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Autore: DeniseCecilia    14/07/2016    10 recensioni
Una fanfic dedicata a Judy, a Nick e a un possibile "noi".
Alle scelte che il mondo ci chiede di fare e che non possiamo ignorare, se vogliamo crescere.
Ma che, in fondo, sono soltanto nostre, e di chi amiamo.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie Hopps, Judy Hopps, Nick Wilde, Stu Hopps, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Furry, Tematiche delicate
Capitoli:
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In principio non esisteva alcun plot.
Nella descrizione della fic avevo scritto "breve", aggettivo che ho poi cancellato, perché avrebbe dovuto contare quattro-cinque capitoli e terminare con la scena che ho descritto nel 5, solo sviluppandola di più.
Invece siamo ancora qui, voi ed io, e ci sta piacendo, diamine.
Dico sempre che la storia vive grazie ai lettori, il che è vero, ma in questo caso lo è in senso letterale: dopo l'ultimo aggiornamento ho smesso di procedere decidendo cosa sarebbe accaduto volta per volta, navigando a vista, e mi si è creato in testa un intreccio più chiaro: adesso la storia ha un percorso da seguire, e la conclusione comincia a profilarsi all'orizzonte.
Ma l'intreccio non l'ho pensato io: me l'avete consegnato voi.
Io non ho fatto che leggere le vostre recensioni, raccogliere le idee che mi lanciavate e metterle insieme: sono orgogliosa di avere lettori così attenti e partecipi, lasciatemelo dire.
Un ringraziamento particolare va - in rigoroso ordine sparso - a: rehl, Redferne, Freez shad, MadogV; proprio per avermi fornito materiale per i prossimi capitoli ❤
Non posso che dirvi: attenti a ciò che desiderate, perché potrebbe avverarsi.

 

E ora, godiamoci il weekend con Judy e Nick.
Abbiamo ancora un po' di sole sulla testa, di cielo azzurro e fluff.
Ma non durerà, sappiatelo.

 


 

XV. Fantasmi

 

Alcune cose che Judy avrebbe ricordato di quel viaggio:
il mantello rosa-arancio del tramonto che si stende su tutta la terra;
una distesa di gallerie, nel cui grembo affidarsi al futuro è facile;
parole ovattate dalla nostalgia e silenzi dalle mille bocche;
uno scatto rubato che avrebbe contemplato sino a consumarsi gli occhi;
una cuccia sicura ed una coda setosa a delimitarne il confine.
Presto di rammentare quei particolari avrebbe avuto un bisogno estremo, ma in quel momento – mentre l'alta velocità portava il treno luccicante ed avveniristico sul quale viaggiavano verso la loro destinazione – erano soltanto parte dell'ovvia felicità cui sentiva di aver diritto.

 

C'era un piccolo ballatoio alla testa del treno, dal quale era possibile osservare il paesaggio esterno attraverso un largo parabrezza di vetro temperato.
Dopo aver depositato due piccoli bagagli in uno scompartimento a caso appena più indietro, una volpe scarruffata ed una coniglia curiosa cominciarono la loro esplorazione nei territori meravigliosi e perigliosi del convoglio, come li definì Nick.
“Prendi questo passaggio, ad esempio”, argomentò lui sospingendo la compagna nel vano scuro che fungeva da congiunzione tra un vagone e l'altro. “Col favore della notte, è perfetto per sottrarre certi insignificanti oggetti come portafogli e titoli di viaggio ai passeggeri”.
“Hai fatto anche questo?”, gli chiese Judy con voce incredula. “Nick...”.
“Oh no, Carotina. Non era la mia specialità. Ma immagino. Fantastico, ecco”, si giustificò lui, arrestando il passo.
“E perché rubare biglietti, poi?”, ribatté la coniglietta non soddisfatta.
“Per mille ragioni, dolcezza” – Nick le circondò la vita e se la tirò vicino, godendosi la sua espressione di improvvisa sorpresa che la penombra non riusciva a celare alla sua visione notturna – “per esempio: usarli per viaggiare gratis, rivenderli a prezzo maggiorato, magari allo stesso mammifero cui li si è rubati, o soltanto mettere nei guai qualcuno che si è comportato male e si merita una puniz – ouch!”.
“La gomitata è per il furto di identità: tu non sei Robin Hood, ricordalo”, sottolineò Judy.
“Uhm, no in effetti, ma scommetto che se l'avessi incontrato, secoli fa, avresti schiaffato in galera pure lui. La legge è legge”, recitò la volpe facendole il verso.
Lei fece per controbattere, ma come ormai era abituata ad aspettarsi, si ritrovò impegnata in un bocca a bocca degno di una rianimazione cardiopolmonare.

 

Non te la caverai sempre così, Nicholas Piberius Wilde, pensò Judy riemergendo dalla trance ipnotica in cui quella volpe troppo astuta l'aveva spedita.
“Vieni, proseguiamo”, gli disse trascinandolo per un braccio.
“Con te verrei anche in capo al mondo, cheri”, fu la risposta, “e a ben pensarci, è proprio quello che sto facendo”.
“Oh, andiamo, Nick. BunnyBurrow non è in capo al mondo”, replicò lei.
Ora stavano percorrendo un lungo corridoio pieno di finestrini laterali, e null'altro.
“Perdonami, hai ragione. Intendevo dire che è, esattamente all'opposto, in culo ai lupi”, sogghignò Nick.
Stavolta fu più lesto, e si sottrasse a una seconda gomitata con un balzo.
“Coniglia violenta”, si lamentò con un muso lungo così ben riuscito che, Judy, se non l'avesse conosciuto come in realtà lo conosceva, si sarebbe sentita persino in colpa e scusata.
Nick sorrise interiormente. Era davvero in forma, quel venerdì sera.
Poi gli si accese una lampadina.
“Hey, Carotina”, le scosse le spalle entusiasta, come un cucciolo che ha appena dissepolto un tesoro dei pirati in giardino.
“Potremmo creare una galleria del vento. E cotonarci la pelliccia. Che te ne pare?”, chiese, del tutto retoricamente, già intento ad abbassare ogni finestrino della lunga fila.
“Dai, occupati del lato destro! Io penso al sinistro”, aggiunse poi.
Judy rimase interdetta per un lungo secondo, poi decise che sarebbe stato saggio, e più semplice, dargli retta. Si voltò verso il lato destro del treno e imitò la volpe, felice di vederla così su di giri.
“Et voilà”, esclamò lui una volta fatto, le braccia aperte e le gambe divaricate come il Mammifero Vitruviano di Leonardo.
Tutti i peli del corpo esposti al vortice d'aria che si era creato turbinavano ora di qua ora di là, eretti e tesi, facendolo sembrare un barboncino appena uscito dalla toletta.
A Judy le correnti fecero un effetto meno pittoresco, perché aveva il pelo più corto, ma dovette ammettere che era divertente camminarci in mezzo: sembrava di stare decollando.
Finse di essere un'astronauta, poi uno zombie – quest'ultimo le riuscì piuttosto bene: l'aria le deformava la bocca aperta e le si infilava addirittura nelle orbite, scoprendo il tessuto vascolarizzato d'un rosso abbagliante.
“Pietà di me!”. Nick si allontanò di un passo con la zampa sul cuore.
“Sarai mio!”, lo minacciò la coniglietta tendendo le braccia verso la sua preda, non trattenendo però una risata.
“Ora fatale...” mugugnò lui portandosi la zampa alla fronte come stesse per svenire. “Fuggirò evadendo dal finestrino”, decretò infine, sporgendosi al di fuori del più vicino con tutta la testa fulva.
Judy lo sospinse appena più in là per poterglisi mettere di fianco.
Come mise la testolina fuori, le lunghe orecchie grigie presero a ondeggiare e sbattere come lenzuola stese al vento.
L'aria fresca della sera le penetrava nei polmoni prepotente, facendola sentire ancor più viva di quanto già non si sentisse con Nick.
Le ombre si allungavano sulle case, sempre più rade man mano che sfrecciavano verso la provincia, e le lingue di fuoco che dipingevano il cielo si sfilacciarono e morirono rapide davanti ai loro occhi.
Restarono così, assorti e cullati dal vento, finché Judy non intravide arrivare qualcuno dal corridoio adiacente.
“Sta arrivando qualcuno” avvertì infatti, “rientriamo e chiudiamo”.
Un po' a malincuore, la volpe obbedì e la aiutò a riportare ordine.

 

Due ore più tardi, Nick decise che per consolarsi della brusca interruzione una spaghettata di mezzanotte avrebbe fatto al caso.
Superando le resistenze di una Judy sbigottita dal suo metabolismo esuberante, si avviò con lei al seguito verso la zona ristorante.
Avevano preso posto ad un tavolo e la volpe aveva ordinato immediatamente, la pancia che emetteva ruggiti cavernosi.
“Ho ricevuto un messaggio da Fru-Fru”, lo aggiornò la coniglietta. “Sembra che il marito, Mickey, abbia avuto un grosso incarico da parte di Mr. Big”. Rifletté. “Non so se sia normale complimentarmi con lei”, asserì combattuta.
“A ciascuno il proprio lavoro, Carotina”, Nick liquidò la questione avvolgendo un buon numero di spaghetti attorno ai rebbi della forchetta, senza quasi lasciare il tempo al cameriere di posargli davanti il piatto.
“Lascia che Mickey svolga il proprio incarico. Al nostro ritorno, ci troverà pronti ad ammanettarlo, se supererà i limiti”.
“Hey, quest'idea mi piace sai. Anche se ovviamente spero che non sarà necessario”, fece lei.
Lo lasciò mangiare in pace finché non mancò soltanto un boccone – “ne rimarrà soltanto uno”, fu il commento altisonante e guerresco di Nick che impugnò la forchetta a due zampe, a mo' di spada, e recitò un monologo che Judy non conosceva dalla serie Highlander, prima di giustiziare il sopravvissuto.
“Ora il dolce”, disse poi.
“Cosa? Vorrai scherzare, Nick”, fece la coniglietta costernata.
“Dovresti vederti. Con quegli occhioni spalancati. Mamma mia” rise lui.
“No, sul serio, non dirmi che hai ancora fame”.
“Non fame, Carotina. Solo voglia di dolce”, precisò la volpe, avvicinandosi a lei e schioccandole un bacio a stampo sulle labbra.
“Intendevo questo”.
Judy si sentì in effetti un po' stupida, ma sì, anche lei aveva voglia di dolce dopotutto. Si accorse distintamente del silenzio che calò attornò a loro al suo prendere l'iniziativa e incontrare di nuovo la bocca del partner – nulla di esagerato, di provocante o imbarazzante, solo uno sfiorarsi leggero – e seppe che li stavano guardando.
Non tutti, alcuni. Ma il loro breve tacere fece un gran rumore, un ossimoro che non avrebbe mai smesso di stupirla.
In un recente corso di formazione per preparare i poliziotti al contatto col pubblico e coi civili, un serioso docente con tanto di occhiali di corno e giacca di tweed aveva insistito sul primo assioma della comunicazione: E' impossibile non comunicare, così diceva.
Judy ne aveva compreso il senso, credeva allora, ma adesso che lo stava provando sulla propria pelliccia capiva di averne sottovalutato la portata.
I mammiferi presenti al bar-ristorante erano sì relativamente pochi, ma facevano un baccano del diavolo con i commenti che non esprimevano, le occhiate furtive che tentavano di non lanciare loro, le posture rigide che assumevano e le voci che, mentre le conversazioni proseguivano sui loro binari, deflettevano verso toni più gravi.
Erano liberi di baciarsi, puntualizzò a se stessa. Ma, in mezzo ad altri animali, farlo non era e non sarebbe mai stato soltanto un fatto loro personale. Era un fatto pubblico, aveva risonanze, e non ne era mai stata tanto consapevole come in quel momento.
Baciarsi era una cosa seria, insomma. Aveva un peso.
Cosa rappresentavano loro due, come coppia, agli occhi di quegli sconosciuti? Per un attimo pensò di avvalersi del distintivo per stornare quell'attenzione sgradita. Ma poi:
“Judy, Judy. Smetti di tormentarti”, le disse Nick.
La coniglia si stupì di leggere nelle sue iridi verdi un accenno malinconico.
“Scusa”.
“E' una parola che non voglio sentire. Non devi scusarti di niente, con nessuno. Ricordi? Non mostrare la tua debolezza”, sciorinò la volpe. Un mantra che aveva imparato fin troppo bene.
“Ma io voglio poter essere debole, Nick. Voglio potermi permettere di mostrare quello che ho dentro. E voglio permettere ai più deboli di fare lo stesso, senza che debbano subire ritorsioni. E' per questo che ho scelto il nostro lavoro”, rimarcò lei.
“Certo. Lo so. Significa che mi baceresti ancora, qui, se te lo chiedessi?”.
Judy finse di pensarci su.
“Si potrebbe fare. Bisogna vedere cosa mi proponi in cambio”.
“Coniglietta ricattatrice”, sbuffò Nick. Poi cedette. “Se ti lasciassi giocare con la mia coda?”, suggerì piano. “Sai, tirarla, pettinarla, tutte quelle divertentissime cose che si fanno coi pelouche. Non solo accarezzarla”.
Era un pedaggio che prima o poi gli sarebbe toccato pagare, tanto valeva accontentarla subito.
“Dici davvero?” chiese sospettosa lei.
“Davvero. Che io possa cadere fulminato se t'inganno”, confermò lui.
“Allora è fatta”.
Un bacio ancora, ancora superficiale e tranquillo, ma più lungo, stavolta.
Anche il coraggio è questione d'abitudine.

 

Malgrado quella nota stonata, non avevano avuto grane sino ad allora.
Avevano ancora l'intera notte davanti prima dell'arrivo, e per trascorrerla con agio si erano appartati nel loro scompartimento.
Stettero accoccolati sulla cuccetta, tutto sommato comoda ma un tantino stretta, abbracciati l'uno all'altra; finché il discorso non cadde sul tiro mancino che Bogo gli aveva giocato.
“Allora, cosa pensi che dovremmo fare? Spifferare tutto subito, come vuole il vecchio bufalo?”, domandò con una vena di sarcasmo Nick. “Certo, la ZNN ne sarebbe contenta, avrebbe uno scoop assicurato”.
“Non so. Probabilmente la sua strategia è la migliore. E poi non ci siamo detti che dovremmo esporci per primi, per non lasciare agli altri il tempo di incasellarci?” disse Judy.
“Vero, ma quando ne abbiamo discusso non avevo ipotizzato uno scenario che comprendesse la televisione e qualche milioncino di mammiferi all'ascolto, Carotina”, puntualizzò la volpe.
“Vero” ripeté lei. “Ci penseremo a tempo debito. Durante il ritorno, per esempio. Per ora è di ben altro che dobbiamo occuparci, per non dire preoccuparci”, aggiunse, alzando gli occhi al soffitto con un smorfia di sofferenza.
“Perché quello dell'altro giorno coi miei è stato solo il primo round”.
Nick non rispose.
“Sono convinta che anche mamma accetterà la cosa, come d'altronde ha promesso di fare quando sono stata a casa una settimana fa. Solo una settimana che stiamo insieme... anzi, nemmeno!” si rese conto.
“Ne sono convinto anch'io”, disse Nick.
“Sarebbe stato bello se avesse potuto conoscere la mia, di madre”, aggiunse poi in un soffio.
Era quello un pensiero che formulava per la prima volta, e gli parve tanto naturale e necessario da non provare alcun imbarazzo nel dargli voce.
Judy si volse lentamente verso di lui, dando la schiena alla stanzetta per poterlo guardare in volto.
“Ti manca molto, non è vero?”, chiese.
Nick la guardò negli occhi, così profondi e sicuri.
Sapeva che non c'era bisogno di alcuna risposta, così non si sforzò di trovarne una. Anche questo faceva parte dei vantaggi che conoscere quella strana e bellissima creatura gli aveva portato: non doveva sempre, per forza, parlare per essere capito.
“Dev'essere... interessante avere così tanti fratelli e sorelle”, disse invece, cambiando solo apparentemente discorso.
Lui non ne aveva mai avuti, neppure uno, né di un sesso né dell'altro. Niente fratellini con cui organizzare cacce nei parchi o esperimenti scientifici improbabili, né sorelline a cui far dispetti o da consolare e difendere.
Forse anche questo aveva contribuito a fare di lui il solitario inarrivabile che era diventato negli anni.
Si sentì s'un colpo tanto, tanto piccolo.
“Interessante, e anche stressante. Non è male avere un po' di tregua da loro, anche se quando sto in città mi mancano, sempre”.
La coniglietta gli accarezzò la linea del volto dolcemente.
“Devi avere pazienza, sai. Diventeranno anche i tuoi fratelli, e anche se siete di una specie diversa, e non potranno mai compensare quello che non hai avuto, vedrai che ti riempiranno di gioia”, gli assicurò.
Lui chiuse gli occhi.
Era troppo, questo.
Lo desiderava con tutte le sue forze ma, per ora, non aveva l'animo di parlarne più apertamente di così.
“Grazie”, disse soltanto, accarezzandola a sua volta; un viso tondo e minuto, un corpicino palpitante sotto il tocco della sua zampa.

 

Più avanti nella notte, ma non così avanti da cedere al sonno, Nick tratteneva Judy fra le sue braccia, in piedi dinnanzi al finestrino squadrato dello scompartimento.
Le loro sagome scomparivano e riapparivano a intermittenza, rapide, sullo schermo del buio: si dileguavano nei tratti che il treno percorreva all'aperto e si riformavano non appena esso rientrava in ciascuna delle numerose gallerie, stagliandosi sul vetro come bianchi fantasmi, tratteggiati appena dalla debole luce d'emergenza che lampeggiava sulle loro teste.
C'era nell'aria, fra loro, l'odore elettrico che un fulmine lascia dopo essersi scaricato a terra. La percezione di qualcosa di definitivo che stava per accadere.
La volpe sollevò un lembo della canotta che la coniglia indossava, e fece scorrere lentamente, molto lentamente la zampa destra sul suo stomaco.
La sentì trattenere il respiro.
“Preoccupata?”, le chiese.
“No”, rispose. “Dovrei?”.
“No, non devi”.
Spostò la zampa all'altezza del suo viso e lo girò appena, piano, così da permetterle di continuare a vedere i riflessi dei loro corpi uniti nel vetro, liberando al contempo il collo.
“So quando fermarmi”, disse ancora Nick. “E so anche dove”.
La zampa sinistra, fino ad allora muta, salì a contornarle il profilo del viso, e poi ripassò pigramente la curva del collo, della spalla.
“Vorresti?”, le chiese la volpe, sottintendendo di cosa parlava.
Judy prese un respiro profondo, un'onda alta e lenta che dal suo torace andò a sollevare le dita di lui, salde sul posto.
“Vorrei”, ammise.
“Sei una cucciola molto, molto cattiva, Judy”, le giunse la provocatoria, inattesa risposta. “Conosci le regole: prima matrimonio, poi consumonio”, citò Nick, con una voce vagamente roca che non gli conosceva, dall'accento allusivo, insinuante.
Doveva essere, pronunciata alla luce del sole, soltanto la battuta brillante di un film, ma in quel frangente le spedì un brivido incontrollato lungo la schiena.
Le dita di Nick tornarono a muoversi sul lato sinistro del suo collo, su e giù, sfiorandola appena, per andare infine ad abbassare la spallina dell'indumento, che la coniglietta sentiva pesarle addosso come fosse stato una muta da palombaro.
Le sue dita in quel punto, una promessa e un'anticipazione di tutto quel che lui aveva da offrirle.
“Sai perché a sinistra?”, le chiese dunque.
Judy non rispose, in parte confusa dalla domanda, in parte troppo impegnata a tenere a bada le proprie emozioni per preoccuparsene.
“Perché è il lato del corpo mammifero più vulnerabile” le spiegò lui.
“Facci caso”, aggiunse, “quando scambi il tradizionale bacio sulla guancia con qualcuno, non offri mai il tuo lato sinistro ad uno sconosciuto. Lo fai solo con le persone di cui ti fidi”, osservò sorridendo al fantasma riflesso nel vetro.
I suoi occhi baluginarono mentre chinava il capo sulla sua compagna, cominciando a soffiarle fiato caldo sulla spalla.
Un altro brivido gli confermò che il corpo di lei era in ascolto.
La sentì che si lasciava andare, più morbida, alla sua stretta.
“C'è una cosa che mi piacerebbe fare, nell'attesa” tentò “ma potrebbe essere... infastidirti. Impaurirti, forse”.
“Di che parli?”, chiese Judy cauta.
“Di una cosa che usa fra di noi”, rispose Nick. “Noi volpi, intendo”.
Una battuta di silenzio.
“Ed è?”.
Nick esitò.
“Se non voglio farlo, te lo dirò”, gli garantì la coniglia per spronarlo.
“D'accordo”. Impostò la voce perché suonasse il più tranquillizzante possibile. “Judy, io vorrei lasciarti un segno che testimoni che sei mia. Tra predatori non si marca soltanto il territorio, ma anche le... conquiste, diciamo così”.
Fece una pausa.
“E quel che vorrei, è ricordarti che mi appartieni. Con qualcosa di tangibile. Con un morso”, confessò.
Abbassò lo sguardo per non rischiare di vedere sul suo muso un rifiuto.
Era difficile da spiegare persino a se stesso: poteva accettare che lei gli dicesse di no, ma non di trovare quel no espresso a chiare lettere su una faccia magari delusa. O peggio, spaventata.
“Nick, ascoltami”, gli intimò lei.
“Ti ascolto”.
“L'hai già fatto una volta, ricordi? Nel Museo di Storia Naturale ti ho permesso addirittura di azzannarmi al collo”.
“Ma quella era una recita, Judy. Ora è per davvero. Io voglio...”.
Si interruppe, incerto se fosse azzardato dare voce all'idea.
“Tu vuoi?”.
“Voglio andare a fondo. Voglio sentire i tuoi muscoli e i tendini sotto le zanne. Lasciarti un segno che non passi in pochi giorni”.
Ecco, l'aveva detto. Buon Dio. Era impazzito, impazzito.
“Allora fallo”.
Judy inclinò un po' di più la testa.
Vederla così docile, a orecchie basse e col collo completamente esposto, mentre attendeva con gli occhi ben aperti che lui la mordesse gli fece perdere ogni residua parvenza di impassibilità.
Allora fallo.
Non attese nemmeno un secondo oltre per affondare i denti nella carne tenera di quella deliziosa, eccezionale coniglietta. La sua coniglietta, adesso più che mai. Strinse la presa un po' alla volta, delicato ma fermo. Un guaito soffocato a labbra strette. Se ne staccò quando avvertì i primi accenni del sapore metallico del sangue farsi strada sulle sue papille.
A quel punto Judy si era abbandonata contro di lui, le gambe fiacche e una manciata di lacrime cui non sapeva attribuire un'origine che le offuscavano la vista. Sapeva solo che erano lacrime buone.

  
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