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Autore: Feanoriel    15/07/2016    2 recensioni
la prima fan fiction che pubblico, spero sia gradita.
nessuno dei personaggi, delle ambientazioni, dei luoghi o delle situazioni è stato inventato da me, viene tutto dalla geniale penna di J.R.R. Tolkien. la mia fan fiction prende spunto da alcuni avvenimenti del Silmarillion, con particolare attenzione a questa frase "Maglor infatti si impietosì di Elros ed Elrond, e si affezionò loro, e anche in quelli nacque amore per lui, per quanto incredibile possa sembrare, ma il cuore di Maglor era esulcerato e stanco dal peso del terribile giuramento".
le informazioni usate per questa fan fiction vengono perlopiù dal Silmarillion, ma alcune provengono invece dalla HoME (History of Middle Earth), Volume XII, The Peoples of Middle Earth, con particolare attenzione al capitolo "The Shibboleth of Feanor".
[Gen fic per di più, ma con qualche accenno di Maglor/moglie e di Maedhros/Fingon]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The clash of iron can be heard
By blindness you’re driven insane
I’m lost in anguish and grief
[Blind Guardian| Battlefield]

Maglor menò un fendente, mozzando il braccio dell’orco più vicino. Il servo di Morgoth lanciò un ululato di dolore, l’arto che disegnava un arco prima di andare a perdersi tra le ceneri e la polvere dell’Anfauglith. Maglor lo finì in fretta, piantandogli la spada nell’occhio destro, mandando il suo corpo esamine a cadere per terra.
Prese un respiro profondo, e sputò un grumo di sangue a terra. L’ascia dell’orco lo aveva colpito sull’elmo, non abbastanza forte da ucciderlo, ma lo aveva lasciato stordito per qualche momento, anche se l’istinto lo aveva guidato a controbattere il suo avversario.

La testa gli ronzava, e il suo più grande desiderio era di levarsi l’elmo di dosso e prendersi una boccata d’aria. Ma sarebbe stato un suicidio, in mezzo a quella bolgia.
Vide suo fratello Maedhros, anche lui con in testa un elmo che gli nascondeva i capelli, mozzare la testa ad un orco che aveva commesso l’errore di avvicinarglisi troppo. Serrò la mano sulla spada, deciso a raggiungere il fratello.

Attorno a loro, la battaglia non stava procedendo come sperato.

Maglor vide l’esercito di suo zio, lucide armature sotto la pallida luna del Nord, lo stendardo dorato che catturava qualche barbaglio di quei raggi smorti, impegnato con un branco di troll, bestie che erano poco più che animali da soma per l’esercito di Morgoth.

Alzò lo sguardo. Più a nord, fin quasi sulle pendici dei Thangorodrim, poteva vedere i Balrog, ridotti a sottili sagome di fiamma per la lontananza, combattere contro i Maiar, scintillanti nelle armature che Aulë aveva forgiato loro.

-Nostro zio non se la sta cavando benissimo- Maedhros gli si era avvicinato, la mano posata sull’elsa della spada. -Non trovi?

-Almeno non c’è un Balrog, con loro – Maglor strinse i denti. -Avvicinarsi non è prudente. E ha già mandato rinforzi.

-È pur sempre della stessa stirpe di nostro padre e di nostro nonno, dovrebbe pur tener testa a qualche troll- Maedhros usò il moncherino per gettarsi la cappa nera attorno al corpo, ridotta a brandelli sull’orlo. -Dico bene, fratello?

-Già- Maglor fece un passo indietro, prudente. Non aveva tutta questa simpatia per suo zio, il fratellastro di loro padre – Fëanor non amava i suoi fratelli e non ne aveva mai fatto mistero- ma ugualmente, non desiderava vederlo morto. D’altronde, era pur sempre parte della famiglia, sarebbe stato tremendo veder morire un altro dei figli di Finwë.

È già sopravvissuto ad altre battaglie, in tutti questi anni, può farcela anche stavolta, pensò, sporgendosi cautamente dalla sua postazione. Non erano troppo lontano, se i troll si fossero accorti di loro, avrebbero potuto raggiungerli facilmente.

Uno dei soldati di Finarfin, nel tentativo di colpire una delle creature di Morgoth, fu afferrato e sbattuto via, andandosi a schiantare sulle rocce sotto di loro. Il rumore del suo cranio che andava in frantumi, degli schizzi di sangue contro la pietra, delle urla degli altri soldati, fecero sussultare Maglor. Strinse l’elsa della spada.

Udì suo zio gridare qualcosa in Quenya, troppo velocemente perché potesse distinguerne le parole. Tuttavia, poté vederlo benissimo spingere il suo stallone candido fin quasi a ridosso del primo troll, l’oro e il verde del suo mantello sventolare nel lieve vento del nord. Il troll tentò inutilmente di afferrarlo, le braccia che mulinarono nell’aria, goffe e pesanti come tronchi. Vi fu un lampo dorato, la spada di Finarfin che disegnava un arco, e il braccio destro del troll, tranciato di netto, cadde con un tonfo sordo tra la polvere.

La creatura lanciò un urlo assordante, il sangue che zampillava dal moncherino, agitando goffamente l’arto mozzato. Finarfin si abbassò quel tanto che bastava per evitare i colpi, e gli affondò la spada nel ventre esposto.

Le viscere fumanti schizzarono fuori dalla ferita, gettando fumo a contatto con l’aria. Un ultimo spasmo, e il troll cadde in avanti, sollevando nuvole di polvere e pietrisco. Il tonfo fu assordante, tanto che uno stormo di corvi si alzò in volo, gracchiando impauriti, ali nere contro il cielo pallido e nebbioso.

Finarfin fece arretrare il cavallo, ritornando dai suoi. I troll si erano fermati per qualche istante, terrorizzati da lui e dalla sua armatura scintillante, ma non sarebbe bastato molto perché tornassero alla carica. Finarfin gridò ordini, e i soldati serrarono i ranghi, sollevando le lunghe lance. I troll erano a distanza troppo ravvicinata per poter usare gli archi, ma le lance parvero fare il loro effetto. Un troll addirittura riuscì ad essere tanto avventato da avvicinarsi alle punte delle lance, fino ad avere il collo trapassato da parte a parte da una di esse.

Maglor vide un gruppo di arcieri, anche loro con le insegne di Finarfin, correre in aiuto al loro signore. Non ci avrebbero messo molto, prima di arrivare, o almeno così sperava.

Suo fratello gli fece un cenno, indicando giù, sotto di loro, qualcosa che non aveva notato: un gruppo di orchi che strisciavano a ridosso alle pareti di roccia, non a troppi metri da loro. Orchi che, Maglor lo capiva benissimo, erano diretti alla retroguardia di Finarfin, al momento sguarnita, intenti com’erano a difendersi dai troll.

Se ne sarebbero accorti troppo tardi, e gli arcieri non potevano aiutarli.

Maglor riprese nuovamente la spada in pugno. Parte di sé capiva che avrebbero potuto scoprirli, che a scendere in aiuto ci sarebbe stato il rischio di far saltare la loro copertura, ma ugualmente, non poteva sopportare l’idea che morissero dei Noldor, Noldor che tempo fa erano stati anche il suo popolo, quando avrebbe potuto evitare che ciò accadesse, con il suo intervento.

Non ebbe bisogno di ordini o di indicazioni da parte del fratello, per capire cosa dovevano fare. Scesero con cautela lungo il pendio, ghiaia e sassi che rischiavano di cadere ad ogni passo, e di segnalare la loro presenza. Maglor aveva lo scudo legato sulla schiena, ma non osava rimettere la spada nel fodero, nemmeno per aiutare la discesa. D’altronde, ogni secondo era prezioso.

Si fermarono quando gli orchi non furono a pochi piedi sotto di loro, così vicini che, se avessero alzato lo sguardo, li avrebbero visti immediatamente. Maglor strinse i denti, fortunatamente non avevano archi con sé, non avrebbero potuto tirare nulla.

Vieni qui, aiutami, la voce del fratello risuonò nella sua mente, chiara ed imperiosa. Maedhros era accanto a un grosso masso, pericolosamente sporgente sull’orlo. Maglor gli si avvicinò: il masso, che a una prima vista gli era parso saldo ed attaccato al fianco del pendio, a una seconda occhiata poteva vedere che non era così: diverse crepe percorrevano lo spunzone. Con una leva, forse, potevano divellerlo.

Maglor afferrò la spada e la piantò alla base del masso, là dove già alcuni pezzi di roccia si erano staccati da esso, e Maedhros fece lo stesso. L’acciaio di Feanor divelse la roccia come burro fuso, le parti che ancora tenevano il masso attaccato al pendio non opposero alcuna resistenza, e in poco tempo riuscirono a staccarlo del tutto.

Ora! , gli comunicò il fratello, il gruppo di orchi che passava esattamente sotto di loro. Maglor emise un respiro profondo, e assieme a Maedhros, iniziò a spingere il masso in avanti, oltre il bordo del precipizio. La pietra era pesante, e ben presto la fronte di Maglor si riempì di sudore, ma era già abbastanza in bilico da aver bisogno di ben pochi stimoli. Finalmente, dopo un’ultima spinta, cadde oltre l’orlo, esattamente sopra l’avanguardia degli orchi.

Il rumore della pietra che si abbatteva al suolo, schiacciando orchi sotto il suo peso, risuonò per l’aria, e la udirono pure le schiere di Finarfin, più avanti. Ad esso si aggiunse il suono delle urla stridule degli orchi, terrorizzati e in preda al panico per quell’attacco inaspettato.

Ma non era finita lì. Maglor vide che un orco li aveva individuati, puntando il dito contro di loro e gridando qualcosa ai suoi commilitoni in quella lingua gutturale. Ben presto gli orchi presero a riorganizzarsi, e come uno sciame di formiche nere, presero ad arrampicarsi sul masso e sui corpi dei loro compagni caduti, nel tentativo di raggiungerli.

Maglor sguainò la spada. Che venissero, erano pronti.

Un arto nero e deforme si sollevò oltre il bordo del precipizio, cercando di issarsi sull’orlo. Maglor non perse tempo e lo mozzò, sollevando per aria un fiotto di sangue nero e mandando il suo proprietario ululante a cadere nel precipizio, trascinando con sé alcuni dei suoi compagni.

Maglor sperava sarebbero riusciti a sgominarli facilmente. Lo squadrone in cui si erano imbattuti non era poi così grosso, ad occhio avrebbe detto cinquanta orchi o poco più. E molti erano finiti schiacciati sotto il masso. Tanto più che erano in una posizione di vantaggio, gli orchi avrebbero dovuto attaccarli dal basso, e questo permetteva loro di respingerli con facilità.

Fece roteare la spada, mozzando una mano a un altro orco che aveva commesso l’errore di avvicinarsi troppo. Maedhros, accanto a lui, non lasciava scampo a qualsiasi servo di Morgoth gli venisse a tiro: la sua spada era ricoperta di sangue, riducendo ogni orco a un ammasso di membra insanguinate.
D’un tratto, ci fu uno spostamento d’aria, e un orco gli saltò addosso. Il colpo fu tale che perse l’equilibrio e si ritrovò a terra, il peso dell’orco che lo schiacciava a terra, il suo volto ringhiante e le sue fauci aperte a oscurargli la visuale. Aveva ancora la spada stretta in pugno, ma non riusciva a sollevarla, non con l’orco addosso, con un pugnale ben stretto in gola.
Maglor fece cadere lo scudo, e tirò un pugno dritto in faccia alla bestia. Quello ululò e abbassò il pugnale di scatto, ma Maglor fu lesto ad afferrargli il polso.
Ormai il pugnale era troppo vicino, ancora poco e gli avrebbe trafitto il collo. Maglor riuscì a deviare la mano dell’orco, la lama andò a graffiare la cotta di maglia forgiata da suo padre, il rumore era dolorosamente acuto nei suoi timpani.
D’un tratto, l’orco cacciò un urlo, e un fiotto di sangue gli si riversò fuori dalla bocca, andando a sporcare la già insudiciata sopra-tunica di Maglor. Un ultimo spasmo, e poi l’orco gli si riversò addosso, privo di vita.
Maglor arricciò il naso, schifato, il fetore disgustoso dell’orco che gli riempiva le narici. Alzò lo sguardo: sopra di lui vi era Maedhros, la spada in pugno, il sangue dell’orco che lo aveva aggredito che andava ad aggiungersi al sangue degli altri orchi che aveva ucciso.
Maedhros tirò un calcio alla carcassa dell’orco, e lo aiutò a liberarsi. Aveva perso l’elmo in qualche momento della battaglia, i suoi capelli rossi si muovevano nel lieve vento del Nord. Maglor sperava solo che i soldati di suo zio non volgessero lo sguardo da quella parte: avrebbero potuto cogliere il bagliore delle chiome infuocate di suo fratello.
Maedhros gli tese una mano, e lo tirò su: - Avanti- gli disse. – Non è ancora finita- mormorò, andando ad indicare gli orchi che ancora stavano cercando di risalire il crepaccio.
Maglor fece un sospiro profondo, e recuperò lo scudo. Aveva ragione: non era ancora finita. Gli orchi si stavano arrampicando sui cadaveri dei loro compagni che Maglor e Maedhros avevano ucciso, altri provavano a lanciare i loro commilitoni, per vedere se riuscivano ad oltrepassare il bordo come l’orco che lo aveva aggredito.
Un orco si arrampicò oltre il bordo, rivolgendo loro un laido sorriso, le zanne grondanti bava. Maglor trattenne un’imprecazione e si lanciò verso di lui, cercando di lanciarlo oltre il bordo.
Maedhros mozzò le teste a un paio di orchi che cercavano di risalire il crepaccio, poi si fermò di colpo. Vi fu un rumore di corno, che risuonò a lungo nella stretta gola, i sassolini tremolarono per un attimo. Poi un drappello di arcieri, tutti con le insegne del sole radioso, simbolo del nuovo Re dei Noldor, si stagliò contro l’imboccatura del crepaccio sotto di loro.
Degli ordini furono urlati, gli archi furono incoccati, e una pioggia di frecce cadde sui servi di Morgoth. Per un po’, tutto ciò che si sentì nella gola furono gli ululati di morte degli orchi, sotto di loro. 
                                                                                ***
Maglor trattenne un’imprecazione. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata farsi trovare dai soldati di suo zio, parlare con loro, e invece eccoli lì, a parlamentare sotto vessillo di pace con coloro che aveva cercato di evitare in tutti quegli anni.
Il capo degli arcieri di suo zio era una donna – no, una ragazza- che poteva avere meno degli anni di suo nipote Celebrimbor. Maglor strinse gli occhi. Suo zio doveva essere proprio disperato, per arruolare nel suo esercito gente che all’epoca della ribellione dei Noldor era poco più che bambina.
Per quanto avrebbe potuto essere sua figlia, questo non impediva alla ragazza di scrutarlo con non troppo velata superiorità, come se non fosse più alto di lei, peraltro.
-Il mio signore desidera parlarvi- esordì. – Ora che la battaglia è finita, vorrebbe che mi seguiste nel nostro accampamento. Ha una proposta da farvi.
Maedhros incrociò le braccia e la guardò negli occhi: - La battaglia è finita, e noi desidereremmo ritirarci. Cosa vorrebbe mai il tuo signore da noi? Noi non vogliamo nulla da lui.
 La ragazza se la cavò piuttosto bene, di fronte allo sguardo glaciale del primo dei figli di Fëanor, che in genere aveva il potere di ammutolire gli interlocutori più incauti.
 Si limitò a distogliere lo sguardo, e a fare un passo indietro: - Ha visto che gli avete salvato la vita– continuò. – Per questo desidera parlarvi, vuole farvi una proposta che vi interesserà di certo. Non mi ha detto di più, però- esitò un attimo. – Se desiderate rifocillarvi, se ne occuperà lui, mi ha detto.

Maglor storse il naso, guardando verso Maedhros. L’ultimo suo desiderio era parlare con loro zio. Tanto più che, fedele ai Valar com’era, non ci avrebbe messo molto a consegnarli ad Eönwë, se si fosse persuaso che era la cosa giusta da fare.

-Il tuo Re è debitore nei nostri confronti- ribatté Maedhros, una volta che ebbe lanciato a Maglor un’occhiata d’intesa.

Lei annuì: -  È proprio per questo che egli desidera parlarvi, c’è qualcosa che vuole comunicarvi a questo proposito.
Maglor guardò verso suo fratello. Se loro zio aveva davvero intenzione di sdebitarsi, forse non li avrebbe traditi consegnandoli ai Maiar. C’era da vedere però cosa intendesse comunicare loro.

Usò l’ósanwë per parlare col fratello: Che ne pensi? Cosa credi che Arafinwë ci voglia comunicare? Come potrebbe sdebitarsi con noi?
Non lo so Maglor vide il fratello sospirare profondamente. In ogni caso, è in debito con noi, non potrà dunque dire all’Araldo di Manwë che siamo qui. Non se vuole davvero ricambiare il favore che gli abbiamo fatto. Possiamo dunque sentire quel che ha da dirci, se lo desidera con tanta urgenza. .

Maglor annuì. Suo fratello aveva ragione. Meglio sentire ciò che loro zio aveva da dire, piuttosto che ritrovarselo alle costole quando ne avevano meno bisogno.

Maedhros guardò verso la giovane. -Abbiamo deciso. Ascolteremo ciò che nostro zio intende dirci. Portaci dove devi.
Lei si sistemò il cinturone, a cui stava appeso un pugnale. – Molto bene. Vi porterò da mio padre. Sarà lui che vi scorterà dal Ñoldorán.
 
L’accampamento di Finarfin era vasto come Maglor ricordava, anche se decisamente meno caotico, per fortuna. Sia per l’ora tarda, sia per i venti anni di guerra che avevano logorato gli animi dei Noldor, non c’era in giro quasi nessuno, eccezion fatta per i soldati di guardia, radunati attorno ai falò per avere un po’ di calore, che quasi non li degnarono di un’occhiata. Per rischiarare la notte del nord, erano state accese centinaia di torce, che proiettavano lunghe, inquietanti ombre sulle tende colorate dell’accampamento, rese grigie e nere dal buio.

Il padre della giovane guerriera si rivelò essere il capo delle guardie di Finarfin, che Maglor conosceva di vista in Aman, quando era stato uno dei cortigiani di loro zio. Venne loro incontro circondato da un drappello di guardie, tutte con l’emblema del sole del nuovo re dei Noldor.

La ragazza si portò un braccio al petto, salutando il padre: - Atar, ho portato coloro che il Ñoldorán desidera vedere.

Il capo delle guardie – Voronnar, se Maglor ricordava il suo nome- indietreggiò, lo sguardo che si posava su Maedhros, la cui stazza era difficile da non notare, malgrado tenesse il cappuccio alzato, e sul moncherino che aveva al posto della mano destra. Poi il suo sguardo si posò su Maglor, scrutando anche lui a lungo.  
-Vedo – mormorò piano, massaggiandosi il mento. – Così sei riuscita a convincere i Fëanárioni. Non ero sicuro che … - prese un respiro profondo. – Molto bene. Li porterò io dal Re, mia cara. Il tuo lavoro qui è finito.
La giovane si inchinò, e si congedò in fretta, lasciandoli soli col padre a fissarli, con espressione grave.
-Il mio Re vi stava aspettando- mormorò. – So che vuole parlarvi, e ho visto cosa … cosa avete fatto oggi. Non pensavo che – scosse la testa. – Non avrei mai pensato che sareste stati voi a salvare la vita al mio sire.
Maglor arricciò il naso. Quel cortigiano si stava dimenticando di trattarli come si addiceva al loro rango. Non importava cosa pensasse di loro, erano pur sempre i nipoti del suo Re.
-Direi che ti conviene trattarci con rispetto – lo apostrofò Maedhros, dando voce ai suoi pensieri. – Forse ti sei dimenticato di chi siamo noi.
Voronnar li guardò, gli occhi stretti sotto la celata dell’elmo. – So fin troppo bene chi siete, così come lo sa il mio Re. Ero nella sua scorta, quando entrò in Alqualondë prima che il suo fratellastro, vostro padre, salpasse verso il Nord. Quello che ho visto quella notte mi perseguiterà in eterno negli incubi-si serrò nel mantello- quindi, non dite a me che vi devo portare rispetto. Non dopo ciò che avete fatto.
Ah, Alqualondë. Quanti anni erano passati, ormai? Curioso, come ancora gli elfi di Aman gli rinfacciassero quello, dopo tutto ciò che aveva fatto dopo.
Avrebbe voluto replicare, ma arrivò di corsa un portaordini, trafelato. – Il Re … - si fermò e prese un respiro profondo. – Ha detto che vuole ricevervi subito.
Voronnar lo guardò, ed annuì leggermente. – Andiamo, allora.
 
La tenda di Finarfin era la più grossa del campo, un alto padiglione di seta verde, su cui era innalzato il suo candido vessillo, che ora però pendeva floscio e inerte per la mancanza di vento. Un paio di guardie in armatura argentea sorvegliavano l’entrata, e una serie di torce illuminavano lo spazio tutt’attorno.
Maglor non l’aveva mai vista nel breve periodo in cui lui e suo fratello – e i gemelli, pensò con una stretta al cuore- avevano seguito l’esercito dei Valar. D’altronde, non sarebbe stato opportuno per loro mettersi troppo vicino a Finarfin.
Voronnar si avvicinò alle guardie, e sussurrò loro qualcosa che Maglor non riuscì del tutto a capire. Poi si voltò verso di loro: - Molto bene. Lasciate qui le armi ed entrate.
Maglor si era tenuto ben stretto la spada, d’altra parte non lo avevano perquisito, né avevano chiesto loro di separarsi dalle armi, e dunque aveva sperato che non gli facessero quella domanda. D’altra parte, potevano non fidarsi di loro, ma erano pur sempre ospiti di riguardo. E gli riusciva difficile separarsi da quella spada: poteva aver versato sangue innocente in abbondanza, ma era pur sempre la spada di suo padre. Aveva ripreso ad usarla, dopo aver lasciato la spada di Gondolin ad Elrond ed Elros -dopotutto erano discendenti di Turgon, spettava a loro più di quanto non spettasse a lui – ora che la usava per uccidere i servi del Nemico e non più i suoi fratelli, aveva preso un significato diverso.

-È proprio necessario? – la voce di Maedhros diede vita alle sue obiezioni.

-Sì- Voronnar sbuffò: - Non crederete davvero che vi avremmo lasciato entrare armati nella tenda del nostro sovrano, vero?

Maglor, con un’imprecazione, si slacciò il cinturone che gli teneva l’arma allacciata alla vita, e lo gettò ai piedi del Noldo. Meglio non attendere oltre, allora. – Eccola, allora. Ma trattala bene, è un’arma forgiata da mio padre, e vale più del riscatto di qualsiasi re del Beleriand.

Vide Maedhros esitare per qualche attimo, prima di levare lo spadone dalla cintura, e porgerlo a Voronnar. – Spero che a nessuno di voi salti in mente di fare qualcosa con le nostre armi.

-Ah, ma certo, che credete? – Voronnar prese le due spade e le diede a un suo sottoposto, evidentemente reticente nel vedersi affidare quelle particolari spade, ma che non osò fiatare.

-Prego, vi faccio strada- finalmente, le guardie scostarono le lance, e li lasciarono passare.

-Mio signore? – la voce di Voronnar era esitante, mentre scostava il lembo della tenda di fronte all’entrata. – I vostri … I Fëanárioni sono qui.

Nell’entrare, Maglor ci mise qualche minuto per abituarsi allo splendore dei bracieri che illuminavano l’interno, i suoi occhi abituati alla notte per qualche istante rimasero accecati. Quando finalmente poté vedere ciò che lo circondava, distinse una scrivania su cui era chino un uomo dalla corporatura snella, di cui l’unica cosa che riusciva a distinguere con chiarezza erano i capelli dorati, brillanti alla luce dei bracieri.

-Ah, molto bene- la voce di suo zio, così dannatamente familiare, fu come una pugnalata allo stomaco per Maglor. – Puoi andare, Voronnar. Me la sbrigo da solo, con i figli del mio fratellastro.
Voronnar si irrigidì di colpo: - Ma, mio signore … ne siete davvero sicuro? Non mi fido a lasciarvi qui da solo …
-So meglio di te chi sono i miei nipoti, grazie. Ora vai.
 Il capo delle guardie si inchinò frettolosamente, mormorando tra sé e sé qualche formula di congedo, così velocemente che Maglor quasi non lo capì, e girò sui tacchi salvo uscire dalla tenda il più velocemente possibile.
Finarfin scostò la sedia, e si alzò in piedi. Ora, alla luce delle torce, Maglor poteva vedere bene in faccia suo zio.

L’ultima volta che l’aveva visto era stato in Aman, poco prima che Mandos pronunciasse la sua profezia, erano passati così tanti anni da allora.
Finarfin era vestito tutto di bianco, pareva tanto uno dei Vanyar della stirpe di sua madre Indis. Non indossava alcun gioiello, nemmeno la corona del Re dei Noldor, ad eccezione di una fascetta d’oro attorno al dito medio, la sua vera nuziale. A una prima vista, al loro confronto, pareva quasi risplendere di luce propria, tra i capelli dorati e gli abiti chiari, ma Maglor poteva vedere come gli anni e i lutti subiti avessero lasciato il segno su suo zio, perfino nelle benedette ed intoccabili terre di Valinor, e la guerra aveva fatto il resto. Profonde occhiaie violacee gli circondavano gli occhi, e alcune sottili rughe segnavano la sua fronte candida.
Somigliava così tanto a suo figlio Finrod che Maglor sentì il cuore stringersi. Sicuramente suo zio non aveva dimenticato per colpa di chi Re Felagund fosse morto.

-Così siete qui- la voce di Finarfin era calma, ma non era che il riflesso della voce pacata che era stata tipica di suo zio in Aman. Maglor poté sentire il tono d’acciaio sotto quelle tre parole. -Non avrei mai pensato di trovarvi in questo modo.

-Potresti anche ringraziarci, d’altronde è grazie a noi se ora sei qui- Maedhros incrociò le braccia. – Se non avessimo visto quegli orchi, e non li avessimo uccisi, Eönwë avrebbe dovuto trovarsi un nuovo Re dei Noldor. E i tuoi eredi non sono così facili da trovare, di questi tempi.

 Finarfin sussultò quasi impercettibilmente, ma lo sguardo rimase fermo: - Infatti, sono qui per ringraziarvi, si pure a modo mio. Vi ho visti, oggi, e questo ha messo la situazione in una luce differente. Mi avete salvato la vita, e io, in cambio, voglio farvi una proposta.

Maglor allargò le braccia, e si sedette sulla sedia più vicina: - Sì, lo sappiamo. Siamo qui per ascoltarti. Qual è la tua proposta?

Finarfin sospirò, e fece tamburellare le dita sulla scrivania: - Mi chiedevo, venendo qui in Endórë, se mai sarei riuscito a trovarvi. Sono anni che vi nascondete, ho udito voci, avuto sospetti, percepito tracce … ma niente, eravate come dissolti nel nulla. E ora vi ho trovati.

Finarfin scostò la sedia e si alzò in piedi. Ora li fronteggiava direttamente: - La mia proposta è questa: ora che siete qui, rinunciate ai Silmarilli e recatevi da Eönwë. I Valar vi perdoneranno, se rinuncerete ad ogni pretesa su quelle gemme. Me l’hanno promesso, vi sarà condonato ogni crimine che avete commesso, e vi sarà concesso di ritornare in Aman, alle loro condizioni. – la voce era chiara e ferma, era davvero convinto di ciò che diceva.

Maglor guardò verso Maedhros, che aveva i denti stretti, unica reazione che si permettesse di mostrare. Lui, d’altro canto, non poté fare a meno di guardare nuovamente verso suo zio, sbalordito. Come poteva fare loro una proposta del genere? Come poteva credere che avrebbero accettato?

Maglor sentì suo fratello fare un passo avanti, e lo vide fronteggiare il nuovo re dei Noldor. Era più alto di tutta la testa di loro zio, che pure non era basso.

-Sto iniziando a credere che nostro padre avesse ragione a definirti un pusillanime, in Araman- disse Maedhros, in tono basso, ma carico d’acciaio. -Credi davvero che rinunceremmo alle gemme che ci spettano di diritto? Che saremmo capaci di abbandonare la vendetta per nostro padre? Che saremmo capaci di inginocchiarci di fronte a coloro che nostro padre disprezzava, e che non hanno mosso un dito in tutti questi secoli, mentre noi combattevamo contro Moringotto?

Finarfin serrò gli occhi, ma non parve avere altra reazione a quell’insulto. Si limitò ad appoggiarsi alla scrivania, senza perderli di vista.
-Io sarò anche un pusillanime, come dite voi- scoprì i denti. - Ma voi due siete pur sempre due Fratricidi. Solo i Valar possono giudicare i vostri crimini, la giustizia dei figli di Ilùvatar non può essere applicata a voi. E credetemi, per voi è l’unica alternativa possibile. Cosa credevate di fare, di affrontare da soli tutte le legioni di Moringotto? Lo vedo, come avete recuperato i Silmarilli in tutti questi anni. Non fosse stato per i Valar, non sareste qui.

Maglor serrò i pugni, sforzandosi di rimanere calmo. Le parole di Finarfin bruciavano come sale sulle ferite. Il sapere che, dopo tutto ciò che avevano passato, dopo tutti i sacrifici e tutte le perdite, se erano lì, più vicini ai Silmarilli di quanto non fossero mai stati, era stato solo ed esclusivamente ad opera dei Valar, lo riempiva di un furore cieco, e di un dolore sordo.

Ma l’offerta di loro zio era pura follia, in qualunque modo la si vedesse: il giudizio dei Valar non poteva comunque liberarli dal giuramento. Solo Eru avrebbe potuto togliere loro quel fardello, aveva detto Fëanor.

Maedhros incrociò le braccia: - Molto caritatevole da parte tua, dunque, zio. Non che ciò ci sia ugualmente d’aiuto. Il nostro Giuramento non può essere sciolto se non da Eru in persona, non hai sentito Mandos? Dovresti averlo fatto, visto che è poco dopo aver udito la sua profezia, che te ne andasti- Finarfin serrò i pugni, ma non disse nulla. -È questa, dunque, la tua offerta? Una ben misera offerta, per averti salvato la vita.

Finarfin lo guardò. I suoi occhi grigio chiaro parevano brillare come una lama d’acciaio, nella pallida luce della tenda. Incrociò le mani dietro la schiena e fece un passo indietro, per squadrarli meglio: - Non vi conviene insultarmi e rifiutare la mia offerta in questo modo, gettandomi addosso il vostro disprezzo, nipoti. Ringraziate che mi avete salvato la vita, o se foste caduti nelle mie mani, se fossi riuscito a catturarvi di per me anziché patteggiare un incontro, vi avrei consegnato in ceppi all’ Araldo di Manwë senza pensarci due volte. Vi ho già concesso molto più di quello che vi meritereste, a causa delle circostanze. Credete che mi sia dimenticato per causa di chi è morto Findaráto?

-Se volevi vendicare tuo figlio, hai preso i fratelli sbagliati- non poté fare a meno di ribattere. Lui era innocente per la morte di Finrod- almeno quella, era una colpa che non doveva attribuirsi.

Finarfin lo guardò dritto negli occhi. Maglor vide nel suo sguardo tutta la stanchezza, tutta la disperazione, tutto l’orrore che suo zio si portava dentro: - Io non voglio vendetta, per mio figlio. Io voglio solo giustizia.

-Molto bene- la voce di Maedhros era fredda come i ghiacci dell’Helcaraxë. – Allora fa’ pure il bravo cane, e consegnaci ai tuoi padroni. Nemmeno loro potrebbero liberarci dal Giuramento, comunque. Nessuno può, a parte Eru. E se i tuoi signori credono di poter prendere i Silmarilli, le nostre gemme, così facilmente, non sono che una massa di ladri, come mio padre ha sempre detto.

-Giusto, perché Fëanáro ha sempre ragione- Maglor vide un lieve ghigno increspare le labbra pallide dello zio. Non poté trattenere un fremito di inquietudine. Anche Finarfin era cambiato, eccome, se era cambiato. E Maglor dubitava che quel cambiamento fosse a loro favore.

-Fëanáro- Finarfin ripeté quel nome, rigirandoselo sulla lingua. La sua intonazione suonò quasi disgustata alle orecchie di Maglor, anche se poté avvertire una grande, profonda tristezza dietro. -Già, io non sono lui, e non lo sarò mai, come mi è già stato fatto notare. Non siete i primi che credono di giudicarmi, solo perché non sono come i miei fratelli. Ma anch’io so essere spietato quando voglio.

Maedhros serrò gli occhi. Fece per ribattere, ma Finarfin lo anticipò.
-Comunque, non vi consegnerò ai Valar, non così. Checché ne diciate voi, io mantengo le mie promesse, e so di essere in debito con voi per quanto successo oggi. Non posso, dopo avervi invitato nella mia tenda con l’offerta di discutere pacificamente, tradirvi e consegnarvi alle Potenze. Arafinwë Finwion è un uomo di parola, almeno questo. D’altra parte, devo pur essere altro, oltre a un codardo, no?

Maglor lo guardò negli occhi: - Volevo sperare che non intendessi consegnare il sangue del tuo sangue ai servi dei Valar. Ti dirò, sembri disposto a fare qualsiasi cosa pur di metterti la coscienza a posto.

-La coscienza a posto?  Io?  – Finarfin appoggiò i palmi delle mani alla scrivania. – Voi avete la minima idea di cosa avete fatto ad Alqualondë? Non avete il minimo rimorso per ciò che avete fatto? Non v’importa del sangue che vi siete lasciati a dietro? – serrò il pugno, guardandoli con occhi spiritati.

Maglor tirò un respiro profondo. Quella maledetta notte ad Alqualondë, la notte dove il loro destino era stato segnato, era qualcosa che avrebbe preferito dimenticare. A volte gli sembrava distante ed irreale come un incubo, tanti erano gli anni che erano passati, ma quando credeva di aver seppellito dentro di sé quei momenti d’orrore, quando credeva di essere riuscito a superare il senso di colpa che gli suscitava il pensiero di ciò che aveva fatto, ecco che ritornavano a ricordargli che non era così, che il Primo Fratricidio avrebbe pesato per sempre sulla sua anima.
La visione dei moli candidi di Alqualondë ricoperti di cadaveri, del mare diventato rosso per il sangue versato, delle strade di perle devastate per la violenza dello scontro, e dei fumi dei roghi che avevano visto fin da Araman, l’aveva perseguitato a lungo negli incubi, e non avrebbe mai smesso di farlo.
Non rispose. Non aveva le parole per farlo, e Finarfin non avrebbe potuto capirlo.
Calò il silenzio per qualche attimo. Poi Finarfin serrò il pugno, e lo poggiò sulla scrivania.

-I Teleri forse non si riprenderanno mai, dalle ferite che gli avete inflitto. Mandos ha promesso di far uscire dalle sue Aule coloro che sono caduti, e che non meritano di penare ancora a lungo, non appena questa guerra finirà, ma nulla, nulla, potrà lavare via ciò che avete fatto. Ci sono voluti anni, prima che Eärwen tornasse a parlarmi di nuovo.

Contrariamente a quanto pensava Maglor, Maedhros parlò: - Anche noi abbiamo subito delle perdite, zio. Nostro padre è morto, così come Tyelko, e Curvo, e Moryo, e gli Ambarussa, ora nessuno di loro è più. I tuoi preziosi Teleri sono soddisfatti per avere avuto la loro vendetta, ora che la nostra casa è decimata? Cos’altro vorresti fare?
-Io vorrei solo che tutto questo sangue non fosse mai stato sparso- Finarfin serrò il pugno. – Ma io non posso far tornare indietro il tempo. Tutto ciò che posso fare è assicurarmi che niente del genere accada in futuro, mai più. Ho visto fin troppo sangue in questi ultimi anni, nipote. Ne sono stanco. Forse tu te ne sarai abituato, immagino, ma io no. E non me ne abituerò mai.

-Infatti è per questo che vogliamo i Silmarilli – Maglor si sforzò di non far tremare la voce per la rabbia. Era stanco, così stanco, che lo accusassero di essere un Fratricida. – Non vogliamo versare più sangue, eccetto quello dei servi di Moringotto, che sarà necessario. A quel punto saremo liberi. Non capisci, zio?

-La giustizia dei Valar vi assicurerebbe ugualmente la libertà – Finarfin fece tamburellare le dita sul tavolo. – Avete giurato in nome di Eru, e i Valar fanno capo a Lui. Non ci sarà bisogno di portare a compimento il vostro maledetto giuramento, se fate ciò che vi diranno loro.

Maedhros scosse la testa: -Sei troppo fiducioso, zio. E credi che i Valar avranno pietà di noi? Così come l’hanno avuta di nostro padre, o dei nostri fratelli? Non ci inchineremo mai di fronte a chi ha permesso la loro morte.

-Credi davvero che i Valar siano tanto crudeli? – Finarfin aggrottò le sopracciglia bionde, guardando negli occhi il nipote. I suoi occhi grigi scintillarono alle fiamme delle candele, lo sguardo di Finwë sotto la chioma di Indis.

Maedhros rise piano, una risata priva di qualsiasi gioia: -Non sei tu che sei stato catturato da Morgoth, che hai visto quello che si cela nei suoi abissi orrendi, che sei stato torturato dai suoi luridi servi, e che ti ha lasciato appeso ad invocare la morte sulle sue maledette montagne, ti pare? E che quando finalmente è arrivato il tuo salvatore, è stato solo questione di tempo prima di vedermelo morire davanti, senza poter fare nulla per impedirlo, così come non hai potuto far nulla per impedire la morte di tuo padre e dei tuoi fratelli? No.

-Curioso che mi parli delle perdite che hai subito, nipote. – la voce di Finarfin era dura come l’acciaio. – Quando forse ti sei dimenticato delle perdite che ho subito io. Finwë era anche mio padre. Mio fratello è morto schiacciato dai piedi di Morgoth. I tuoi fratelli hanno complottato contro mio figlio, e l’hanno mandato alla morte. Findaráto uscirà da Mandos per il volere di Námo, non così Ambaráto. E nulla i Valar mi hanno ancora detto di Angaráto. Non ti conviene fare la conta delle morti subite, nipote. È indubbio che tu abbia sofferto, ma non sei l’unica persona di Arda. Non in questa era, non dopo tutto ciò a cui le azioni di tuo padre hanno portato.
Maglor vide il fratello serrare gli occhi, e scoccare a loro zio un’occhiata colma d’odio, ma non disse nulla. Maglor incrociò le braccia sul petto, Finarfin si stava rivelando un osso molto più duro di quanto lui e suo fratello avessero pensato. Per via della pessima opinione che suo padre aveva dei suoi fratellastri, non aveva mai avuto molta considerazione dei suoi zii, benché fosse stato amico dei suoi cugini, in Aman, e ora si chiedeva se non li avesse sottovalutati fin troppo. Era una domanda che si era posto già fin da quando avevano scoperto che Fingolfin era riuscito ad attraversare l’Helcaraxë.

-E allora puoi consegnarci ai Valar, se proprio ci tieni tanto a vendicarti. – le parole gli uscirono spontanee, ma era disposto a provare qualsiasi cosa. – Ma in tal caso, saresti un traditore che non rispetta le promesse fatte. Non saresti tanto migliore di noi.

-Allora non riuscite proprio a capire- la voce di Finarfin si abbassò. Fece alcuni passi indietro, e si sedette nuovamente alla scrivania. – Non ha importanza. Voi non avete alcun rispetto per ciò che riguarda Eru e i Valar, avete sfidato qualsiasi autorità delle Potenze e non vi curate del loro volere. Ma voglio sperare che ci sia ancora qualcuno a cui tenete, ancora qualcuno di cui vi importa e che non desideriate vedere soffrire. – Finarfin tamburellò delicatamente le dita sul ripiano della scrivania. – Qualcuno come vostra madre, per esempio.

Maglor sentì il cuore saltargli improvvisamente in gola. Prima che avesse anche solo il tempo di dire qualcosa, Maedhros aveva già replicato, la voce dura e tagliente come una lama d’acciaio, gli occhi fiammeggianti: -Cosa intendi dire? Cosa le avete fatto, voi maledetti bastardi?

-Nulla- malgrado la reazione del nipote, Finarfin riuscì a mantenere l’autocontrollo. L’unico segno di cedimento fu il profondo respiro che prese, e l’appoggiarsi allo schienale della sedia: piccoli dettagli, ma che non sfuggirono all’occhio attento di Maglor, abituato a gente come Maedhros e Curufin, che avevano un controllo assoluto sulle proprie emozioni. – Credi che i Valar sarebbero capaci di fare qualsiasi cosa a Nerdanel? Io, mia madre e dama Anairë abbiamo cercato di starle vicino, di offrirle quanto conforto potevamo, ma forse nemmeno il potere di Irmo può lenire del tutto la sua pena- sospirò dolente, intrecciando le dita delle mani, mentre una lieve ruga gli appariva tra le sopracciglia.
Maglor strinse i denti. Le parole di suo zio avevano riaperto dentro di lui una ferita che non si era mai rimarginata. Erano anni che cercava di non pensare a sua madre, era un ricordo che non gli causava che dolore.
E ora, suo zio gli aveva gettato nuovamente in faccia tutto quello che a cui aveva cercato di non pensare in tutti quegli anni. Non poteva sopportare che l’idea che sua madre soffrisse, che fosse piegata da un dolore troppo grande, proprio lei che era sempre stata così forte.
E soprattutto non poteva sopportare che lei soffrisse per causa sua.
Si ricordò del fabbro che gli aveva detto che sua madre si trovava a Lórien. Se nemmeno Irmo poteva curare la sua pena, a chi altro mai avrebbe dovuto rivolgersi? Forse a Nienna, la signora del cordoglio, a cui stava a cuore la sorte di coloro che avevano subito dei lutti?
-Le hai parlato? – le parole gli uscirono, prima anche solo che potesse pensare di dire qualsiasi cosa.
Finarfin annuì: - Sì, mi ha parlato poco prima che partissi. Mi ha implorato di trovarvi, e di … - esitò un attimo, guardandoli negli occhi. – Di fare qualsiasi cosa per riportarvi a casa. E io gliel’ho promesso.
Maglor sostenne lo sguardo dello zio, l’unico segno del proprio nervosismo fu l’intrecciare le dita tra loro dietro la schiena. Si chiese se avesse davvero intenzione di tradirli. Ne sarebbe stato capace, se avesse ritenuto il proprio compito di adempiere alla promessa fatta e ai doveri che aveva nei confronti dei Valar superiori al disonore che gli sarebbe derivato ad infrangere una tregua.
Quanto a lui, non poteva non ammettere che quelle parole non lo avessero toccato. Rivedere sua madre, farle sapere che stava bene, poterla finalmente riabbracciare e chiederle perdono per quello che aveva fatto - mai, mai avrebbe chiesto perdono ai Valar. Ma a Nerdanel sì- era una delle cose che più desiderava al mondo. E sapere che dopo tutto ciò che avevano fatto, che dopo tutti quegli anni, dopo che loro madre era sicuramente venuta a sapere dei Fratricidi, ancora lei desiderasse e sperasse nel loro ritorno, al punto di pregare Finarfin, lo colpì tanto che gli ci volle qualche attimo prima di recuperare il controllo delle proprie emozioni, che dovette chiudere gli occhi per qualche istante per soffocare le lacrime sul nascere. Fece un profondo respiro, serrando le dita ad artiglio dietro la schiena.
Finarfin li guardava, come se aspettasse da loro una reazione. Maglor si voltò a guardare verso Maedhros. Anche lui doveva essere stato toccato dalle parole dello zio, perché aveva il volto bianco e rigido come una maschera di sale, e gli occhi erano vacui, come se non riuscisse bene a mettere a fuoco l’ambiente circostante.
-Abbiamo un giuramento da rispettare- alla fine, la voce di Maedhros risuonò alta e potente nella tenda. Incrociò le braccia sul petto, e guardò negli occhi lo zio. -E nostra madre lo sa.
Finarfin si alzò in piedi nuovamente. I suoi occhi grigio chiaro li scrutarono da capo a piedi, le mani incrociate dietro la schiena. La luce dei bracieri dietro di lui sembrava far splendere i suoi capelli d’oro e i suoi abiti bianchi contro lo sfondo scuro della tenda, reso nero dalla notte.
Alla fine parlò. – Quindi sareste capaci di lasciare l’ultima persona che vi ama sulla superficie di Arda, dopo che vi ha pregato di tornare da lei, senza alcun ripensamento? Quando forse i Valar potrebbero liberarvi dal giuramento?
-Allora non hai sentito una parola di ciò che abbiamo detto- la voce di Maedhros riusciva ad essere calma e serena, malgrado Maglor sentisse l’acciaio sotto di essa. -Noi torneremo da nostra madre. Ma senza che tu ci trascini in catene davanti ai tuoi padroni, o senza che ci inginocchiamo di fronte a loro per avere qualcosa che ci appartiene di diritto. Ecco, ciò che non capisci.
Finarfin serrò gli occhi: - Cosa credi, nipote, che non sarà anche per merito dei Valar se riuscirete a recuperare le gemme del mio fratellastro? La mia offerta non vi sembra abbastanza vantaggiosa? Voi ritornate in Aman da vostra madre, nessuno vi torcerà un capello, e sarete liberi dal giuramento.
Maglor chiuse gli occhi. Una parte di lui desiderava così tanto rivedere sua madre, risentire la sua voce, lasciarsi abbracciare da lei e poter nuovamente sentire la fragranza dei suoi capelli rossi. Forse addirittura gli avrebbero nuovamente concesso di vivere in Tirion, là dove era nato, sul colle di Tùna dove le bianche mura della città spiccavano contro il verde dei boschi. Forse addirittura sua moglie sarebbe riuscita a tornare in Aman – dopotutto lei non aveva fatto nulla di male- e avrebbero potuto nuovamente incontrarsi, lui avrebbe potuto parlarle e chiarirsi e sperare che lei lo perdonasse per tutti quegli anni di incomprensioni e solitudine …
Si riscosse violentemente da quelle fantasticherie. La realtà era ben diversa: si trovava su un campo di battaglia, nel bel mezzo di una guerra che durava da anni e che chissà per quanto sarebbe andata avanti, con un Giuramento da rispettare come sua unica certezza, e il peso di tante, troppe colpe sulle spalle, colpe che nemmeno i Valar e la loro stucchevole pietà avrebbero potuto cancellare.
Alzò gli occhi su Finarfin, le sopracciglia aggrottate, la fronte solcata da un’unica ruga.
-Allora io non so più che dirvi- aveva la voce d’acciaio. – Se siete così determinati, se davvero credete che voi due da soli sarete in grado di strappare i Silmarilli a Moringotto, ora che non avete più un esercito, ora che non avete più un alleato … Beh, cosa vi posso dire? Andatevene, e non mi resta che sperare che non andiate incontro a una fine troppo crudele. Vi auguro ogni bene, e spero solo che questa vostro rifiutare la mia offerta non vi si ritorca contro.
-Risparmiaci i tuoi pietismi- replicò Maedhros. – Rifiutiamo la tua offerta, e tanto ti basti. Ridacci le nostre armi, e lasciaci andare.
-Come desiderate. Io non ho più nulla da dirvi. – con un sospiro, Finarfin tornò nuovamente a sedersi sullo scranno, le mani avvinghiate ai braccioli di legno. – Tutto ciò che desideravo era risparmiare un ulteriore dolore a vostra madre. Ha già avuto abbastanza di cui soffrire.
Maedhros lo fulminò con gli occhi: - Pensa alla tua famiglia, caro zio, e noi penseremo alla nostra.
Finarfin sorrise amaramente: - È ciò che vorrei, caro nipote. Corrono voci della presenza di Artanis in questi luoghi, ma non l’ho mai vista in tutti questi anni.
Maglor lo guardò. Non desiderava ascoltare altre parole ingiuriose, quella conversazione lo stava logorando, gettando nuovo sale su ferite che non avevano mai cessato di sanguinare del tutto. Ma credeva che sua cugina si fosse ricongiunta al padre: Artanis non era tipo da tirarsi indietro, quando c’era da combattere.
-Davvero? – chiese, facendo un passo avanti, verso la scrivania dello zio. -Niente in tutti questi anni?
Finarfin esitò: - Le ultime notizie che ho ricevuto di lei la volevano alle Bocche del Sirion, ma è stato prima che voi … - non finì la frase, ma l’accusa aleggiò per l’aria, non detta, come un fantasma. – Mi è stato detto che lei e il suo marito Sinda sono riusciti a fuggire dal massacro del Doriath, portandosi dietro la nipote di Lúthien.
Maglor sentì il cuore sobbalzargli nel petto, per la seconda volta in quella serata da quando suo zio aveva nominato Nerdanel. Sapeva che Artanis era nel seguito di Melian, e che aveva sposato uno dei lontani parenti di Thingol, ma non aveva più saputo nulla di lei, anche se aveva intuito che si fosse salvata.
Ma ora, veniva a sapere che era stata lei a salvare Elwing.
Elwing che portava con sé il Silmaril che loro erano venuti a recuperare, per cui avevano versato tutto quel sangue, che era costato loro la vita di Moryo, di Curvo, di Tyelko, salvo scoprire che non era più lì.
Strinse i denti. Artanis lo sapeva, ne era certo. Sua cugina doveva aver saputo benissimo di star portando via dal Doriath il Silmaril, e con esso l’unica erede di Thingol rimasta.
Doveva aver saputo che loro non avrebbero trovato nulla, una volta giunti in Menegroth.
Le sue mani si strinsero a pugno, e chiuse gli occhi per un attimo. Gli balenò per qualche istante, sotto le palpebre abbassate, l’immagine che gli si era parata di fronte quando era entrato nella sala del trono di Thingol, per annunciare a Maedhros che avevano fallito, che il Silmaril non era più lì: i corpi privi di vita dei suoi fratelli, ancora sdraiati sul pavimento, là dove il loro sangue era stato versato. I soldati di Maedhros avevano posto il corpo di Moryo accanto ai suoi fratelli, stesi a fianco a fianco. Ricordava ancora i capelli argentei di Tyelko macchiati di sangue secco, quegli stessi capelli che Nerdanel aveva così tanto amato pettinare quando era piccolo, il torace snello di Curvo infilzato dalle frecce degli arcieri Sindar, che aveva messo di alzarsi ed abbassarsi al ritmo del respiro, per sempre, il volto pallido e rigido di Moryo, e le sue labbra rese livide dalla morte. Sentì il cuore battere forte per la rabbia, una parte di sé avrebbe voluto gridare.
Sei contenta, ora, Artanis? , pensò. Ritieni di aver avuto la tua vendetta per la morte di Findaráto? Ebbene, l’hai avuta. A quale prezzo, però.
-Quindi è stata lei a far sì che Elwing fuggisse – si ritrovò a sputare fuori quelle parole, senza quasi accorgersene. Alzò lo sguardo verso il fratello, che aveva gli occhi sbarrati, le labbra serrate e ridotte a una linea sottile. Sapeva a cosa stava pensando, esattamente ciò a cui lui stava pensando: i loro fratelli, stesi morti sotto l’ampia volta di pietra di Menelrond, il loro sangue a macchiare le candide fontane e i mosaici di animali e piante della sala del trono di Thingol.
E a ciò che aveva fatto in seguito alla loro morte.
Ti sei pentito di ciò che hai fatto inviò quel pensiero al fratello, anche prima di riuscire a ragionare un attimo. Ma lo sguardo vuoto di Maedhros lo fece agire d’impulso. Hai fatto tutto ciò che potevi per rimediare. Quello che hai fatto per Elrond ed Elros, quello che hai dimostrato a Gil Galad … Te ne prego, non lasciare che questi fantasmi ti perseguitino ancora. Ti prego.
Per un attimo, Maglor vide il fratello serrare le palpebre, il pugno stretto tremare convulsamente. Ma non fu più che un battito di ciglia, il momento dopo, Maedhros aveva riacquistato la sua calma glaciale.
-Sono lieto di sapere che Artanis è riuscita a fuggire- il tono di Maedhros era neutro, nel pronunciare quelle parole, come se davvero non gli importasse nulla. -Spero vi incontrerete presto, zio.
Finarfin non rispose, voltava ancora loro la schiena. – Già- mormorò infine. – Lo spero anch’io.
Nella tenda calò il silenzio, l’unico rumore che si udiva era lo scoppiettare delle braci e il crepitare delle fiamme. Fuori, lo stendardo sbatteva contro l’asta della bandiera.
Maedhros incrociò le braccia dietro la schiena: -Dunque, darai la tua parola?
-La mia parola per cosa, per dire che non vi ho visto? – Finarfin si voltò di scatto. – Cosa mi credete, esattamente? So che probabilmente sarebbe la cosa migliore, che se vi consegnassi ad Eönwë metterei a tacere i miei sensi di colpa … - scosse la testa. – Ma voi stessi mi avete proposto una tregua. Non sono tipo da rompere le promesse. Non così, almeno – serrò le palpebre, per qualche momento. – Cercate di fidarvi di me, anche se so che vi è difficile. E ora, andatevene, prima che mi penta di ciò che sto facendo.
-Credimi, te ne saresti pentito molto di più se ci avessi consegnato ai Valar. tienilo a mente, zio. E non dimenticarti della promessa.
Finarfin non rispose. Semplicemente si sedette, lo sguardo perso nel vuoto, le dita che tamburellavano sulla scrivania, come se loro non fossero più lì.
Maglor fece per dire qualcosa, ma Maedhros lo fermò. – No, lascia perdere. Ormai non è più affare nostro. – Maglor annuì, ma non perse di vista lo zio, mentre Maedhros scostava il telo di fronte all’entrata, ed usciva dalla tenda.
Sarebbe stata quella, la sua ultima immagine di Finarfin: seduto sul suo scranno, le spalle lievemente incurvate, gli abiti bianchi e i capelli dorati brillanti nella semioscurità, senza prestare più attenzione a ciò che lo circondava. Una lieve, fioca luce in un mondo di tenebra.
Maglor fece un respiro profondo e scostò le tende, seguendo il fratello nella notte.

NOTE:

ok, so che molti non si aspettavano una comparsata di Finarfin, non dopo King of Thorns, ma ecco, boh, si è praticamente infilato da solo nella storia XD
Artanis che salva Elwing: nel canon non viene detto niente del genere (o meglio non esplicitamente), e quindi è un head canon bello e buono (grazie Melianar!), ma mi è parso piuttosto verosimile, se pensiamo che a) stando alle timeline, Elwing doveva avere circa tre anni al tempo della rovina del Doriath, e b) Galadriel si trovava nel Doriath all’epoca. Non ci viene detto nulla di lei, a parte il fatto che sia sicuramente riuscita a scamparla, ma conoscendo Galadriel non mi sorprenderebbe che avesse davvero fatto una cosa del genere. 
Nella HoME ci viene detto che Finrod Felagund fu il primo degli Esiliati a tornare dalle Aule di Mandos, dopo che era calato il Bando (immagino dopo la Guerra dell'Ira), invece nella Atrabeth Finrod a Andreth ci viene detto che Aegnor, terzo figlio di Finarfin, rimase di sua spontanea volontà nelle Aule di Mandos. Di Angrod non si sa nulla, ma non avendo commesso gravi crimini, immagino non ci sia stato motivo per trattenerlo a Mandos!
Voronnar: significa pressapoco "Fuoco Fedele", si ringrazia davvero tanto Tyelemmaiwe ! bene, mi scuso per l'enormità del capitolo, e per il ritardo! spero vi sia piaciuto, dunque!
Feanoriel 

   
 
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