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Autore: EllySmile04    13/07/2016    0 recensioni
Serena si è appena laureata. Sveglia, intraprendente, vivace e solare, ama la vita come poche persone sono in grado di fare. Il fato però le ha scavato dentro tante cicatrici, rimarginate ma indelebili. Dopo l'ennesima sconfitta in amore, ha deciso di non cedere più al primo arrivato, ma di lottare per la sua indipendenza e libertà.
Emir vive a Venezia, ma è turco, di Istanbul. Possiede una grande casa editrice, ma niente altro: pochi amici, pochi familiari, nessuna persona da amare. Vive la vita così come viene, alla giornata.
Serena ed Emir si incontrano per caso, ma è chiaro fin da subito che c'è qualcosa tra loro. Un legame profondo e forte, che il destino cercherà continuamente di mettere alla prova.
Amore, fiducia, forza d'animo, coraggio: Serena ed Emir ne hanno, in quantità. Ma basteranno a superare i loro fantasmi e il loro dolore?
"Rimani. Prometto che ti darò quello che cerchi. Tutto ciò che vuoi sapere di me. Ma per averlo devi restare. Devi accettare questo fatto Serena: per conoscere qualcuno devi avvicinarti. La vicinanza può ferire, può scottare, può far male. Ma non deve per forza essere questa la regola. Stammi vicino, guardami, esplorami, scoprimi."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Universitario
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Let’s dance / put on you red shoes / and dance the blues
Let’s dance(David Bowie)
 
«Emma sei pronta? Mi raccomando lanciali entrambi!» esclamai quasi urlando, mentre tentavo di farmi sentire dalla mia migliore amica al di sopra del frastuono che regnava nella piazza.
Guardai per un secondo Emma, il viso teso in un sorriso radioso, gli occhi grigio perla che spiccavano tra le minuscole lentiggini che le costellavano la pelle diafana, e sorrisi, felice di essere lì con lei in un momento così importante per entrambe.
Rimossi con cautela il tappo dall’obbiettivo della mia amata Nikon e la sistemai davanti al volto, pronta a cogliere il minimo movimento sopra le nostre teste.
«Tre, due, uno… via!» urlò il professore al microfono.
Migliaia di tocchi di laurea si alzarono simultaneamente in aria, con la codina rossa che svolazzava al vento, mentre nell’immensità di Piazza San Marco esplodeva un boato spropositato e confuso di urrà e di grida di gioia.
«Yeee! Serena è fatta, è finita!» urlò Emma, scuotendomi il braccio con forza.
«Ehi, non fare casini!» sbottai in risposta, attenta alla sicurezza della mia preziosissima macchinetta fotografica. Poi mi lasciai andare ad un gioioso sorriso, ed esclami: «Si lo so, è incredibile. Sta succedendo davvero!»
«Comunque non posso credere che tu abbia davvero rinunciato a lanciare il tuo tocco. Soprattutto dato che lo hai fatto per scattare le stesse foto che altri milioni di persone avranno fatto perfettamente identiche!» riprese Emma.
«E smettila! Saranno pure affari miei no?» la rimbrottai, ridendo del suo commento.
Incredibile. Soltanto cinque anni prima eravamo entrambe entrate, titubanti e intimorite, nella vita universitaria, due timide matricole iscritte ad Economia e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali (familiarmente rinominato EGArt). Al tempo eravamo colme di dubbi, incertezze, paure, ma anche di tante aspettative.
Il proseguire dei nostri studi alla fine non ci aveva affatto deluse: già da tre mesi Emma era impiegata al Museo Fortuny, mentre io stavo lavorando come stagista part-time nell’ufficio marketing del Muve, la rete dei musei civici veneziani. E adesso che avevo in mano il mio diploma di laurea magistrale mi avrebbero finalmente confermato il posto. Assurdamente, ogni nostro sogno era finalmente realizzato: in barba alle statistiche e alle maldicenze di chi aveva criticato o snobbato la facoltà che avevamo scelto, ora eravamo entrambe nel mondo del lavoro, e prima di tanti nostri compagni del liceo che avevano intrapreso altri percorsi.
«Allora, adesso che si fa? Andiamo da Lele a sbronzarci?»
L’esultanza di Emma mi riportò alla realtà. La mia amica sorrideva verso di me, lo sguardo luminoso e i capelli biondo ramato che si muovevano al vento.
«Ma dai, davvero? Ancora con Lele come i sangiobbisti? Basta!» risposi sbuffando.
Il famoso bacareto da Lele era il ritrovo abituale per tutti gli studenti di economia (il cui dipartimento aveva sede nell’area di San Giobbe, appunto), che passavano lì i pomeriggi, intrattenendosi tra spritz e battute di (dubbio) spirito.
«Che ci vuoi fare, gli economisti c’han fascino!» mi rispose Emma, tutta presa dal turbinio delle persone attorno a noi, mentre cercava di guidarmi per mano verso la Torre dell’Orologio.
«Eh, lo so, ora che stai con Edoardo tutto ciò che ha a che fare con lui ti sembra stupendo, ma una volta anche tu eri fedele come me al partito nosangiobbisti!» la rimproverai, prima di scoppiare a ridere davanti alla sua faccia corrucciata.
«Amen. Lo amo, amerò anche i suoi sporchi soldi» disse Emma sogghignando.
Ci lasciammo entrambe andare ad un nuovo attacco di risate.
«Dai allora, Lele sia. Muoviamoci però, che sennò la calca ci seppellisce.»
«Ma quando mai abbiamo avuto paura della gente noi?»
«Hai ragione» risposi allora, prima di urlare a squarciagola, con un perfetto e calcatissimo accento veneziano D.O.C.: «Oh, scusène, gavèmo da pasàre! Sorrrry, pardon, spàssio!»
Le mie r strisciate e arrotolate fecero come sempre impazzire Emma dalle risate; con le lacrime agli occhi e il sorriso stampato in faccia ci avviammo veloci verso Lele, in trepida attesa di un rigenerante spritz e del futuro che ci attendeva da lì in avanti.
   
 
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