«Puah!»
«Condivido in pieno: triplo
puah!»
Cercare di avere una conversazione
seria con quei due
zucconi si stava rilevando possibile quanto scalare l’Everest
con un paio di
ciabatte infradito infilate ai piedi.
Donovan mi aveva stressato l’anima per ore e
ore, sottoponendomi ad un
interrogatorio serrato finalizzato a minare la mia pazienza zen.
Rispondergli
malamente che non erano affari suoi non era certo servito a tenerlo
buono,
anzi, aveva avuto come unica conseguenza il convincerlo che
effettivamente
c’erano degli affari che mi riguardavano che non volevo
condividere con lui.
Degli affari che vedevano coinvolti la sottoscritta, Mr. Liam ed un
orto
botanico.
«…e un letto!
Non scordiamoci della parte più interessante
del racconto, per favore», ululò Donnie come
offeso dal mio tentativo di
svicolare per evitare di raccontare a lui e a mia sorella le vicende
della mia
vita sessuale.
Zoe, prontamente informata dal
pettegolo del villaggio che
mi sedeva accanto, aveva per l’occasione interrotto il suo
eremitaggio e,
scroccando spudoratamente la connessione WiFi dell’ultimo
poveretto che aveva
scaricato una settimana prima, si era collegata immediatamente sul suo
account
Skype e aveva iniziato a tempestarmi di chiamate.
«Grazie al cielo hai
contattato un medico oculista e
quest’uomo pio ti ha dotata di lenti a contatto in grado di
sopperire alla tua
cecità assoluta! Per tutti i neonati sventrati, sui
dizionari, alla voce ‘figo’
c’è affiancata la foto di quel Carter
Wright!», strillò indignata mia sorella,
la quale, alla notizia della rottura tra me e Theo, si era
così emozionata da
dichiararmi a denti stretti e ringhiando che forse
poteva ritornare a volermi bene e smettere di raccontare a
tutti di come la sua sorellina minore fosse stata disciolta nella soda
caustica
da un terribile assassino quando aveva solo sette anni. Che
magnanimità!
«Io non credo che il
termine ‘figo’ sul vocabolario esist-»
«Hai perfettamente ragione,
Z! Quel Theodore era una sorta
di pallido omuncolo ricoperto di alghe ripescato da un
laghetto…», intervenne
il mio amico, non curandosi del fatto che mi aveva brutalmente
interrotto. E
ovviamente non scusandosi per la sua solita maleducazione.
«Una sorta di becchino,
ingrigito, rinsecchito, con l’animo
di un novantenne…»
«…e il fisico
prestante di un cadavere…»
«…riesumato dopo
millenni dal proprio loculo…»
«…la
personalità di un lumacone mangia
lattuga…»
«…e il brio di
una cavalletta spiaccicata dalla ruota di un
trattore…»
«Avete finito? Ero giovane,
era un professore associato e mi
sono presa una cotta!», sbottai stizzita da quel botta e
risposta di commenti
poco lusinghieri nei confronti del mio fidanzato. Ex fidanzato.
«Chiamala cotta: ti ci sono
voluti quattro anni per farti
aprire gli occhi…», borbottò Donovan
ridendo sotto i baffi.
«E quando finalmente il
miracolo è accaduto anche la nostra
piccola, tenera, ingenua Flick HA VISTO!»,
continuò Zoe con un tono quasi
mistico.
Feci danzare dubbiosa lo sguardo tra
il viso pallido di mia
sorella incorniciato dallo schermo del portatile e quello abbronzato
del mio
aiutante seduto vicino a me.
Alla fine sospirai e posi la domanda,
«Cosa ho visto?»
«Il culo marmoreo di Mr.
Carter Wright!», gridò come
un’indemoniata Zoe.
Donovan scoppiò in una
risata e aggiunse tra un singulto e
l’altro: «Per non parlare dei bei pettorali
fasciati da camicie Hugo Boss…»
Risata che ebbe vita breve non appena
la mia cara sorellina
lo freddò con uno dei suoi tipici commenti amorevoli:
«Devo dubitare della tua
eterosessualità, Donnie caro?»,
cinguettò melliflua.
Avevo sempre volutamente evitato di
interrogarli riguardo a
quali rapporti intercorressero o erano intercorsi tra loro. Non avevo
proprio
voglia di sentirmi raccontare per filo e per segno
l’abilità in materia di arti
amatorie di quei due. O peggio ancora, rischiare di essere abbandonata
dal mio
aiutante ed amico più fidato, fuggito per amore, o qualsiasi
cosa facessero
quei due insieme, tra le montagne aguzze del Maine.
Anche perché a vederli,
Zoe scura e imbronciata come la
figlia del Conte Dracula e Donovan sorridente e gaio come un gigantesco
girasole, non comunicavano certo l’idea di una coppia ben
appaiata.
Nonostante lo stesso si potesse dire
di me e Mr. Liam. Lui
elegante e bellissimo, mentre io ero solo un’insignificante
piccola apina
spappolata sul parabrezza della sua Porsche lucente. Ahi! Potevo quasi
sentire
il dolore dei tergicristalli che incedevano impietosi e mi strappavano
le ali.
Era quella la fine che mi aspettava? Di Theodore si poteva dire di
tutto, ma mi
aveva sempre fatta sentire al sicuro. Non c’erano state notti
di passione
infuocata, squilli di trombe quando mi baciava né spasmi
d’amore quando era
lontano. Però era sempre confortante tornare da lui. Sapevo
sempre cosa
aspettarmi e questo mi rasserenava.
E così era stato fino a
quando aveva scoperto che il
rapporto con un uomo poteva essere tutto tranne che confortante.
E la cosa mi era piaciuta tremendamente. Mr. Liam mi
faceva sentire la testa leggera, come dopo un paio di cocktails. E mi
aveva
fatto arricciare le dita dei piedi quella sera sotto alla pagoda
nell’orto
botanico. Oltre ad avermi gentilmente offerto un chiassoso concerto
mentale di
campane. Ed era stato a quel punto che avevo capito come sarebbe potuto
essere.
Con Liam avrei potuto avere tutto quello che non avevo ottenuto dalla
relazione
con Theo. Sarebbe stato il trionfo del mio sogno romantico. Mi sentivo
elettrizzata al solo pensiero. Eppure qualcosa mi aveva fermata. Un
piccolo
tarlo che aveva scavato e scavato fino a costringermi ad arrendermi,
porre fine
al bacio e alla conseguente cacofonia di scampanellii vari, per
potergli dare
ascolto.
Se avevo passato quasi quattro anni
al fianco con Theo non
era perché ero una sciocca. O perché temessi di
non riuscire più a trovare
nessun altro e di restare sola. No, era stato proprio perché
di lui mi fidavo,
sapevo come si sarebbero evolute le cose e gli volevo bene. Mi teneva
la mano e
io mi sentivo rassicurata. Solo ora mi rendevo conto che anche quando
mia madre
mi prendeva la mano sortiva lo stesso effetto: empatia,
serenità, affetto.
Sfiorare la mano di Liam era stata
un’esperienza
destabilizzante. Non ne avevo tratto conforto, era stato come prendere
una
scossa. Ed avevo avuto paura proprio perché non avevo idea
di cosa aspettarmi.
«Ha subito una lobotomia?
Perché hai quell’espressione da
Theodore stampata in volto?». La vocetta petulante della mia
adorata sorella mi
riportò bruscamente alla realtà.
«Immagino stia rivedendo
mentalmente i fotogrammi della
notte rovente passata nel letto di Tu-sai-chi…»,
ipotizzò Donovan, un
sorrisetto malizioso cucito sulle labbra.
«L’Uomo Inutile
doveva proprio essere insoddisfacente a
letto –
non che nutrissi dubbi a tal
proposito – se tu, Felicity la Casta, l’hai data
via al primo appuntamento… »,
constatò Zoe, picchiettandosi l’indice sulle
labbra.
Quella conversazione stava diventando
davvero inutile e
quasi offensiva. Cos’avevano da impicciarsi tanto nelle mie
questioni private?
Soprattutto se tutto quello che avevano da dire consisteva in commenti
poco
carini nei miei confronti e lodi a parti anatomiche non battute dal
sole
appartenenti a Carter Wright!
«Accidenti a voi due!
Perché vi interessa tanto cosa ho
fatto o non fatto con Liam? E perché dovrei spiattellare a
voi due i dettagli
di quanto è accaduto quando finora non avete fatto altro che
dire sciocchezze o
distribuire cattiverie gratuite!», urlai esasperata,
tirandomi le ginocchia
contro il petto e tenendo ostinatamente lo sguardo lontano dalle due
paia di
occhi che sapevo fissarmi attentamente.
«Perché vogliamo
aiutarti?», propose timidamente Donovan.
Zoe gli sibilò di tacere e
mi ordinò di guardarla dritta
negli occhi. Non avevo nessuna voglia di sottostare alle sue pretese
tiranniche
da sorella maggiore ma quando mi minacciò di telefonare a
mamma per informarla
che non avrei potuto sposare l’amico pastore di nostro cugino
perché me la
facevo con un avvocato riccastro e prestante, da ragazza poco timorata
di Dio
qual ero, mi ritrovai a fissare minacciosa le sue iridi scure in meno
di mezzo
secondo.
Ci mancava solo
l’intervento di Mrs. Van Houten e dei suoi
rotoli di Domopack! Probabilmente lo avrebbe impacchettato tutto nel
cellophane
le prime volte, giusto per assicurarsi riguardo alla pulizia e
all’ordine della
persona di Liam, e forse dopo un paio di docce e una sterilizzazione in
acqua e
bicarbonato lo avrebbe accolto in famiglia.
«È da quando
siamo alte quanto un soldo di cacio che
entrambe sappiamo cosa volevamo dalla vita. Io l’ho
realizzato, perché nel mio
caso un marito sarebbe finito ucciso in qualche modo orribile giusto
per
fornirmi ispirazione per un nuovo romanzo. Tu no. Tu volevi
l’amore delle
fiabe, i fiori d’arancio ed i pargoletti. Sei stata per
così tanto tempo con
l’uomo sbagliato da esserti quasi convinta che era proprio
quello che volevi,
rischiando di accontentarti e finire per essere infelice. Ora che hai
finalmente
aperto gli occhi e hai trovato lui,
come puoi essere così scema da tentennare e stare qui a
parlare con noi invece
di correre ad urlargli un gigantesco SÌ dritto in volto e
poi festeggiare
replicando le zozzerie della scorsa sera?»
Che conclusione regale per un
discorso tanto accorato. In
verità, nuovi insulti velati a parte, sapevo benissimo
quanto le sue parole
fosse sincere e ahimè vere.
«Guarda che non mi ha
chiesta in sposa, sai?», le feci
notare, preferendo aggrapparmi a quel piccolo particolare piuttosto che
ammettere che aveva ragione, porre fine alla videochiamata, cacciare
Donnie a
calci e sgasare con il mio pick-up in direzione Boston, studio legale
Carter
Wright.
«Non ancora», si
intromise con tono di sussiego Donovan.
Su quel punto avrei avuto qualcosa da
obiettare essendo a
conoscenza della visione demoniaca che Liam aveva del sacramento del
matrimonio. Grazie Tiffany, se non riuscirò mai a sposare
quell’uomo sarà solo
colpa tua, brutta sgualdrina di una ex-moglie! Perlomeno aveva generato
quel
piccolo confettino che era Arabella e per questo forse non andava del
tutto
disprezzata.
«Insomma ti
muovi?!», sbraitò Zoe, gli occhi infuocati di
quando è prossima ad una vera e propria furia omicida.
Grazie al cielo si trova
a miglia da me ma quel povero ragazzo a cui sta fregando
l’adsl non potrebbe
dirsi ugualmente al sicuro.
***
«Mamma, ripetimi per favore
come siete arrivati alla
decisione di sposarvi, tu e papà…»
Un quarto d’ora prima
finalmente quel comizio di pettegoli
aveva avuto fine e, salutata Zoe, avevo letteralmente messo alla porta
Donnie,
il quale aveva preso a delirare riguardo al progetto di convincere mia
sorella
a venire a vivere da lui. Pff, Zoe e il sole: fantascienza!
Dopodiché mi ero detta che
se volevo davvero compiere quella
pazzia ventilata dalla mia altrettanto folle consanguinea almeno lo
avrei fatto
dopo una doccia ed una scelta accurata del look. Quel momento poteva
diventare
storia e io non potevo certo raccontare ai miei nipotini che la storia
con
Nonno Liam aveva avuto inizio con me vestita con la tenuta da lavoro,
la terra
sotto le unghie e frammenti di foglie secche tra i capelli.
Stavo davvero già pensando
ai nostri nipotini? Ero da
internare in una cella isolata del miglior istituto psichiatrico
americano!
Mi ero lavata rapidamente, mi ero
avvolta i capelli in un
asciugamano, improvvisando un turbante precario, e mi ero infilata la
biancheria. Dopodiché mi ero chiesta che accidenti stessi
facendo. E come ogni
volta aveva trovato un’unica risposta: chiamare mia madre.
«Oh, tesoro, te
l’avrò raccontato mille volte! Dimmi
piuttosto: hai notizie di quella sciagurata della mia primogenita?
Stavo quasi
pensando di andarla a stanare io stessa ma odio la montagna e odio il
Maine e
dovrei farmi stordire con del cloroformio e farmi portare in braccio
fin lassù
da un aitante membro della guardia forestale con le braccia muscolose
ed
opportunamente fasciate nel cellophane sterile…»
Ecco. Il succo delle telefonate con
lei era questo: follia
che si sommava alla follia di Zoe.
Sbuffando incastrai il telefono tra
l’orecchio e la spalla
per poter avere le mano libere e spalmarmi tutto il corpo di crema al
burro di
karité. «Mà, sono seria. Per
favore…»
Lei sbuffò a sua volta per
poi darmi retta ed iniziare a
narrare per l’ennesima volta la storia del loro fidanzamento.
Il nocciolo della questione stava nel
chi aveva proposto
all’altro di sposarlo. Mia mamma, stanca di quel
corteggiamento lungo secoli, e
per nulla interessata ad attendere che mio padre si facesse una
posizione e un
nome nell’ambiente legale, aveva fatto la cosa più
romantica di sempre. Certo i
suoi modi non erano stati propriamente ineccepibili ma alla fine
è la sostanza
che conta, no?
Grace aveva preso il coraggio a piene
mani ed era sbottata,
strillando ad un giovane Montgomery Van Houten: «…Insomma, io sto quasi per andare in menopausa,
perciò se vuoi avere dei
bimbetti prima che i tuoi girini si atrofizzino e i miei ovetti
diventino frittata
o mi sposi ora o mi lasci libera…»,
recitò a memoria mia madre.
All’epoca, per la cronaca,
aveva ventiquattro anni. Ad un
passo dalla menopausa proprio.
«E poi?», le
chiesi sospirando estasiata, come mi era
successo ognuna delle millesettecentonovantadue che avevo udito quella
storia.
«Il giorno dopo si
inginocchiò, mi offrì una corona di fiori
e mi chiese se volevo diventare sua moglie. Non ho mai avuto un vero
anello di
fidanzamento ma feci seccare quei fiori ed ancora oggi li conservo. Tuo
padre è
sempre stato tanto risoluto sul lavoro quanto indeciso in famiglia e
negli
affetti…dio, quanto ero innamorata!», mi
confessò piano.
Ogni volta che parlavamo di questo
lei si emozionava per poi
aggredirmi perché le facevo colare il mascara. Cosa
impossibile da credere dal
momento che sborsava verdoni e verdoni per un rimmel Dior accuratamente
waterproof a prova delle peggiori crisi di pianto.
«Grazie
mamma…», sussurrai.
Dall’altro lato della
cornetta sentii un trambusto
improvviso e poi: «Non ti starai mica per sposare,
vero?», strillò a duecento
decibel direttamente nel mio timpano, rischiando di farmi cadere il
telefono
dritto dritto nella vaschetta di acqua calda in cui avevo immerso i
piedi per
un pediluvio dell’ultimo momento. Telefono che tra
l’altro mi era appena stato
regalato da Donovan, stufo delle mie email e della continua
impossibilità di
contattarmi.
«NO!
Cioè…sì? NO! Forse…ma no
dai! Che scemenza! Sarebbe una
stupidaggine? Sì, sì lo è.
Però…», biascicai nel panico
più totale.
Ora io vorrei sapere chi è
stato a decidere che nel momento
in cui una donna diventa madre viene dotata di un sensore radar che
riesce a
scovare ogni minimo segreto dei propri figlioletti, senza che questi
abbiano
aperto bocca. Leggono nella mente? Posizionano delle cimici nelle
nostre case?
Assoldano investigatori privati? Mistero.
«Le telefonate con te mi
provocano sempre una tremenda
emicrania, Felicity cara. Deduco che tu sia piuttosto confusa al
riguardo ma
non del tutto restia all’idea di accasarti finalmente. Devo
forse sperare che
il pastore abbia fatto breccia nel tuo cuore grazie ad un sermone
particolarmente sentito?», domandò curiosa, una
nota di speranza nella voce.
Sermone? Pastore? Eh? Ok, forse il
sensore di sua madre era
un po’ ammaccato e a volte faceva cilecca. Non riuscivo
neanche a dare un volto
a quell’insignificante essere umano incontrato alla festa di
compleanno di
papà, come poteva pensare che stesse per sposarlo?
«Mamma, hai preso le tue
pillole?», mi sincerai preoccupata.
«Fai poco la simpatica,
tesoro. Se ti stai per sposare io,
in quanto tua genitrice, devo esserne informata con un anno di
preavviso per
poter contattare personalmente la mia amica Vera Wang e chiederle di
confezionarmi un abito adatto. E il catering, la location, gli ospiti.
Boy
George per cantare alla festa…»
Alzai gli occhi al cielo, quella
donna era veramente
impossibile. «Primo: grazie, per preoccuparti per il tuo vestito Vera Wang mentre io posso
andare all’altare coperta
solo con tre foglie di fico. Secondo: Boy George piace solo a te!
Terzo:
nessuno sposa nessuno!», sbottai al colmo della sopportazione.
Boy George?! Puah!
«Oh. È un
peccato, avevo già comunicato la lieta novella a
tutte le tue zie. Non potresti ripensarci?», mi chiese
ansiosa.
Estrassi i piesi dal catino, li
asciugai e tornai in camera.
Liberai i capelli dall’asciugamano e li pettinai
approssimativamente con la
mano libera. «Come accidenti hai fatto a dirlo a tutte le zie se eri al telefono con
me?!»
«Abbiamo un gruppo
Whatsapp», mi spiegò in tono altezzoso.
Quella era la mia rovina. Genitori e
Whatsapp: il binomio
degli orrori.
«Addio mamma!»,
sancii spazientita.
Lei fece in tempo a ricordarmi che:
«Tic tac, tic tac,
Felicity! La menopaus-», prima che le riagganciassi in
faccia, senza curarmi
una volta tanto delle buone maniere.
***
Alla fine mi ero decisa per una gonna
a metà coscia color
navy ed una graziosa maglia a righe che non ricordavo neanche di
possedere.
Decisi di fare uno sforzo e lasciare a riposo per una sera i miei
fidati anfibi
e mi infilai un paio di ballerine scure. Legai i capelli in una coda di
cavallo
alta e mi passai un po’ di mascara e di fard sul viso che con
il sole degli
ultimi giorno era tutto un fiorire di lentiggini.
Lo stavo per fare davvero? Non ne
avevo idea e il panico
stava iniziando ad impadronirsi di me, perciò feci una delle
poche cose in
grado di calmarmi i nervi in ogni situazione.
Seduta a gambe incrociate sul parquet
accanto al letto, gli
occhi all’altezza della boccia d’acqua posizionata
sul comodino e un allegro
George intento a sguazzare felice.
«Secondo te sto
sbagliando?», lo interrogai.
Per tutta risposta ottenni tante
bollicine. Segno che non
era d’accordo.
Picchiettai piano sul vetro della
boccia e lui nuotò rapido
vicino a me. Aveva due occhietti tondi che sembravano osservare tutto
quello
che lo circondava ed uno sguardo sorprendentemente sveglio.
«In fondo ci conosciamo da
poco. Siamo usciti ufficialmente
solo una volta e…però mi piace, Georgie, capisci?
Mi piacciono quei suoi modi
pacati, sicuri, quasi arroganti. Ma in senso buono eh! E poi ha delle
ciglia
lunghe che gli ombreggiano gli occhi e ogni volta che le sbatte
velocemente io
sento le farfalle nello stomaco. Dio, sono patetica, vero?»
Bollicine di diniego.
Forse avrei dovuto comperare una
compagna per il mio George.
Una bella pesciolina rossa per fargli compagnia e ripagarlo per tutte
le sedute
terapeutiche a cui lo avevo obbligato a soprassedere.
«È orgoglioso,
è appassionato ed è premuroso a modo suo. Non
gli piace doversi ripetere, essere in ritardo e detesta restare
imbottigliato
nel traffico ogni sera. Adora sua figlia e sua sorella e segretamente
presiede
il fanclub di Queen Mildred, però shh, acqua in bocca! Loda
sempre Diane, la
sua segretaria, e questa cosa mi sconcerta un attimo ma magari
è solo
un’anziana signora sovrappeso, no?»
Il pesce rosso soffiò,
riempiendo di bolle l’acqua prima
calma. Eh no, George caro, non puoi essere in aperto disaccordo proprio
sul
delicato argomento della segretaria privata!
L’occhio mi cadde sulla
sveglia posata dietro la boccia, i
numeri dell’orologio distorti dall’effetto del
vetro e dell’acqua. Dovevo
muovermi prima di rischiare di rimanere incastrata nel traffico. Non
avevo un
buon senso dell’orientamento e non avrei mai saputo
ricordarmi come ritornare
al suo loft. Ma l’indirizzo del suo studio legale era scritto
in caratteri
eleganti sulla pagina principale del suo sito web e, dopo aver
impostato e
studiato il percorso più rapido grazie all’ausilio
di Google Maps, avevo
salutato il mio amichetto e aveva recuperato la mia piccola tracolla.
Avevo chiuso tutte le persiane, nel
caso non avessi fatto
ritorno quella notte. Fatto in cui segretamente speravo. Acciuffai le
chiavi
del pick-up e mi assicurai di serrare a doppia mandata la porta
d’ingresso
prima di mettermi alla guida.
Accesi la radio e iniziai a
fischiettare. Mi sentivo molto
meglio dopo aver parlato con George e ora riuscivo a vedere tutto da
un’altra
prospettiva. Non potevo piombare senza preavviso nel suo ufficio e
proporgli di
sposarci. Soprattutto perché sapevo che ci sarebbe voluto
del tempo per
convincerlo che il matrimonio non era una delle forme in cui si
manifestava
l’Anticristo. Però potevo invitarlo fuori a cena,
potevamo frequentarci, potevo
dirgli apertamente cosa mi piaceva di lui – tutto –
e potevo stringergli la
mano. E poi ovviamente potevo infilarmi nel suo letto quella notte. E
anche
quelle successive. Anche per sempre magari.
Dovevo procedere per gradi, senza
spaventarlo. E senza
correre il rischio di commettere una sciocchezza. Da bambina non
segnavo certo
di sposarmi diciassette volte prima di trovare l’anima
gemella. Doveva essere
per sempre. E dovevo esserne sicura. La storia di Liam con Tiffany e le
loro
nozze affrettate parlavano da sole.
Percorsi qualche chilometro
costeggiando la campagna, il
sole che iniziava a calare e a farsi più arancione, la
strada sgombra e lucida
di fronte a me. Un’auto stava giungendo dalla direzione
opposta alla mia,
correva rapida. Fin troppo rapida per una stradina stretta come quella.
Storsi
il naso e premetti il pedale del freno, non avrei certo rischiato di
finire nel
fosso per colpa di un incosciente con la passione per la
velocità. Che poi
stava guidando quella che pareva una vecchia Ford e non certo una
Ferrari! Una
vecchia Ford? Aguzzai lo sguardo per osservare meglio l’auto
sempre più vicina,
vettura che ora stava rallentando a sua volta.
Sembrò una scena quasi
irreale. Io rallentavo, l’altra
macchina fece lo stesso e così quando ci affiancammo eravamo
praticamente
fermi, le bocche spalancate e gli occhi sorpresi.
«Theo?!»,
domandai cercando di capire cosa mai potesse farci
nella campagna fuori Plymouth.
Cercava te, Sherlock!
«Possiamo fermarci e
parlare?», mi domandò speranzoso.
Ignorai il suo tono quasi
supplichevole e decisi di
mostrarmi fredda. Ci eravamo appena lasciati dopotutto!
«Sono piuttosto di
fretta…», commentai gelida, lanciando
un’occhiata al orologio sul cruscotto.
Lui aggrottò la fronte e
si sporse leggermente verso di me, «Dove
stai andando? Potrei accompagnarti…»
Mi venne da ridere
nell’udire la sua ultima proposta. Se
avesse saputo dove ero diretta non sarebbe di certo stato impaziente di
accompagnarmici. Assolutamente no.
«No, non puoi. Cinque
minuti, Theodore, cinque. Più avanti
c’è uno spiazzo sulla destra: ti aspetto
lì», detto ciò ritirai la testa e
rimisi in moto.
Un minuto più tardi mi
raggiunse e io mi decisi a scendere
dal furgoncino. Non mi avvicinai e controllai di nuovo
l’orologio. Dovevo
andare, altrimenti Liam sarebbe uscito dall’ufficio, io avrei
dovuto chiamare
Judith o Mildred per farmi dettare il suo civico e poi avrei dovuto
trovare
qualcuno che mi spiegasse come raggiungerlo. Una perdita di tempo
inutile ed
una scocciatura evitabile. Se solo Theo si fosse sbrigato a dire quello
che
doveva e avesse levato le ancore.
Mi sorpresi della mia cattiveria ma
non riuscivo davvero a
capire cosa mai ci facesse lì. Non ci eravamo lasciati in
amicizia, scambiandoci
baci sulle guance e promettendoci di trascorrere un weekend al mare
insieme.
Avevamo urlato, avevamo recriminato, avevamo esagerato. Non era stato
per nulla
bello e di certo era stata la cosa più vera che era successa
nella nostra
relazione di quattro anni. Gli strilli, i rancori, le parole non dette.
Tutto
covato per anni, in silenzio. E poi eravamo scoppiati e alla fine di
tutto la
nostra storia ne era uscita a pezzi ma noi no. O perlomeno io no. Anzi
era
stato un sollievo. Un nuovo inizio.
Lui fece un paio di passi verso di me
e io mi affrettai ad
alzare una mano per bloccarlo.
«Mi manchi,
Felicity…», sussurrò piano, guardandomi
con
degli occhioni da cucciolo.
Tsé, ora me lo diceva!
Dopo anni di attesa, anni in cui
avevo ricevuto solo resoconti sui suoi maledetti studi botanici e
neanche una
parola dolce.
Non avevo alcuna intenzione di
cascarci. Non potevo
indietreggiare dopo aver fatto tutti quei passi in avanti. Dopo aver
scelto
qualcuno che non fosse lui. Tic, tac, tic, tac. Così aveva
detto mia madre e in
quel momento io potevo chiaramente percepire il tempo scivolarmi tra le
mani
senza che io potessi fare alcunché.
«Questo non
cambierà le cose. Ci siamo detti addio», gli
ricordai, ammorbidendo il tono.
Il ruolo di regina dei ghiacci
dopotutto non mi si addiceva
troppo. E non potevo negare che provavo ancora un infinito affetto per
quell’uomo.
Successe tutto in un attimo, io mi
ero distratta per
guardare le lancette che si stavano avvicinando pericolosamente al sei
sul
quadrante rosa pallido del mio orologio da polso e quando avevo
rialzato lo
sguardo lo avevo visto.
In ginocchio.
«Non
ti starai mica
per sposare, vero?», le parole di mia madre
suonavano come una cantilena
nella mia mente in preda al panico.
«Felicity Van Houten,
vorresti concedermi l’onore di
diventare mia moglie?»
ECCOMI!
Questo capitolo
mi piaceee – squillino le trombe! – e
l’ho scritto di getto nonostante l’idea
fosse già stabilita da tempo. Cioè Theo doveva
dichiararsi fin dall’inizio, che
broccolo d’uomo! C’è per caso qualcuno
#TeamTheodore? Ne dubito ma non si sa
mai, il mondo è bello perché è vario,
no?
Vi ho dato uno
sprazzo di Donovan e Zoe (Mia eroina! Anche io eliminerei qualsiasi
marito
probabilmente (Liam a parte) ;D) e una telefonata deleteria con Mamma
Van
Houten. Più una saggia conversazione con George il Savio. Il
grande assente è
lui ma comunque Felicity non parla d’altro quindi va bene
così. E poi il
prossimo capitolo sarà tutto suo. Chissà come
accoglierà questa ultima novità…
Scatenatevi con
i commenti!
Bacini a tutti!
S.
P.S. Doppi e
tripli bacini a chi passa a dare un’occhiata e lascia un
commentino alla mia
nuova storiella à http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3486063&i=1