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Autore: Atricapilla    16/07/2016    0 recensioni
[Forest of Drizzling Rain]
Qual è la storia di Sakuma? Cosa le è successo prima che incontrasse Shiori, la nostra protagonista? Come ha conosciuto gli altri personaggi?
Genere: Angst, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Nessuno mi capisce. Tutti mi prendono in giro perché gioco a fare l'adulta. Ma io non sto giocando. Io sono così. Non mi piace essere considerata una bambina, e neanche obbedire a qualcuno. Voglio pensare con la mia testa.

Nonostante i miei sforzi, non riesco a farmi degli amici. Una volta c'era qualcuno che consideravo un'amica: Tsuko.
Ci siamo conosciute per caso, eravamo compagne di banco. È stata lei ad attaccare bottone per prima, e io ho risposto volentieri.
Facevamo tutto insieme: andare al bagno, fare i compiti,  mettersi in fila per due durante le visite scolastiche, condividere la stanza nelle gite, a volte persino dormire insieme...
Ma resistì solamente un anno. In un giorno di temporale, stavamo tornando da scuola e condividevamo il mio ombrello. Io le avevo detto qualcosa, non mi ricordo cosa, e lei si fermò e mi guardò:
"Non ti sopporto più."
Allora anch'io mi fermai, l'ombrello in mano, la bocca chiusa. All'inizio non sapevo neanche se scherzasse o no. Poi ho guardato il suo viso: era in lacrime.
"Ho cercato di resistere" continuò, "ma non ce la faccio più. Essere tua amica è è troppo doloroso."
Io non volevo perderla. Non volevo perdere l'unica amica che avessi mai avuto.
"Mi dispiace" mormorai. "Non mi ero accorta che stessi soffrendo."
Il mio tentativo di riconciliazione fallì miseramente. Tsuko mi spinse buttandomi a terra, sull'asfalto bagnato. "Non serve a niente dire così!" gridò. "Pensano tutti male di te! Non voglio più vederti!"
Detto questo, corse via.
Io rimasi lì seduta, il didietro dolorante e i vestiti tutti sporchi e fradici. Non mi resi neanche conto della mia condizione, tanto ero colpita da quello che era successo.
Già... io sono troppo rigida... ho un brutto carattere... e guardo tutti dall'alto in basso... ma ciò non significa che non ho diritto ad avere degli amici... qualcuno che mi voglia bene e che allo stesso tempo mi rispetti...
Appena mi ripresi dai miei pensieri, mi guardai intorno. I passanti mi guardavano tutti male. Vedendo ciò, mi salirono le lacrime agli occhi. Raccolsi l'ombrello da terra, mi alzai e corsi via.

Neanche a casa mi capiscono. Appena dico o faccio qualcosa che a loro non va bene, mi picchiano. Spesso andavo a scuola che avevo ancora i lividi dalla sera precedente. È addirittura successo che i professori mi convocassero perché convinti che avevo partecipato a chissà quale rissa, e appena io raccontavo loro la verità davano la colpa a me, perché sono "indisciplinata".
Ma nonostante le botte, non ce la faccio. Non riesco ad evitare di impormi, di dire la mia.
Perché fanno così? Perché mi trattano tutti così?
Che cosa ho fatto di male?

Ho scoperto un luogo meraviglioso, di recente. Una sorta di museo.
Un giorno di sole, ero venuta a sapere il mio risultato in una verifica: zero. Non mi era mai capitato prima di allora. Avevo paura di prenderle dai miei. Ero sicura che mi avrebbero picchiato pesantemente e messo a digiuno per due giorni, come minimo... perciò ho cambiato strada, ho cercato di evitare l'inevitabile il più possibile. 
Camminando per un po', ho visto una reggia colossale, e mi incuriosii. Mi avvicinai all'entrata e notai una piastra in metallo attaccata sul muro. "Museo del Villaggio di Azakawa", riportava.
La mia curiosità si tramutò in interesse. Varcai il pesante portone in legno.
Un ampio atrio mi diede il benvenuto: alla mia sinistra, un qualcosa che sembrava un soggiorno; alla mia destra una sorta di ufficio improvvisato. Ebbi l'impressione che quel posto fosse stato una casa abitata, tanto tempo fa.
Imboccando un breve corridoio proseguii in avanti e mi ritrovai in una piccola biblioteca. Mi feci scappare un sussulto di meraviglia.
Dio, amo i libri. Ti raccontano le storie più belle, le cose più interessanti, senza che tu debba ricambiare o giustificarti. A loro non importa chi sei, gli importa solo che tu li legga. E ciò è quel che feci nelle segunti ore, finché non sentii dei passi provenire dall'entrata. In tutta fretta rimisi a posto il libro che stavo leggendo e mi precipitai per le scale che portavano al piano di sopra.
Una volta finita la rampa di scale, girai a sinistra, salii altre scale e scelsi una stanza a caso nascondendomici dentro. Aspettai qualche minuto dietro a una libreria, il cuore che batteva all'impazzata sia per la corsa sia per la paura di essere scoperta, ma il silenzio permeava le pareti, così dedussi che chiunque fosse quella persona non mi aveva nemmeno visto.
Per fortuna c'erano dei libri anche lì, perciò aspettai un'altro po' leggendone uno, accucciata vicino alla libreria, la schena al muro. A un certo punto alzai lo sguardo in direzione della finestra, e capii che ero rimasta in quel museo molto più di quel che pensavo. Mi avvicinai alla porta e la aprii con cautela. Mi guardai in giro, e non vedendo nessuno sgattaiolai giù di sotto e uscii dall'edificio, verso casa.
Avrei preferito rimanere lì, pensavo mentre inspiravo a pieni polmoni l'aria fredda e frizzante della notte. Ma dovevo tornare a casa, erano comunque i miei genitori, si sarebbero preoccupati (a modo loro), dovevo andare a scuola.
Oh, quanto avrei voluto passarci la notte. Anzi, il resto della mia vita.

I giorni che seguirono, invece, succedeva spesso che io rimanessi al museo per giorni interi, e a volte ci pernottavo pure. Qualche giorno saltavo addirittura la scuola. Era come essere in paradiso, con tutti quei bellissimi libri... tralasciando l'agente di polizia Mochizuki, che ogni volta che mi vede nei paraggi mi riempie di grattacapi e raccomandazioni, e la guardia notturna, ovvero il manager. Lui sì che è un tipo strano. Suga, lo chiama il signor Mochizuki. Vestito tutto di nero, sulla ventina di anni, pallido come la morte. Per qualche strano motivo non riesce a parlare, perciò usa dei biglietti su cui scrive per comunicare. La prima volta che lo incontrai ero spaventata a morte: quell'arma blu fosforescente che si portava al fianco pareva assai pericolosa. Ma appena si era avvicinato a me, tirò fuori un biglietto e ci scrisse sopra:
"torna a casa per favore"
Non ci fu stato verso di fargli cambiare idea, così ero costretta a tornare a casa prima. Da allora cerco di evitarlo il più possibile se rimango oltre l'orario di chiusura, anche perché di notte quel tizio mi mette addosso una strizza che neanche le montagne russe.

Soprattutto una notte che, come al solito, cercavo una stanza in cui appartarmi, e stavolta andai nell'ala destra del secondo piano. Il problema era che una volta entrata e passatoci tutto il pomeriggio e tutta la sera, sentii qualcuno avvicinarsi dall'altra parte della porta. Allora mi nascosi dietro lo scaffale più lontano, pregando che non varcasse la soglia. Invece un tintinnio di chiavi mi giunse alle orecche, seguito dallo scatto della serratura. Ero stata chiusa dentro!
Ero disperata. Non potevo gridare aiuto perché altrimenti il manager mi avrebbe scoperto. Non sapevo cosa fare. Quando si allontanò, cercai di aprire la finestra, ma era chiusa molto saldamente. Ormai mi ero messa nell'idea di rimanere rinchiusa in quella stanza per molto tempo.
Finchè non sentii dei passi. Non erano di Suga, erano più leggeri e lenti. Lo sconosciuto tentò di girare il pomello della porta, senza successo. Ciò fece tremare le mie mani.
-Ehm, chiedo scusa...-
Una voce delicata e gentile si alzò appena, camuffata ulteriormente dal legno della porta. Suonava come la voce di una ragazza. Decisi che forse potevo fidarmi.
-...chi è?- mi azzardai a domandare, la gola leggermente bloccata per l'ansia. 
-Io, ehm... Come dire... Sono venuta qui perché c'è qualcosa che voglio sapere.-
Sapere cosa? Boh, non mi importa. L'importante per me era uscire.
-Non sei il manager?- le chiesi. Non avendolo mai sentito parlare, pensai che non fosse una domanda così scontata.
-Ehm, ecco... Diciamo che lo sto cercando. Ehm, sei per caso tu? Il manager?-
-Uh, no.-
Mi massaggiai la fronte. con tre dita della mano. Che domanda stupida. Anche se il manager di un vecchio museo fosse una scolaretta, non arriverebbe a chiudersi per sbaglio dentro una stanza. Cominciavo ad infastidirmi.
-Ora, aiutami ad uscire.-
-Eh?-
La sua lentezza di comprendonio mi irritava sempre di più.
-Mi sono nascosta qui e non riesco ad uscire.- insistei.
-Cosa? Come faccio? È stato lui vero?-
-Non lo so. Infatti, non voglio che mi trovi.-
-Allora dovrei chiamare la polizia?-
Lo spavento mi percorse il corpo come una scossa. Subito mi precipitai alla porta, battendo le mani.
-No! Intendi l'agente Mochizuki?! Non farlo! Morirò se lo chiami!-
-A-allora... Cosa faccio..?-
La ragazza sembrava a disagio. Rimasi in silenzio per un attimo, cercando un qualcosa, qualsiasi cosa che mi possa aiutare. Notai un foro nel muro, in basso. Prima, nel panico, avevo cercato disperatamente frugato nei cassetti e, a parte scartoffie e alcuni strani gioielli, avevo trovato una chiave, anche se non era quella giusta. Probabilmente me lo ero dimenticata in mano per tutto il tempo, a causa dello shock. Mi chinai e la gettai al di fuori del buco.
-Usa questa, e cerca la chiave per questa stanza.- le spiegai.
-Ah... d'accordo.-
Piccoli passi si allontanarono nella direzione da cui erano venuti. Una leggera sensazione di benessere nacque dentro di me: stavo già cominciando ad affezionarmi a quella sconosciuta.

E ora eccomi qui, a parlare del più e del meno con Shiori, la mia salvatrice, nonché nipote del legittimo proprietario del museo. Non capivo perché, ma sentivo un profondo affetto nei suoi confronti: il suo carattere e il suo aspetto erano dolci e gentili così come la sua voce, e mai l'avevo sentita proferire alcun giudizio o critica, cosa che mi piacque molto di lei. Potevo fidarmi ciecamente di lei, sentivo che con lei ero molto in confidenza e potevo parlarle di tutto, tanto che spesso la chiamavo inconsciamente "onee-san", sorellona.
Anche l'agente Mochizuki l'ha presa in simpatia, e persino Suga a modo suo ha un particolare riguardo nei suoi confronti. Non che ne fossi gelosa, anzi: mi dava l'impressione di meritare tutto il bene del mondo.

Oggi è un giorno di pioggerella. Non so perché, ma questo tempo mi provoca una certa inquietudine. Accidenti, mi scappa tantissimo. Devo lasciare il mio amato libro sulla geografia del Giappone e andare in bagno.

VIENI          VIENI

eh...? chi parla? chi sei tu? se è uno scherzo non è divertente!

VIENI          VIENI          VIENI          VIENI          VIENI

che cosa vuoi da me? esci dalla mia testa!!

          MIO PICCOLO          PICCOLO BAMBINO

...mamma?

PRESTO          PRESTO

                              VIENI FUORI


cosa...? dove.......?

               QUANDO VIENE IL GIORNO

ah................. che mal di testa............

                                        VIENI          VIENI

          MIO BEL BAMBINO

TI PREGO               DAMMI TUTTO IL TUO AMORE


..........mi viene da vomitare.....................

LA PROMESSA

                              VIENI A MANTENERE          LA PROMESSA

     QUANDO VIENE          IL GIORNO

NON TE LO PERMETTERÒ

........................................non ti lascerò andare.
   
 
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