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Autore: EllySmile04    13/07/2016    0 recensioni
Serena si è appena laureata. Sveglia, intraprendente, vivace e solare, ama la vita come poche persone sono in grado di fare. Il fato però le ha scavato dentro tante cicatrici, rimarginate ma indelebili. Dopo l'ennesima sconfitta in amore, ha deciso di non cedere più al primo arrivato, ma di lottare per la sua indipendenza e libertà.
Emir vive a Venezia, ma è turco, di Istanbul. Possiede una grande casa editrice, ma niente altro: pochi amici, pochi familiari, nessuna persona da amare. Vive la vita così come viene, alla giornata.
Serena ed Emir si incontrano per caso, ma è chiaro fin da subito che c'è qualcosa tra loro. Un legame profondo e forte, che il destino cercherà continuamente di mettere alla prova.
Amore, fiducia, forza d'animo, coraggio: Serena ed Emir ne hanno, in quantità. Ma basteranno a superare i loro fantasmi e il loro dolore?
"Rimani. Prometto che ti darò quello che cerchi. Tutto ciò che vuoi sapere di me. Ma per averlo devi restare. Devi accettare questo fatto Serena: per conoscere qualcuno devi avvicinarti. La vicinanza può ferire, può scottare, può far male. Ma non deve per forza essere questa la regola. Stammi vicino, guardami, esplorami, scoprimi."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Universitario
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Thought the sun / rose in your eyes / and the moon and the stars / were the gifts you gave / to the dark and the endless skies
The First Time Ever I Saw Your Face (Roberta Flack)


La mattina seguente, dopo la solita routine della colazione, scesi con Emma e percorremmo assieme parte della strada per recarci al lavoro, commentando le esibizioni della sera prima e oltrepassando velocemente le frotte di turisti che già ingombravano le calli. Ci dividemmo a metà percorso, dandoci appuntamento a quella sera per una cena a base di sushi con Raf.
Non appena entrai nell’ufficio alle Procuratie, venni convocata dal mio capo; così mi diresse in fretta verso la porta a vetri, che separava la scrivania di Leonardo da quella degli altri impiegati.
«Entra pure» disse lui, mentre mi affacciavo titubante sulla soglia.
«Ho una proposta da farti. Ma prima siediti, ti devo ancora fare i miei complimenti per la laurea! Sono davvero fiero di te» mi disse Leonardo, stringendomi con forza la mano.
«Oh sì, grazie mille. Ma, allora, la proposta… Di che si tratta?»
«Vedi, c’è questo mio amico, un ex collega del liceo» iniziò lui, «che cercava un contatto nel nostro ufficio marketing per dare il via ad una collaborazione tra la sua azienda e il Muve. Dato che si occupa di editoria, so che il campo ti piace e so anche che sei l’unica qui dentro a capirne qualcosa, ho subito pensato a te. Quindi, se sei favorevole, potreste incontrarvi già nel pomeriggio di oggi. Nessun impegno comunque. Vi conoscete, vedete assieme gli obiettivi e poi decidi in tutta tranquillità cosa ritieni più conveniente. Che te ne pare?»
«Beh, direi che si può fare!» esclamai, estasiata dalla sua proposta.
«Bene, allora ti mando il suo indirizzo mail e lo contatti tu, va bene?»
«Certo, e grazie mille per l’opportunità» dissi, alzandomi dalla sedia e andando verso la porta. «Ah, scusa capo, un'ultima cosa. Che intendi per editoria? Potresti essere più specifico?»
«Beh» rispose lui, soppesando le parole, «diciamo che Emir, il mio amico, è il rampollo della famiglia Şahin, di origini turche, che possiede la casa editoriale RASBI.»
Sgranai gli occhi, incredula. Benissimo! Stavo per avere un colloquio di lavoro con un miliardario. Più semplice di così! Conoscevo bene la casa editrice in questione, dato che era stato oggetto di alcuni studi che avevo portato avanti per un progetto universitario. La RASBI aveva ormai inglobato gran parte delle case minoritarie d’Europa, e il suo mercato in Italia stava ampliandosi sempre di più. E io mi ero laureata soltanto il giovedì prima. Non avevo speranza di risultare adatta per quel progetto. Ne ero certa.
Entrai nel mio ufficio con una tazza colma di caffè americano, nella speranza di svegliarmi dal torpore in cui stavo scivolando (tipico dei miei lunedì mattina). Mi sedetti alla scrivania, rimuginando sulle parole di Leonardo e sulla proposta del magnate Şahin. Era incredibile, davvero mi stavano offrendo un lavoro così prestigioso?
«Gesù,» gemetti «che ansia.»
Avviai il computer e aprii la casella e-mail, poi mi fermai di fronte al foglio bianco. Cosa dovevo scrivere? Inserii l’indirizzo che Leonardo mi aveva mandato e con poche parole mi presentai, chiedendo al famigerato Emir quando volesse incontrarmi. In quel momento suonò il telefono interno e sollevai veloce la cornetta.
«Buongiorno, ufficio cultura e marketing Muve, sono Serena…»
«Serena! Mi sono dimenticato di dirti una cosa.»
La voce di Leonardo suonò forte e squillante nel ricevitore. Non avevo guardato da dove giungeva la chiamata, altrimenti avrei notato la spia rossa che segnalava una telefonata interna proveniente dall’ufficio di Leonardo. Sbuffai, certa che stesse cercando il modo giusto per dirmi che avrei dovuto presentarmi in maniera adeguata al mio incontro con l'editore.
«Se hai con te il diploma possiamo completare il contratto.»
Le sue parole mi stupirono, e il cuore mi scoppiò di gioia, anche lui incredulo davanti a quella che era la prima vera prova della mia nuova vita, l’inizio tangibile della mia carriera lavorativa.
«Certo Leonardo, te lo porto subito!»
 
***
 
Mezz'ora più tardi tornai di fronte al mio computer, ebbra di felicità e di orgoglio dopo aver firmato il mio primo contratto di lavoro.
Sul desktop lampeggiava la notifica di una nuova mail: era la risposta di Emir. Con le mani che tremavano afferrai il mouse e la aprii.
 
Gent.ssima Sig. na Serena, sono felice che abbia accettato la mia proposta. Se per lei va bene, io sarei libero questo pomeriggio. La aspetto alle 17 al Caffè Florian, dato che è vicinissimo a dove lei lavora. Attendo sua cortese conferma. Distinti saluti. Emir Şahin.
 
Ti pareva! Doveva per forza incontrarmi per un aperitivo nel caffè più costoso della laguna intera! Iniziavo già da subito a sentirmi inadatta per quel progetto: non sarei mai stata in grado di reggere una tensione simile, gli altolocati non erano tra le persone con cui mi sentissi più a mio agio.
Sbuffando, risposi cortesemente alla mail, accettando ora e luogo. Altre cinque ore e avrei incontrato il magnate. Mi dissi che avrei fatto meglio a finire l’articolo sui manoscritti della Fondazione, e smettere di pensare al misterioso editore.
 
***
 
Alle 16.45 tremavo ormai come una foglia, mentre scendevo le scale delle Procuratie con il cuore che mi batteva in gola. Cristo Santissimo, e se non lo avessi trovato? Se non gli fossi piaciuta? Se avessi fatto una delle mie solite figure di merda? La mia mente iniziava già ad andare per la sua strada, in balia della preoccupazione e dell’insicurezza che mi attanagliavano sempre nei momenti più delicati. Basta Sere! Smettila con questi pensieri infantili! - mi dissi.
Percorsi con calma i portici attorno alla Piazza, cercando di regolare il respiro e di intravedere l'uomo che mi attendeva. Quando fui ormai vicina al Caffè, guardai l’orologio: mancavano ancora dieci minuti, quindi avevo tutto il tempo per mettermi a mio agio, sedermi e aspettare Emir. Alzai lo sguardo, e per poco non tornai indietro di corsa.
Nei tavolini di fronte al Florian, seduto con un mojito in una mano e Il Sole 24 Ore steso sulle gambe accavallate, stava il più affascinante uomo che avessi mai visto. Indossava pantaloni neri perfettamente stirati, scarpe da cerimonia nere lucide e una camicia blu scuro che si tendeva sulle spalle larghe e muscolose. I primi bottoni sotto la gola erano aperti, e lasciavano scorgere tra il tessuto una pelle abbronzata e liscia, dalle sfumature olivastre; portava degli occhiali neri con una grossa montatura, posati sul naso sottile e ben delineato.
Incapace di controllare l’emozione, feci qualche passo avanti e subito lui alzò lo sguardo. I suoi occhi verdi mi colpirono dritta al cuore, mentre lui scostava la sedia e si alzava, adagiando il bicchiere e il quotidiano sul tavolino.
Ci guardammo intensamente per qualche istante, e io rimasi affascinata dall’aria di mistero che circondava l'uomo che avevo di fronte: il contrasto tra i cappelli castani e quegli occhi verdissimi e profondi non mi permettevano di distogliere lo sguardo.
«Serena?» fece lui.
Le mie orecchie assorbirono con gioia la sua voce calda e pastosa, e colsi subito un lieve accento cantinelante, che dava al suo tono basso e roco un intrigante sfumatura orientale. Solo dopo realizzai quello che aveva detto. Mio Dio, quindi era lui il giovane Emir Şahin? Gesù, Giuseppe e Maria, non potevo crederci. Quel maschio affascinante e seducente, che mi aveva ammaliata e mi aveva fatto perdere la ragione, era l’uomo che stava per valutare se accogliermi nel suo staff.
Mi imposi di uscire dalla trance in cui ero caduta, temendo di fare la figura del pesce lesso. Mi schiarii la voce e mi avvinai di qualche passo, rispondendo al suo interrogativo.
«Si, sono io.»
Lui allungò la mano a stringere la mia. Il contatto tra le nostre pelli fu carico di elettricità, e mi sembrò di essere percorsa da una scossa. Raddrizzai il volto e il mio sguardo si scontrò con il suo.
Nei suoi occhi riverberava una lucentezza meravigliosa, che mi inchiodò al suo viso senza lasciarmi scampo. Sentii crescere e crepitare tra noi una tensione sconosciuta, che mi fece desiderare di potergli stare ancora più vicino. Mi chiesi se anche lui sentisse la stessa cosa: stava dritto e fermo, impassibile, ma nel suo sguardo coglievo un desiderio e una forza che mi facevano sperare in una risposta positiva.
«Piacere, sono Emir. Ma prego, si sieda pure» disse lui piano, sciogliendo il legame che ci aveva uniti.
Mi sedetti di fronte a lui, accavallai le gambe per dissimulare l’imbarazzo che sentivo salirmi alle gote e lo guardai.
«Bene, vuole ordinare qualcosa?» chiese lui, togliendosi gli occhiali e poggiandoli accanto al giornale.
«La prego» risposi io, con la lingua finalmente sciolta, «mi dia del tu. Prenderei uno spritz.»
«Però se ti do del tu come minimo lo pretendo anche da te. Cameriere? Uno spritz prego. Liscio, Aperol, Campari?» chiese, rivolgendo nuovamente lo sguardo verso di me.
«Aperol, grazie.»
Quando il cameriere si fu allontanato, l’attenzione di Emir tornò a me.
«Serena, andiamo al sodo se sei d’accordo. Non so cosa ti abbia già accennato Leonardo. In parole povere, comunque, sto cercando qualcuno del Muve che sia disposto ad aiutarmi in una campagna di promozione della cultura che volevo intraprendere con la mia casa editrice. Il tuo capo mi ha parlato molto bene di te e mi ha anche detto che molti dei tuoi esami per la magistrale hanno riguardato l’ambito letterario ed editoriale. A proposito, i miei complimenti per l’ottimo risultato!»
Non era la prima volta che ricevevo congratulazioni simili in quei giorni, ma davanti a quell’uomo sicuro di sé e così affascinante mi sentii avvampare dalla punta dei piedi all’attaccatura dei cappelli.
«Grazie» sussurrai, abbassando il volto per nascondere il rossore.
 
Ero piacevolmente sconvolto. La ragazza che mi stava di fronte era evidentemente molto sicura di sé, aveva una brillante carriera universitaria ad accompagnare le sue referenze e una solidità invidiabile nell’atteggiamento che mostrava, ma arrossiva terribilmente davanti ad un complimento sulle sue abilità.
Dovetti ammettere con me stesso che fosse anche davvero molto bella. I capelli scuri le cadevano con un taglio netto dietro le spalle larghe e piazzate, che contrastavano con la vita strettissima. Questa era messa in risalto da un cinturino bianco che stringeva il vestito nero, attillato al punto giusto da far risaltare le sue curve senza volgarità.
Tentando di farle alzare lo sguardo per incontrare ancora i suoi dolci occhi color cioccolato, continuai a parlare. «Quindi, volevo chiederti se sei interessata a fare una specie di periodo di prova per qualche mese, per capire se il progetto ti interessa e se sei la persona adatta per svolgerlo. Che ne dici?»
Serena alzò gli occhi, raddrizzò le spalle e rispose con sicurezza: «Sono davvero entusiasta dell’idea, ma mi sento in dovere di chiederle… scusa, chiederti, come funzionerà la mia retribuzione. Non vorrei sembrare materialista, ma vorrei capire se continuerò a percepire il mio stipendio al Muve o dovrò rinunciarci.»
Mi lasciai sfuggire una risata. Quella donna mi sorprendeva sempre di più: arrossiva per una parola gentile ma non aveva remore nel chiedermi informazioni sulla paga.
«Serena, non solo continuerai a ricevere lo stipendio del Muve, ma ti sarà attribuita un’ulteriore paga in base alle ore di lavoro che svolgerai in collaborazione con me.»
«Oh, perfetto allora. Bene, penso che accetterò» disse lei, sorridendo per la prima volta. «Posso chiederti un’altra cosa Emir? Perché questo progetto lo dirigi tu e non un tuo vice o delegato? È così importante da coinvolgere il proprietario della casa editrice?»
Non potei evitare di sorridere. Nessuno mi faceva mai domande del genere. Le persone cercavano la mia attenzione sempre e soltanto per il mio denaro, e le donne aggiungevano di solito anche uno spiccato interessamento per il mio corpo, agognando di trascorrere con me qualche ora di follia.
«Me ne occupo io perché è stata una mia idea, che quasi tutto il consiglio di amministrazione ha facilmente cestinato. Io amo questa città, mi ricorda la mia Istanbul, e ho deciso di fare qualcosa per lei. Quindi, dato che il progetto è mio e mi sta molto a cuore, me ne interesso di persona» risposi, ostentando la sicurezza e l’orgoglio che quella scelta mi infondeva.
 
«Wow, ma vieni da Istanbul?» chiesi, lasciandomi avvolgere dalle fantasie che da sempre riponevo in quella città d’Oriente.
Da adolescente avevo letto centinaia di libri, visto tutti i film possibili, studiato con attenzione ogni pagina della storia di quella meravigliosa città sul Bosforo, circondata da un’aurea di mistero che aveva per me il sapore delle spezie e dell’ignoto.
«Si, ho vissuto li fino ai miei quindici anni, ma ci torno spesso. Adoro vivere immerso nelle tradizioni del mio paese natale, e qui a Venezia trovo la stessa atmosfera, solo più… come posso dire…»
«Ariosa?» lo interruppi, quasi senza rendermene conto.
«Ariosa?» chiese lui, sgranando gli occhi. «Si, esatto! Ariosa! Hai centrato il punto Serena. Qui è tutto meno ovattato e nascosto. Qui i panni si stendono alla luce del sole non solo nei vicoli, ma anche di fianco alla Basilica. Qui il vento della laguna schiarisce le idee e porta le voci. Non ci si può nascondere a Venezia» finì lui.
Lo guardai negli occhi. Quell’uomo aveva un’aria elegante e generosa, ma sentivo che sotto sotto non si voleva esporre troppo. Per questo, quando mi aveva espresso la sua idea su Venezia, ero rimasta di stucco: non mi sarei mai aspettata una confessione così personale dopo appena venti minuti di conoscenza. Forse mi era sbagliata. Non era così cupo come mi era sembrato.
Emir sembrò riscuotersi dai suoi pensieri e gettò uno sguardo preoccupato al Rolex che portava al polso.
«Serena, sono molto dispiaciuto ma il lavoro mi attende. È stato un piacere conoscerti e sono immensamente felice che tu abbia accettato la mia proposta. Ti devo salutare ora, ma ti scrivo domani per accordarci sul periodo di prova che ci aspetta, va bene?» disse, alzandosi in piedi.
«Certamente. Grazie a te Emir, è stato un vero piacere anche per me» risposi io, scostando a mia volta la sedia.
Quando vidi che Emir estraeva una banconota da cinquanta euro dal portafoglio Louis Vuitton, in pelle rossa e marrone, mi chiesi con ansia quanto costasse uno spritz al Florian. Non avevo mai bevuto nulla lì, se non un caffè per festeggiare la mia prima laurea, ed era già costato dieci euro quello!
«Ah, Serena, metti via quei soldi!» esclamò lui, mentre stavo tirando fuori il portamonete dalla borsa. «Permettimi di pagare questo magnifico aperitivo per te» continuò, riponendo il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni.
Mi guardò negli occhi con uno sguardo carico di… di cosa? – mi chiesi, mentre annuivo e lo salutavo con la mano, allontanandomi sotto il porticato.
Quello sguardo intenso mi aveva fatto tremare le cosce, e temevo che la mia immaginazione stesse già costruendo tanti castelli tra le nuvole, pieni di affascinanti uomini turchi dal sedere ben fatto, baci in ufficio e sesso sfrenato. Poco ma sicuro, stavo leggendo troppi romanzi rosa. Meglio darsi al giallo per un po’.
Rimuginando su quell’incontro così emozionante, tornai verso casa nella luce bassa della fine del giorno.
 
***
 
Quella sera Raf raggiunse me e le mie amiche nel nostro appartamento, trascinandosi dietro una quantità immane di buste di plastica da cui usciva un agrodolce profumo di sushi fresco e di salsa di soia.
«È arrivato Raf!» esclamò contenta Sofia, guardando verso il citofono e correndo ad aprirgli la porta.
«Buonasera donzelle, il cibo è qui. Ah sì, ci sono anche io!» si presentò lui.
Scoppiai a ridere e gli feci strada in cucina per aiutarlo con le buste.
Non appena la tavola fu pronta, Emma entrò dalla porta, trafelata e rossa in volto.
«Scusate scusate scusate! Ero dalla parrucchiera e ho perso di vista l’ora. Oh che bravi, mi avete aspettato!» esclamò, togliendosi il trench e sedendosi a tavola battendo le mani.
Iniziammo subito a mangiare, raccontandoci le nostre giornate.
«Sono distrutta» esclamò subito Em. «Oggi ho lavorato tutto il giorno, non mi sono presa nemmeno la pausa pranzo per seguire la sistemazione delle ultime foto che sono arrivare per la mostra!»
«Giusto!» l’interruppe Raf, «che mostra state aprendo?»
Il volto di Emma si aprì in un grande sorriso estasiato. «Una retrospettiva su Picasso, soprattutto sul suo processo artistico visto da Dora Maar... È veramente fantastica!»
«Quando apre?» chiesi io, incuriosita.
«Il prossimo sabato. Beh, vi andrebbe di fare un giro con me? Vi posso far avere gli inviti per la conferenza stampa di apertura e per la visita guidata con il curatore!»
«Wow, sarebbe grandioso!» esclamò Raf eccitato. «Così facciamo qualcosa tutti assieme prima che io parta per Napoli!»
«Si. Fantastico!» urlai felice. «Tu puoi venire Sofi?» chiesi, voltandomi verso di lei.
Sofia mi guardò, con gli occhi verdissimi che luccicavano. Mi ricordarono per un istante quelli di Emir, e il cuore mi batté forte al pensiero.
«Ragazzi, mi dispiace, non posso. Ho l’ultimo esame di sessione tra due settimane, e Riccardo viene ad aiutarmi a studiare domani sera. Uffi, vorrei tanto venire.»
«E allora vieni!» esclamò Em felice, «Così stiamo tutti assieme!».
Allungò una mano sopra il tavolo, stringendo quella di Sofi. Sapevo che tutti stavamo pensando la stessa cosa: Riccardo diventava ogni giorno sempre più restrittivo, e questa relazione stava iniziando a fare del male a Sofi. Non usciva quasi più con noi, ma passava ogni momento libero con il suo ragazzo, e temevamo che continuando di questo passo avrebbe smesso definitivamente di stare con qualcuno che non fosse lui.
«Vi adoro ragazzi» sussurrò Sofi, «ma temo proprio di non potere. Dai, sarà per la prossima volta, magari senza esami in preparazione.»
Tentò un sorriso forzato, e sebbene sia io che Raf ed Emma ci fossimo accorti di quanto fosse falso, annuimmo tutti in silenzio.
«E tu Sere, com’è andato il ritorno al Muve?» mi chiese a quel punto Raf, tentando di sciogliere la tensione.
«Tutto bene. Mi è stato offerto un lavoro supplementare in realtà!» esclamai sorridendo.
«Cosa cosa cosa? Raccontaci tutto!» urlarono tutti e tre in coro.
«Va bene» risposi io sogghignando, e iniziai a rivelare loro gli eventi della giornata.
Quando finii notai che Emma, Sofia e Raffaele mi guardavano con occhi sgranati.
«Cioè, davvero? La RASBI? Şahin? Ma quanto cazzo di culo hai sempre, Sere?» chiese infine Sofia.
«Ehi, ma che faccia ha questo Emir? Questo ci importa davvero. Hai avuto gli occhi a forma di cuore per tutto il tempo in cui hai parlato! Deve essere un figo da paura!» se ne uscì Emma.
Sentii nascermi sul volto un sorriso beato, che scatenò una corsa generale verso Pc e cellulari, alla ricerca di foto del famigerato editore.
Io rimasi seduta a tavola, ridendo a crepapelle per la reazione dei miei pazzi amici e assaporando con gioia la loro esplosiva compagnia.
   
 
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