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Autore: Made of Snow and Dreams    15/07/2016    0 recensioni
Anche i traumi più lievi possono divenire insormontabili da superare, se lasciati a una bambina di appena tre anni. Specie se nessuno si premura di starle accanto, impedendone il lento declino mentale.
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Storia di una mia Oc.
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
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Memorie di una dannata








Ricordava perfettamente, la piccola Louiselle.

Come se la sua vita avesse avuto inizio da quel giorno, era come essere divenuti dei teneri passerotti che si affacciano alle finestre del mondo per la loro prima volta, sbattendo le ali e cinguettando debolmente, solo per disperdere le loro urla di speranza e di vittoria nei cieli nuvolosi e sereni.
Così aveva fatto lei, tornado a respirare dopo mesi di gelida apnea, schiacciata da quella costante paura che il suo mondo di gioie si disperdesse tra le sue dita spaventate, come sabbia al vento. Aveva boccheggiato i primi giorni, per accettare quella perdita, quella donna così presente nella sua esistenza; aveva rivolto gli occhi intimoriti verso l’ultimo protagonista di quella disfatta, sperando che capisse il suo dramma. E lui, regalandole un altro, sorridente incoraggiamento, le aveva sfiorato il palmo della mano per rassicurarla, donandole le certezze perdute.
Non era troppo tardi per ricominciare a vivere. Non era troppo tardi per dimenticare l’accaduto, e ripartire da zero.
E poi lo aveva raggiunto, avanzando dubbiosamente sulle gambette ancora instabili. Si era fermata di fronte alla sua impalcatura, allungando le braccia verso l’alto per farsi prendere in braccio e rifugiarsi dentro la casa, per allacciargli le mani dietro la nuca e guardare davanti a sé, non osando voltarsi verso il giardinetto e verso il passato, verso gli uccellini che avevano smesso di cinguettare.
Ma quelle mura non erano ospitali neanche con loro, con le urla ancora ristagnanti come acqua putrida, urla che sussurravano alla bambina di fuggire da lui, perché lui le avrebbe solo fatto del male. L’avrebbe abbandonata, l’avrebbe umiliata, l’avrebbe tradita, l’avrebbe dimenticata. Le avrebbe fatto rivivere lo stesso dolore di quel giorno per ogni singolo secondo scandito dalle lancette dell’orologio a cucù, inquinando la purezza di quella casa con donne di malaffare.
Avrebbe posizionato l’importanza di una donna qualsiasi su quella della figlia, scavalcandone i sentimenti e la rabbia come se non avessero nessun valore.
Camminando con il braccio sepolto nella sottana di qualche ragazzina avvenente, l’avrebbe degnata di un solo sguardo indifferente, per poi tornare a incollare i propri occhi su qualche anonimo viso di porcellana, come per scusarsi di quella interruzione.
Non si sarebbe preoccupato di dove si trovasse, o di cosa facesse; il suo unico passatempo sarebbe diventato l’ascoltare con curiosità e disagio quelle danze infinite di suoni e schiocchi lascivi, così peccaminosi e lussuriosi da farla stare male, la figlia che era pura.
‘Falle smettere, dicono cose brutte. ’ aveva mormorato Louiselle contro il suo collo robusto, strizzando gli occhi con violenza, stringendosi a lui.
‘Non le ascoltare, stanno mentendo. E sai qual è il metodo migliore per farle tacere una volta per tutte? ’ aveva udito sussurrare lui di rimando, sebbene il buio di quella casa troppo grande per due persone le avesse offuscato anche la voglia di schiuderle ancora, le palpebre.
‘No, papà. Puoi dirmelo? Grida il tuo segreto, così scapperanno via da qui! ’
Ora lui rideva, fiocamente. ‘Dimostrare che siamo felici, io e la mia bambolina! Avete sentito, voi? Siamo felici, ridiamo e giochiamo, e voi non potete farci del male. Altrimenti guai a voi! ’ aveva urlato, ubbidiente, accusando ogni anfratto di quella casa dispersiva con gli occhi.
Lei aveva rialzato la testa, scrollando il capo, trionfante, rafforzando la sua risata bassa e roca con la sua, squillante e acuta, tipica dei bambini piccoli.
Quel segreto funzionò.
 
 
Ricordava perfettamente, la piccola Louiselle, quel meraviglioso rapporto di simbiosi venutosi a creare tra lei e il suo papà.

Avevano giocato, come pattuito, in ogni camera, in ogni corridoio, in ogni stanza, per seppellire definitivamente quelle urla vendicative.
Lo sapevano entrambi che era necessario, e andava fatto.
I giochetti di parole, le filastrocche, le ninna nanne, le fiabe e le favole mormorate con voce languida e impastata dal sonno crescente, quando entrambi erano distesi sul lettone dove, prima, dormiva anche la mamma con il papà. Ma lei si era frammentata, ora solo un’ombra, e Louiselle aveva preso il suo posto in quel letto, con gioia infinita.
Meglio così: si rifiutava di rannicchiarsi sotto le coperte nella sua piccola camera, preda di riflessioni troppo dolorose che la spronavano alle lacrime, calde e copiose. E poi, riflettendoci, non afferrava neanche il motivo per cui la sua mente prendesse in esame anche quell’inutile possibilità: stretta tra le spire della paura, a sudare per inzuppare il tessuto del suo pigiama, sforzandosi di tenere chiusi gli occhi per evitare di guardare con rinnovata e crescente angoscia le ombre proiettate dagli oggetti della sua camera, immaginandoli come mostri pronti a portarla via dal suo amato padre, per poi gettarla chissà dove. Magari proprio dentro lo studiolo abbandonato e polveroso della sua stessa casa, a marcire e a battere i pugni contro una porta chiusa a chiave.
No, no. Perché sognare tutte quelle cose quando poteva benissimo concedersi il lusso di rannicchiarsi sotto le coperte, stretta tra le braccia del suo papà, che intanto le narrava storia diverse, storie nuove, storie stucchevoli, storie di amicizia e di avventura, storie di felicità?
Lui, sdraiato sul fianco sinistro, con il braccio destro avvolto protettivamente attorno la schiena della bambina e con la mano del medesimo braccio a carezzarne la pelle, vezzeggiandola; il gomito sinistro a sorreggere il busto e gli occhi stanchi ma sempre sorridenti, al contrario di quelli sempre tristi e acquosi di lei, e quei capelli ramati che ricadevano sulla fronte chiara. Entrambi illuminati dalla fioca e calda e rassicurante e magica luce dell’Abat-Jour, posta sul comodino a destra del letto e accanto a Louiselle. Entrambi protetti dalle colonne del letto a baldacchino, il letto matrimoniale di mamma e papà, divenuto ora di figlia e papà.
Abbastanza grande per poter intrecciare le gambe e le braccia sotto il piumone caldo.
Abbastanza grande per poter sopportare le capriole sfrenate della bambina, restia a farsi acciuffare dall’uomo in uno dei loro giochi.
Ed era sempre bello potersi svegliare nel lettone e tra le sue braccia, magari cullata dal suono rassicurante dei suoi respiri lenti e tiepidi contro la sua fronte. E assistere al suo risveglio, sebbene fosse molto più comune che fosse lui ad alzarsi per prima, e osservare incantata le sue iridi mostrarsi alla luce del giorno e a lei, per poi illuminarsi in un sorriso appesantito dal sonno. E mormorare a stento, con la voce impastata dal sonno rimasto e obbligando la lingua a schioccare contro il palato, quei timidi ‘Buongiorno’.
E poi ridere di gusto per l’odore di bruciaticcio che avrebbe impregnato l’aria qualche minuto dopo, perché suo padre non era assolutamente bravo a cucinare e a destreggiarsi tra i fornelli, finendo per rovinare anche il latte nella pentola nel tentativo di riscaldarlo e zuccherarlo.
Quel letto era divenuto il fulcro del loro mondo: era teatro di giochi e scherzi, di notti passate a leggere le fiabe e le favole, di qualche ora passata a imbronciarsi per uno scapaccione dato con qualche grammo di forza in più del necessario.
Coperto dalle cortine pesanti e verdastre, Louiselle era sicura che sarebbe rimasto tale: il fulcro del loro mondo. Di loro due, e di nessun’altro.
 

Ma anche il giardinetto sul retro della casa era sede di momenti gioiosi; come non ricordare, ad esempio, il giorno in cui si era ritrovata a bullarsi delle sue mani inesperte e ingarbugliate tra i suoi capelli, mentre cercavano di districare i nodi e il suo cipiglio perplesso diveniva sempre più esilarante e sempre più comico?
‘Papà, non sai fare le trecce! ’ aveva riso lei, distraendosi dalla scena per poter strappare a qualche povero stelo il suo fiore, posandoselo in grembo con garbo.
‘Eppure non dovrebbe essere difficile! L’ho visto fare tante volte a tua madre, e… ah, aspetta! Forse ci sono. ’
E aveva ripreso a intrecciare e a intrecciare, con il solo risultato di aver complicato ancora di più le cose, tra le risate della bambina, seduta sull’erba curata e profumata di pioggia in arrivo.
Poi aveva riso anche lui, arrendendosi e limitandosi a pettinarle i capelli per rimediare a quella matassa rossiccia e informe.
 


Ed ecco che la loro donna cessava di essere tale, accontentandosi di essere sepolta dai ricordi della nuova casa e di quella nuova famiglia.
Accontentandosi di essere solo un’ombra.
 
 
 
 
 
 
 



Ehilà a tutti!
Un paio di precisazioni: la prima cosa che ho fatto, spulciando tra le mie storie incomplete, è stato rileggere questo capitolo che mi ero ripromessa di non pubblicare. Tuttavia, dato che questa storia tratta della mia Oc creepy (una delle tante), ho deciso di modificare la sua collocazione, spostandola in questa attuale.
Spero che sia più attinente.
Per quanto riguarda la seconda: anche questa è una storia a capitoli. Tuttavia, per chi sta leggendo o addirittura segue l’altra mia storia ‘Notti di noi’, sappiate che il capitolo è quasi pronto. ;)
Quindi, ‘Memorie di una dannata’ non influirà certo sulla velocità di pubblicazione e sulla qualità della scrittura adottata (perché, Snow, ha una qualità?).
Per il resto niente. Spero tantissimo che la psiche della mia Louiselle vi stia intrigando, data la sua morbosa attenzione verso il padre. Dal prossimo capitolo, si ingarbuglierà sempre più. Promesso.
Alla prossima!
 

Made of Snow and Dreams.
  
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