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Autore: Alyeska707    13/07/2016    8 recensioni
! STORIA INTERATTIVA !
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-E se il desiderio di avere degli amici, unito alla follia, deformasse la realtà? Se ragazzi tra loro diversi, all'oscuro del loro avvenire, si ritrovassero improvvisamente in un luogo sconosciuto, in cui la neve è perenne? Se, a loro insaputa, una presenza li osservasse costantemente? Decifrando il loro essere, osservando le loro esistenze... manovrandoli a suo piacimento...
Che accadrebbe?
Genere: Generale, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio, Courtney
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale
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Total Drama: The Snowfall
.7.- Urla!

L’intero gruppo venne scosso da un brivido. Freddo e paura si univano vorticando nell’aria gelida e sprizzando coriandoli di terrore che, come neve, colpivano i ragazzi con leggerezza, ma ripetutamente. L’intuizione di trovarsi in una realtà difficile aveva raggiunto tutti, ma una visione tanto macabra non aveva ancora sfiorato nessuno dei presenti. Adesso i ragazzi, stretti tra loroformando un cerchio attorno a Vladimir e Jordan, non riuscivano quasi a trovare aria da respirare. Una lacrima, seguita da altre dapprima silenziose, solcò veloce la guancia di Melody, che si era da poco ripresa. Le sue emozioni erano nuovamente state dirottate verso un orizzonte in tempesta, un mare burrascoso, e lei sola si sarebbe schiantata. Non che una qualche compagnia le avrebbe impedito la morte, comunque. Il fattore solitudine era alquanto delicato e in un certo verso astratto nella mente della ragazza. Voleva sentirsi protetta anche se era consapevole di trovarsi in un ambiente pieno di devastazione, con abitazioni devastate, strade devastate e una popolazione devastata  che attualmente comprendeva sedici abitanti. Melody non voleva morire, e non voleva farlo da sola. Sapeva che, come concetto, suonava abbastanza stupido, considerando che ognuno muore solo perché legato ad una vita indipendente da quella di altri. Eppure lei, se sarebbe morta, anzi quando, avrebbe voluto sentire la presenza di qualcuno al suo fianco. Qualcuno che la sorreggesse magari, ripetendole di dire qualcosa, di non chiudere gli occhi, che ce l’avrebbe fatta. Da questo punto di vista Melody poteva apparire come la tipica adolescente dalla visione rosea e romantica, una sognatrice. Ma lei conosceva la verità. Si sentiva solo egoista, convinta che la paura paralizzante che la colpiva senza tregua fosse un castigo. Si sentiva egoista perché, in punto di morte, avrebbe voluto essere lei la prima a lasciare il mondo, così da non dover sopportare la vista della perdita di altri a cui teneva, così da non dover rischiare di rimanere l’ultima in vita. Ultima e sola. Così alzò lo sguardo senza sapere bene in che direzione puntarlo, ispezionando i volti dei compagni che a differenza del suo, ormai contratto dalla disperazione, erano solo sgomenti. Occhi vuoti e visi di ceramica chiara, occhi sgranati ma non troppo, labbra socchiuse e prive di parole da proferire, da dove non fuoriusciva neanche un filo di fiato. Melody vacillava, barcollava. In un momento di improvvisa perdita di equilibrio si ritrovò a dare una spallata a Joseph che, come prima, era ancora al suo fianco. Non la degnò di uno sguardo. I suoi singhiozzi però li sentiva, uniti al tremolio dei suoi denti. Ma si era già stancato di badare a una ragazzina tanto fragile. Chi era lui, un baby-sitter? Che ci ricavava a sorbirsi le motivazioni di tanto frequenti crisi di pianto? Erano tutti nella stessa posizione. Certo, qualcuno era più delicato di qualcun altro, ma la forza non nasce con noi. Cresce se noi l’alimentiamo, come il coraggio. Non capisci che non c’è nessun mostro sotto il tuo letto finchè non ti alzi nel cuore della notte e accendi la luce, consapevole che ti potrebbe uccidere. È tutto una catena di cose che vanno apprese, prima o poi. Inutile girarci intorno. E Melody lo stava innervosendo.
«C-Come fai a restare così… impassibile?» cercò di articolare la ragazza con voce strozzata. Joseph pensò se valeva la pena rispondere alla domanda e concluse che no, non ne valeva proprio la pena. Ma rispose comunque.
«Perché io non sono te. E non mi piango addosso.»
«Ma io non lo faccio di proposito! I-Io non riesco a tenermi tutto dentro… Io pensavo-»
«Male» la interruppe Joseph, finendo per lei la frase. Le rivolse un’occhiata di sufficienza e poi la superò, procedendo verso il centro del cerchio, dove Vladimir, ancora col fiatone, teneva gli occhi fissi su Jordan alla ricerca di una qualche spiegazione che attendeva ad arrivare. Joseph si era stancato di restare nell’ombra, si era stancato della parte del ragazzo chiuso a cui non importa di nulla. Perché a lui di qualcosa importava, e quel qualcosa non era solo la propria sopravvivenza, ma anche avere in mano la situazione, essere il burattinaio di tutto, avvicinarsi agli altri per poi gettarli in pasto alla morte al suo posto. Era la legge di Darwin, infondo. Sopravvivono solo i più forti, i più scaltri. E Joseph Johnson non era mai stato il genere di ragazzo dai tanti scrupoli.

Jordan arretrò in silenzio. Che poteva dire? Non si era mai ritrovato senza parole. Si girò e, massaggiandosi il collo, si avvicinò ad Hayoung.
«Senti…» mormorò. «Probabilmente non siamo partiti col piede giusto…»
La ragazza dal caschetto scuro lo squadrò con disgusto. «Ti sembra il momento per un discorso del genere?» schernì.
Jordan sospirò per non alzare la voce. «Intendevo,» continuò. «che tu sei una delle più brillanti, qui in mezzo. Dico bene?»
Hayoung scrollò le spalle. Non le piaceva darsi arie delle sue doti. Era brava, sapeva di esserlo, ne era orgogliosa. Aveva un alto quoziente intellettivo, ma non voleva esibirlo.
«Ho voti alti a scuola» si limitò a spiegare. «Avevo» si corresse poi.
«Come pensavo» commentò Jordan. Si riabbassò gli occhiali da sole sugli occhi e disse: «Tu cosa ne pensi di tutto questo?» Ma questa era una domanda che metteva in difficoltà anche lei.
«Non lo so davvero.»
A quel punto Joseph decise di intervenire.
«Siamo fuori dal mondo, qui tutto va al contrario. Nemmeno Einstein saprebbe cosa pensare, semplicemente perché la logica ha smesso di esistere nello stesso istante in cui siamo arrivati qui!» disse, la voce alta senza essere urlata, in modo da riuscire a farsi sentire da tutti.
«Ma resta sempre l’eccezione» osservò Vladimir, spostando la sua attenzione su Alejandro che, serio in viso, non si smosse neanche quando cominciò a sentirsi gli occhi di tutti addosso.
«Non ne so niente, ve l’ho già detto. Sono nella vostra stessa situazione» cercò di chiarire. «E se quelle due sono morte, è perché magari c’è qualcun altro in questo posto. Forse non siamo soli come pensiamo.»
«O forse rientra tutto nel piano della tua amichetta-gangster: farci dannare, impazzire, ucciderci e, perché no, mangiarci a vicenda. Non fa una piega, non credi?» aggiunse viscido Vladimir.
«Ti ho detto che sono nella vostra identica situazione, Vlad.»
«Non. Chiamarmi. Così.»
Aiden prese la palla al balzo.
«Che c’è, Vlad? Non sopporti essere chiamato Vlad? Qual è il problema, Vlad?»
«Non intrometterti» lo zittì lui, e Aiden avrebbe voluto continuare, ma era abbastanza risoluto da afferrare che non era il caso di aggiungere ulteriore tensione. Non finchè le cose si sarebbero ridimensionate, almeno.
Joseph si voltò verso il ragazzo biondo dagli occhi chiari.
«Come sono morte?» gli chiese. L’altro alzò le sopracciglia e lo guardò dubbioso.
«Ha importanza?»
«Sì, se vogliamo capire come possiamo evitare la loro stessa fine.»
Aria si tappò le orecchie. «Non voglio sentire!» disse, strizzando gli occhi e girandosi dall’altra parte.
«Non fare la stupida» rimboccò Cerise, guardandola con la coda dell’occhio.
«Non riesce a sentirti» le fece sapere Aiden.
«Anche questo ha i suoi vantaggi» commentò Cerise.
«Tanto se nomini una qualche marca di borse o scarpe torna a sentirci benissimo» mormorò annoiato William, soffiando per scostarsi un ciuffo sfumato di verde dal viso. Aiden lo osservò per qualche istante, poi tornò a focalizzarsi su Vladimir e Joseph.
«Beh non lo so» disse Vladimir. Quando sono arrivato loro erano distese sul pavimento… nel sangue… e c’era un odore terribile e-»
«Non desidero altri dettagli, grazie» lo bloccò Ruby, chiudendo gli occhi e accompagnando le sue parole con un segno delle braccia. Ciononostante, si ritrovò a dover riaprire le palpebre, quando avvertì un tocco leggero sulla sua spalla.
«Cerca di sopportarlo. È importante per noi» le spiegò Oliver. Ruby accartocciò le labbra. Diamine, non aveva bisogno di supporto! Solo, teneva alla sua salute. Non voleva vomitare.
«Ehm… Grazie per la premura» rispose, mantenendo un tono di voce basso e piatto, leggermente infastidito, che indusse Oliver a ritrarsi. Lasciò cadere il braccio lungo il busto, poi prese il polso della mano destra in quella sinistra, stringendo il tatuaggio raffigurante l’occhio di Horus con forza. Strizzò gli occhi.
«Ti prego» pensò intensamente. «Fai che funzioni. Resta con me.»

«Quindi sono state uccise…» suppose Joseph.
«Penso» commentò Vladimir. «Comunque…» aggiunse. «La seconda, quella chiassosa…»
«McArthur» corresse Hayoung.
«Lei… Lei era fuori dalla casa. Cioè, non proprio fuori… Era all’entrata, sulla porta.»
«Era incastrata tra porta e stipite?!» intervenne Jordan, già immaginando la più tetra prospettiva degna da film dell’orrore.
«No, no…» rassicurò Vladimir. «La porta era aperta… e lei era lì, stesa a pancia in giù… e il sangue macchiava i gradini dell’entrata… sporcava anche la neve. Però non c’erano altre tracce, o impronte.»
«Quindi hanno aperto al loro assassino… Lo conoscevano» mormorò Joseph, guardando verso il basso.
«E lui ha ucciso prima Sanders, poi è uscito… L’altra lo ha seguito all’uscita e lì ha ucciso pure lei… Ma sono l’unico a non coglierne il senso? Non c’erano nemmeno impronte sulla neve, ma il sangue era vivido, non ancora rappreso!»
«Il senso è che non ce n’è uno» concluse Alejandro. «Ricordate che tutto questo è un gioco, e già questo lo rende… impossibile. È folle. Ma Courtney vuole divertirsi. Vuole vederci soffrire, ma soprattutto vuole vedere come siamo, come ci comportiamo. Se ha in programma anche la nostra morte, state sicuri che non arriverà presto. Lei è interessata a noi, per ora.»

*****
Una risata nervosa riecheggiò nella stanza.
«Lo pensi davvero, Al?»  Sussurrò la domanda rivolta al silenzio che la circondava, solo lei era presente in quella camera. «Sei sempre così sicuro di te…» Courtney si mise a sedere davanti allo specchio antico, ormai usurato e con qualche crepa sui bordi superiori, e ripassò il rossetto scuro, di un bordeaux sangue che si amalgamava perfettamente al suo incarnato. Poi afferrò il telefono, digitò un numero e si portò l’oggetto all’orecchio.
«Pronto? Duncan?» disse con voce squillante.
«Sì. Esatto, sì… Sono io. Sei impegnato? Oh, certo… perfetto. Puoi raggiungermi? Sapevo di poter contare su di te… sei l’unico che capisce… Sì, lo so. Ti amo
*****

«Ergo, ora come dovremmo comportarci…?» si intromise Loup. Non aveva parlato molto fino a quel momento, quindi non si stupì troppo dei visi attoniti che lo stavano guardando, probabilmente chiedendosi quale fosse il suo nome. Passò in rassegna Vladimir, Alejandro e Joseph, ma nessuno dei tre sembrò in procinto di rispondere. Quindi si voltò in direzione di Jordan, il ragazzo con cui aveva più avuto modo di parlare.
«Mi vuoi rispondere?» sbottò acuto dopo qualche secondo passato a guardarlo fisso attraverso le sue lenti scure.
«E calmati» ribatté l’altro cercando qualcosa da dire. Quando parlava con Loup gli sembrava sempre di parlare con una ragazzina scorbutica che vuole assolutamente la gonna fuxia al posto di quella lilla. Jordan avrebbe odiato quella ragazzina, ma non odiava Loup. Lo trovava diverso, ma non nel senso di speciale. Solo, non come la massa. E questo glielo faceva apprezzare.
«Forse dovremmo trovare un posto in cui stare… un posto tipo la stanza del falò, quello della prima sera.»
«E per il cibo?» domandò insistente Loup.
«Potremmo suddividerci in gruppi e andare a prenderlo a rotazione dalla dispensa di Sanders e McArthur… avevano detto che ne avevano in abbondanza, no?» disse Joseph.
«Ma ora sono morte…» osservò Loup.
«Non è detto che questo cambi le cose… Possiamo solo andare a verificare. Chi si offre?»
Alejandro fece un passo avanti. «Vado io.»
Joseph si permise di squadrarlo con curiosità. «Vedo che non hai niente da perdere.»
Alejandro scrollò le spalle, ma non si risparmiò il solito ghigno. «Hai fatto centro.»
«Chi altro va con lui? Siamo in sedici… potremmo suddividerci in quattro gruppi da quattro persone, che dite?»
«Non mi sembra male» commentò Alejandro. Poi aggiunse: «Dai, decidi la composizione dei gruppi. Vedo che ti stai divertendo», riprendendo l’osservazione precedente dell’altro ragazzo, che sogghignò in risposta.
«Bene» asserì con voce ferma. «Gruppo uno: Alejandro, Kiro…» fece una pausa. Incrociò il viso pallido di Melody e scelse di dirigersi altrove, incontrando Amira. Si ricordò di quanto Melody la cercasse costantemente e, più per se stesso che per la ragazza, chiamò i loro nomi. Almeno così Melody non avrebbe più pianto sulla sua spalla. Le emozioni delle altre persone lo infastidivano e lo mettevano a disagio allo stesso tempo.
«Gruppo due: Aria, Hayoung, Oliver, Aiden.» Pausa. «Tre: William, Cerise, Jordan, Loup.» Lo sbuffo della ragazza dal colpo di sole bianco risuonò.
«Credi davvero che sia una buona idea? Io con lui?» disse indicando Jordan, la cui opinione non si distaccava troppo da quella di lei. «E lui?» continuò puntando l’indice dell’altra mano contro William, che sogghignava divertito dalla scenetta della ragazza-che-non-riesce-a-controllarsi.
«È per la nostra sopravvivenza, Cerise» disse con calma Joseph, anche se non poteva negare a se stesso la non-casualità dei quattro membri. Era un acuto osservatore, lui. E voleva divertirsi un po'. Lei socchiuse gli occhi stringendo una mano in pugno. Avrebbe voluto chiedergli chi era lui per decidere con chi dovesse stare lei e perché fosse d’un tratto diventato il capetto di turno quando la più adatta ad esserlo era senz’altro lei. Ma non proferì parola. I veri leader sanno adattarsi anche alle condizioni sfavorevoli.
«E ultimo gruppo: io, Vladimir, Ashling e Ruby.»
Vladimir mormorò un «Okay» altamente disinteressato, Alejandro annuì e disse che il suo gruppo sarebbe partito subito per verificare la situazione e che avrebbero potuto rincontrarsi tutti nella stanza del falò, che lui non conosceva ma Amira, Melody e Kiro sì. Joseph annuì e con gli altri cominciò a camminare, separandosi dal gruppo numero uno, dove una Melody fin troppo scossa che minacciava di cadere a terra a ogni passo venne sostenuta un’Amira che riuscì ad ascoltare ogni timore dell’altra senza interromperla, anzi, senza dire neanche una parola. Infondo era umana anche lei, e nonostante l’apparenza sapeva bene che gli uomini sono creature fin troppo fragili. Alcuni lo sanno nascondere, altri meno, ma tutti sono accumunati da una debolezza incolmabile e impossibile da soddisfare. Sono tutti schiavi delle proprie emozioni.

Quando i dodici arrivarono al rifugio, Joseph si colpì la fronte ricordando che l’unica con un accendino ancora funzionante e quindi l’unica che poteva accendere il fuoco non era ancora arrivata. Non c’era il solito vociferare, i ragazzi parlavano tra loro in sussurri sparsi, forse per paura di risultare inappropriati, forse per non rischiare di sottovalutare l’atmosfera di pericolo che, vivace, li seguiva ad ogni passo.
Ashling era in gruppo con Joseph, Ruby e Vladimir. Sì, soprattutto con Vladimir. Joseph non le piaceva particolarmente: le era subito sembrato il tipico ragazzo che nega la propria umanità pur di vedersi superiore e senza talloni d’Achille. Ruby non le dispiaceva, la vedeva come una ragazza sveglia, il cui umorismo rasserenava.  E poi c’era Vladimir. Sorrise al pensiero. Dopo si ricordò di come l’aveva trattata poche ore prima. «Non starmi appiccicata» le aveva detto. «Lasciami respirare.» Ashling chiuse gli occhi: faceva ancora un po’ male, come una fitta. Però non voleva restarsene lì così, cercando di non guardarlo e chiudendosi in se stessa. Non per lui, ma per lei. Perché non voleva comportarsi come la ragazza vittima di un’illusione d’amore. «Io non sarò la vittima» si ripeteva. «Sono forte. Sono forte e posso farcela.» Infondo Vladimir era una delle poche persone con cui aveva socializzato. Quindi si alzò e si diresse verso l’angolo in cui il ragazzo, appoggiato alla parete in legno logoro, si guardava le scarpe slacciate, probabilmente lanciando mentalmente imprecazioni contro le stringhe e il loro inventore. Un inventore incredibilmente stupido.
«Hey» lo salutò Ashling, avvicinandosi a lui stretta nelle spalle e con le mani in tasca. Vladimir sorrise appena, ma mantenendo lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
«Ciao» disse.
«Siamo nello stesso gruppo» aggiunse la ragazza, cercando disperatamente un argomento che facesse da ponte tra di loro.
«Lo so» rispose lui.
«Ne sono felice» disse lei.
«Anche io» replicò lui. Poi una pausa. Ashling si appoggiò alla parete di fianco a Vladimir e lui alzò lentamente il viso, indirizzandolo ora verso il muro di fronte a lui.
«Qui dentro è umido» osservò con voce roca. «Usciamo qui fuori?»
«Va bene» rispose Ashling e lo seguì mentre camminava in direzione del passaggio tra le assi di legno.

«Mi sento… frustrato» disse dopo qualche minuto. Ashling sollevò il mento e si concentrò sul profilo del ragazzo.
«Diamine, così…» Pausa. Sospiro. «Frustrato!» Calcio contro un’asse marcia.
«È così per tutti… Almeno, per me lo è» cercò di confortarlo. A quel punto Vladimir la guardò negli occhi. Azzurro contro azzurro, marmo e vetro, ghiaccio e mare. Poi scosse leggermente la testa.
«Non te lo sto dicendo perché ho bisogno di sostegno, Ash» disse. «Io non ho bisogno di sostegno.» Si sforzò si sorridere e cambiò visuale. A quel punto Ashling realizzò che lui non si era nemmeno scusato per le sue precedenti parole. Forse aveva sbagliato lei, allora. Forse aveva capito male. Ma non si sarebbe scusata. E neanche lei avrebbe più avuto bisogno di supporto. Lei era forte.
«Okay» asserì quindi. «Prosegui, parlami di quanto ti senti incazzato col mondo per trovarti in questa situazione. Parlami di quanto odi questo posto, di quanto stai odiando questa» disse, aprendo le mani coi palmi verso il cielo mentre i fiocchi di neve cominciavano a inumidirle le mani, solleticandole le dita. Le venne da ridacchiare. Parlare così non-da-Ashling-Sharp la faceva sentire più sicura e rilassata, meno timida, meno lei. E si lasciò andare a una risata cristallina.
«Urlarlo!» continuò. «Così tutto ha più senso!»
Quel rapido cambiamento, visto così, sotto i suoi occhi, aveva piacevolmente stupito Vladimir. Lo aveva intrigato. Ghignò, poi si avvicinò alla ragazza, che stava girando su se stessa, cullata dalla neve e dal vento, col sottofondo della sua risata.
«Odio questo posto!» gridò allora, venendo presto influenzato dalla risata di lei. «E sono incazzato col mondo perché mi trovo in questa situazione!»
«Anche io!» urlò lei. Poi smise di girare, continuando a ridere.
«Devo colpire qualcosa, devo sfogarmi» disse Vladimir.
«Lasciati andare!» esclamò Ashling, come fosse stata una cosa naturale da fare. E si gustò a pieno quegli ultimi momenti di non-Ashling, prima che le mani di Vladimir, premute sulle sue guance, le spingessero il viso contro il suo, facendo premere le loro labbra in un bacio traboccante di pensieri scomodi e rabbia repressa, nervosismo e paura. E a quel contatto il cuore di Ashling fece un battito prepotente, riportando in vita la ragazza indecisa e timida e scacciando via quella dall’anima libera e nessuna preoccupazione, quella che danzava nella neve e urlava controvento.
 

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Buon non-venerdì 13 luglio a tuuutti! Mi sono presa un mese di off, lo so, sono in ritardo, molto ritardo, terribile, ma ho delle ragioni. Quindi perdonatemi, ma ora sono tornata e questo è quello che conta <3 adesso cercherò di recuperare il tempo perso e vedrò di impegnarmi per riuscire a pubblicare un altro capitolo verso la prossima settimana, o comunque nei prossimi dieci giorni. Dato che è estate (=vacanza=vita), da ora dovrei riuscire a pubblicare più spesso. Poi beh, tutto dipende dalla connessione internet, dato che venerdì partirò e non so quanta ne avrò in seguito: quindi sappiatelo, se non pubblico è colpa della connessione! Ma spero di riuscire a fare le cose per bene. Quindi rimanete sintonizzati, che Snowfall è soltanto agli inizi!
(e lasciate una piccola recensione, un piccolo regalo di non-compleanno per la mia resurrezione) <3
Al prossimo capitolo!
Alyeska707   
   
 
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