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Autore: Marne    13/07/2016    2 recensioni
Percy Weasley ha bisogno di aiuto, lo sa bene, per questo decide di rivolgersi al miglior psicanalista sulla piazza. Quando, però, si ritrova faccia a faccia con qualcuno che non sembra poi molto felice di fare la sua conoscenza, la buona educazione che Molly Weasley gli ha insegnato sembra sparita nel nulla.
Audrey non ha un fisico perfetto, non ha occhi del colore di un cristallo e certamente la sua voce non incanta come quella di Penelope. Eppure, Percy scoprirà che, in fondo, non gli da poi così tanto fastidio stare in sua compagnia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Mirror Universe'
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My Mistress’ eyes

My Mistress’ eyes.

 

 

My mistress’ eyes are nothing like the sun;

Coral is far more red than her lips’ red;

If snow be white, why then her breasts are dun;

If hairs be wires, black wires grow on her head.

I have seen roses damasked, red and white,

But no such roses see I in her cheeks;

And in some perfumes is there more delight

Than in the breath that from my mistress reeks.

I love to hear her speak, yet well I know

That music hath a far more pleasing sound;

I grant I never saw a goddess go;

My mistress when she walks treads on the ground.

     And yet, by heaven, I think my love as rare

     As any she belied with false compare.

 

 

 

La prima volta in cui l’aveva vista, non gli era sembrata nulla di eccezionale.

Curva sulla sua scrivania, sembrava quasi non essersi accorta del suo arrivo. Era decisamente più paffuta di quanto Penelope non fosse mai stata e con un tale disordine a circondarla da fargli venire il mal di testa.

«Signorina, il dottore è libero?» le aveva domandato, una volta entrato nel piccolo salottino d’ingresso, accostandosi senza tante cerimonie a quel pandemonio che sembrava doversi spacciare per una scrivania. Aveva imparato bene, nei suoi anni al Ministero, come bisognava rivolgersi alle segretarie. Far capire subito chi comandava era la chiave per un rapporto professionale e duraturo.

Lasciandolo basito, la segretaria lo ignorò, continuando a sistemare – o mettere in uno stato di disordine organizzato – le centinaia di schede che aveva davanti. Non aveva neppure alzato lo sguardo su di lui, quasi la domanda fosse stata rivolta a quegli stopposi e scialbi capelli scuri.

Che poi, scuri… non erano castani e non erano neri.

«Ho detto» ripeté, perché probabilmente oltre disordinata doveva essere sorda, «il dottore è libero?».

Quella volta, forse perché lui aveva alzato la voce, la segretaria sollevò il capo, fulminandolo con i suoi insulsi occhietti scuri, nascosti dietro lenti ben più spesse di quanto Percy avesse pensato esistessero.

«L’ho sentita la prima volta, non sono certo sorda».

No, ma aveva una voce davvero fastidiosa.

«E allora per quale accidenti di motivo non mi ha risposto?» sbottò lui, stizzito, spingendosi gli occhiali sul naso per assumere quella stessa posizione di disappunto che aveva terrorizzato schiere di assistenti, al Ministero. «Non è un comportamento educato, lo sa?».

Le sopracciglia della segretaria balzarono in alto sulla sua fronte, l’espressione incredula inquinata da un tocco di fastidio. «Non è ancora più maleducato entrare in uno studio privato senza chiedere permesso, non salutare e usare un atteggiamento da prepotente verso chi svolge il suo lavoro? Lei è maleducato, non certo io» sbottò, acida, stringendo le labbra con un certo fastidio. «Se non le ho risposto, è stato perché speravo in un improvviso ravvedimento da parte sua».

Ma che impertinente!

«Come si permette a rivolgersi così a me?» le domandò, oltraggiato, arretrando di un passo. L’orgoglio bruciava come se lei l’avesse schiaffeggiato. Certamente era perché non era mai stato messo davanti a tanta maleducazione! Non certo perché una parte di lui – che suonava molto simile a sua madre – avesse iniziato a rendersi conto che, forse, non era proprio modo di comportarsi, quello.

«E lei chi dovrebbe essere, di grazia?» domandò lei, sempre ironica, incrociando le braccia sotto al seno prosperoso.

Aveva la pelle di un colore davvero strano, notò Percy, quando il suo sguardo finì irrimediabilmente sulla scollatura. Per fortuna quella distrazione non era stata scoperta, perché altrimenti quella scontrosa si sarebbe sentita autorizzata a lamentarsi di più.

Sua madre l’avrebbe ucciso se avesse saputo che aveva guardato una sconosciuta con lussuria, solo perché aveva un po’ di pelle scoperta.

«Io sono-».

«Lei è un altro paziente del mio datore di lavoro, come i quarantacinque che lui sta seguendo questo mese» lo interruppe, acida, alzandosi in piedi. Quel vestitino beige era terribile. «Se vuole una indicazione più precisa, le posso dire che lei è Percy Weasley, il galoppino del Ministero che ha appoggiato la presa di potere dei Mangiamorte. E sa perché lo so? Perché è stato proprio il Ministro attuale a chiedermi di fissarle un appuntamento con il dottore, anche se lui non accettava nuovi pazienti». Gli occhi scuri che fino a poco prima gli erano sembrati insignificanti, in quel momento sembrarono ardere di fiamme vive. «Quindi, attualmente, lei è l’ultimo che può permettersi di trattarmi con sufficienza».

Uno sguardo sbalordito fu tutto ciò che la segretaria ottenne in risposta, perché, in quel momento, lo psicanalista di Percy – il dottor Newton Crave, il migliore fra tutti – fece il suo ingresso nel salottino, gli occhialetti tondi calati sulla punta del naso ed una pipa accesa in mano.

Lui sì che era un tipo affascinante, anche secondo gli standard di Percy.

«Mi era sembrato di sentire i tuoi toni soavi, Audrey cara» disse, con un sorriso divertito, alla sua segretaria. Lei sembrò gonfiarsi di più, quasi fosse stata sul punto di esplodere, ma poi si rilassò, con un sospiro sconsolato.

«L’appuntamento delle undici, dottore. Devo chiedere a Downey di portare il tè?» gli domandò, continuando ad ignorare beatamente Percy, in quel momento più oltraggiato e confuso che mai.

«No, mia cara, l’incontro introduttivo sarà breve» le rispose il medico, gentile, per poi fare un cenno al suo paziente. «Signor Weasley, si accomodi».

 

***

 

«Mi dispiace di dovermi già lamentare, dottore, ma la sua segretaria è davvero una maleducata» aveva esordito lui, pomposo, accomodandosi sulla poltrona che gli era stata indicata.

Crave sorrise, scuotendo il capo. Sembrava quasi che stesse compatendo Percy. Assurdo, no?

«La signorina Runcorn ha un carattere particolare, ma non è il tipo che aggredisce qualcuno senza essere stata provocata. Di certo non se la prende mai con i miei pazienti» gli aveva risposto allora il dottore, accomodandosi a sua volta e portandosi per un momento la pipa alle labbra. «Sicuro di non aver fatto nulla di male?».

Lo sdegno negli occhi di Percy sembrò esplodere, ma un attimo dopo sparì con la stessa velocità.

Effettivamente era stato un po’ maleducato.

«Potrei essere stato un po’ sgarbato, ma lei comunque non aveva il diritto di sbandierare informazioni sul mio passato!» sbottò quindi, imbarazzato, sentendo un fastidioso calore diffondersi alla base del collo. Era il dramma della carnagione Weasley: non si potevano mascherare le emozioni.

«Mi sembra non ci fosse nessuno, nella saletta». Il dottore sembrava divertirsi un mondo, con quei botta e risposta. Percy si chiese se per caso fosse tutto parte della sua terapia. «Ma ha ragione, non avrebbe dovuto sbandierare le sue posizioni politiche passate, soprattutto non dopo l’amnistia generale».

L’idea di essere paragonato alle schiere di Mangiamorte pentiti gli fece annodare stomaco e budella.

Lui non era come loro.

«Io non sono rientrato nel provvedimento d’amnistia, ho pagato cari i miei errori» sibilò quindi, ritraendosi di più contro lo schienale della poltrona. «La sua segretaria dovrebbe comunque ricordare qual è il suo posto e portare rispetto».

«Non li ha pagati secondo Audrey, Signor Weasley» ribatté Crave, serio. «Quanto alla storia del ricordare il suo posto… non mi sembra che lei sia il datore di lavoro della mia segretaria, quindi dubito fortemente che lei si sia mostrata insubordinata. Non è Audrey ad aver bisogno di me, se lo ricordi».

Colpito e affondato.

Quella donna ed i suoi stupidi occhi da toro avevano segnato un punto contro di lui. Ma un punto non poteva determinare l’intera partita, no?

«In che senso “non li ho pagati secondo Audrey”?» chiese quindi, cercando di mascherare lo scotto di quella risposta non apprezzata.

Crave sospirò, vagamente pensieroso. «Si ricorda del processo a Ichabob Watts?».

Watts? Percy aveva già sentito quel nome.

«Certamente, processo del diciotto dicembre del novantasette» ricordò Percy, sentendo un irrefrenabile moto di dolore allo stomaco. Ricordava quell’uomo, era giovane e non poteva dimostrare l’origine dei suoi poteri.

Che fosse…?

«Non era il fidanzato di Miss Runcorn, era suo cognato» specificò Crave, con una smorfia. «Non è sopravvissuto ad Azkaban, lo shock è stato troppo grande per lui. Quando lo hanno liberato, dopo la guerra, aveva già subito il bacio». Il dottore sospirò, passandosi una mano fra i capelli. «La sorella di Audrey ha deciso di recarsi in America, per superare la perdita. Avevano un bambino molto piccolo».

Il dolore allo stomaco si amplificò.

Sentiva ancora le sue urla nelle orecchie.

«Io ho fatto il possibile per lui» mormorò Percy, sentendosi improvvisamente responsabile. «Ho chiesto al Ministro di risparmiargli la galera, ma…» scosse il capo, in un sospiro. «Sono solo riuscito ad ottenere che gli facessero incontrare la famiglia, prima dell’arresto. Mi rendo conto che non sia molto, ma è certamente più di quanto abbiano ottenuto altri».

Crave annuì. «Un bel gesto, ma lei non ne sa nulla. Ricorda solo la sua faccia fra coloro che hanno fatto morire il padre di suo nipote. Riesce forse a negare che abbia tutte le ragioni del mondo per trattarla come ha fatto?».

No, non poteva negarlo.

«Vedo che hai capito» si complimentò allora il dottore. «Credo sia il momento di iniziare davvero la nostra seduta».

 

***

 

La settimana dopo, quando tornò allo studio del Dottor Crave, si ritrovò davanti alla segretaria, Miss Runcorn, e ad una ragazza di qualche anno più giovane, intenta ad esibire una bruciatura parecchio grave. Considerando la forma e l’estensione, Percy pensò dovesse trattarsi di ferita da drago. Anche Charlie ne aveva collezionate di simili, con il passare del tempo.

Memore di ciò che era successo la volta precedente, comunque, si fermò sulla soglia e busso leggermente con la nocca dell’indice.

«Buongiorno» salutò, vagamene imbarazzato, imponendo a se stesso di non arrossire quando si rese conto di aver attirato irrimediabilmente l’attenzione delle due presenti. La giovane aveva degli occhi chiarissimi, un contrasto quasi ridicolo con quelli scuri ed insignificanti della segretaria. Al tempo stesso, però, quegli occhi lo intimidirono.

«Oh, è arrivato un paziente! Accidenti» sbottò proprio la ragazza, balzando giù dalla scrivania con agilità. «Mi dispiace, temo che dovrà aspettare un paio di minuti, devo farmi medicare questa robaccia» gli disse, con un sorriso di scuse, alzando proprio il braccio ferito. «Sarei dovuta entrare da un po’… mi scusi ancora!» aggiunse, imbarazzata, sparendo oltre la porta dell’ambulatorio, senza preoccuparsi di bussare o chiedere permesso.

Lasciandolo solo con la segretaria.

«Si accomodi pure, signor Weasley» gli disse lei, cercando, forse, di mostrarsi quantomeno cordiale. «Rosemary ci metterà pochissimo, ormai la ferita è praticamente guarita» aggiunse, stringendo lievemente le labbra in un accenno di sorriso amichevole. Quel giorno i suoi capelli avevano un’aria un po’ meno stopposa ed i suoi occhi, per quanto coperti dagli spessi occhiali, sembravano un po’ meno bovini.

Sempre ben lontana dagli standard di Penelope, ma quantomeno non gli appariva più come un fenomeno da baraccone.

Forse perché aveva accettato che fosse un essere umano e non una semplice impiegata.

Con passo esitante, Percy si avvicinò ai divanetti e si lasciò cadere su quello più lontano dalla scrivania. Era ben più morbido di quanto avesse temuto. «Non sapevo che il dottore trattasse anche di ferite fisiche» disse, dopo qualche istante di imbarazzato silenzio.

«Oh, il dottor Crave è un Guaritore. Il più brillante di tutti, se vuole la mia opinione» disse la segretaria, girando intorno alla scrivania per posare dei libri nella piccola libreria all’angolo. «Ha troppa curiosità per la mente, però, quindi non riesce mai a limitarsi a guarire i corpi. Per questo motivo ha preferito lasciar perdere gli ospedali e aprire il suo studio». Nonostante sembrasse ancora nervosa per la sua presenza, quel giorno era decisamente più rilassata. Doveva aver compreso quanto lui fosse pentito.

«Se non si occupa più delle ferite, perché quella ragazza…?» domandò allora Percy, accigliato. Se davvero quell’uomo era così bravo come Guaritore, avrebbe saputo a chi rivolgersi la prossima volta che qualcuno dei suoi nipotini si fosse rotto qualcosa.

«Oh, Rosemary è un caso particolare» spiegò la donna, con una risatina divertita. «Vede, Rosie è sua figlia. Attualmente lavora con i draghi, in Norvegia. Ogni tanto compare qui con qualche ferita, perché lui le impedisce di farsi visitare da qualunque altro medico».

Era sua figlia.

«Sono Audrey Runcorn, comunque. L’altra volta non ho avuto… modo di presentarmi» mormorò dopo un attimo, allungando la mano verso di lui.

Percy la fissò interdetto. Forse stava tentando di mostrarsi gentile per riparare al comportamento disdicevole dell’altra settimana. Forse era un trucco per poterlo attaccare di nuovo. Nel dubbio, cercò di mostrarsi più tranquillo di quanto non fosse.

«Percy Weasley, anche se credo lei lo sappia già, signorina Runcorn».

Quella sua affermazione la fece arrossire miseramente, costringendola ad abbassare lo sguardo. «Mi scusi per il modo in cui mi sono comportata l’ultima volta. Il dottore mi ha… mi ha detto che avete parlato di mio cognato. Mi ha spiegato che lei ha fatto in modo che potesse incontrare mia sorella e loro figlio per l’ultima volta» spiegò, mordendosi poi l’interno della guancia e spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. «Mi scusi».

«Oh». Imbarazzato da quell’uscita, Percy restò interdetto, la mano ancora alzata nonostante lei l’avesse già lasciata. Si riprese soltanto quando lei sembrò ancora più a disagio di quanto non fosse stata fino a quel momento. «Oh! Non deve preoccuparsi, davvero… lei aveva tutto il diritto…» sbottò, consapevole di essere rosso come un peperone e ridicolo come Charlie quella volta in cui loro madre aveva tentato di presentargli una collega di Bill.

«Adesso può entrare!». Con un trillo allegro, la figlia del dottore fece il suo ingresso nella sala d’aspetto, esibendo una nuova fasciatura sul braccio. Restò per un momento sorpresa, trovandoli tutti e due imbarazzati ed intenti a fissarsi come due bestie selvagge, ma si riprese in fretta. «Mio padre la sta aspettando».

Come se non avesse aspettato altro, Percy balzò in piedi, scusandosi con un cenno del capo e schizzando via.

 

***

 

«Non doveva dirle nulla!».

Il dottore gli lanciò un’occhiata annoiata, continuando a sfogliare il libro con cui Percy l’aveva trovato al suo ingresso. Aveva essenzialmente ignorato tutti i suoi lamenti sul fatto che avesse rivelato alla segretaria parte della loro seduta, appellandosi al codice etico di qualsiasi professione gli venisse in mente. Si era incaponito sul fatto che quel tradimento gli avesse impedito di fare l’uomo e scusarsi per la sua maleducazione. Voleva fargli recuperare l’orgoglio, ma gli aveva impedito di farlo. Non era forse un comportamento ipocrita?

«Guarda, Percy» lo interruppe ad un certo punto, indicandogli una pagina del libro che teneva fra le mani. «Mia figlia ha solo vent’anni, eppure ha già partecipato alla stesura di un capitolo di un libro di testo. Vedi? Rosemary Crave! Ah! Devo decisamente fare un regalo a quella farabutta, non mi ha detto niente!» Lo sguardo sconvolto che il rosso gli dedicò lo fece accigliare. «Che c’è?».

«Lei non ha ascoltato una parola di quello che le ho detto! Che accidenti la pago a fare?» domandò, esasperato, lasciandosi cadere sulla poltrona e rischiando quasi di spiaccicare il gatto drogato del medico.

«Mi paghi perché così ti senti meglio con la tua coscienza» gli rispose Crave, tranquillo, mettendo da parte il libro. «E comunque, ho sentito tutto. E posso dirti che ti fai decisamente troppi problemi» aggiunse, vagamente infastidito dal fatto che lui non avesse mostrato il minimo interesse per il successo della figlia.

«Mi ha fatto fare la figura dell’idiota che non si sa difendere da solo!» mugugnò quindi Percy, con una smorfia. «Di certo non mi ha aiutato a ricostruire il mio coraggio perduto».

Crave sospirò, togliendosi gli occhiali da sopra al naso. «Vuoi sentirti coraggioso? Invitala a prendere un caffè per scusarti. Audrey può rinunciare a qualunque cosa, ma se il suo peggior nemico le offrisse un caffè sarebbe disposta a vendere l’anima» gli consigliò, recuperando il suo taccuino. «Avrai modo di scusarti e così la smetterai di fare l’ansioso ogni volta che verrai all’incontro settimanale».

Invitarla a prendere un caffè? Lui?

«Naturalmente, sempre che tu abbia il coraggio di farlo. Dopotutto, Audrey è una tipetta alquanto impertinente, c’è sempre il rischio che tocchiate l’argomento sbagliato e finisca tutto in rissa» aggiunse il dottore, grattandosi leggermente il mento. «E quella ragazza ha un gancio destro fenomenale».

Percy impallidì, immaginandosi sotto le grinfie di Miss Runcorn arrabbiata. L’ultima volta gli era sembrata sul punto di picchiarlo, ma non aveva certo immaginato potesse farlo davvero. Avrebbe potuto difendersi, nel caso, o sarebbe stato considerato un vigliacco? Dopotutto, quella tipa era più in carne di lui, che sembrava uno stecco coperto da vestiti. E se addirittura il dottore credeva che avesse un bel gancio destro, lui non era nessuno per non credergli.

Ma era sempre una ragazza.

Anche Penelope lo aveva schiaffeggiato, quando si erano lasciati. E lui l’aveva presa come un campione, nonostante gli fosse rimasto il segno della sua mano su tutta la guancia per almeno tre ore. Però Penelope era ancora più gracile di lui.

«Percy, per Merlino! Non ti prenderà davvero a pugni!» esasperato, Crave alzò gli occhi al cielo, per poi sospirare. «Si tratta solo di andare e chiederle di offrirle un caffè per rimediare alla tua maleducazione. Tutto qui. Saranno dieci minuti al massimo».

 

***

 

«Le conviene bere, i dieci minuti che mi ha concesso stanno per finire» disse la donna, indicando la tazza che lui ancora non aveva toccato. Gli sorrise quando, imbarazzato, si sbrigò ad afferrarla e, per la fretta, quasi non si rovesciò il caffè nero sui vestiti. «Stia tranquillo, stavo solo scherzando! Dovrebbe davvero rilassarsi un po’, signor Weasley, tutta quest’ansia non le fa bene».

Percy accennò un sorriso di scuse, aggiungendo un po’ di zucchero a quella brodaglia che gli era apparsa davanti. A lui neanche piaceva il caffè nero, aveva semplicemente richiesto la prima cosa che gli era passata per la mente. «Non sono mai stato bravo a rilassarmi, neppure a scuola» le disse. «Sono un maniaco dell’ordine, signorina Runcorn, non mi piace non poter controllare ciò che mi circonda».

«La prego, mi dia del tu e mi chiami Audrey» lo interruppe lei, facendolo accigliare. «Nessuno mi chiama signorina Runcorn, mi ricorda la mia zia zitella, l’incubo della famiglia. Lei è l’unica signorina Runcorn ufficiale e nessuno la sopporta. Ormai cerco sempre di evitarla, non fa altro che cercare di presentarmi suoi amici ultraquarantenni per accasarmi».

«La cap- voglio dire, ti capisco» iniziò Percy, correggendosi quando lei gli dedicò un’occhiata esasperata. Lo sguardo bovino tornava alla carica ogni qualvolta ci fosse qualcosa capace di contrariarla. «Io ho una prozia, Muriel, che praticamente fa la stessa cosa con me e con i miei fratelli. Si è arrabbiata tantissimo quando ha scoperto che mio fratello George ha chiesto alla sua ragazza di sposarlo senza prima presentarla a lei».

La smorfia buffa che Audrey tirò fuori lo fece quasi sorridere. Era così strana.

«Lei non me lo perdonerebbe mai, mi caccerebbe dal testamento» gli spiegò, alzando gli occhi al cielo. «Mio zio Albert* non aspetta altro, in questo modo potrà prendersi tutto il patrimonio della vecchia», fece un verso strano, sorseggiando il suo caffè e macchiandosi il naso di panna. «Da quando la zia ha diseredato mia sorella, io e lui siamo gli unici eredi in vita».

Per quanto quelle affermazioni fossero interessanti, Percy era rimasto sconvolto alla prima parte del discorso.

«Zio Albert? Nel senso Albert Runcorn?» le chiese, fissandola con tanto d’occhi, mentre l’immagine di quell’uomo sgradevole gli si presentava alla mente. Aveva lavorato con lui, durante l’anno buio al Ministero, e non ne conservava un bel ricordo.

Riflettendoci bene, alcuni tratti del viso dei due Runcorn erano simili, per quanto potessero esserlo fra uomo e donna. Non fu decisamente una piacevole scoperta.

«Già» confermò Audrey, arricciando le labbra. In quel momento, gli assomigliò di più, senza tuttavia perdere quel qualcosa di speciale che sembrava garantirle quel minimo di grazia necessaria per non sembrare un troll. «Ha smesso di parlarci da quando Agatha ha sposato Ike, perché era un Nato Babbano. Non è stata una gran perdita».

Senza poterlo impedire, Percy concordò, accorgendosi troppo tardi dello sguardo curioso della giovane donna. «Mi scusi, è che io ho dovuto lavorare con Albert Runcorn ed ho avuto modo di testare su pelle quanto possa essere…» cercò un aggettivo che fosse adatto ma non troppo offensivo, senza tuttavia riuscirci.

Prima che potesse rinunciare, intervenne Audrey. «Un bastardo, egoista, pieno di sé e razzista?» aggiunse infatti, incoraggiante, aggiungendo al tutto un’altra risata a pernacchia, cui, stavolta, Percy non riuscì a resistere. Scoppiò a ridere a sua volta, come non faceva praticamente da anni, dimenticandosi di avere in bocca il sapore velenoso di quel caffè e smettendo di prestare attenzione alla panna quasi completamente sciolta sul naso di lei.

«Non erano esattamente le parole che io avrei usato» le disse alla fine, porgendole un fazzolettino ed indicandole la traccia inequivocabile che la bevanda le aveva lasciato addosso. «Immagino, però, che tu abbia più esperienza».

Audrey, però, aveva improvvisamente smesso di ridere. Con un gesto nervoso si pulì il naso, arrossendo a chiazze. Sembrava particolarmente a disagio, molto più della settimana prima, quando lui l’aveva trattata peggio di un elfo domestico al servizio dei Malfoy. Sfortunatamente, il suo scatto le fece rovesciare la tazza, che si riversò in tutto il suo contenuto sul suo vestito giallo. Percy si sbrigò ad aiutarla a ripulire tutto, ma lei non sembrò apprezzare.

«Va tutto bene?» le chiese allora, accigliato, chiedendosi cosa potesse mai esser successo di così grave da farla irrigidire in quel modo. «Spero di non averti messa in imbarazzo, non volevo certo…» non seppe come continuare. Non sapeva cos’aveva fatto, come poteva sapere come scusarsi?

«Non è colpa sua, signor Weasley» mormorò lei, immediatamente, balzando in piedi. «Sono un imbarazzo per l’umanità, non riesco neppure a collegare il cervello alle mani…» aggiunse, mugugnando e passandosi una mano sugli occhi. «Sono davvero mortificata» disse infine, allungando la mano verso la borsetta per afferrare il portafoglio.

Ecco, quella cosa dell’imbarazzo per l’umanità non era poi così lontana dalla realtà. Effettivamente era abbastanza divertente, da guardare, per quanto dovesse essere traumatico da vivere.

«Non preoccuparti, Audrey, davvero…» provò a tranquillizzarla, alzandosi a sua volta. «No! Ferma, pago io, sono stato io ad invitarti… davvero, non è un problema…» aggiunse, impedendole di tirar fuori i soldi. Lei gli lanciò uno sguardo annacquato che gli fece tremare le gambe. Era sul punto di piangere. «Va tutto bene, Audrey, non è niente di irreparabile…» mormorò, posandole una mano sulla spalla.

Non era abituato a dover confortare altri. Era Percy ad essere confortato, di solito. Quello di certo non era un atteggiamento che Penelope aveva mai tirato fuori, non davanti a lui.

«Mi dispiace così tanto, volevo riparare al mio comportamento dell’altra volta e invece…» totalmente devastata, la giovane aveva iniziato a guardarsi intorno, alla ricerca di qualcosa per salvare la sua situazione in crisi. Quando lui strinse leggermente la presa sul suo braccio, chiuse per un momento gli occhi e prese un respiro profondo. «Vuole venire a cena con me? Per farmi perdonare. Giuro che non sarò così imbarazzante». Strinse un momento le labbra, per poi imprecare sottovoce. «Il dottore aveva detto che avrei potuto rimediare, così, ma ho solo peggiorato la situazione. Per favore, vuole venire a cena? Non riuscirò più a dormire la notte, se non mi tranquillizzerò».

Percy la fissò esterrefatto per qualche istante. «Ma non puoi invitarmi tu!» sbottò, incrociando le braccia al petto. «Le ragazze non fanno gli inviti a cena, dovrei essere io che…».

Lei lo fermò con un gesto della mano, iniziando ad avviarsi alla porta del locale, fra le occhiate confuse e divertite degli altri avventori. «Sabato sera, al Paiolo! La porterò in un locale strepitoso, signor Weasley, non si preoccupi!» gli urlò, tirando fuori un nuovo, grande sorriso entusiasta.

Le domande, nella mente di Percy, non facevano che moltiplicarsi insieme allo sdegno. Non poteva invitarlo lei, non era quello il compito delle donne. Lui doveva invitarla. Lui doveva farsi perdonare. Le cose non funzionavano in quel modo. «Chiamami Percy!» le disse invece, alzando una mano in risposta al saluto che lei gli aveva appena dedicato.

«Ah, non è un tipo normale, vero?» gli disse il cassiere, quando si avvicinò per pagare. Era un ragazzino, non dimostrava più di diciotto anni. «Sempre stata così, fin dalla prima volta in cui è passata a trovarci, col dottor Crave».

«Già» concordò Percy, fissando, ancora stravolto, la porta oltre la quale era sparita la giovane. «Non è proprio una donna normale».

Per una qualche ragione, si disse che a lui stava benissimo così.

 

 

 

 

- Nick sul forum e su EFP: Marne
- Personaggi: Percy Weasley/Audrey; OC
- Elemento scelto: Poesia, My Mistress’ eyes
- Rating: Verde
- Genere: Generale
- Contesto/i: Dopo la II Guerra Magica
- Note/avvertimenti: -
- Introduzione:  Percy Weasley ha bisogno di aiuto, lo sa bene, per questo decide di rivolgersi al miglior psicanalista sulla piazza. Quando, però, si ritrova faccia a faccia con qualcuno che non sembra poi molto felice di fare la sua conoscenza, la buona educazione che Molly Weasley gli ha insegnato sembra sparita nel nulla.

Audrey non ha un fisico perfetto, non ha occhi del colore di un cristallo e certamente la sua voce non incanta come quella di Penelope. Eppure, Percy scoprirà che, in fondo, non gli da poi così tanto fastidio stare in sua compagnia.
- Note dell'autore: -

 

 

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Questa one-shot partecipa al contest “Storie sotto l’ombrellone” indetto da Maqri_126 sul forum di Efp.

 

Avevo cominciato a scrivere questa cosetta prima della mia grande crisi esame (per chi mi segue e non lo sa: il mio esame è stato rimandato di nuovo, quindi sono in crisi studio), così ho approfittato di un po’ di tempo e l’ho finita. All’inizio era uscita un bel po’ più lunga di così, ma ho dovuto tagliare per rientrare nei limiti stabiliti per il contest! È probabile che poi pubblicherò altro, ma non posso assicurarlo.

 

 

Punti importanti:

 

» Per chi segue la mia long: ci troviamo nello stesso universo parallelo (anche se lievemente modificato) in cui si risveglia Draco dopo l’attacco del Djinn, motivo per cui Rose è viva ed il Dottore è ancora sano di mente.

 

» Il dottor Crave e Rosemary sono due miei OC, provenienti dalla long prima citata. Diciamo che l’idea che Percy vada dallo stesso psicanalista di Hermione (almeno nella mia long) mi ha sempre stuzzicata. Mi piace fare collegamenti.

 

» Ci troviamo, più o meno, cinque anni dopo la Battaglia di Hogwarts.

 

» *Albert Runcorn è l’uomo di cui Harry prende le sembianze, è un tipo brutto e cattivo, razzista, di cui tutto il Ministero ha paura. L’idea che possa avere una nipote goffa, stramba e imbarazzante come Audrey mi ha stuzzicata da morire.

 

» Per amor di chiarezza: Albert è il fratello minore del padre di Audrey, per questo motivo è suo zio. I genitori della ragazza sono entrambi morti quando lei era ancora a scuola, motivo per cui è stata cresciuta dalla sorella maggiore e dal marito di lei. Ike, appunto, essendo un Nato Babbano è stato condannato al carcere dalla Umbridge e non è stato abbastanza fortunato da sopravvivere. Il nipotino di Audrey si chiama Jackson, attualmente ha sette anni.

 

» Audrey ha iniziato a lavorare per il dottore poco dopo la Guerra, dopo essere stata a sua volta una paziente. Come si nota nella parte finale, soffre di attacchi di ansia dovuti allo shock di quel brutto periodo.

 

» Percy si comporta da stronzo sessista solo perché è così che facevano al Ministero. E perché, per una qualche ragione, Audrey lo ha subito intimidito (vedere: disordine cronico).

 

» Audrey e Percy inizieranno ad uscire dopo quella famosa cena e lei riuscirà a portare un po’ di caos nella vita troppo pacata del terzo Weasley. Molly sarà estasiata all’idea di avere una nuova nuora e accoglierà sia lei che la sorella ed il nipotino nella famiglia Weasley.

  

 

Io amo Percy Weasley. E Charlie Weasley. Chi ha letto la mia long sa bene a chi io ricollego facilmente il mio bel Charlie.

Ah, quanto mi piace fare collegamenti.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

   
 
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