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Autore: Raised by Yoma    13/07/2016    2 recensioni
Tratto dal testo:
"Eren aprì la bocca per far uscire un lamento, ma tutto ciò che si riversò sul pavimento furono sangue e saliva. Un disgustoso connubio a cui l'uomo dallo sguardo di ghiaccio si sarebbe sottratto senza complimenti, ma che già macchiava il ginocchio con la quale aveva malmenato il ragazzo dagli occhi verdi.
Difatti, non perse tempo a schiacciare la faccia del ragazzo sotto la suola dello stivale, e riempirlo nuovamente di calci in pieno volto e sulle braccia."
[Ereri]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti, Tematiche delicate
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Angolo Autrice:
Premetto, è la mia prima Ereri in assoluto, nonchè prima Fanfiction su "Shingeki no kyojin".
I personaggi non appartengono a me ma a Isayama-sensei, e le azioni e pensieri degli stessi sono state inventati da me, seguendo però alcune vicende successe realmente nell'anime.
Vi invito a farmi sapere se la storia vi è piaiuta e a segnalarmi eventuali errori.
Detto questo, vi lascio alla lettura...

 
Slave.



Ferito. Umiliato. Sconfitto. Punito.

Fu con questi pensieri che si sentì trascinare di peso da due soldati del Corpo di Ricerca, intenti a condurlo a quello che doveva essere il suo “alloggio”, ma che aveva tutto tranne l'aria di un posto tranquillo dove passare notte e giorno.
Con le mani ancora ammanettate e un rivolo di sangue che sgorgava dalle labbra tagliate, Eren percorse quel lungo corridoio che già una volta lo condusse alla sua sorte, una sorte che non meritava ma da cui non poteva sottrarsi. A conti fatti, lui non era un mostro, ne tanto meno un animale feroce, ma nonostante questo ancora si ostinavano a trattarlo come un pezzente.

I soldati si tennero a debita distanza dal “mostro” per paura che da un momento all'altro potesse lacerare le loro candide camice, stropicciare le loro fottute divise e cibarsi di quello schifo di carne che li componeva, ma che ad Eren parve più un ammasso di sangue e tessuti da cui voleva tenersi il più lontano possibile. Davvero.

Idioti” pensò Eren.

Imprecò quando sentì la punta di una spada a contatto con la schiena e si chiese fino a che punto avrebbe potuto sopportare di essere trattato come un eretico. Inaspettatamente, i soldati davanti a lui imboccarono il corridoio inverso a quello che portava ai sotterranei e la confusione aleggiò nella mente del ragazzo-titano e dei due soldati dietro di lui che, stando all'apparenza, erano all'oscuro di tutto.

- Evitando formalità inutili, Eren, Levi vuole vederti e ci saranno anche Hanji e Mike. - l'uomo che formulò quella frase, era il Comandante Erwin Smith, della Legione Esplorativa.

Quella figura così autoritaria, ferma, decisa, mascolina e sincera, aveva sempre provocato in Eren un senso di ammirazione fin dall'infanzia, quando lo vedeva smontare del cavallo dopo aver concluso e allo stesso tempo mandato all'inferno l'ennesima missione. Si sorbiva tutti gli insulti da parte del popolo del Wall Maria, e da una parte pensava di meritarseli tutti in quanto Comandante di quelle anime divorate e squartate dai titani, ma dall'altra aveva una forza strana: come una stoffa di accensione* che riceveva una scarica elettrica, diffondendo le scintille provocate per tutto al corpo, infiammandogli la mente e annebbiando la sua ragione. Allora si accasciava a terra e dava sfogo a tutte le emozioni represse nei giorni a dietro, bagnando con gocce salate il terreno su cui le anime dei soldati deceduti vagano senza sosta, osservando da spettatori la vita che avrebbero dovuto condurre.

Ma Eren si ricordò anche che Erwin e Levi andavano particolarmente d'accordo, probabilmente perché il Capitano si mostrava impeccabile agli occhi dei suoi superiori, o semplicemente, forse, perché in fondo, ne avevano passate tante e nutrire sentimenti d'odio verso colui che avrebbe potuto salvarlo, sembrava una cazzata a entrambi.

Il ragazzo, ricevendo uno strattone alla catena delle manette da parte di un commilitone, reagì bruscamente, tirando uno spintone all'uomo in divisa e cercando, invano, di colpire il soldato con un pugno, che venne bloccato dalla presa ferrea del Comandante. 
Smith lo fissò torvo, mostrano le iride cerulee vuote e fredde, un aspetto che raramente mostrava.
Il viso di Eren andò in fiamme sia per la rabbia che per l'imbarazzo di essersi lasciato trasportare dalla provocazione di quel bastardo. Ma non provò mai quell'imbarazzo che aveva sperimentato sulla sua pelle poco prima e di cui ancora portava i segni.

Quando Smith lasciò l'avambraccio di Jeager e la marcia riprese, si ricordò del dolore provato poco prima, quando Levi lo prese a calci davanti a tutti: Corpo di Gendarmeria, Corpo di Ricerca, Corte, Zacklay, Armin, Mikasa...

Il primo calcio fu talmente tanto violento quanto inaspettato e dato con la forza sufficiente per staccargli un dente. Il secondo non si fece attendere, anzi, si abbatté su di lui colpendolo sulla schiena, ma senza lasciare segni. Sembrò che la furia si fosse tranquillizzata, quando sotto gli occhi increduli di un centinaio di militari, Levi prese Eren per i capelli e lo guardò in volto.
Eren si ritrovò a pochi centimetri dal volto di Levi: ne sentiva il respiro calmo sulla pelle della guancia, la stretta ferrea sui suoi capelli, il peso struggente delle sue iridi che lo fissavano dritto negli occhi, ma senza mai guardarlo realmente.

Passarono pochi secondi prima che il ginocchio del Capitano entrò a contatto con il suo viso, facendo uscire fiotti di sangue dal naso e dalle gengive che ormai imploravano pietà.
Tutto il tribunale, con lo sguardo, sembrò incitare a Levi di smetterla. Tutti tranne Eren, che non provò neppure a divincolarsi dalla violenza dell'uomo che lo stava picchiando, era legato, e dimenarsi non avrebbe fatto altro che insospettire la Corte e fare infuriare Levi.

Eren aprì la bocca per far uscire un lamento, ma tutto ciò che si riversò sul pavimento furono sangue e saliva. Un disgustoso connubio a cui l'uomo dallo sguardo di ghiaccio si sarebbe sottratto senza complimenti, ma che già macchiava il ginocchio con la quale aveva malmenato il ragazzo dagli occhi verdi. Difatti, non perse tempo a schiacciare la faccia del ragazzo sotto la suola dello stivale, e riempirlo nuovamente di calci in pieno volto e sulle braccia.

Il tempo sembrò essersi fermato. Si sentirono solo i gemiti di fatica, udibili dal cadetto, di Levi che continuava a distruggere il suo orgoglio di soldato, calcio dopo calcio.

Il Capitano declinò tutto facendo passare quell'atto di freddezza come “un addestramento”.
 
~

E mentre le scene che raffiguravano il volto di Levi che lo sottometteva come un cagnolino scorrevano nella sua mente, Erwin bussò ad un'esile porticina di legno e una voce femminile diede il permesso di entrare.
Non appena la porta si aprì, si susseguirono una quantità di scene assurde: Erwin che fece il saluto militare al cospetto di uno svogliato Levi, Mike che iniziò ad annusare i soldati che avevano scortato Eren e infine, Hanji lo accolse nella stanza con dei fazzoletti imbevuti di acqua e bende come se non ce ne fossero. In un certo senso, quel gesto di sincera umanità fece sentire a Levi una leggera scossa sulla spina dorsale, ma nonostante ciò non si pentì di nulla.

- Eren, siediti qui sul divano di fianco a me, se permetti, vorrei occuparmi io stessa delle tue ferite. - e detto questo, un sorriso nacque sulla bocca della donna. Eren accettò silenziosamente, muovendo dei timidi passi verso il divanetto fino ad arrivare davanti e sedersi vicino a Hanji.

- Ti fa male? - chiese dopo aver sbattuto sulla faccia del ragazzo una pezza imbevuto nell'acqua bollente. - Cavolo, sì che fa male! - rispose, forse con troppa enfasi. A questo punto, il Capitano si alzò dalla sedia, districando le gambe accavallate e muovendosi con una delicatezza che nessuno si aspetterebbe da un uomo, figuriamoci da Levi Ackerman. Hanji, capite le intenzioni dell'uomo, si alzò dal divanetto raccogliendo la bacinella d'acqua calda e lasciando a Eren il pezzo di stoffa che aveva in mano, fece cenno a Erwin e Mike di seguirla, lasciandoli soli.

L'uomo si sedette sul divanetto con una velata irruenza, stendendo un braccio sul bordo dello schienale e piegando l'altro in modo da sorreggergli la testa. Le gambe, abbandonate sul divanetto in modo che i polpacci uscissero e si posassero sul pavimento, parvero ad Eren quasi femminili.

“Levi... quelle maledette gambe...” le stesse che, poco fa, lo stavano martoriando.

Eren iniziò a guardare le pareti con talmente tanta concentrazione che nella sua mente iniziò a dialogare con l'intonaco cadente della altrettanto cadente stanza in cui erano. Saettò lo sguardo in ogni dove, partendo dalle pareti fino alla minuscola crepa sotto la sedia in legno dove era seduto... lui... si rifiutò di pensare a Levi in quel momento. Nessuno dei due proferiva parola e, conoscendo l'uomo seduto a canto a lui, avrebbero potuto continuare così fino all'ora di cena. Facendosi coraggio, Eren fece slittare lo sguardo sul suo nuovo superiore e si fece scappare un'espressione che tramandava intimidazione e stupore visto che Levi lo stava fissando con la sua solita espressione fredda.

Gli occhi dell'uomo parvero impenetrabili, come il suo cuore, e di certo non bastava un pochetto di sangue e uno sguardo da cucciolo bastonato (non che lui avesse coccolato il poveretto) a fargli sciogliere i cuore. Lo sguardo di Levi non accennò a desistere neppure per un secondo, ma Eren giurò di aver visto una piccola luce diversa in fondo, e quel pensiero gli martellò nel petto fino a farlo visibilmente sudare e accelerare e il battito cardiaco. “cosa mi succede?! Perché tutto ad un tratto mi fa quest'effetto... deve avermi colpito troppo forte alla testa...” 
Il rumore di un movimento aggraziato si propagò tra la spoglia stanza che li accoglieva ed Eren, che aveva abbassato lo sguardo, si ritrovò naso all'insù ad ammirare lui che, alla luce del tramonto, si passò le mani sulle spalle per levarsi la giacca e riporla accuratamente e meticolosamente sul bracciolo del divanetto. Poi tornò nella posizione di prima, a stando ben attento a mettersi più vicino al ragazzino che si coprì la faccia con la pezza umida, ormai fredda.

Il Capitano si sporse leggermente nella direzione di Eren, prendendogli il mento con la mano e portandolo bruscamente in alto per avere la visuale completa del viso del giovane. Eren rimase stupito dal comportamento del suo superiore, dal canto suo, un comportamento simile da Levi poteva simboleggiare solo guai e tanto tanto dolore...
Con i suoi freddi occhi, l'uomo fissò il ragazzo e, staccando la mano dal mento, tornò nella sua leggiadra posizione. La stanza iniziò ad essere troppo calda e afosa per il giovane titano. 
~

Ci fu un momento in cui Eren vide tutto nero... La vista gli si annebbiò e si ritrovò a boccheggiare fissando il soffitto e sentendo la pietra fredda sulla schiena.
“quando mi hanno riportato in cella?” pensò il ragazzo.
“ancora no.. nessuna scorta è venuta” non riusciva a capire perché si trovasse disteso a terra con la guancia che ardeva.

“...no... impossibile...”

Sentì la rabbia ammontare nello stomaco per poi risalire nel petto e fondersi con tutto ciò che aveva in corpo.

- Alzati, moccioso. Come pretendi di servirmi se per un piccolo schiaffetto cadi a terra sbigottito? Mi fai schifo. - Levi disse tutto con una calma innaturale, quasi indecente per un uomo della sua età. Non si degnò nemmeno di rivolgergli lo sguardo mentre stava parlando. “come pretendi di servirmi” queste parole gli ronzavano nella mente come il ritornello di una canzone ascoltata venti mila volte. 
“io non servirò nessuno.” si disse nella sua mente, Eren.

- Senti un po', Levi o come cazzo si chiama... io non servo nessuno, tanto meno uno stronzo come lei, ha capito? - questa volta sentì distintamente la suola degli stivali del Capitano abbattersi contro il suo viso e successivamente infilarsi nel suo stomaco, facendolo rotolare sul pavimento dal dolore. Eppure, dentro di se, si maledisse mentalmente.

“non avrei dovuto... me lo sarei dovuto aspettare...” 

Il Capitano Levi, furente, mantenne la sua posizione posata nonostante stesse tenendo uno stivale a schiacciare la faccia del suo nuovo sottoposto. La mente del superiore balenò in ogni angolo del corpo del ragazzino, soffermandosi sul collo e le spalle parzialmente scoperte. Approfittando dell'attimo di distrazione di Levi, Eren cercò di divincolarsi dalla sottomissione e il peso opprimente che aveva sul viso, ma si dimenticò di avere ancora i polsi legati con una catene e nel tentativo di fuga, quindi, non fece che peggiorare la sua situazione, scivolando sui gomiti e sbattendo la testa al pavimento, provocando nel Capitano un senso di disgusto e allo stesso tempo... eccitazione.

Vedere quel corpo invaso dal fuoco della rabbia che lo bruciava da dentro, fece arrivare una potente scossa alla spina dorsale del superiore, che fremette all'idea di poter far sfogare quell'ardore.
In più, la visione del ragazzo completamente alla sua mercé, gli dava un senso di potenza che non aveva nulla a che fare con la gloria che sentiva crescere nel petto quando la gente lo chiamava "l'uomo più forte di tutta l'umanità".  No, nulla a che fare, quello che provava in quel momento lo stava incuriosendo troppo per pensare ad uccidere titani.

- Senti, Jeager, ora ti riporterò in quella topaia dove meriti di alloggiare, ma non me ne andrò. Per sta notte ti starò “col fiato sul collo” fino a che non cadrai sfinito. A meno che, tu non la smetta di ribellarti e ascolti i miei ordini. Io non ho intenzione di fare da balia ad un fottuto moccioso, segnato sulle carte come “cadetto”, quindi, se vuoi arrivare vivo al giorno dell'esperimento, ti consiglio di startene buono e zitto. - e mentre disse queste atone parole, il più grande gli prese la testa afferrandolo per i capelli castani e costringendolo a guardarlo negli occhi.

Eren sentì distintamente il fiato di Levi abbattersi contro la sua guancia, facendogli schiudere impercettibilmente le labbra e mandandolo su un altro pianeta. Levi sembrava aver abbassato leggermente la guardia quando, in verità, era più che vigile. L'odore della pelle del giovane lo stuzzicò, rinvigorendogli i sensi e facendoli risvegliare. Ma allo stesso tempo c'era qualcosa che lo disgustò a tal punto da fargli formicolare le mani con l'intento di spaccargli quei bei dentini, ora seminascosti dalle labbra rosee del ragazzo.

Levi si sedette vicino ad Eren, ancora steso a terra, ma continuò a tenerlo sollevato per i capelli, anche se ormai iniziava a sentire la mano appesantita visto la quantità di tempo che stringeva quei fili color cioccolato. Si avvicinò pericolosamente al volto del più piccolo, arrivando quasi a sfiorarne gli zigomi con il naso. Eren fu tra volto da un'ondata di sensazioni sconosciute, quasi si sentì svenire per un semplice e lievissimo, anzi, inesistente, contatto con l'uomo.
- Jeager, ascoltami bene perché te lo ripeterò una volta sola. Non mangerai, non parlerai - gli passò un dito prima sulle labbra, tracciandone i contorni, e poi sul collo, emettendo una breve pressione sul pomo d'Adamo - non ti muoverai - fece scorrere le mani diafane sulle braccia scoperte del suo interlocutore - ne tanto meno potrai parlare - gli strinse la mano olivastra, portandosela alla bocca - se non te lo ordinerò, o te ne darò il permesso. - morse la mano di Eren, tanto quanto basta per farlo gemere di dolore e incidergli la pelle lasciando che minuscolo goccioline di sangue ne scaturissero.
- Forse ancora non te ne sei fatto una ragione, ma ora, sei nelle mie mani. - Levi guardò per un attimo l'arco dentale formatosi tra il pollice e il polso del giovane e, con un movimento scaltro, diede uno schiaffo ad Eren, lasciandolo steso sul pavimento mentre lui spegneva la luce e abbandonava quella camera.
Eren si ritrovò ancora in balia dei suoi pensieri e dello sconforto. Oltre che averlo ferito fisicamente, aveva definitivamente mandato a puttane quella briciola di orgoglio che gli rimaneva.

E il "mostro" fu abbandonato ancora, senza luce, come a simboleggiare che per lui, un barlume di speranza, non ci sarebbe mai stato.
   
 
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