«Dov'è.
La base. Dei ribelli.»
Taddeus
gli ha ripetuto la domanda così tante volte, ormai, che la frase non
ha più nemmeno il punto interrogativo alla fine.
Gadreel
sbatte le palpebre, mettendo a fuoco la propria immagine - riflessa
sul metallo lucido di una plafoniera da sala operatoria, appesa sopra
di lui, che gli spara una luce forte direttamente in faccia. È quasi
l'unica cosa che riesce a fare, così immobilizzato su quella specie
di lettino su cui si è svegliato. Non ha idea di quanto tempo sia
trascorso. Sa solo che il suo incubo peggiore si è avverato. E ora
l'androide che lo ha assalito – e che ha avuto la perversa cortesia
di presentarsi, non appena si è accorto che il suo ostaggio era
tornato in sé – gli cammina lentamente attorno, come per valutare
da che parte cominciare.
«Non
saprai nulla da me.»
Gadreel
lo dice perché ne è convinto, anche se ha paura.
Quando
Taddeus gli ha puntato la pistola sotto la gola e ha fatto fuoco,
l'androide ha davvero sperato che fosse tutto finito - per non
ritrovarsi così, per non dover passare attraverso chissà quali
atroci quanto inutili sofferenze. Inutili, già... Perché c'è
soltanto una cosa di cui Gadreel è pienamente sicuro, e questa cosa
è che non
parlerà.
Non lo farà. Non è un
traditore.
Nonostante
questo, però, la paura rimane. Ed è una reazione assolutamente
plausibile, vista la situazione. Ha
pensato che sarebbe morto, e invece quel colpo lo ha soltanto
stordito. E ora si ritrova immobilizzato e inerme, a completa
disposizione di un androide psicopatico. Di tutti gli scenari che
potevano verificarsi, questo è
il peggiore.
Taddeus
sbuffa appena, e i ridicoli capelli troppo chiari gli ondeggiano
sulla fronte. «Uh, abbiamo un eroe...», commenta sarcastico,
continuando a girargli attorno – come uno squalo.
Gadreel
può soltanto intuire dove sia, bloccato com'è su quella lettiga
così scomoda. Una cinghia gli corre attraverso la fronte, tenendogli
la testa schiacciata contro lo schienale; e simili legacci gli
bloccano il torace e gli stringono forte i polsi e le caviglie,
limitandone i movimenti. Ha provato a strattonare per liberarsi,
appena sveglio, ma è stato tutto inutile...
«Be',
non ho bisogno del tuo permesso,» continua il servitore di Metatron.
Poi si china su di lui, passa le dita tra i suoi corti capelli
castani e stringe, facendogli uscire un gemito di dolore. «Se non
parli da solo, mi infilerò in questa bella testolina e prenderò
comunque tutto quello che mi serve. Ora te lo sto chiedendo
gentilmente perché in fondo sono generoso, e voglio darti una
possibilità. Se parli adesso, dopo sarò piu buono con te... Forse.»
A
Gadreel non piace la vicinanza con quel robot. Non gli piace il suo
ghigno cattivo, non gli piace il modo in cui lo guarda – come se si
stesse chiedendo quanto durerà, prima di cedere. Cerca di voltarsi
per non stare faccia a faccia con lui, ma riesce a spostarsi soltanto
di pochi millimetri.
«No.»
La risposta è decisa e secca - ma gli esce con un tono, forse, un
po' troppo emotivo. Gadreel sta cercando di mostrarsi impassibile e
risoluto, ma è agitatissimo e non riesce ad avere controllo sul
lieve tremolio nella propria voce... Non riesce a nascondere
l'angoscia.
Taddeus
lascia andare la presa, con aria annoiata.
«Come
non detto,» dice, stringendosi nelle spalle e ricominciando il
proprio lento, inesorabile, insopportabile giro. «Sai, un po' quasi
mi dispiace... Si vede che hai paura, eppure ti ostini a non
parlare... È molto nobile, devo riconoscertelo. Ma se fossi in te,
mi farei una domanda...» I passi di Taddeus si fermano da qualche
parte alla sua sinistra, ma Gadreel non riesce a scorgerlo – il
nervo ottico, da quella parte, è ancora danneggiato. «... Ne vale
la pena?»
Il
protitipo fissa il proprio riflesso, tra le luci accecanti. È
l'unica immagine a cui può aggrapparsi, anche se lo confonde un po'
– è strano, guardarsi così, come se si vedesse da fuori...
Dall'alto. «Io non tradirò
quelle persone,» dice, con orgoglio. Questa volta, riesce a parlare
più freddamente. Forse, si sta rassegnando all'idea che morirà
così... O forse, per quanto gli sarà possibile, ha deciso che può
ancora combattere.
«Andiamo,
Gadreel! A loro non importa niente di te.» Taddeus sbotta, agitando
teatralmente le braccia. «Vedi qualcuno di loro qui, a salvarti? No.
E sai perché?» Di nuovo, il secondino si allunga sul robot che ha
catturato, cercando di leggere anche solo una minima traccia di
esitazione nei suoi occhi. «Te lo dico io: perché a nessuno importa
nulla dell'ultimo arrivato. Nessuno si mobiliterà per venire a
recuperarti. Tu sei soltanto...» Gadreel chiude gli occhi e si
sforza di voltarsi ancora un po' di lato, pur di non vederlo. Ma le
dita di Taddeus spingono sotto il suo mento, lo obbligano a restare
in posizione. «... La loro stupida, patetica, inutile ruota di
scorta. Uno
zero.»
È velenoso, Taddeus. Gli
piace infettare le menti col germe del dubbio, prima di passare a
torturare i corpi.
«Non
è vero!», si affretta a ribattere Gadreel, con più energia di
quanta credesse di avere. Le parole di Taddeus sono false, e lo sa,
ma... Allora perché si sente così punto sul vivo? «Non puoi
parlare così... Tu non li conosci!» Non
importa, pensa
il prototipo, cercando di aggrapparsi come può alle proprie
convinzioni.
Non importa se nessuno verrà a salvarlo. È giusto così.
Lui è un guardiano e il suo compito è provvedere al bene degli
altri, non al proprio.
Ma
Taddeus insiste, e il suo tono è sempre più crudele.
«Oh,
sì che li conosco. E ti dirò un'altra cosa: per gli umani, noi
siamo soltanto giocattoli.»
«Non
è così...» Non mi importa niente di te. Le parole di Sam
riaffiorano nella mente di Gadreel, ma il robot le lascia affondare
in un angolo, per la propria sopravvivenza. Altre risuonano, invece,
con maggior forza e chiarezza... E l'eco della voce che le ha
pronunciate porta il timbro di Chuck. «Gli umani sono quanto di più
sorprendente sia mai stato creato. E noi robot siamo i loro custodi.»
Sì, se lo ricorda bene, quel giorno... Il giorno in cui ha giurato
di servire l'umanità. È stato il più bello della sua vita...
«Dai,
ancora con quel patetico codice?» Taddeus lo guarda come avesse
davanti un bambino scemo fissato con un gioco senza senso. «Come hai
detto, prima...? Ah, già: siamo creature della compassione, e non
dell'odio,» recita l'aguzzino, in tono solenne, scimmiottando
malamente le parole che Gadreel gli ha rivolto, durante la
colluttazione avvenuta sulla collina. E poi sorride, cattivo, come un
gatto che abbia chiuso il topo in trappola: «Ti assicuro che non la
penserai più così, quando sarai diventato uno di noi.»
«Non
voglio!» Gadreel si agita, in un moto di collera e di ribellione.
Vorrebbe strappare via quelle cinghie, strappare via quel ghigno
dalla faccia che ha davanti, ma non può. Per quanto tiri e
strattoni, non riesce a muoversi di un solo centimetro – e non può
fare a meno di vergognarsi della propria debolezza, e per aver dato
motivo a Taddeus di godere della sua ulteriore dimostrazione di
vulnerabilità. «Non servirò mai il tuo padrone!», urla, in un
impeto di rabbia.
«Sì
che lo farai,» ribatte Taddeus calmo, con i lineamenti
improvvisamente spogli di qualsiasi falsa cordialità. «E sarai il
più fedele, e umile... Il più leale e obbediente di tutti. E
sparerai su quelli che oggi consideri tuoi amici.» Questo,
più di ogni altra cosa, sarà ciò che farà soffrire quell'androide
così puro e testardo che continua a opporsi ad un destino
inevitabile, pensa il carnefice, compiaciuto. La consapevolezza che
diventerà solo un misero strumento... Che perderà qualunque
moralità, la capacità di discernere il bene dal male.
Ed
è vero: a Gadreel questo fa male, malissimo.
«No...»
No, non può accettare che accada. Non può-- Ma come può impedire
qualcosa su cui non ha il minimo controllo?, si chiede il robot. E,
per la prima volta in vita sua, conosce il dolore e la frustrazione
di dover assistere a un'ingiustizia senza poter fare nulla per
evitarla... E brucia da morire. È una spina nel cuore, una lama che
lacera ogni speranza di futuro. Non ci sarà alcun futuro, per lui.
Diventerà un assassino. Andrà contro ciò in cui crede, farà
violenza a sé stesso. Non sarà più un custode. Non
è giusto...
Piuttosto
che piegarsi ad una simile sorte, Gadreel prega silenziosamente di
morire subito. È
l'unica via di fuga, senz'altro la più
dignitosa, pensa. Meglio spegnersi e disattivarsi per sempre, che
trasformarsi in un mostro...
«Collabora,
Gadreel. Risparmiati del dolore inutile... Tanto è così che andrà,
non puoi farci nulla. Puoi soltanto rendere tutto più veloce...»
Taddeus legge i sentimenti sul volto del robot e si sorprende di
quanto sia facile intuire la guerra che sta avvenendo nella sua
testa. Gadreel è molto umano, sotto questo punto di vista: un essere
imbottito di impulsi che non sa nemmeno gestire.
«Te lo chiedo di nuovo: dov'è la base dei ribelli?», insiste.
Ma
Gadreel è
diventato freddo come il marmo. Si sente in trappola, condannato,
chiuso in vicolo cieco. E lui, come certi animali, quando si sente
braccato diventa... Rabbioso,
e imprevedibile.
«Non.
Saprai. Niente. Da. Me.»
Non c'è più alcuna traccia di dolcezza, sul suo volto. Gadreel
scandisce
ogni parola con tutto il disprezzo possibile. I suoi occhi
grigioverdi sono diventati più chiari, ma più foschi – due pezzi
di ghiaccio, sporco e radioattivo. E trema, dalla testa ai piedi –
per la paura e la mortificazione, per la rabbia, per la bruciante
sensazione di essere impotente, per il rammarico di non aver avuto
nemmeno il tempo necessario di fare ciò per cui è stato creato... E
per l'umiliazione di non aver potuto tener fede alle sue promesse.
Per le persone che non potrà proteggere, per tutto quello che non
potrà vedere... E per sé stesso, per la propria sfortuna - perché,
tra tutti i finali possibili, sembra che gli sia toccato il più
amaro di tutti.
Taddeus
resta in silenzio per un istante. Lo studia, sorpreso e incuriosito
dal suo improvviso cambiamento.
«Sei
più stupido di quanto pensassi,» borbotta infine, scuotendo la
testa. «Guardati... Stai tremando.» Già, sta tremando come una
foglia. Quando se ne accorge, Gadreel stringe i pugni, cercando di
calmarsi. Taddeus sospira. «Be', se le cose stanno così... Mi vedrò
costretto a violare il tuo sistema. Ma prima mi divertirò un po'.»
Gadreel
chiude gli occhi, preparandosi a ciò che lo attende. Saranno i
momenti peggiori della sua vita, lo sa. Saranno lunghissimi,
interminabili. Sembrerà che non passino mai... E quando le
sofferenze saranno lancinanti, gli sembrerà addirittura che il tempo
si sia fermato. Ma non è vero e non deve dimenticarselo, quando farà
tutto troppo male.
Si
tratta soltanto di avere pazienza e sopportare, in fondo. Ma prima
o poi-- Prima o poi, tutto avrà una fine. Smetterà di soffrire
quando termineranno le sevizie... O quando non sarà più in grado di
sopportarle.
Il
pensiero è
infinitamente triste, ma allo stesso tempo confortante.
«Sai,
con gli umani è meno coinvolgente,» esordisce Taddeus, sparendo dal
suo campo visivo. Gadreel non si affanna a cercarlo. Non gliene
importa più nulla. Non gli importa più di niente, ormai. «Sono
deboli, si rompono facilmente... Durano poco, insomma. Ma con i robot
posso lavorare su molti aspetti. Sai, ho sviluppato una vista
speciale... La prima cosa che vedo di qualcuno sono i suoi punti
deboli, e tu... Ne hai davvero parecchi.»
Qualcosa
si infila dietro la sua testa, sottopelle, e fa male. Gadreel si
lascia scappare un gemito, pentendosene subito dopo.
«Come
puoi fare del male alle creature che devi proteggere?», chiede.
«Come puoi fare del male ai tuoi simili..? Noi non siamo nati per
questo...» Gadreel sa che, forse, a questo punto dovrebbe tacere e
mettersi l'anima in pace, ma proprio non ci riesce. Se deve finire
così, vuole almeno sapere perché.
I
cavi che Taddeus ha collegato alla sua centralina appartengono ad uno
schermo quadrato che il servo di Metatron tiene agilmente tra le
mani. Chissà quante altre volte lo ha fatto... Chissà quanti altri
androidi ha fatto soffrire su quello stesso lettino, prima di lui.
«Tu
no, forse... Ma io sì. Sono stato assemblato per fare del male. Sono
più veloce, più forte degli altri robot... Ma questo hai potuto
constatarlo di persona,» spiega il secondino, sfiorandogli col
pollice il taglio sullo zigomo destro – ricordo dello scontro che
hanno avuto, poche ore prima. «Ma sai qual è la cosa migliore, in
tutto questo? È che io provo un immenso piacere nel fare quello che
faccio. Più lo faccio, e piu mi sento... Bene.»
Sul volto del cattivo si forma un sorriso liberatorio.
Su
quello di Gadreel, un'espressione di disgusto.
«È
orribile...»
«È
fantastico. E non vedo l'ora di sentirti urlare, sai? Niente di
personale, ovviamente.» Taddeus digita qualcosa sullo schermo, e
Gadreel avverte un fastidioso formicolio spandersi nella colonna
vertebrale. Il servo di Metatron continua a girargli attorno, come
non ha mai smesso di fare fin dall'inizio. Gadreel è
teso, tesissimo. Il sistema lo avverte che qualcuno sta forzando la
scheda delle sue informazioni di base.
«Sai,
Gadreel, forse
ci sono delle cose che non sai, sui robot. L'idea di renderli
fisicamente simili agli esseri umani, ad esempio, per sviluppare il
senso di empatia e rendere più facile l'integrazione con loro, ha
dei pro
e dei contro.
I pro sono che, ovviamente, in questo modo noi robot condividiamo con
loro una vasta gamma di sensazioni e questo ci permette di poter
comunicare senza problemi e scambiarci quel tipo di informazioni –
visive, olfattive, uditive, tattili e persino gustative, anche se non
abbiamo bisogno di mangiare – che le maledette scimmie
sperimentano
normalmente.
Ma...»
Il
formicolio è
diventato una specie di corrente elettrica a bassa frequenza che
tormenta il robot dalla testa ai piedi, gli fa venire voglia di
agitarsi. Istintivamente, per scaricare parte del nervosismo e per
prepararsi al peggio, Gadreel stringe le mani attorno ai bordi del
lettino.
Taddeus
continua il suo delirante monologo.
«...
Mentre
per un umano quei valori sono standard e non si possono alterare
dall'esterno, in un robot si possono modificare. E prendiamo una
percezione a caso, adesso...»
Bip. Bip. Due tocchi sullo
schermo, e davanti a Taddeus si apre la mappa dei parametri vitali
del suo prigioniero. Può fargli qualunque cosa, ora.
«Prendiamo
i parametri del tatto. Poter innalzare o abbassare quel valore
permette di aumentare o diminuire la sensibilità
di un androide. In altre parole...»
Il cattivo ghigna, gustandosi una pausa studiata. «... La
sua soglia
del dolore.»
La
scarica arriva inaspettata e violenta, e Gadreel si tende di scatto
sul lettino soffocando a stento un grido di dolore. Dietro le
palpebre compaiono piccoli puntini rossi e viola, mentre le sue vene
sembrano riempirsi di fuoco e lava. Non dura molto, fortunatamente.
Quando Taddeus blocca la scarica, Gadreel si abbandona sulla lettiga
come un burattino con i fili rotti, cercando di recuperare il
controllo.
«Più
cinquecento. Fa
già male, eh?» Il
carceriere lo schernisce. Ha annusato l'odore della paura e della
sofferenza, e ora ne è
ancora più affamato. Questo è soltanto l'inizio. Un antipasto, per
così dire. «Andiamo, non
essere timido. Fammi sentire come urli...»
Gadreel
sente caldo, tanto caldo. Le nocche delle sue mani sono sbiancate.
Non riesce più a sentire le gambe e le braccia, e il suo sistema
comincia a segnalargli il pericolo di surriscaldamento. È
perduto, ora che Taddeus è riuscito a infilarsi così a fondo e a
manipolare parti di lui così interne e delicate. È peggio che
essere nudi: è come-- Non ci sono parole per descriverlo. Questa è
la violenza peggiore che si possa infliggere ad una creatura come
lui. «Perché-- Fai
questo...?», smozzica il robot, ignorando l'improvvisa
sensazione che un martello pneumatico gli stia schiacciando la testa.
Tutto gira, in modo nauseante.
«Non
sai dire altro?» Taddeus
lo guarda di sbieco, con aria seccata. Poi muove di nuovo le dita
sullo schermo, curandosi di comunicare alla sua vittima il valore che
ha appena inserito: «Settecento.»
Per
quanto Gadreel si prepari, il dolore riesce comunque a sopraffarlo.
La seconda scarica è
più intensa e devastante della prima, e
stavolta l'androide non riesce ad evitare di urlare più forte che
può, fino a non avere più voce, mentre la vista gli si appanna e i
suoi pensieri si addensano di errori - rallentano, vanno in crash. La
corrente elettrica schiocca nel suo sistema e nel suo corpo, reso
ipersensibile e irrimediabilmente vulnerabile.
Le
urla e la confusione, prevedibilmente, attirano curiosi; una porta si
spalanca di colpo, sul fondo della stanza, e Taddeus interrompe la
scarica e si volta per vedere chi abbia avuto il coraggio di
disturbarlo durante uno dei suoi giochi preferiti.
«Taddeus!»
Bartolomeo, un suo degno collega di torture, fa il suo ingresso con
un completo elegante e un'aria di rimprovero. «Vacci
piano, con quello. Il capo ha detto che dev'essere riprogrammato...»,
lo informa, serio.
Taddeus
agita una mano con aria seccata, come per scacciare via una stupida
mosca.
«Non
rompere, non l'ho mica rotto! Voglio solo giocare ancora un po'...»,
si giustifica, voltandosi e riprendendo a inserire valori sullo
schermo come se niente fosse.
Nella
nebbia confusa in cui sono sprofondati i suoi pensieri, Gadreel si
augura che tutto questo finisca presto.
«Taddeus.
Le informazioni,» gli intima ancora Bartolomeo, avvicinandosi per
ottenere la sua attenzione. Lancia un'occhiata distratta al robot
steso sul lettino – ne ha visti così tanti, nelle sue condizioni.
Questo sembra mezzo morto, e - Bartolomeo ne è
sicuro, - non reggerà ancora per molto. «Prendi
le informazioni, prima che fonda.»,
ordina infatti.
«E
va bene, noioso!» Taddeus
cambia rapidamente schermata, per infilarsi nella mente
dell'androide. Di solito non ci vuole molto. «Ma...» L'espressione
del torturatore cambia rapidamente, si fa perplessa e accigliata.
«... Che
razza di codice ha? Non riesco a entrare!»
Con gesti resi sgraziati dal disappunto, il cattivo prova e riprova,
per qualche minuto buono. Ma niente, non c'è
verso.
Gadreel
se ne sta disteso senza più muoversi. Le due scariche sono bastate
per annientarlo, e ha a malapena la cognizione di sé stesso, ormai.
Si rende conto che sta accadendo qualcosa, attorno a lui, ma non ha
né forza né lucidità a sufficienza per interessarsene.
«Che
nervi...!», sbotta Taddeus, tirando un calcio alla lettiga.
Bartolomeo
si affianca al suo compare, leggendo le anomalie che si addensano
sullo schermo. Ci sono parti di codice che non ha mai visto prima, in
effetti. «Aumenta
la carica... Ma solo un altro po'. Quando sarà abbastanza debole,
non potrà più opporsi... E sarà più facile violare il suo
sistema,» suggerisce,
senza alcuna traccia di compassione.
Taddeus
gli rivolge uno sguardo obliquo e inferocito:
«...
E cosa pensi che stessi facendo, prima che tu mi interrompessi?» Poi
digita di nuovo sul suo schermo: «Mille.»
Se le
prime due sono state tremende, questa... Questa è
decisamente troppo. Gadreel resta rigido e semi-incosciente, e non
smette di tremare neanche quando la scarica finisce. L'elettricità
residua lo fa sobbalzare, come se avesse le convulsioni.
«Allora?»,
chiede Bartolomeo.
«Ancora
niente.»
«Ma
non è possibile...!»
«E
invece a quanto pare sì!» Taddeus sbotta, contrariato per
l'anomalia che non riesce a comprendere. E poi si china sul robot
inerme, lo strattona e lo colpisce più volte sul viso, per tirarlo
fuori da quello stato di dormiveglia in cui sembra sprofondato. Le
palpebre dell'androide tremano, sugli occhi socchiusi. «Te
lo dico per l'ultima volta! Ti conviene parlare subito, Gadreel... O
stavolta farà davvero, davvero
male.»
Glielo ringhia in faccia, con tutta la furia di cui è
capace.
Gadreel
galleggia in una bolla in cui tutto giunge lontano, attutito...
Inoffensivo, come in un sogno.
«N-no...»
Non sa nemmeno lui dove abbia trovato la forza di collegare pensieri
e voce per dire quella parola. Ma è
tutta lì, la sua missione. Ribellarsi a qualcosa di sbagliato.
Insistere per difendere ciò in cui crede.
Sacrificarsi,
per un bene più grande.
«Come
vuoi.» La faccia di Taddeus è
una maschera gelata. È
la prima volta che qualcuno si ostina a resistergli fino a quel
punto. E, se non potrà ottenere quelle informazioni, allora sarà
anche l'ultima, pensa. «Milleduecento.»
«Taddeus,
è quasi il limite, rischi di--»
Bartolomeo cerca di fermarlo, consapevole dei rischi, ma Taddeus ha
già premuto il bottone.
«Zitto!»
La
scarica lo investe. Qualcosa
in Gadreel si spezza e si rompe, lo sgancia dalla realtà. Scivolare
in fondo alla bolla è facile – la strada è tutta in discesa. E
quello stato di inconsapevolezza automatica promette pace, serenità,
assenza di dolore... Quindi, perché no? Perché non abbandonarsi e
lasciarsi trascinare giù, giù, tra le braccia di quel sonno
confortevole? Ha fatto il suo dovere... Ha sofferto con onore. Ora
può dormire il sonno del giusto... Quello del martire.
Il
robot sussulta senza sosta, batte i denti come se facesse
infinitamente freddo. Una soluzione salina gli scivola dagli occhi
socchiusi, e i suoi due aguzzini aggrottano le sopracciglia in
contemporanea, di fronte ad un fenomeno a cui non hanno mai assistito
prima.
«E
adesso che succede?», chiede Bartolomeo, allungando una mano per
toccare le piccole gocce rotonde, che continuano a scendere. «Cos'è
questa roba?»
Nonostante
sia riuscito a spezzarlo, Taddeus è
ancora arrabbiato per non essere riuscito ad ottenere ciò che
voleva. «Non
lo so e non me ne frega niente... Questo idiota non si è aperto,
dannazione!» Colpisce con
un pugno il petto dell'androide, inutilmente. «Parla! Parla, avanti!
Dimmi
immediatamente tutto quello che sai o giuro che--»
«Zir...
Noco... Ied... Gadreel...»
Le parole escono roche, lente, come un automatismo. Escono senza che
Gadreel possa controllarle – senza persino che se ne accorga. La
parte cosciente del suo cervello non è
più in funzione. «Zir...
Noco... Ied... Gadreel»
«Che
diavolo sta dicendo?»
Taddeus non ci sta capendo più nulla. Nessun robot ha mai reagito
così, prima...
«Sta
ripetendo le stringhe del suo codice,»
risponde Bartolomeo, chino con le mani sulle ginocchia per esaminare
l'androide con distaccata curiosità. «Mi
sa che gli hai bruciato il cervello. Metatron non ne sarà
contento...»
«Non
se nessuno glielo dirà.» La minaccia nel tono di Taddeus è fin
troppo chiara. «Senti, io lo riprogrammo lo stesso. Poi se si
riprende, bene, sennò gli diciamo che non ha retto alla
riprogrammazione.»
«Come
ti pare...» Bartolomeo si stringe nelle spalle. Non che gliene
importi qualcosa...
«Zir
noco ied Gadreel...»
L'androide
ha gli occhi appena appena aperti. Non si muove più, e le sue parole
si fanno sempre più flebili.
«Sì,
sì, ho capito...» Taddeus si allontana per prendere un altro
strumento. È una specie di corta siringa metallica, con cui inietta
un virus nella centralina del robot inserendogli l'ago nel collo.
«Peccato, avrei voluto spingerti ancora un po' oltre...», confessa,
mentre sullo schermo appare la percentuale di completamento
dell'operazione.
Il
virus è stato sviluppato per diffondersi nel sistema degli androidi,
proprio come fanno le malattie con gli esseri umani. Distrugge le
informazioni pregresse e le riscrive, sostituendole in modo
sistematico con quelle volute da Metatron... Obbedienza, fedeltà
assoluta e spietatezza.
Quando
ha finito, Taddeus ripone lo strumento. «Mettilo con gli altri.
Quando si sveglierà, valuteremo i danni...», ordina, voltandosi,
senza più alcun interesse per il giochetto che non funziona più.
«Va
bene.» Bartolomeo si avvicina e, freddamente, slaccia una per una le
cinghie, liberando il corpo dell'androide ormai inerme. Gli passa le
braccia attorno al petto e lo solleva con facilità - è come
prendere in braccio un manichino, pensa, - e lo trasloca
su una sedia a rotelle cigola cigola cigola, cigola terribilmente e
senza sosta, mentre attraversano il lungo corridoio.
Il
cigolio è fortissimo, ma Gadreel non sente nulla.