L’ultima estate
Quanti anni sono passati; quante esperienze ho fatto
mentre diventavo adulta.
Più o meno belle e felici.
Ricordo come fosse ieri, la prima volta che ci siamo
incontrate.
È strano come certe immagini senza importanza
apparente, restino nitide, impresse nella nostra mente più di altre.
Ricordo ancora quel giorno lontano della mia
infanzia; avevo forse otto anni, ero seduta per terra nel cortile di casa mia.
Mi ero trasferita lì da poco; c’era ancora il
ponteggio smontato degli operai che dipingevano i muri del nuovo palazzo.
Giocavo con un filo d’erba che cresceva tra i sassi
bianchi e irregolari della ghiaia. Ero sola, non c’era neppure mia sorella, che
di solito mi seguiva ovunque.
Ho alzato gli occhi al cielo, forse perché mi
sentivo osservata, e ti ho visto sul balcone dell’appartamento di tua nonna.
Ho creduto abitassi lì.
Ricordo uno sguardo curioso, forse un po’ ironico,
un corto caschetto biondo e i tuoi pantaloni di velluto verde.
Ci siamo guardate a lungo.
La cosa più strana è che ti scambiai per un bambino.
Incuriosita dalla mia presenza, sei scesa in cortile
e ti sei seduta di fianco a me. Abbiamo iniziato a parlare e a studiarci con
sincero interesse.
Quel giorno iniziò una grande amicizia, forse la più
grande che abbia avuto in quell’età spensierata.
Avevo qualche anno più di te e non so come, ci
intendemmo alla perfezione, anche se tu avevi un carattere molto diverso dal
mio; più allegra, spiritosa e forse un po’ burlona.
Ma litigavamo anche, come bambine un po’ sciocche, a
volte per un nonnulla; per una bambola, un gioco qualunque, un capriccio.
Ma i nostri musi lunghi non duravano mai troppo,
perché una tornava sempre a cercare l’altra.
Ci perdonavamo e tornavamo a scherzare come prima.
I ricordi più belli della mia infanzia sono legati a
te; le corse sul prato e i rimproveri degli adulti, i pattini a rotelle, le
barzellette, ma anche i pianti e i dispetti e mia sorella che si univa a noi
quasi in tutto.
Ore e giornate intere passate così.
Ricordo tua madre e tuo fratello che ci prendeva in
giro e ci faceva il verso, i nostri disegni fatti con le matite colorate.
Avevi fantasia e talento; uno scarabocchio
improvviso assumeva il profilo di un viso di fanciulla.
Chissà se lo hai coltivato anche dopo.
Ricordo che mi piacevano i tuoi disegni, da qualche
parte nella scatola dei miei ricordi ne conservo ancora uno; una fata bionda
con un vestito azzurro e una dedica scritta sotto per me, l’ultima cosa che mi
hai lasciato, insieme ad una fotografia di te e mia sorella su una bicicletta
rossa.
Sono certa che quello sia stato il periodo più
felice per me, quello più spensierato, più allegro, eppure anche quello più
triste per certi aspetti. Quando arrivava l’estate tu partivi con la tua
famiglia per le vacanze al mare. Io restavo in città con i miei; all’epoca
c’era il mutuo della casa da pagare e si dovevano fare dei sacrifici e per
qualche anno i miei genitori rinunciarono alle ferie.
Ricordo la tristezza di quei giorni in cui eri
assente; io mi sentivo sola, nonostante avessi altre amiche accanto, e il tempo
che ci separava mi sembrava interminabile nella mia immaginazione infantile.
Era una festa quando finalmente tornavi.
Ci chiamavamo dai balconi delle nostre case che
erano confinanti, scendevo nel giardino diviso dal tuo cortile da una rete
metallica che divideva le due aree condominiali.
Le nostre mani aggrappate alla rete, ridevamo felici
di essere di nuovo insieme e allora io sarei venuta a giocare da te o tu da me.
Confrontavamo la nostra pelle; la mia era rimasta pallida come la luna, mentre
la tua si era abbronzata sotto il sole d’agosto. E mi sembravi più bella.
Io non mi sono mai sentita bella, ne allora e
neanche dopo, ma non era un problema. Di bello c’era la nostra amicizia che era
magica come una favola.
Andavo a dormire la sera e attendevo l’indomani,
quando avremmo di nuovo giocato insieme.
Una felicità che durò qualche anno, finché la vita
suo malgrado, ci avrebbe diviso come non avrei potuto immaginare; ancora non
sapevo che spesso gli adulti con le loro azioni decidono le condizioni di
quello che sarà il nostro destino.
Un giorno per caso mi dicesti che tuo padre si era
innamorato del Sud Africa, un paese lontano che io non sapevo neppure concepire
nella mia ingenuità.
Ne parlavi come di una terra piena di diamanti e io
ti ascoltavo rapita, cercando di visualizzare quei posti nella mia mente; i
tuoi genitori avevano deciso di trasferirsi lì e presto saresti partita insieme
alla tua famiglia.
Mi ricordo quell’ultima estate che abbiamo passato
insieme; oltre alle corse sui pattini e le risate, ricordo che di notte nel mio
letto piangevo.
Ci promettemmo di scriverci spesso ed eri sicura che
saresti tornata in Italia.
L’ultima estate della mia infanzia… della nostra
infanzia.
Non so per quale strana coincidenza, quell’anno mio
padre ci riportò in vacanza; erano anni che non andavamo in ferie ed ero felice
di rivedere il mare, ma partii col timore di non ritrovarti al mio ritorno.
Furono due belle settimane; pensavo già a tutte le cose che avrei potuto
raccontarti a settembre.
Ho sperato, ho pregato per tutto quel tempo che tu
non fossi già partita.
Ricordo l’ansia del viaggio di ritorno; forse era il
sospetto della triste sorpresa che mi avrebbe accolto al rientro.
E ora non saprei dire se fu un bene o un male che io
non sia riuscita a dirti addio.
Avrei sofferto di più, se ti avessi incontrata
ancora?
Non lo so… forse sì.
Fu un male certamente; fu dolore acuto quello che mi
prese quando mia nonna mi disse che eri andata via.
Quell’estate finì anche la mia infanzia.
In
fogli di carta di quaderno piegati e incollati come una busta, mi avevi
lasciato una letterina colorata, scritta con la tua calligrafia infantile e un
cuore rosso disegnato con un pennarello, la sigillava.
Dentro, una data - 6 luglio 1983 - un
disegno di Snoopy con la scritta - I love you - e poche parole
che conservo ancora gelosamente.
“…
La tua amica M. non ti scorderà mai e in qualunque momento della sua vita sarà
sempre vivo il tuo ricordo.”
Ho questo foglietto un po’ sgualcito qui, tra le mie
mani di donna adulta ora, e faccio quasi uno sforzo per non commuovermi.
Chissà, forse rideresti di me. Perché eri un po’
burlona.
E pensare che non sono una che piange facilmente; mi
sono indurita un po’ con gli anni. Sono certa che quello fu il primo vero
grande dolore della mia vita; piansi per giorni, in solitudine, senza farmi
vedere e non c’era nulla di quello che facevo abitualmente che riusciva a
consolarmi.
Avevo perso forse per sempre la mia più grande
amica.
Sono passati tanti anni e non ci siamo più riviste.
Non ci siamo scritte, salvo qualche breve e
sporadico biglietto per le feste.
Ma io spesso ti ho pensato.
Dopo, nel tempo sono venute altre amiche, compagne
di liceo in gioventù, ragazze con cui andavo a ballare in discoteca il sabato
sera. E tante tra queste ragazze, con cui pensavo di avere delle cose in
comune, mi hanno deluso con le loro meschinità, con i loro comportamenti a
volte superficiali.
È accaduto anche di recente che da qualcuno mi sia
sentita usata.
Allora improvvisamente ripenso al mio passato con
te, rifletto su quello che è stato, sulle persone che ho incontrato, su quello
che mi hanno dato e cosa ho dato io e mi viene strano e naturale pormi una
domanda; vista da qui attraverso gli anni e i continenti che ci dividono, la
nostra amicizia mi sembra perfetta, come se non avesse avuto il tempo di
guastarsi e si fosse fissata in un istante immutabile e indelebile nel mio
cuore. Forse a noi non è stato dato il tempo di deluderci?
Non so se ci incontreremo mai di nuovo; a volte l’ho
sperato, immaginato e sognato e non nascondo che ho avuto paura di trovare una
persona che non conosco più, il che sarebbe un fatto assolutamente naturale e
logico.
A volte mi chiedo se sono ancora nei tuoi ricordi
come tu sei nei miei.
Poi un giorno qualunque sono andata da mia madre…
Una settimana prima, un pomeriggio il suo campanello
di casa ha suonato: alla sua porta c’era una piccola donna bionda.
“Non immagini chi è venuto a trovarci…” mi ha detto.
Oh, sì l’ho immaginato, ma una strana esitazione mi
ha impedito di parlare e ho lasciato che mia madre pronunciasse il tuo nome.
Non so dirti la strana malinconia che mi ha preso;
forse era la consapevolezza che non ci sarà data un’altra occasione.
Ma ho capito.
Ho capito che in tutti questi anni non mi hai
dimenticata.
Hai detto la verità.
La nostra amicizia di allora è rimasta intatta ed è
un tesoro che nessuno potrà toglierci; la vita l’ha sigillata nello stesso
istante in cui ci ha divise tanti anni fa, fissandola nei ricordi di noi
bambine.
mercoledì 22 aprile 2009
A M. con affetto profondo.
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