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Autore: HannibalLecter    18/07/2016    1 recensioni
Liam Carter Wright è un giovane avvocato esperto in divorzi e furiosi litigi, tipico topo di città la cui unica idea di contatto con la natura comprende un dissetante cocktail servito in una noce di cocco, calda sabbia bianca e donne dalla pelle dorata dal sole.
Felicity Van Houten, testa tra le nuvole e lentiggini, invece lavora quotidianamente immersa nel verde e ogni sera si rifugia nella sua casetta di campagna alquanto malandata, circondata da un vero e proprio paradiso fiorito, che la tiene impegnata a tal punto da farle scordare di fare la spesa o pagare le bollette.
Il sole stava calando e tutto il giardino aveva assunto una deliziosa sfumatura aranciata. Diressi il getto dell'acqua verso il cespuglio di azalee e mi misi a canticchiare tutta allegra:
«Le rose sono rosse
le viole sono blu
Liam Carter Wright è una testa di cactus
e presto lo scoprirai anche tu!»
Passai al rododendro che tenevo in un bellissimo vaso di terracotta decorata e innaffiai abbondantemente anche lui.
«Miss Van Houten, lei è una poetessa sublime»
Mi voltai di scatto e mi trovai di fronte in tutto il suo splendore Mr. Testa di Cactus meglio conosciuto come Liam Carter Wright.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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«Puah!»

«Condivido in pieno: triplo puah!»

Cercare di avere una conversazione seria con quei due zucconi si stava rilevando possibile quanto scalare l’Everest con un paio di ciabatte infradito infilate ai piedi.  Donovan mi aveva stressato l’anima per ore e ore, sottoponendomi ad un interrogatorio serrato finalizzato a minare la mia pazienza zen. Rispondergli malamente che non erano affari suoi non era certo servito a tenerlo buono, anzi, aveva avuto come unica conseguenza il convincerlo che effettivamente c’erano degli affari che mi riguardavano che non volevo condividere con lui. Degli affari che vedevano coinvolti la sottoscritta, Mr. Liam ed un orto botanico.

«…e un letto! Non scordiamoci della parte più interessante del racconto, per favore», ululò Donnie come offeso dal mio tentativo di svicolare per evitare di raccontare a lui e a mia sorella le vicende della mia vita sessuale.

Zoe, prontamente informata dal pettegolo del villaggio che mi sedeva accanto, aveva per l’occasione interrotto il suo eremitaggio e, scroccando spudoratamente la connessione WiFi dell’ultimo poveretto che aveva scaricato una settimana prima, si era collegata immediatamente sul suo account Skype e aveva iniziato a tempestarmi di chiamate.

«Grazie al cielo hai contattato un medico oculista e quest’uomo pio ti ha dotata di lenti a contatto in grado di sopperire alla tua cecità assoluta! Per tutti i neonati sventrati, sui dizionari, alla voce ‘figo’ c’è affiancata la foto di quel Carter Wright!», strillò indignata mia sorella, la quale, alla notizia della rottura tra me e Theo, si era così emozionata da dichiararmi a denti stretti e ringhiando che forse poteva ritornare a volermi bene e smettere di raccontare a tutti di come la sua sorellina minore fosse stata disciolta nella soda caustica da un terribile assassino quando aveva solo sette anni. Che magnanimità!

«Io non credo che il termine ‘figo’ sul vocabolario esist-»

«Hai perfettamente ragione, Z! Quel Theodore era una sorta di pallido omuncolo ricoperto di alghe ripescato da un laghetto…», intervenne il mio amico, non curandosi del fatto che mi aveva brutalmente interrotto. E ovviamente non scusandosi per la sua solita maleducazione.

«Una sorta di becchino, ingrigito, rinsecchito, con l’animo di un novantenne…»

«…e il fisico prestante di un cadavere…»

«…riesumato dopo millenni dal proprio loculo…»

«…la personalità di un lumacone mangia lattuga…»

«…e il brio di una cavalletta spiaccicata dalla ruota di un trattore…»

«Avete finito? Ero giovane, era un professore associato e mi sono presa una cotta!», sbottai stizzita da quel botta e risposta di commenti poco lusinghieri nei confronti del mio fidanzato. Ex fidanzato.

«Chiamala cotta: ti ci sono voluti quattro anni per farti aprire gli occhi…», borbottò Donovan ridendo sotto i baffi.

«E quando finalmente il miracolo è accaduto anche la nostra piccola, tenera, ingenua Flick HA VISTO!», continuò Zoe con un tono quasi mistico.

Feci danzare dubbiosa lo sguardo tra il viso pallido di mia sorella incorniciato dallo schermo del portatile e quello abbronzato del mio aiutante seduto vicino a me.

Alla fine sospirai e posi la domanda, «Cosa ho visto?»

«Il culo marmoreo di Mr. Carter Wright!», gridò come un’indemoniata Zoe.

Donovan scoppiò in una risata e aggiunse tra un singulto e l’altro: «Per non parlare dei bei pettorali fasciati da camicie Hugo Boss…»

Risata che ebbe vita breve non appena la mia cara sorellina lo freddò con uno dei suoi tipici commenti amorevoli: «Devo dubitare della tua eterosessualità, Donnie caro?», cinguettò melliflua.

Avevo sempre volutamente evitato di interrogarli riguardo a quali rapporti intercorressero o erano intercorsi tra loro. Non avevo proprio voglia di sentirmi raccontare per filo e per segno l’abilità in materia di arti amatorie di quei due. O peggio ancora, rischiare di essere abbandonata dal mio aiutante ed amico più fidato, fuggito per amore, o qualsiasi cosa facessero quei due insieme, tra le montagne aguzze del Maine.

Anche perché a vederli, Zoe scura e imbronciata come la figlia del Conte Dracula e Donovan sorridente e gaio come un gigantesco girasole, non comunicavano certo l’idea di una coppia ben appaiata.

Nonostante lo stesso si potesse dire di me e Mr. Liam. Lui elegante e bellissimo, mentre io ero solo un’insignificante piccola apina spappolata sul parabrezza della sua Porsche lucente. Ahi! Potevo quasi sentire il dolore dei tergicristalli che incedevano impietosi e mi strappavano le ali. Era quella la fine che mi aspettava? Di Theodore si poteva dire di tutto, ma mi aveva sempre fatta sentire al sicuro. Non c’erano state notti di passione infuocata, squilli di trombe quando mi baciava né spasmi d’amore quando era lontano. Però era sempre confortante tornare da lui. Sapevo sempre cosa aspettarmi e questo mi rasserenava.

E così era stato fino a quando aveva scoperto che il rapporto con un uomo poteva essere tutto tranne che confortante. E la cosa mi era piaciuta tremendamente. Mr. Liam mi faceva sentire la testa leggera, come dopo un paio di cocktails. E mi aveva fatto arricciare le dita dei piedi quella sera sotto alla pagoda nell’orto botanico. Oltre ad avermi gentilmente offerto un chiassoso concerto mentale di campane. Ed era stato a quel punto che avevo capito come sarebbe potuto essere. Con Liam avrei potuto avere tutto quello che non avevo ottenuto dalla relazione con Theo. Sarebbe stato il trionfo del mio sogno romantico. Mi sentivo elettrizzata al solo pensiero. Eppure qualcosa mi aveva fermata. Un piccolo tarlo che aveva scavato e scavato fino a costringermi ad arrendermi, porre fine al bacio e alla conseguente cacofonia di scampanellii vari, per potergli dare ascolto.

Se avevo passato quasi quattro anni al fianco con Theo non era perché ero una sciocca. O perché temessi di non riuscire più a trovare nessun altro e di restare sola. No, era stato proprio perché di lui mi fidavo, sapevo come si sarebbero evolute le cose e gli volevo bene. Mi teneva la mano e io mi sentivo rassicurata. Solo ora mi rendevo conto che anche quando mia madre mi prendeva la mano sortiva lo stesso effetto: empatia, serenità, affetto.

Sfiorare la mano di Liam era stata un’esperienza destabilizzante. Non ne avevo tratto conforto, era stato come prendere una scossa. Ed avevo avuto paura proprio perché non avevo idea di cosa aspettarmi.

«Ha subito una lobotomia? Perché hai quell’espressione da Theodore stampata in volto?». La vocetta petulante della mia adorata sorella mi riportò bruscamente alla realtà.

«Immagino stia rivedendo mentalmente i fotogrammi della notte rovente passata nel letto di Tu-sai-chi…», ipotizzò Donovan, un sorrisetto malizioso cucito sulle labbra.

«L’Uomo Inutile doveva proprio essere insoddisfacente a letto  – non che nutrissi dubbi a tal proposito – se tu, Felicity la Casta, l’hai data via al primo appuntamento… », constatò Zoe, picchiettandosi l’indice sulle labbra.

Quella conversazione stava diventando davvero inutile e quasi offensiva. Cos’avevano da impicciarsi tanto nelle mie questioni private? Soprattutto se tutto quello che avevano da dire consisteva in commenti poco carini nei miei confronti e lodi a parti anatomiche non battute dal sole appartenenti a Carter Wright!

«Accidenti a voi due! Perché vi interessa tanto cosa ho fatto o non fatto con Liam? E perché dovrei spiattellare a voi due i dettagli di quanto è accaduto quando finora non avete fatto altro che dire sciocchezze o distribuire cattiverie gratuite!», urlai esasperata, tirandomi le ginocchia contro il petto e tenendo ostinatamente lo sguardo lontano dalle due paia di occhi che sapevo fissarmi attentamente.

«Perché vogliamo aiutarti?», propose timidamente Donovan.

Zoe gli sibilò di tacere e mi ordinò di guardarla dritta negli occhi. Non avevo nessuna voglia di sottostare alle sue pretese tiranniche da sorella maggiore ma quando mi minacciò di telefonare a mamma per informarla che non avrei potuto sposare l’amico pastore di nostro cugino perché me la facevo con un avvocato riccastro e prestante, da ragazza poco timorata di Dio qual ero, mi ritrovai a fissare minacciosa le sue iridi scure in meno di mezzo secondo.

Ci mancava solo l’intervento di Mrs. Van Houten e dei suoi rotoli di Domopack! Probabilmente lo avrebbe impacchettato tutto nel cellophane le prime volte, giusto per assicurarsi riguardo alla pulizia e all’ordine della persona di Liam, e forse dopo un paio di docce e una sterilizzazione in acqua e bicarbonato lo avrebbe accolto in famiglia.

«È da quando siamo alte quanto un soldo di cacio che entrambe sappiamo cosa volevamo dalla vita. Io l’ho realizzato, perché nel mio caso un marito sarebbe finito ucciso in qualche modo orribile giusto per fornirmi ispirazione per un nuovo romanzo. Tu no. Tu volevi l’amore delle fiabe, i fiori d’arancio ed i pargoletti. Sei stata per così tanto tempo con l’uomo sbagliato da esserti quasi convinta che era proprio quello che volevi, rischiando di accontentarti e finire per essere infelice. Ora che hai finalmente aperto gli occhi e hai trovato lui, come puoi essere così scema da tentennare e stare qui a parlare con noi invece di correre ad urlargli un gigantesco SÌ dritto in volto e poi festeggiare replicando le zozzerie della scorsa sera?»

Che conclusione regale per un discorso tanto accorato. In verità, nuovi insulti velati a parte, sapevo benissimo quanto le sue parole fosse sincere e ahimè vere.

«Guarda che non mi ha chiesta in sposa, sai?», le feci notare, preferendo aggrapparmi a quel piccolo particolare piuttosto che ammettere che aveva ragione, porre fine alla videochiamata, cacciare Donnie a calci e sgasare con il mio pick-up in direzione Boston, studio legale Carter Wright.

«Non ancora», si intromise con tono di sussiego Donovan.

Su quel punto avrei avuto qualcosa da obiettare essendo a conoscenza della visione demoniaca che Liam aveva del sacramento del matrimonio. Grazie Tiffany, se non riuscirò mai a sposare quell’uomo sarà solo colpa tua, brutta sgualdrina di una ex-moglie! Perlomeno aveva generato quel piccolo confettino che era Arabella e per questo forse non andava del tutto disprezzata.

«Insomma ti muovi?!», sbraitò Zoe, gli occhi infuocati di quando è prossima ad una vera e propria furia omicida. Grazie al cielo si trova a miglia da me ma quel povero ragazzo a cui sta fregando l’adsl non potrebbe dirsi ugualmente al sicuro.

 

***

 

«Mamma, ripetimi per favore come siete arrivati alla decisione di sposarvi, tu e papà…»

Un quarto d’ora prima finalmente quel comizio di pettegoli aveva avuto fine e, salutata Zoe, avevo letteralmente messo alla porta Donnie, il quale aveva preso a delirare riguardo al progetto di convincere mia sorella a venire a vivere da lui. Pff, Zoe e il sole: fantascienza!

Dopodiché mi ero detta che se volevo davvero compiere quella pazzia ventilata dalla mia altrettanto folle consanguinea almeno lo avrei fatto dopo una doccia ed una scelta accurata del look. Quel momento poteva diventare storia e io non potevo certo raccontare ai miei nipotini che la storia con Nonno Liam aveva avuto inizio con me vestita con la tenuta da lavoro, la terra sotto le unghie e frammenti di foglie secche tra i capelli.

Stavo davvero già pensando ai nostri nipotini? Ero da internare in una cella isolata del miglior istituto psichiatrico americano!

Mi ero lavata rapidamente, mi ero avvolta i capelli in un asciugamano, improvvisando un turbante precario, e mi ero infilata la biancheria. Dopodiché mi ero chiesta che accidenti stessi facendo. E come ogni volta aveva trovato un’unica risposta: chiamare mia madre.

«Oh, tesoro, te l’avrò raccontato mille volte! Dimmi piuttosto: hai notizie di quella sciagurata della mia primogenita? Stavo quasi pensando di andarla a stanare io stessa ma odio la montagna e odio il Maine e dovrei farmi stordire con del cloroformio e farmi portare in braccio fin lassù da un aitante membro della guardia forestale con le braccia muscolose ed opportunamente fasciate nel cellophane sterile…»

Ecco. Il succo delle telefonate con lei era questo: follia che si sommava alla follia di Zoe.

Sbuffando incastrai il telefono tra l’orecchio e la spalla per poter avere le mano libere e spalmarmi tutto il corpo di crema al burro di karité. «Mà, sono seria. Per favore…»

Lei sbuffò a sua volta per poi darmi retta ed iniziare a narrare per l’ennesima volta la storia del loro fidanzamento.

Il nocciolo della questione stava nel chi aveva proposto all’altro di sposarlo. Mia mamma, stanca di quel corteggiamento lungo secoli, e per nulla interessata ad attendere che mio padre si facesse una posizione e un nome nell’ambiente legale, aveva fatto la cosa più romantica di sempre. Certo i suoi modi non erano stati propriamente ineccepibili ma alla fine è la sostanza che conta, no?

Grace aveva preso il coraggio a piene mani ed era sbottata, strillando ad un giovane Montgomery Van Houten: «…Insomma, io sto quasi per andare in menopausa, perciò se vuoi avere dei bimbetti prima che i tuoi girini si atrofizzino e i miei ovetti diventino frittata o mi sposi ora o mi lasci libera…», recitò a memoria mia madre.

All’epoca, per la cronaca, aveva ventiquattro anni. Ad un passo dalla menopausa proprio.

«E poi?», le chiesi sospirando estasiata, come mi era successo ognuna delle millesettecentonovantadue che avevo udito quella storia.

«Il giorno dopo si inginocchiò, mi offrì una corona di fiori e mi chiese se volevo diventare sua moglie. Non ho mai avuto un vero anello di fidanzamento ma feci seccare quei fiori ed ancora oggi li conservo. Tuo padre è sempre stato tanto risoluto sul lavoro quanto indeciso in famiglia e negli affetti…dio, quanto ero innamorata!», mi confessò piano.

Ogni volta che parlavamo di questo lei si emozionava per poi aggredirmi perché le facevo colare il mascara. Cosa impossibile da credere dal momento che sborsava verdoni e verdoni per un rimmel Dior accuratamente waterproof a prova delle peggiori crisi di pianto.

«Grazie mamma…», sussurrai.

Dall’altro lato della cornetta sentii un trambusto improvviso e poi: «Non ti starai mica per sposare, vero?», strillò a duecento decibel direttamente nel mio timpano, rischiando di farmi cadere il telefono dritto dritto nella vaschetta di acqua calda in cui avevo immerso i piedi per un pediluvio dell’ultimo momento. Telefono che tra l’altro mi era appena stato regalato da Donovan, stufo delle mie email e della continua impossibilità di contattarmi.

«NO! Cioè…sì? NO! Forse…ma no dai! Che scemenza! Sarebbe una stupidaggine? Sì, sì lo è. Però…», biascicai nel panico più totale.

Ora io vorrei sapere chi è stato a decidere che nel momento in cui una donna diventa madre viene dotata di un sensore radar che riesce a scovare ogni minimo segreto dei propri figlioletti, senza che questi abbiano aperto bocca. Leggono nella mente? Posizionano delle cimici nelle nostre case? Assoldano investigatori privati? Mistero.

«Le telefonate con te mi provocano sempre una tremenda emicrania, Felicity cara. Deduco che tu sia piuttosto confusa al riguardo ma non del tutto restia all’idea di accasarti finalmente. Devo forse sperare che il pastore abbia fatto breccia nel tuo cuore grazie ad un sermone particolarmente sentito?», domandò curiosa, una nota di speranza nella voce.

Sermone? Pastore? Eh? Ok, forse il sensore di sua madre era un po’ ammaccato e a volte faceva cilecca. Non riuscivo neanche a dare un volto a quell’insignificante essere umano incontrato alla festa di compleanno di papà, come poteva pensare che stesse per sposarlo?

«Mamma, hai preso le tue pillole?», mi sincerai preoccupata.

«Fai poco la simpatica, tesoro. Se ti stai per sposare io, in quanto tua genitrice, devo esserne informata con un anno di preavviso per poter contattare personalmente la mia amica Vera Wang e chiederle di confezionarmi un abito adatto. E il catering, la location, gli ospiti. Boy George per cantare alla festa…»

Alzai gli occhi al cielo, quella donna era veramente impossibile. «Primo: grazie, per preoccuparti per il tuo vestito Vera Wang mentre io posso andare all’altare coperta solo con tre foglie di fico. Secondo: Boy George piace solo a te! Terzo: nessuno sposa nessuno!», sbottai al colmo della sopportazione.

Boy George?! Puah!

«Oh. È un peccato, avevo già comunicato la lieta novella a tutte le tue zie. Non potresti ripensarci?», mi chiese ansiosa.

Estrassi i piesi dal catino, li asciugai e tornai in camera. Liberai i capelli dall’asciugamano e li pettinai approssimativamente con la mano libera. «Come accidenti hai fatto a dirlo a tutte le zie se eri al telefono con me?!»

«Abbiamo un gruppo Whatsapp», mi spiegò in tono altezzoso.

Quella era la mia rovina. Genitori e Whatsapp: il binomio degli orrori.

«Addio mamma!», sancii spazientita.

Lei fece in tempo a ricordarmi che: «Tic tac, tic tac, Felicity! La menopaus-», prima che le riagganciassi in faccia, senza curarmi una volta tanto delle buone maniere.

 

***

 

Alla fine mi ero decisa per una gonna a metà coscia color navy ed una graziosa maglia a righe che non ricordavo neanche di possedere. Decisi di fare uno sforzo e lasciare a riposo per una sera i miei fidati anfibi e mi infilai un paio di ballerine scure. Legai i capelli in una coda di cavallo alta e mi passai un po’ di mascara e di fard sul viso che con il sole degli ultimi giorno era tutto un fiorire di lentiggini.

Lo stavo per fare davvero? Non ne avevo idea e il panico stava iniziando ad impadronirsi di me, perciò feci una delle poche cose in grado di calmarmi i nervi in ogni situazione.

Seduta a gambe incrociate sul parquet accanto al letto, gli occhi all’altezza della boccia d’acqua posizionata sul comodino e un allegro George intento a sguazzare felice.

«Secondo te sto sbagliando?», lo interrogai.

Per tutta risposta ottenni tante bollicine. Segno che non era d’accordo.

Picchiettai piano sul vetro della boccia e lui nuotò rapido vicino a me. Aveva due occhietti tondi che sembravano osservare tutto quello che lo circondava ed uno sguardo sorprendentemente sveglio.

«In fondo ci conosciamo da poco. Siamo usciti ufficialmente solo una volta e…però mi piace, Georgie, capisci? Mi piacciono quei suoi modi pacati, sicuri, quasi arroganti. Ma in senso buono eh! E poi ha delle ciglia lunghe che gli ombreggiano gli occhi e ogni volta che le sbatte velocemente io sento le farfalle nello stomaco. Dio, sono patetica, vero?»

Bollicine di diniego.

Forse avrei dovuto comperare una compagna per il mio George. Una bella pesciolina rossa per fargli compagnia e ripagarlo per tutte le sedute terapeutiche a cui lo avevo obbligato a soprassedere.

«È orgoglioso, è appassionato ed è premuroso a modo suo. Non gli piace doversi ripetere, essere in ritardo e detesta restare imbottigliato nel traffico ogni sera. Adora sua figlia e sua sorella e segretamente presiede il fanclub di Queen Mildred, però shh, acqua in bocca! Loda sempre Diane, la sua segretaria, e questa cosa mi sconcerta un attimo ma magari è solo un’anziana signora sovrappeso, no?»

Il pesce rosso soffiò, riempiendo di bolle l’acqua prima calma. Eh no, George caro, non puoi essere in aperto disaccordo proprio sul delicato argomento della segretaria privata!

L’occhio mi cadde sulla sveglia posata dietro la boccia, i numeri dell’orologio distorti dall’effetto del vetro e dell’acqua. Dovevo muovermi prima di rischiare di rimanere incastrata nel traffico. Non avevo un buon senso dell’orientamento e non avrei mai saputo ricordarmi come ritornare al suo loft. Ma l’indirizzo del suo studio legale era scritto in caratteri eleganti sulla pagina principale del suo sito web e, dopo aver impostato e studiato il percorso più rapido grazie all’ausilio di Google Maps, avevo salutato il mio amichetto e aveva recuperato la mia piccola tracolla.

Avevo chiuso tutte le persiane, nel caso non avessi fatto ritorno quella notte. Fatto in cui segretamente speravo. Acciuffai le chiavi del pick-up e mi assicurai di serrare a doppia mandata la porta d’ingresso prima di mettermi alla guida.

Accesi la radio e iniziai a fischiettare. Mi sentivo molto meglio dopo aver parlato con George e ora riuscivo a vedere tutto da un’altra prospettiva. Non potevo piombare senza preavviso nel suo ufficio e proporgli di sposarci. Soprattutto perché sapevo che ci sarebbe voluto del tempo per convincerlo che il matrimonio non era una delle forme in cui si manifestava l’Anticristo. Però potevo invitarlo fuori a cena, potevamo frequentarci, potevo dirgli apertamente cosa mi piaceva di lui – tutto – e potevo stringergli la mano. E poi ovviamente potevo infilarmi nel suo letto quella notte. E anche quelle successive. Anche per sempre magari.

Dovevo procedere per gradi, senza spaventarlo. E senza correre il rischio di commettere una sciocchezza. Da bambina non segnavo certo di sposarmi diciassette volte prima di trovare l’anima gemella. Doveva essere per sempre. E dovevo esserne sicura. La storia di Liam con Tiffany e le loro nozze affrettate parlavano da sole.

Percorsi qualche chilometro costeggiando la campagna, il sole che iniziava a calare e a farsi più arancione, la strada sgombra e lucida di fronte a me. Un’auto stava giungendo dalla direzione opposta alla mia, correva rapida. Fin troppo rapida per una stradina stretta come quella. Storsi il naso e premetti il pedale del freno, non avrei certo rischiato di finire nel fosso per colpa di un incosciente con la passione per la velocità. Che poi stava guidando quella che pareva una vecchia Ford e non certo una Ferrari! Una vecchia Ford? Aguzzai lo sguardo per osservare meglio l’auto sempre più vicina, vettura che ora stava rallentando a sua volta.

Sembrò una scena quasi irreale. Io rallentavo, l’altra macchina fece lo stesso e così quando ci affiancammo eravamo praticamente fermi, le bocche spalancate e gli occhi sorpresi.

«Theo?!», domandai cercando di capire cosa mai potesse farci nella campagna fuori Plymouth.

Cercava te, Sherlock!

«Possiamo fermarci e parlare?», mi domandò speranzoso.

Ignorai il suo tono quasi supplichevole e decisi di mostrarmi fredda. Ci eravamo appena lasciati dopotutto!

«Sono piuttosto di fretta…», commentai gelida, lanciando un’occhiata al orologio sul cruscotto.

Lui aggrottò la fronte e si sporse leggermente verso di me, «Dove stai andando? Potrei accompagnarti…»

Mi venne da ridere nell’udire la sua ultima proposta. Se avesse saputo dove ero diretta non sarebbe di certo stato impaziente di accompagnarmici. Assolutamente no.

«No, non puoi. Cinque minuti, Theodore, cinque. Più avanti c’è uno spiazzo sulla destra: ti aspetto lì», detto ciò ritirai la testa e rimisi in moto.

Un minuto più tardi mi raggiunse e io mi decisi a scendere dal furgoncino. Non mi avvicinai e controllai di nuovo l’orologio. Dovevo andare, altrimenti Liam sarebbe uscito dall’ufficio, io avrei dovuto chiamare Judith o Mildred per farmi dettare il suo civico e poi avrei dovuto trovare qualcuno che mi spiegasse come raggiungerlo. Una perdita di tempo inutile ed una scocciatura evitabile. Se solo Theo si fosse sbrigato a dire quello che doveva e avesse levato le ancore.

Mi sorpresi della mia cattiveria ma non riuscivo davvero a capire cosa mai ci facesse lì. Non ci eravamo lasciati in amicizia, scambiandoci baci sulle guance e promettendoci di trascorrere un weekend al mare insieme. Avevamo urlato, avevamo recriminato, avevamo esagerato. Non era stato per nulla bello e di certo era stata la cosa più vera che era successa nella nostra relazione di quattro anni. Gli strilli, i rancori, le parole non dette. Tutto covato per anni, in silenzio. E poi eravamo scoppiati e alla fine di tutto la nostra storia ne era uscita a pezzi ma noi no. O perlomeno io no. Anzi era stato un sollievo. Un nuovo inizio.

Lui fece un paio di passi verso di me e io mi affrettai ad alzare una mano per bloccarlo.

«Mi manchi, Felicity…», sussurrò piano, guardandomi con degli occhioni da cucciolo.

Tsé, ora me lo diceva! Dopo anni di attesa, anni in cui avevo ricevuto solo resoconti sui suoi maledetti studi botanici e neanche una parola dolce.

Non avevo alcuna intenzione di cascarci. Non potevo indietreggiare dopo aver fatto tutti quei passi in avanti. Dopo aver scelto qualcuno che non fosse lui. Tic, tac, tic, tac. Così aveva detto mia madre e in quel momento io potevo chiaramente percepire il tempo scivolarmi tra le mani senza che io potessi fare alcunché.

«Questo non cambierà le cose. Ci siamo detti addio», gli ricordai, ammorbidendo il tono.

Il ruolo di regina dei ghiacci dopotutto non mi si addiceva troppo. E non potevo negare che provavo ancora un infinito affetto per quell’uomo.

Successe tutto in un attimo, io mi ero distratta per guardare le lancette che si stavano avvicinando pericolosamente al sei sul quadrante rosa pallido del mio orologio da polso e quando avevo rialzato lo sguardo lo avevo visto.

In ginocchio.

«Non ti starai mica per sposare, vero?», le parole di mia madre suonavano come una cantilena nella mia mente in preda al panico.

«Felicity Van Houten, vorresti concedermi l’onore di diventare mia moglie?»

 

 

ECCOMI!

Questo capitolo mi piaceee – squillino le trombe! – e l’ho scritto di getto nonostante l’idea fosse già stabilita da tempo. Cioè Theo doveva dichiararsi fin dall’inizio, che broccolo d’uomo! C’è per caso qualcuno #TeamTheodore? Ne dubito ma non si sa mai, il mondo è bello perché è vario, no?

Vi ho dato uno sprazzo di Donovan e Zoe (Mia eroina! Anche io eliminerei qualsiasi marito probabilmente (Liam a parte) ;D) e una telefonata deleteria con Mamma Van Houten. Più una saggia conversazione con George il Savio. Il grande assente è lui ma comunque Felicity non parla d’altro quindi va bene così. E poi il prossimo capitolo sarà tutto suo. Chissà come accoglierà questa ultima novità…

Scatenatevi con i commenti!

Bacini a tutti!

S.

P.S. Doppi e tripli bacini a chi passa a dare un’occhiata e lascia un commentino alla mia nuova storiella à http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3486063&i=1

 

 

 

 

 

  
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