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Autore: Trick    13/07/2016    4 recensioni
"È inutile cercare di cambiare la natura delle cose. Ci sono regole che sono nate semplicemente per sopravvivere all'umanità. Tu sei una di quelle regole. Tu, lei e una storia d'amore proibita che vuole sfidare la natura delle cose. Vuoi sapere la verità? È una storia noiosa: si sa già chi morirà alla fine".
RemusxTonks | HBP |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Il capitolo è abbastanza corto, ma ahimè, il tempo è poco e faccio quello che posso... ;)

 

 

 


La prima cosa a colpirlo fu il chiacchiericcio allegro dei ragazzini che sparecchiavano i piatti della colazione. Erano almeno una cinquantina, chi ancora seduto attorno ai tre tavoli della mensa e chi intento a creare file pericolanti di tazze di terracotta e latta.

Lydia era seduta in fondo alla tavolata più distante da lui ed era intenta ad azzannare un cosciotto di pollo come se non avesse mangiato da giorni. Galila la guardava con un sorriso divertito, chiacchierando di tanto in tanto con i ragazzini seduti attorno a loro e spronandoli a coinvolgere la nuova arrivata nei loro discorsi.

Non erano grandi tavoli – niente a che vedere con la magnificenza della Sala Grande – ma le panche e le sedie di legno erano abbastanza numerose per far avere a tutti i bambini un posto in cui mangiare tranquilli. A meno che le cose non fossero cambiate negli ultimi anni, ipotesi che Remus dubitava, tutti quei ragazzini erano dei Clandestini senza famiglia. Forse qualcuno aveva trovato rifugio e protezione nelle case di qualche Lupo Mannaro adulto, ma la maggior parte viveva semplicemente lì, all'inizio della Zona Ovest, con l'intera Fossa come famiglia acquisita da affrontare durante l'adolescenza.

A Remus sfuggì un sorriso nostalgico. Aveva passato nella Zona Ovest quasi tutto il tempo che aveva trascorso nella Fossa in compagnia di quei ragazzini sperduti.

Un bambino dalla pelle scura e dai fitti riccioli neri che non avrebbe potuto avere più di nove o dieci anni gli si piazzò improvvisamente davanti. Accanto a lui c'era una bambina un po' più piccola, forse sei o sette anni, con una treccina rossa legata con cura e il viso pieno di lentiggini. L'espressione risoluta sul suo viso gli ricordò Ginny Weasley.

«Chi sei tu?» domandò il bambino più grande con le braccia incrociate.

Il suo gesto attirò l'attenzione di tre o quattro altri ragazzini, che si fermarono ad osservare curiosi la scena.

«Mi chiamo Remus». Gli tese la mano destra, ma il bambino continuò a fissarlo con un cipiglio sospettoso. «Sto cercando Mastro Gerwulf».

Uno dei ragazzini più grandi che stava assistendo si grattò il naso.

«I tuoi occhi sono strani».

«Non è una cosa molto lusinghiera da dire a qualcuno».

«Sono strani» ripeté con sicurezza la bambina con la treccia. Si avvicinò cauta lui e allungò il collo con l'evidente intenzione di annusargli una manica della camicia. «E hai un odore strano».

«Ah, sì?» domandò divertito Remus. «Quale odore?».

La bambina scosse la testa e bisbigliò qualcosa all'orecchio dell'amico. Il bambino annuì con aria convinta.

«Odori da Cacciatore, ma più forte...».

«Te l'ho detto: è molto che non vengo qui».

«Devi aver cacciato un sacco di cose per essere stato via così tanto da avere quell'odore» commentò una quarta ragazzina con i capelli biondi.

«Il giorno in quel mucchietto d'ossa diventerà un Cacciatore è ancora lontano» s'intromise una voce tenorile.

Remus alzò gli occhi dai ragazzini e sorrise. Non avrebbe saputo dire con esattezza quanti anni avesse Gerwulf, ma aveva già raggiunto quell'età in cui non ci si accorgeva più del trascorrere del tempo. Era sempre uguale, con le basette ridicolmente lunghe e grigie e i grossi baffi arricciati a discapito del cranio completamente pelato. Non sembrava cambiata nemmeno la portata delle sue spalle giganti.

«So che non ti hanno preso i Loschi» gli disse con una smorfia divertita.

«Chi ha messo in giro questa storia?».

«Io» rispose con ovvietà. Poi si rivolse ai bambini con voce perentoria. «Voi tre, finite di sparecchiare. Annie, controlla che sparecchino» «E tu...» aggiunse nello stesso modo piantando un indice sul petto di Remus, «...con me dietro alla lavagna».

Gerwulf non attese risposta e si avviò lungo la stanza di pietra, svanendo oltre un'arcata che conduceva alle tre camere più piccole dove era allestita la cosa più simile a una scuola che la Fossa potesse permettersi.

Il bambino dalla pelle scura – Mouse, probabilmente – gli tirò la mano con aria preoccupata.

«Wow, l'hai già fatta grossa se Gerwulf ti vuole già mettere dietro la lavagna».

Remus ridacchiò. Seguì il licantropo più anziano attraverso l'arcata, superando a passo sicuro le prime due stanze adibite a minuscole classi artigianali. Non riuscì a trattenere la curiosità e infilò la testa dentro alla seconda, che solitamente ospitava i bambini più piccoli. Fu felicemente lieto di vedere che le lettere che aveva inciso nella pietra per insegnare loro l'alfabeto spiccavano ancora chiare sulla pietra rossiccia.

«Damerino, hai perso la strada di casa?» lo richiamò Gerwulf.

«Quando la smetterete di chiamarmi così?» si lamentò Remus, raggiungendolo oltre l'ultima stanza.

«Quando la pianterai di vestirti come una ragazzina al suo debutto in società».

Era un corridoio a fondo chiuso che terminava con un tavolino di legno che aveva come unico compito quello di sorreggere le gambe di Gerwulf. Sulla parete alla sua sinistra era comparsa una mensola dall'aspetto particolarmente fine che sorreggeva una mezza dozzina di libri di genere sparso.

«È una camicia» scandì con ironia Remus, afferrandosi con enfasi il colletto. «E questi si chiamano pantaloni, la più eccezionale invenzione mai creata dai Babbani».

Gerwulf iniziò a dondolarsi un'aria annoiata sulle gambe posteriori della sua sedia, ma i suoi occhi giallognoli luccicavano di divertita perfidia.

«E quella diavoleria piena di bottoni cosa dovrebbe essere? Il pezzo di sopra di un tutù?».

«È un panciotto a doppio petto».

«Una volta ho visto una puttana vicino a Hyde Park indossarne uno uguale».

Si scrutarono in silenzio per qualche secondo, prima di scoppiare entrambi a ridere.

«Ah, fottiti e prendi una sedia, Damerino».

Remus si guardò intorno con un sopracciglio inarcato. L'unico oggetto vagamente simile a una sedia era un minuscolo sgabello progettato per un bambino non più alto di un metro e tranta. Remus si appoggiò con la schiena al muro umido e incrociò le braccia al petto, alzando lo sguardo verso il soffitto. Il minuscolo lucernario sopra le loro teste non faceva filtrare molta luce – dacché Remus sapeva, sbucava da qualche parte nei condotti fognari, non esattamente un gran deposito di luce e aria pulita – ma era meglio che niente.

Estrasse dalla tasca dei pantaloni una Rothmans e la accese prigramente, prima di lanciare il resto del pacchetto a Gerwulf. Più che dieci anni, sembravano trascorsi dieci minuti – ma Remus sapeva che il dramma era alle porte e che Gerwulf lo avrebbe lasciato entrare in fretta.

«Perché hai raccontato all'intera Fossa che ero stato catturato dai Loschi?».

Gerwulf gli lanciò un'occhiata lapidaria. Eccolo lì, pensò Remus, il dramma che inizia a farsi vedere.

«Perché i ragazzini più grandi iniziavano a progettare di imitarti. Stronzate, ho detto loro. Mettete un solo piede fuori di qui e qualche bracconiere del demonio attaccherà le vostre pellacce nella sua sala trofei».

Remus aspirò una lenta boccata di fumo.

«Per la milionesima volta: la caccia al Lupo Mannaro è stata dichiarata fuorilegge più di sei secoli fa».

«Buon per te che ti fidi ancora degli umani, Damerino» concluse con decisione. Lo fissò per un lungo istante prima di parlare ancora. «Che cosa vuoi?».

Remus prese tempo aspirando una boccata di fumo, ma prima di poter parlare, Gerwulf alzò una mano e lo fermò.

«Lascia stare, non voglio perdere tempo: no».

«No?».

«No».

«Non sai nemmeno per quale motivo sono qui».

Gerwulf lo guardò come se avesse appena detto la più colossale stupidaggine mai sentita – e Remus non poteva dargli torto.

«Certo che so per quale motivo hai portato le tue chiappe educate qua sotto, razza di idiota. Quel cane è ancora vivo e tu hai intenzione di coinvolgerci tutti».

«Siete già coinvolti».

Gerwulf fece un lungo sbuffo sarcastico.

«Oh, adesso ricomincerai a cantare le tue storie di amore e giustizia, vero? “Questo mondo è anche nostro, vecchio Gerwulf. Dobbiamo fare la cosa giusta”» gli fece il verso. «Non ti sei ancora stancato di fare sempre la cosa giusta, Damerino?».

«Non so se sto facendo la cosa giusta».

«Dunque perché sei qui?».

Lentamente, Remus spense il mozzicone contro la parete di pietra e se lo infilò in tasca.

«Lord Voldemort ha trovato il modo di riacquistare il suo corpo e il suo potere» spiegò con voce piatta. «Il suo esercito diventa più pericoloso ad ogni secondo che passa e Azkaban ha rinvigorito la crudeltà dei suoi Mangiamorte più devoti. Greyback si unirà presto a lui».

«Non è un problema nostro».

«Lo sarà nel momento in cui Greyback deciderà di scendere nella Fossa insieme a loro».

«Non osererà» protestò Gerwulf, ma a Remus non sfuggì la nota di timore quasi impercettibile nella sua voce. «Nessun Lupo Mannaro in questo paese tradirebbe la Fossa – nemmeno quel figlio di puttana di Greyback».

«Dopo essere stato ritenuto morto, gli Auror hanno decimato il suo branco. Ora non comanda che l'ombra dei Lupi Mannari che lo seguivano quattordici anni fa, ma le sue fila si stanno arricchendo mentre noi parliamo. Presto saranno decine, forse centinaia, a seguirlo. Credi che gli Esclusi non si uniranno a lui?».

Gerwulf abbassò il capo con una smorfia infastidita.

«Le leggi della Fossa sono il solo motivo per cui possiamo dirci ancora al sicuro» lo ammonì severamente. «Nessun Escluso è mai stato esiliato senza motivo dal Concilio dei Figli».

«Buon per te che ti fidi ancora degli Esclusi, Gerwulf...» lo rimbeccò con le sue stesse parole Remus. «Rappresentano una minaccia peggiore del Ministero della Magia e tu lo sai. Sono facile preda del loro istinto e sono infuriati: a nessuno di loro interessa capire le vostre leggi, vogliono solo vendicarsi di chi li ha cacciati. I cancelli potranno anche essere capaci di tenere fuori una decina di Esclusi, ma non basteranno per arrestare la discesa di Greyback – non se con lui ci saranno i Mangiamorte di Voldemort». Remus sospirò. «Gerwulf, ti prego: dobbiamo essere preparati».

Gerwulf si alzò in piedi con un'espressione infastidita.

«Non rimarrò qui ad ascoltare i tuoi piani suicidi. Non sai niente – niente - di questo posto. Guardati» disse con una punta di astio. «Con quei ridicoli occhi da Losco non sembri meno bugiardo di loro. Hai passato metà della tua vita disprezzando ciò che siamo, fingendo di essere un umano e cercando l'approvazione di tutti quei pagliacci con la bacchetta infilata su per il culo. Scommetto che ti ha mandato Silente quaggiù, non è così?».

Remus si umettò le labbra.

«È così».

«Cane» soffiò con sfida l'altro.

Remus non disse nulla. Era una delle più offensive ingiurie della Fossa, ma lui aveva davvero trascorso troppo tempo fra gli esseri umani per farsi toccare da quell'accusa. Di tanto in tanto i licantropi più anziani della Fossa glielo sibilavano ancora alle spalle, forse convinti che lui non li avrebbe sentiti.

Cane.

Per Remus non aveva alcun significato.

« Non hai alcun diritto di pretendere che combattiamo per una una qualunque delle tue cose giuste» riprese Gerwulf. «Non ti lascerò ammazzare la mia gente solo perché a Silente serve un esercito di bestie da macello».

«Non voglio che combattiate» replicò piano Remus. «Non è per questo che sono tornato, non cerco alleati per la guerra contro Voldemort».

Gerwulf inclinò appena la testa con espressione perplessa.

«Hai detto che Silente ti ha mandato a cercare alleati».

«Sì».

«...e tu non lo farai?».

Remus abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe. Non era il sospetto negli occhi di Gerwulf a metterlo a disagio quanto la sua sorpresa. E come dargli torto, d'altronde? Il cane di Silente, lo chiamavano - perfino al Ministero della Magia qualcuno usava quel nomignolo malevolo. Non aveva mai tradito Silente, nemmeno quando gli sarebbe stato facile, nemmeno quando gli sarebbe convenuto... nemmeno quando finirono per ritenerlo ingiustamente un traditore e allora sì, sarebbe stato più che facile. Silente gli aveva concesso la più straordinaria opportunità che avesse mai avuto nella sua vita, si era fidato di lui come nessun altro mago o strega della comunità magica. Remus aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai dimenticato quel debito fino alla fine della sua vita – e l'aveva rischiata centinaia di volte per Silente senza mai esitare.

Ma ciò che l'anziano mago gli aveva domandato ora non metteva più a rischio la sua vita. Non gli aveva chiesto di combattere per l'Ordine, non gli aveva chiesto di morire per l'Ordine... gli aveva chiesto di convincere centinaia di persone abituate a nascondersi a combattere per una guerra che li avrebbe decimati.

Qualcuno di loro armeggiava più che abilmente con la spada, ma nessuno di loro controllava altrettanto bene la magia. Cosa potevano fare le loro venti o trenta mazze ferrate contro le bacchette magiche del mondo di sopra? Nulla. Era per quel motivo che si nascondevano da secoli, ma Silente non poteva capirlo.

Silente non era mai stato nella Fossa, non aveva mai visto la paura riflessa negli occhi dei bambini mentre gli adulti raccontavano loro storie dell'orrore popolate di potenti maghi e streghe. La Fossa non era mai cambiata nel corso dei secoli – ma lo aveva forse fatto la comunità magica? Se anche avessero combattuto... se anche avessero dimostrato di voler allearsi con Silente, se anche avessero vinto, cosa avrebbe offerto loro il Ministero della Magia?

Remus aveva combattuto per loro – aveva ucciso per loro. E cosa ne aveva ottenuto? Altre ingiurie, altro disappunto, altre condanne.

Se Voldemort non avesse distrutto la gente della Fossa per vincere la guerra, l'avrebbe fatto il Ministero una volta conquistata la pace.

Non aveva mai tradito Silente e non avrebbe mai pensato di doverlo fare, ma non poteva permettergli di sfruttare la sua lealtà per condannare a morte certa gli abitanti della Fossa.

«Non lo farò» proclamò con sicurezza. Guardò Gerwulf con aria di sfida. «Sono un cane, non uno stronzo».

Gerwulf scosse il capo.

«E perché diavolo sei venuto, allora?».

Remus lo guardò intensamente.

«Per aiutarvi a fuggire prima che arrivino».

°°°


Stava camminando avanti e indietro il negozio di scherzi di Zonko da ormai trenta minuti. Aveva già trascorso più di due ore di guardia seduta sulla panchina di legno di fronte al negozio e aveva già ampiamente fatto amicizia con il nuovo commesso appena assunto dai titolari – un tale Edmund nato a Edimburgo.

Lanciò un'occhiata all'orologio da taschino d'argento che suo padre le aveva regalato il giorno in cui era diventata un'Auror: le tre e venti minuti del pomeriggio.

Ancora un'ora.

Continuò a fare qualche passo senza allontanarsi troppo per sgranchire ancora le gambe. Stare ferma troppo a lungo non le era mai piaciuto e Hogsmeade era particolarmente noiosa quel pomeriggio.

Non aveva ritenuto saggio portare con sé il fascicolo che aveva sottratto quasi legalmente dall'ufficio dell'Unità di Cattura e lo aveva lasciato sul proprio comodino, trasfigurato in una copia dell'ultimo numero di Magic & Rock Magazine. Peccato aver dimenticato la Gazzetta del Profeta sul tavolo della cucina. Avrebbe preferito la Guferia del Cuore di Nigella Sparks a quella noia letale. La noia era silenziosa, il silenzio la faceva pensare.

E pensare le stava facendo venire un mostruoso mal di testa.

Non riusciva a capire per quale motivo il Ministero della Magia fosse così interessato a lei e Remus. Certo, lui era un Lupo Mannaro e c'erano almeno una ventina di leggi che vietavano il matrimonio e almeno altrettante a vietare ogni altra forma di convivenza sul suolo britannico di cui lei non ricordava molto, ma cosa, gloria a Merlino, poteva aver agitato tanto gli animi dei difensori della comunità magica?

Lei e Remus non erano proprio una di quelle coppiette che passeggiavano per Diagon Alley stringendosi la mano e apostrofandosi in modi stupidi davanti alle vetrine.

Una sera di qualche mese prima si era divertita a chiamarlo “amore mio” mentre lui era steso al suo fianco nel letto a risolvere le parole crociate della Gazzetta del Profeta. Remus aveva abbassato cauto il giornale, ma nei suoi occhi aveva brillato subito un'espressione divertita. Era riuscita ad aggiungere qualche languido “orsacchiotto” e almeno un paio di “cucciolino”, prima che Remus afferrasse il lenzuolo nel tentativo di farla scivolare dal letto.

Non erano nemmeno una coppia, a pensarci bene. Le coppie parlavano di sentimenti e progettavano il loro futuro, loro cercavano solo un modo per non farsi divorare dalla sensazione di sconfitta imminente che la guerra stava fomentando. A pensarci bene, fu costretta ad ammettere Tonks, era andato tutto bene fino a quando non si era svegliata al San Mungo e non aveva detto le parole magiche che tutti gli imbecilli prima o poi dicono.

“Mi sto innamorando di te”.

A volte credeva di aver perduto Remus prima ancora di terminare la frase. A volte credeva di aver visto per la prima volta il terrore balenare nei suoi occhi – non per Voldemort, non per Sirius, non per Greyback: per lei innamorata di lui.

Diavolo, quanto la faceva imbestialire.

«Ninfadorà?».

Tonks si voltò di colpo e sbatté un paio di volte le palpebre, perplessa. Ferma a pochi passi da lei c'era Fleur Delacour. Quel giorno indossava un vestito azzurro dal taglio semplice che le scendeva oltre le ginocchia e un paio di eleganti stivaletti – niente di particolarmente appariscente – ma addosso a lei sembravano pronti per la copertina del Settimanale delle Streghe. L'unica cosa che sembrava insolitamente fuori posto era la sporta di carta che stringeva in mano.

«Ti scercavo» le disse con il suo flautato accento francese.

Tonks aggrottò la fronte, incapace di trovare un valido motivo che potesse spiegare la presenza di Fleur lì – Fleur che la cercava, soprattutto. Non erano decisamente amiche. Nelle poche occasioni alla Tana in cui erano state obbligate a frequentarsi le frecciatine e le battute avevano superato le frasi di cortesia da entrambe le parti. Niente di maligno, in effetti. A volte Tonks si era perfino divertita nell'essere presa in giro da quella strega da sfilata con il suo buffo accento sibilante.

«Mi hai portato la merenda?» domandò con ironico interesse.

«Non». Si avvicinò a lei e le lanciò la sporta fra le mani. «È un regalo. Mollì l'ha fatto per te».

«È agosto».

«Che encredibile acume».

«“È agosto” nel senso che non è il mio compleanno» spiegò sarcastica Tonks, mentre sfilava un pacchetto poco più piccolo di un libricino dal sacchetto.

«Mon Dieu, scommetto che dentro sc'è qualcosa di orriblè».

«Non può essere peggio di ciò che stava fuori dal pacco».

Fleur non ribatté alla battuta, ma Tonks sapeva che era una ragazza sveglia. Presuntuosa e fastidiosa, certo, ma era sveglia – e l'aveva capita eccome.

Tolse l'incarto marrone e rimase per diversi istanti a fissarne immobile il contenuto, incerta su cosa fosse passato per la testa di Molly ma piacevolmente colpita. Incorniciata in un legno semplice e di poco valore, c'era una fotografia di cui Tonks non ricordava nemmeno esattamente il momento dello scatto – forse ottobre o novembre.

La se stessa nella fotografia rideva con poco contegno insieme a Sirius, che aveva brandito un bicchiere di vino in fondo alla tavola in una posa ridicolmente eroica. A giudicare dall'espressione rassegnata di Remus, il cugino stava proclamando uno dei suoi brindisi stupidi.

Un brindisi alla tette di Tonks, che anche stasera hanno rischiato di soffocare in quel minuscolo top arancione per la gioia di noi tutti!”.

E al tuo cervello!” credeva di aver risposto divertita Tonks. “Possa il suo ricordo vivere glorioso nel tempo!”.

Nella fotografia Kingsley rideva di gusto seduto accanto a lei, fingendo di ignorare Moody che imprecava contro di loro con la bocca ancora piena. Ridevano Arthur e Bill, mentre l'ultimo sollevava il bicchiere con un solenne cenno del capo in direzione di Sirius, e rideva anche Molly, mentre colpiva bonariamente il figlio dietro la nuca. Ad un certo punto fu piuttosto sicura di aver visto il Remus della foto allungarsi verso di lei con espressione furba e mormorarle qualcosa all'orecchio che finì per costargli un pugno amichevole sulla spalla e un chiaro “cretino” scandito dalle sue labbra.

Tonks sorrise appena.

«È una bella photographie».

Alzò gli occhi dalla cornice. Si era completamente dimenticata di Fleur, che nel frattempo si era avvicinata curiosa per guardare meglio.

«Sì, lo è».

«Sembrate felisci».

«Direi di sì».

«È stato un ponsiero molto carino da parte di Mollì».

Tonks si umettò le labbra. Non le era sfuggita la nota di labile risentimento nascosta dall'accento straniero. Fece un profondo sospiro e le rivolse un sogghigno divertito.

«Invidiosa?».

Le narici di Fleur vibrarono appena.

«Per una orriblè cornisce da pochi soldi e una tua photographie? Io sono franscese. Io non ho queste... queste... faute de gout?».

«Hai detto flatulenze?».

«Non!».

«Ah, perché ero proprio convinta che tu avessi... sai...».

Fleur le rivolse un'occhiata incendiaria e Tonks non fu capace di trattenere una risata.

«Non fasceva ridere».

«Oh, sì, invece» la prese in giro Tonks. «Stavolta ho vinto io».

Fleur emise uno sbuffo infastidito e agitò graziosamente una mano a mezz'aria, come a voler intendere che la faccenda era chiusa.

«Bièn. Io ho fatto sciò che dovevo fare, persciò me ne vado».

«Perché sei venuta tu?».

«Volevo sgranchire un po' le gombe».

«Ah, capisco... deve essere orribile per te vivere reclusa nelle segrete della Tana a pane e acqua. No, perdonami: è proprio “orriblè”».

«Si pronunscia horrible”».

«“Orìble”?».

«“Horrible”».

«“Oorible”?».

«Lo stai fascendo apposta, oui?».

«No, faccio realmente schifo a parlare in francese, ma grazie lo stesso per l'alta opinione» ridacchiò Tonks.

La bocca di Fleur si piegò in un lieve sorriso divertito. Tonks avvolse nuovamente la fotografia nell'incarto e scrollò le spalle. Non conosceva per niente Fleur, ma su una cosa era sicura: se Bill si era innamorato di lei, non doveva essere una donna tremenda quanto la facevano apparire Molly e Ginny.

«Io finisco il turno di guardia fra cinque minuti» le disse con tono vago. «E a Madama Rosmerta sono sempre piaciute quelle robe strane che bevete in Francia, quindi... sì, insomma, se non hai voglia di tornare subito alla Tana, mi piacerebbe offrirti qualcosa da bere. Sai, per ringraziarti di avermi portato il pacchetto».

Fleur inarcò appena un sopracciglio.

«Sci stai provondo con me?».

Tonks sgranò gli occhi.

«Sei scema?» esclamò. «Oddio, perché voi francesi siete sempre sessualmente attivi?».

«Non non siamo...» iniziò a protestare l'altra. «Cosa?».

«Non cercare di fregarmi. Ho fatto sesso con uno di Marsiglia, qualche anno fa. So che vi piacciono i giochetti strani...».

Fleur arricciò le labbra.

«Hai mai ponsato che forse lui ti ha detto così per fare scioghetti strani con una stupida credulona englose?».

«Quindi a te non piacciono i giochetti strani?».

«Mais oui, scerto che mi piasciono» affermò con candore Fleur. «Ma ponso che tu sia una stupida credulona englose e che lui ti abbia fregato lo stesso».

Risero entrambe. Fu una sensazione stranamente piacevole. Tonks era quasi sicura che si stesse divertendo anche Fleur.

«Bièn, ti aspetto ai Tre Manisci di Scopa per farmi pagare da bere».


   
 
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