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Autore: michi TheRose    17/07/2016    2 recensioni
Il mondo è giunto alla fine, mio padre, Trigon, ha seminato morte e distruzione. I miei amici, i titani della città, sono stati sconfitti, gli unici che avrebbero potuto sconfiggerlo giacciono svenuti a terra. Ora mio padre è davanti a me, sono i miei ultimi attimi prima della mia fine e proprio ora rimembro l'inizio di tutto, rimembro come sono giunta qui, come ho conosciuto i Titans e come sono diventata una di loro... Ora che anche per me è la fine, torno all'inizio di tutto per perire con il ricordo di ognuno di voi che siete stati la mia famiglia: Robin, Cyborg, Starfire, Beast Boy... (accenni di BBRae)
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raven, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’indomani mi sveglio presto, dopo aver riposato su di un giaciglio di frasche che ho creato piegando i rami degli alberi con diversi incantesimi di base.
Ho bisogno di fare colazione, vado in città e riesco ad avere tranquillamente la mia tisana mattutina in un bar.
Non c’è più traccia dello strano uomo verde in giro ed io ho stranamente malinconia di lui, non lo conosco neanche, ma aveva un non so che di interessante, senza contare il fatto che qui sono completamente sola e avere qualcuno da osservare sarebbe stato un buon passatempo. Lui può permettersi di ridere, piangere, emozionarsi, io invece sono costretta a racchiudermi in una crisalide di ghiaccio, ad avere il cuore di pietra, a non esternare odio o amore, men che meno dolore. E forse è questo che mi attrae proprio verso di lui, l’anelito di sentimenti, quelli sono pienezza della vita umana, che m’appartiene solo per metà. 
Placo immediatamente il mio interesse ingiustificato, tornando alla mia prigione di freddezza, pensando che si tratti solo del fatto che fino ad ora è stato la cosa più stramba che abbia visto.
Al di fuori del bar decido di vagare per la città chiedendo informazioni a persone a caso, in cerca di una biblioteca. 
Non sono una molto socievole e m’irrita alquanto dover chiedere, ma non ho alternativa, non conosco il posto. Mia madre me l’ha descritto semplicemente dicendo che è il miglior pianeta che lei conosca, e che è il luogo dov’è nata.
Seguendo le indicazioni datemi arrivo in prossimità di una biblioteca abbandonata ormai da tantissimo tempo, ne resto delusa, giacché v’è il divieto d’accesso per via del tetto pericolante.
Essa è collocata tuttavia in un luogo poco trafficato, passerei inosservata se volessi osare una scappatella dentro. Più i libri sono antichi più il sapere che contengono è prezioso. Vale la pena di rischiare un po’ per strapparne un nonnulla d’inesauribile segreto da quegli scaffali polverosi che v’immagino dentro.
Muovo un passo di troppo.
Avverto improvvisamente una strana sensazione, un’oppressione mi grava addosso, come se l’aria si stesse cementando attorno al mio corpo, non riesco a muovermi.
Una fitta improvvisa mi colpisce al petto, non riesco a respirare.
Di punto in bianco una visione mi si para davanti, sono gli orrori del futuro, ci sono: sangue e lacrime, urla strazianti soffocate brutalmente, fumarole che si elevano dai palazzi cadenti, ceneri di alberi bruciati che si sollevano in cielo svolazzando in alto ancora accese di fiamme, sfiorano sagome delle persone, immobili in posizioni naturali, inconsci di essere morti, di essere stati pietrificati.
I fiumi sono torrenti di lava incandescente, le fonti sono vulcani, il calore del fuoco e la devastazione del contesto mandano in visibilio l’autore, mio padre,  il mio acerrimo nemico nonché demone più crudele dell’intero universo, quello che il mio popolo chiama…
“Trigon!” esclamo ad alta voce.
Un marchio luminoso si palesa nel palmo della mia mano ed io capisco che quello è il luogo, da lì lui ritornerà, più sono vicina e più mi sembra che la parete dimensionale tra il mio e il suo universo si assottigli, è tremendamente vicino.
Devo andarmene prima che il mio corpo riveli sulla mia pelle il segno della maledizione che mi fregia sin dalla nascita.
Corro via prima che una bambina incuriosita mi chieda qualcosa attirando su di me l’attenzione del genitore che la tiene per mano. Continuo a camminare finché il segno non svanisce.
Decido che è meglio se leggo il libro di Azarath che mi ha consegnato mia madre da dove ho lasciato. Lo cerco nella borsa nera a tracolla che ho portato.
Cammino per un po’ senza meta, presa dalla lettura.
A fine giornata ho visitato si e no mezza città interrompendomi a tratti dalla lettura per trattenere nella memoria dei punti di riferimento. 
Improvvisamente la terra ha un tremito, avverto la sensazione di precarietà alle gambe per pochissimi secondi.
S’interrompe.
Un tremore più forte lo segue, tanto che devo abbassarmi per rimanere in equilibrio.
Le scosse aumentano d’intensità, ma sono come ritmiche, prevedibili.
“Un terremoto!” odo gridare dai presenti;
“no!” smentisco a bassa voce “Questo… non è un terremoto!”
Le scosse di terremoto non si comportano così …
“Sono dei passi!”
Un'altra scossa mi toglie equilibrio e devo poggiarmi a terra con una mano e rimanere accucciata.
“Dei passi…. Di qualcosa di molto grosso!”
Rimango immobile a guardare l’incrocio stradale: da una delle due direzioni proviene la fonte delle scosse.
Il battito del mio cuore aumenta, non capisco cosa sia, ma devo cercare di stare calma, tocca a me fare qualcosa, sono qui per questo.
Si sentono delle grida mescolate farsi gradualmente più sonore e noto ben presto le persone che vociano quelle grida sbucare in una corsa disperata in mezzo all’incrocio, altre che abbandonano le auto e fanno lo stesso. 
È il panico totale.
Mi rimetto in piedi attaccandomi ad un angolo del negozio cui sono vicina.
Fortunatamente sono abituata a rimanere impassibile all’agitazione generale, ma devo ammettere che sono a bocca aperta e vengo percossa da brividi caldi quando vedo un ombra allungarsi su un palazzo e divenire sempre più imponente. 
Improvvisamente un fragore potentissimo si diffonde tra le vie della città, un urlo inferocito da far accapponare la pelle. Rimango ancora impassibile e fisso il punto da cui dovrebbe farsi vivo a momenti, ma da quel punto vedo solo provenire una macchina, scaraventata a gran velocità in mezzo all’incrocio, accartocciata. Presenta delle pieghe come se fosse materiale friabile e fosse stato impugnato con forza da qualcuno, o meglio qualcosa.
La gente corre, urla a squarciagola e mi scontra, ma io rimango lì, scruto nelle vicinanze, curiosa di sapere che stia succedendo.
Tengo stretto il libro e il cappuccio, contrasto le scosse come posso, ma noto, per caso, che inspiegabilmente non sono l’unica ad essere rimasta immobile, c’è un'altra persona, sul marciapiede opposto al mio che probabilmente si sta chiedendo come mai io non stia scappando così come io mi chiedo cosa stia aspettando.
Un uomo altissimo e decisamente piazzato, porta un cappello che m’impedisce di vederlo bene in faccia e un cappotto lungo fino al ginocchio, dai colori tendenti al marrone chiaro. Rimane impassibile mentre la gente lo scontra senza muoverlo di un millimetro, il cappotto gli fa da mantello, spostato all’indietro dalla folla che gli corre di fianco, in direzione opposta rispetto a quella cui sta puntando.
A giudicare dal poco che vedo esso è di colore, pare non avere la minima paura.
Non capisco se sia paralizzato dalla paura o se abbia un asso nella manica.
Mi giunge una spallata forte e a questo punto spicco il volo, levandomi dalla calca e supero il negozio di souvenir cui stavo passando a fianco prima del trambusto.
Rimango in aria a osservare la creatura fatta di blocchi di pietra che finalmente giunge al centro dell’incrocio sotto i miei occhi. Un altro urlo quasi mi rompe i timpani, riesce a spaccare i vetri delle finestre sugli edifici più prossimi. Addirittura mi s’incrociavano gli occhi, mi sono sentita svenire per qualche attimo.
Il mio sguardo si posa sull’uomo di prima, che ora è piegato in avanti, percorso da piccole scosse che sembrano prendergli una mano e la parte del volto che non riesco a vedere. 
Rifletto sul da fare con quello scoglio gigante finché non vedo una bambina attraversare tra i suoi piedi enormi per andare dalla madre.
“No!” esclamo.
“Azarath Metrion…” non faccio in tempo a finire la formula che una chioma corvina abbigliata di giallo e verde ha afferrato la bambina e grazie ad una corda che usa come liana riesce a portarla via prima che venga calpestata.
Mi poso sul tetto dell’edificio e rimango ad ammirare il ragazzo visibilmente allenato con quella divisa da supereroe e i capelli tirati a lucido dalla brillantina che restituisce la bambina ai genitori e comanda loro di andarsene con un cenno della mano.
Porta una R sulla divisa.
Cerco di vedere il suo viso, ma è coperto da una maschera, non posso scorgere i suoi occhi.
Rimango ad osservare, curiosa di sapere quale sia il suo potenziale, alternando nel mio mirino anche l’uomo di colore di prima che però pare ancora in lotta con quello che sembrerebbe quasi un cortocircuito.
Il ragazzo dai capelli scuri con coraggio rimane in piedi davanti all’enorme ammasso di pietra ambulante, anzi sta sorridendo.
Gli lancia contro delle bombe a mano che dopo un attimo esplodono attorno alla faccia del blocco di pietra.
“Megablock!” lo chiama col suo nome;
“Oh, criminale di fama nella città dunque!” constato e i due prendono a lottare.
“Sei solo…. Un umano!”
Anche se non lo posso manifestare, rimango impressionata dall’abilità di quel ragazzo, così giovane, senza alcun potere superominico, caduco come tutti gli altri umani, eppure così impavido e sprezzante del pericolo.
Più di me… che non dovrei avere alcun timore a questo mondo…
Sembra essere una persona protettiva e leale, ma io non posso affezionarmi a nessuno, finirei col fare del male, lo so.
La folla si è dileguata, adesso il campo di battaglia è sgombero.
Megablock colpisce il ragazzo ‘R’ scaraventandolo lontano.
L’uomo di colore s’inginocchia e il rumore metallico che fanno le sue gambe nel poggiarsi attira l’attenzione del mega blocco di roccia che si dirige verso di lui.
“Alzati! Avanti! Va via!” lo esorto a bassa voce da quassù, nulla, non riesce a muoversi.
Il supereroe moro salta alle spalle del grosso masso, ma com’è ovvio non riesce a sbilanciarlo col suo peso nullo in paragone.
Megablock chiude a pugno una mano fatta di grossi detriti, sta per colpire.
Non posso stare a guardare quel poveretto che viene schiacciato.
Spicco il volo, atterro in mezzo alla strada.
Oriento una mano verso il pugno di pietra e lo colpisco con i miei poteri, amputando il polso al mostro.
Faccio volteggiare il mio libro d’incantesimi, che si sfoglia autonomamente fino alla pagina che mi occorre, tendo le mani e sussurro una formula, il getto d’acqua potentissimo di un idrante colpisce l’enorme ammasso di cemento e l’uomo riesce ad alzarsi e allontanarsi incolume.
Il pietrone si preoccupa dell’idrante, mentre io chiedo allo sconosciuto se si senta bene, lui mi fa cenno di sì col capo, ma poi la sua espressione si fa preoccupata.
“ATTENTA!”
Mi volto e l’idrante mi colpisce in pieno, lanciato dall’ammasso di pietra.
Cado a terra.
Batto violentemente la testa e mi duole il volto per il colpo, fortunatamente sono un demone e ci vuole ben altro per ferirmi.
Del sangue mi cola dal labbro, ma non m’importa.
Mi poggio sui gomiti e vedo il mio libro nell’acqua di una pozzanghera.
Lo raccolgo immediatamente e mi rendo conto che un’intera pagina è andata perduta, è ora illeggibile.
In quel libro c’è tutta la mia vita, i miei poteri, mia madre, la mia patria, senza di quel libro io sono una minaccia, non so padroneggiare me stessa senza i miei vecchi libri.
“Me la pagherai!” ringhio a bassa voce e avverto un impulso di rabbia irrefrenabile.
“Ehi, va tutto bene?” chiede il moro alle mie spalle e si allontana quando volto la testa di scatto e lo inquadro con un’iride color cremisi semi nascosta sotto il cappuccio.
Si lontana da me.
L’odio mi ribolle nelle vene, monta dentro di me, mi logora, mi sale alla testa.
Quel primordiale istinto demoniaco di distruzione manifesto nel mio aspetto degenerato è irrefrenabile.
Rimango immobile mentre l’ira aumenta.
Attorno a me, tutto ciò che non è ben ancorato a terra comincia a levitare: frammenti di asfalto, cocci di vetro, l’acqua nelle pozzanghere, l’idrante lanciatomi addosso e persino auto e camion parcheggiati per strada.
I miei capelli si sollevano lentamente da sotto il cappuccio, gli occhi sfavillano come lumi nella penombra, il mio potere si sprigiona.
“Ite!” ordino e tutto ciò che sono riuscita a sollevare si schianta contro il nemico che inevitabilmente si trova ad indietreggiare, ma ancora non cade.
Chiudo una mano a pugno la sollevo, preparando un colpo, essa si ricopre di diversi strati di una patina nera come la mia anima.
Colpisco repentinamente l’asfalto sotto di me con tutta la mia forza, sfiatando uno sfogo.
La terra ha un tremito e si screpola in numerose direzioni, sprofonda leggermente sotto di me mentre vi penetro al di sotto, impiantandovi radici nere.
Allargo la mia intrusione nel substrato in tutte le direzioni, sollevando l’asfalto dal suo interno, dopo di che, quando sono abbastanza dentro, seguo con lo sguardo l’inarcarsi del terreno, si fende in superficie delineando un percorso che porta fino al gigantesco pietrone e metto un sorriso malsano, innaturale nello sprofondare più internamente nella terra, in prossimità di lui.
Estraggo la mano dall’asfalto, leggermente ferita, ma ancora ricoperta di un velo di oscuro potere, rivolgo il palmo verso l’alto.
Megablock mi guarda, come anche gli altri due umani rimasti, li sento inspirare la calma momentanea ed espirare ansietà.
Il mio sguardo è più rilassato ora e proprio quando sento gli animi più quieti velocemente chiudo la mano a pugno.
La terra trema ancora mentre quelle radici che avevo piantato, comandate dalla mia mano, si sollevano da sotto terra, racchiudono l’enorme blocco di pietra in una morsa di energia. 
“Non puoi più sfuggirmi!” la voce di rabbia di somma alla mia in un sussurro minaccioso.
Al mostro viene a mancare la terra sotto i piedi, sprofonda lentamente in un oblio di pece nera, i miei tentacoli di fumo scuro si arrampicano su di lui, lo trattengono malgrado i suoi sforzi per liberarsi, lo costringono ad inchinarsi al mio cospetto rivolgendomi una supplica inespressa per la vita, implorandomi pietà e perdono per ciò che ha fatto.
Ma io non ne ho.
Avvolgo il blocco di pietra quasi interamente nella mia aura nera, ma all’improvviso il ragazzo mascherato sbuca alle sue spalle e devo ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non ingerirlo nelle tenebre della mia mente, da cui non saprei più come tirarlo fuori e dove potrei involontariamente di privarlo di felicità, calore, vitalità.
Dischiudo leggermente le dita, ma devo lottare contro la parte peggiore di me per poterlo risparmiare. 
È solo questione di tempo, non riuscirò a contrastarla a lungo, deve scendere!
Il ragazzo fortunatamente è veloce, piazza una bomba tra una pietra e l’altra nel collo di Megablock, dopo di che salta giù da lui ed io lo posso racchiudere interamente in una bolla di energia.
Contengo l’esplosione assorbendone la potenza di fuoco e ritorno me stessa, piano piano riassorbo tutto il male che ho sprigionato.
L’uomo di colore s’appropinqua intimidito, mi restituisce il libro, mostrandosi gentile.
Io abbasso ancora di più il cappuccio sugli occhi non appena è prossimo e rimango muta.
Piuttosto il moro  con la R sulla divisa s’avvicina anch’esso, facendo danzare alle sue spalle il mantello nero, non ha alcuna paura nemmeno di fronte alla devastazione che ho lasciato.
“Quella era magia nera!” mi smaschera; “Come ti chiami? Dove hai imparato a padroneggiarla così bene?” chiede ed io faccio un passo indietro; “sta tranquilla! Voglio solo…” non lo faccio finire e sono già in fuga, giacché so che piega avrebbe preso la conversazione di lì a poco.
Il ragazzo m’insegue, ma io prendo il volo e atterro su un condominio, sicura che non possa prendermi.
“Fermati!” mi bercia un ordine e inaspettatamente mi accorgo che è riuscito a salire, in un batter d’occhio.
Comincio a correre da un tetto all’altro, mostrandomi agile quanto lui.
Non riesco a staccarlo abbastanza da poter aprire un portale senza che lui non riesca a prendermi, non mi resta che correre e sperare che si stanchi, ma io ho già il fiatone mentre lui sembra essere ancora pieno di energia.
La distanza che ci separa diminuisce, al che mi dirigo verso il cornicione di un palazzo e volo di nuovo fino a terra, ma il giovane non si da per vinto, riesce a raggiungermi saltando da un balcone all’altro e infine sulla tettoia di un ristorante.
“Accidenti è bravo!” ammetto, ansante e ricomincio a correre.
Riesco ad infiltrarmi in un vicolo e lui pare non avermi vista, va dritto.
Ne approfitto per riprendere fiato, infine mi arrampico su delle scale antincendio di metallo.
Tossisco leggermente per la corsa e mi sento afferrare la mano.
“Posso aiutarti?” chiede la voce ormai familiare, è il supereroe R ed io rimango interdetta nel rivederlo davanti ai miei occhi, ma come ha fatto?
“…no!” mi limito a rispondere, ma lui è testardo e mi aiuta lo stesso; 
“che cosa vuoi?” chiedo acida;
“solo parlare! Posso vedere il volto della persona con cui sto parlando?”;
“lasciami in pace!”;
“Come ti chiami?”; 
“non sono affari tuoi!”;
“d’accordo! Allora dimmi cosa ci fai qui?” lo guardo senza capire; “è evidente che non sei un’umana! Non abiti la terra! Da dove vieni?”;
“Ho detto: lasciami in pace!” ribadisco;
“posso almeno ringraziarti?”;
“per cosa?”;
“per aver preso Megablock e aver salvato quell’uomo!”;
“oh! Ehm! Non c’è di che!” rispondo impreparata; “ma non dovresti ringraziarmi e non dovresti neppure stare troppo nelle mie vicinanze!”;
“e perché?” chiede con un sorriso rassicurante;
“perché quello che hai visto non è un bene! Se non mi fossi fermata pure tu saresti stato inglobato e quel tipo di magia, quel vortice fumogeno di tentacoli neri che hai visto, è in grado di risucchiare la linfa vitale di qualsiasi cosa respiri e sia viva! È stato solo per questo che la tua bomba l’ha messo K.O.! Non aveva più energie! Se avessi continuato ti avrei ucciso!”;
“non l’hai fatto! Tu l’hai fermato! Forse non posso capire cosa significhi un così grande potere, ma so che l’hai usato per il bene e...";
“non sempre le buone intenzioni si realizzano!" lo interrompo; "Spesso anche con delle buone intenzioni si rischia di fare del male!” gli faccio notare;
“era una cosa da dire!” mi risponde con un sorriso; “ma sei di sicuro una brava persona, chiunque tu sia!”;
“non sai quello che dici!” rispondo;
“non mi terresti lontano!”;
“huh?”;
“non mi terresti lontano!” ripete; “Se tu fossi cattiva e fossi cosciente del tuo potenziale cercheresti di avvicinarti alle persone per fare loro del male, tu invece ti isoli, sei scappata via da me e non mi hai neppure detto il tuo nome! Hai paura di ferire la gente, perché sai di essere quello che sei!”;
“…. Raven!”;
“come?” chiede disorientato;
“è il mio nome!”; 
“oh! Raven, piacere di fare la tua conoscenza! Mi chiamo Robin!”; 
Mi dice allungando la mano per stringere amicizia ed io annuisco, ma indietreggio, mettendo le mani in tasca, cosciente delle conseguenze da cui vorrei proteggerlo.
Lui sembra comprendermi, anche senza vedere come lo sto guardando, sembra poter andare al di là di ciò che vede, sembra conoscermi.
“Voglio che tu prenda questo!”  mi porge un aggeggio tondo; “con questo potrai chiamare ogni volta che ti servirà aiuto!”;
“Non ho bisogno d’aiuto!” è la mia risposta fredda e a quel punto prendo il volo;
“Aspetta!” esclama Robin e corre su per le scale antincendio velocemente, ma rimane all’ultimo piano con la testa rivolta a me, mentre io volo sempre più in alto.

“Già!” rimembro; “Nemmeno Beast Boy con la sua parlantina era riuscito a costringermi a spiccicare parola, mentre tu si Robin” mi rivolgo al leader dopo questo primo ricordo felice, anche se lui sembra non potermi udire, ha preso davvero un duro colpo alla testa per colpa di Trigon. Rivolgo uno sguardo a Beast Boy, anche lui svenuto, ovviamente a bocca aperta, non rinuncia ad essere comico anche in questo momento. Non posso che permettermi un sorriso intenerito, uno dei pochi da quando ci conosciamo. L’ho sempre trattato male anche quando cercava di essere gentile, ma dovevo, l’ho fatto solo perché gli volevo un gran bene e, forse, se non finisse tutto ora, avrebbe potuto essere di più…
   
 
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