l'impressione che io stessi provando timore. Ma io sapevo che non era così.

Feci scorrere lo sguardo su ogni pearcing che portava al labbro, alle orecchie ed al naso. Erano davvero tanti, e ciò gli conferiva un aspetto non proprio tranquillo.

"...Ah?" Simulò semplicemente lui, utilizzando una voce graffiante. Con uno scatto veloce ed abbastanza violento mi afferrò per il collo della felpa, sollevandomi di qualche centimetro da terra. Sentivo il cuore palpitarmi in gola. Non era paura, ma bensì la consapevolezza che, in quelle condizioni, non mi era possibile difendermi. 

Tentai inutilmente di liberarmi dalla sua  presa, mentre sentivo le forze scivolarmi da dosso.

Socchiusi le palpebre, emettendo un piccolo ringhio soffocato. Rimasi in silenzio, senza più dire niente. Era inutile parlare in quelle condizioni, avrei solo potuto peggiorare la situazione.

Solo dopo che egli mi assestò un pugno nello stomaco, io riuscì a liberarmi con una piccola spinta contro il suo torace che, visibilmente, era molto più ampio del mio.

Barcollai all'indietro, prima di passarmi distrattamente una mano lungo il mio stomaco, simulando qualche piccolo colpo di tosse.

Infine, posai il mio sguardo su di lui. Rispetto a prima, sul viso giovane portava un piccolo sorrisetto che, dapprima, mi sembrava quasi malizioso.

Iniziò ad avvicinarsi, mentre i suoi occhi davano l'impressione di volermi indurre a pensare che, molto probabilmente, non aveva delle belle intenzioni. 

Decisi di prendere le mie iniziative ed allontanarmi, ritornando sui miei passi.

Non mi girai per contemplare la sua reazione, com'era mio solito fare. Desideravo solamente allontanarmi al più presto da quel traffico caotico e dai rompipalle che ti rompono in ogni momento della giornata.

Finalmente, dopo una mezz'oretta, riuscì a sviare in uno stretto vicolo buio, il sentiero che, successivamente, mi avrebbe portata verso casa.

Non era esattamente la mia intenzione quella di rincasare così presto, ma non avevo scelta.

Non volevo incontrare altri scocciatori in giro. Dopo poco, intravidi da lontano il monovano in cui avevo deciso di abitare, dopo la geniale idea dei miei genitori di trasferirsi in Canada.

Estrassi dalla tasca della giacca il mio cellulare ed accesi velocemente il display, per poi leggere l'orario.  Erano le 3:04. E non avevo sonno.

Mi guardai per alcuni minuti intorno, notando con dispiacere che quel luogo si stava affollando di gente poco raccomandabile che, con delle bottiglie di Jack Daniels in mano, barcollavano da un marciapiede all'altro, in cerca di qualche probabile passatempo.

Decisi al più presto di avvicinarmi all'ingresso della mia "tana", aprendola subito dopo. Entrando, mi chiusi la porta alle spalle, provocando un piccolo stridio.

Tirai un lieve sospiro ed accesi la luce nel corridoio. Nel mentre che camminavo verso la mia camera, diedi una fugace occhiata disinteressata alla cucina. Era tutto perfettamente in ordine. Le stoviglie, utilizzate sì e no due o tre volte, erano lucidate e poste dentro il proprio spazio. 

"Già, si vede che non mangio da un po'..." Mormorai senza pensarci, tra me e me.

Spalancai la porta della mia stanza con un piccolo calcetto e rimasi a fissarla per alcuni istanti. 

Era tutto così...monotono.

Non potendo permettermi di ripitturare e decorarla, i colori erano rimasti gli stessi dello studio che prima abitava qui, al posto della mia attuale camera: bianco, con qualche lieve tocco nero e floreale agli angoli del perimetro.

Senza pensarci su due volte, mi buttai sul letto circolare, quest'ultimo ricoperto da un morbido e nero lenzuolo di seta, e socchiusi le palpebre.

Avevo perso..del tutto le forze.

Dopo la sfuriata nello studio della psicologa ed il piccolo 'litigio' tra me ed un ragazzo che aveva, oltretutto, messo a dura prova la mia pazienza, mi sentivo davvero esausta.

Lentamente, la mia vista sembrò appannarsi.

Probabilmente, era la stanchezza.

Così, senza pensarci, mi abbandonai tra le braccia di Morfeo.


Angolo Autrice:


Buonsalve!

Io sono _sacrificie anonymous_, ma potete benissimo chiamarmi Vanille!
Questo è il primo capitolo di una storia che ho scritto un po' di tempo fa, in una monotona giornata d'autunno.
Ero indecisa se pubblicarla o meno, ma poi mi sono decisa. <3

Vi pregherei di farmi sapere cosa ne pensate, mi aiuterebbero davvero tanto le vostre critiche. <3

Un bacio.

Anonymous.

 

 

   
 
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