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Autore: MaxB    18/07/2016    4 recensioni
Un castello abbandonato, nascosto nel bosco insieme ai suoi segreti.
Un ragazzo senza memorie.
Un gruppo di fantasmi che lo faranno sentire a casa per la prima volta dopo anni.
Ma c'è solo una cosa che Gajeel vuole più della sua memoria: Levy.
La ragazza che ama, che amava, e che sembra essere la chiave del mistero che gira intorno al castello.
Lo scopo di Gajeel è quello di salvarla, ma l'impresa potrebbe rivelarsi più oscura del previsto.
Tra ricordi riportati a galla da un lontano passato ormai dimenticato, amori e macabre scoperte, riuscirà Gajeel a salvare il suo futuro?
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Mirajane, Pantherlily
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11
Gli addii fanno proprio SCHIFO


 
- Gajeel… prego… ndimi…
Il ragazzo sbatté lentamente le palpebre mentre la voce di Levy cominciava a raggiungere il suo timpano con più forza. Era come riaffiorare dal mare.
- Gajeel, dimmi qualcosa. Reagisci!
La prima cosa che vide fu la spada, posata sul manto di foglie davanti al suo viso.
La prima cosa che percepì furono le mani di Levy che lo scuotevano. Si stava sforzando tanto solo per toccarlo, per aiutarlo a riprendere conoscenza.
Un gemito gli sfuggì dalle labbra e zittì Levy, che si gettò su di lui singhiozzando.
Gajeel tossì mentre gli ultimi strascichi del dolore provato due anni prima si allontanavano nel silenzio tipico di un fantasma. Mentre Levy piangeva sopra di lui, capì che anche lei aveva rivissuto gli ultimi attimi di quella storia assurda.
- Come hai potuto? – mormorò lui, passandole una mano sulla schiena.
- Co-cosa? – balbettò lei, sopraffatta.
- Come hai potuto suicidarti?
Gajeel respirava pesantemente nel tentativo di evitare al bruciore dei suoi occhi di trasformarsi in lacrime amare. Un peso immenso gli stringeva il petto, e non dipendeva da Levy.
- Non mi sono su-suicidata – gemette lei. Tacque per diversi minuti, mentre la facoltà di parlare rientrava in possesso delle sue corde vocali. – Che altro avrei potuto fare? Eravate tutti morti. Tu eri devastato dalle ferite. Se avessi lasciato libero lo spettro mi avrebbe uccisa, e avrebbe ammazzato anche te. O ti avrebbe lasciato ad agonizzare sul pavimento. Ho pensato… ho pensato che portarlo via con me ferendomi sarebbe stato meglio che lasciarlo libero di andare a seminare altro terrore.
Gajeel allungò una mano per accarezzarle i capelli, ma la mano affondò in quell’inconsistenza vischiosa che rappresentava Levy. Come se l’aria avesse una forma propria. E ora capiva perché.
Le sue mani attraversavano gli altri fantasmi, come se fossero aria. Ma Levy era aria pesante.
Era più densa. Perché dentro di sé aveva due spiriti. Forse era per quello che non era morta.
Trafitta al cuore. Sarebbe dovuta morire immediatamente.
Però le due presenze che litigavano nel suo corpo le avevano dato vigore, e invece di morire si era estraniata dal tempo, mentre lo spirito maligno era rinchiuso nel suo corpo, impotente.
- Cosa… cosa devo fare? Come posso aiutarti? – domandò Gajeel in un sussurro, lo struggimento lampante nella sua voce.
- Penso che tu sappia già la risposta…
Sì. O forse no. Probabilmente la immaginava. Chi poteva saperlo?
- Devi uccidermi Gajeel. Ti ho aspettato per questo. Ho atteso per questo. Non avresti mai capito se non avessi visto con i tuoi occhi.
Il ragazzo restò zitto, gli occhi secchi come il deserto, il cuore vuoto come uno scrigno senza più gioielli.
- Se ti avessi detto settimane fa di uccidere il mio corpo, tu ti saresti rifiutato. Mi avresti guardata come se fossi pazza. E lo stesso gli altri – insisté. – Ma ora tu sai, ricordi cos’è successo. Quindi hai capito cosa devi fare. Non c’è altra scelta. Sono felice che tu sia sopravvissuto, comunque.
Levy si strinse nelle spalle e Gajeel sentì di nuovo il suo corpo acquistare forza e consistenza, fino a sentire ogni lembo di carne che pesava su di lui. Abbracciò quel corpo che non era che una proiezione di quello che amava, ed osservò il sole che filtrava dalle foglie sopra di sé, illudendosi che fosse tutto un sogno.
- Non posso vivere così, Gajeel. E nemmeno tu puoi.
Lui annuì. Quando sentì di nuovo Levy diventare un fantasma, si sedette e poi si alzò, imitato da lei. Raccolse la spada e sentì il peso di ciò che doveva compiere gravare su di lui. Infilò l’arma nel fodero e se lo legò in vita. Poi guardò Levy e, prima che lei potesse muovere un dito, scappò via.
Corse negli alberi come se lo spirito fosse stato alle sue spalle. Corse come se avesse avuto il fuoco sotto ai piedi. Corse come se Levy fosse stata in pericolo, e la sua salvezza fosse dipesa dalla sua velocità. Corse fino a vedere solo una guglia del castello sbucare dal verde fogliame che opprimeva il cielo.
Fu allora che sguainò la spada e si scagliò urlando contro un albero, infierendo contro il tronco come se al posto della spada avesse avuto un’ascia. Lottò contro la vegetazione con tutta la rabbia e l’odio che possedeva, sperando di infliggere all’arma almeno un decimo del dolore che provava lui.
Altro che Spada Benedetta e portafortuna.
Gli aveva tolto gli amici.
Gli aveva tolto i ricordi.
Gli aveva tolto Levy.
Quella spada era stata una maledizione, era nata come tale nel momento stesso in cui Mastro Zeref l’aveva ideata. Del resto, cosa può portare di buono un’arma nella cui lama scorre la potenza di un’anima umana?
Ma la spada rimase immobile, intatta, prendendosi beffe di lui. Era immortale e indistruttibile, al contrario del corpo che l’aveva generata.
Gajeel ringhiò e la gettò a terra, scagliandosi lui stesso contro agli alberi fino a farsi sanguinare le nocche. Fino a quando il rumore dei battiti accelerati del suo cuore si sostituirono ai grilli notturni.
Quando sentì le urla che gridavano il suo nome restò zitto, la testa posata contro il tronco lacerato di un povero albero, la testa vuota come il senso di quello che stava vivendo.
Non sobbalzò nemmeno quando una mano si posò sulla sua spalla.
- Torniamo a casa, Gajeel – sussurrò dolcemente Mirajane.
Si lasciò trascinare via, inerte, chinandosi all’ultimo secondo per recuperare la Spada dello Spirito.
In qualche modo il ruolo di quella lama non era ancora da archiviare.
 
- Gajeel. Redfox! – sbraitò Erza una volta che il ragazzo e Mirajane misero piede dentro casa.
Il salone era pieno di ragazzi e ragazze preoccupati che facevano avanti e indietro e parlottavano tra di loro.
- Tranquilla Erza – la bloccò Mira prima che la ragazza minacciasse la vita di Gajeel. Avrebbe potuto farlo anche da fantasma.
- Be’, delle spiegazioni le deve a tutti. Non può sparire così senza avvertire.
Gajeel sollevò lo sguardo, innervosito, e incontrò gli occhi di Levy, seduta sulle scale. Era sconsolata e abbattuta.
- Perché sei scappato? – lo incalzò Erza, mentre alle sue spalle persino Gray e Natsu tacevano.
- Non sono scappato. Avevo detto che sarei andato fuori a passeggiare. Non devo certo rendere conto a voi di ciò che faccio.
Gerard si schiaffò le mani sul viso mentre gli occhi di Erza lampeggiavano di collera. – Ovvio che no. Ma si dà il caso che una passeggiata non preveda lo star fuori fino a tarda notte, senza tornare a casa a mangiare.
- Gajeel… - mormorò Mirajane, prevenendo la seconda parte della sfuriata di Erza. La ragazza sollevò la sua grande mano, sconvolta. – Che hai fatto alle mani?
Sulle nocche insanguinate e infangate erano attaccati pezzi di corteccia e briciole di foglie, come in un bricolage alternativo.
Persino la rabbia di Erza vacillò. – Ma che diavolo è successo?!
Mirajane sospirò. – Gajeel, vai a farti un bagno caldo. Noi ti prepariamo la cena. Sarà faticoso, ma siamo almeno una trentina e dovremmo farcela. Quando sei pronto scendi.
Il ragazzo grugnì e si diresse al piano superiore senza degnare Levy di uno sguardo.
Faceva troppo male.
 
Quando Gajeel scese, un’ora più tardi, in sala da pranzo erano presenti solo Mira, Erza, Natsu, Gray, Juvia, Gerard e Lucy.
Le due donne avevano insistito per restare sole con lui, ma Natsu e Gray non si sarebbero persi per nulla al mondo una sfuriata di Erza a danno di Gajeel, Juvia non avrebbe lasciato Gray da solo, Gerard sperava di fare da paciere nel caso in cui Erza fosse esplosa e Lucy… be’, era lì. Levy era seduta su un altro tavolo, un po’ isolata, e si fissava i piedi.
- Non ho voglia di parlare – sancì Gajeel sedendosi a tavola e buttandosi a capofitto sulla bistecca preparatagli.
- Non ci interessa, sei sparito e hai l’obbligo di dirci per quale motivo sembri uscito da una lotta contro un t-rex!
- Erza! – riprese pacatamente Mirajane. – Non aggredirlo così.
Gajeel grugnì con la bocca piena e non sollevò lo sguardo. Sentiva di aver davvero bisogno di parlare con qualcuno.
Qualcuno che non fosse Levy.
Paradossale ma vero.
- Forse è il giunto il momento di raccontare la verità – lo spronò Levy, intuendo i suoi pensieri.
Gajeel la fissò di sottecchi e finì di masticare il boccone troppo grosso.
Bevve un sorso di birra e osservò i presenti, che attendevano con pazienza. Come facevano da due anni, del resto.
- Ho rimesso la Spada dello Spirito al suo posto – esordì, non sapendo bene da dove cominciare.
In risposta ottenne solo sguardi vacui e confusi e un: - Ah! Che ridicolo mettere nomi alle spade – di Natsu.
Solo Mirajane sembrava aver intuito qualcosa.
- Che roba è la Spada dello Spirito? – chiese Erza.
- La spada che hai fregato per il tuo torneo due anni fa.
- Quella blu e argento? – domandò ancora.
- Eh già. Quella che ha fatto succedere questo casino.
- Cosa?! – sbottò Lucy.
- Già. Si dà il caso che quella spada proteggesse la casa da sfortuna e chissà quali maledizioni. Quando Erza ha preso la spada, ha eliminato la protezione e uno spirito simpatico è arrivato a dirci ciao ciao portando una bella scia di morte come regalo.
Natsu scoppiò a ridere mentre Erza arrossiva. Non le piaceva essere accusata. – E io che ne sapevo, scusa?
Sbuffando, Gajeel raccontò loro tutta la storia: la leggenda della Spada, la decisione del Master di prestarla ad Erza, la presenza dello spirito di cui loro erano già a conoscenza e la fine di Levy.
Il motivo per cui non aveva mai detto nulla.
- Quindi tu devi uccidere Levy?!
- Io non credo a questa favoletta.
- Non è colpa mia, ma del Master!
- E ora che facciamo?!
- Non posso crederci…
Una tempesta di domande colpì Gajeel, che strinse i denti per non urlare.
La mano di Mira si materializzò sul suo braccio per dargli conforto. – Levy è stata molto coraggiosa, Gajeel. Chissà quanti altri disastri avrebbe potuto commettere quel mostro orrendo prima che qualcuno riuscisse a fermarlo.
Mano a mano che Mirajane parlava, le voci concitate si acquietavano, iniziando lentamente a metabolizzare tutte quelle macabre informazioni.
- Quindi è… tutto vero? – chiese Lucy, la voce labile e prossima al pianto.
- Lu-chan… - mormorò Levy, affranta.
Ma la sua amica non rispose.
- E ora cosa facciamo? – indagò Juvia, lucida. Gajeel poteva vedere lo choc crescere in lei, ma fino a quel momento era calma e controllata.
- Io devo… devo ucciderla – bisbigliò il ragazzo. – Devo ucciderla e uccidere il demone che porta dentro di sé. Sarà libera e lo sarete anche voi.
La notizia colpì i ragazzi come una bomba assordante. Non avevano collegato la morte di Levy alla loro salvezza.
Morta lei, moriva il loro assassino. Morto quello, loro sarebbero morti.
Finalmente.
L’incredulità crebbe negli occhi di Lucy. – Tutto questo finirà?
- No – disse Gajeel, secco.
Tutti lo fissarono sbigottiti. – Ma Gajeel…
- Niente ma. Non ucciderò mai Levy. Mi dispiace, ragazzi, ma dovrete tenermi compagnia un altro po’…
Doveva essere un modo per alleggerire la tensione, ma quella crebbe invece che scemare.
- Ehi, chi credi di…
- Calmatevi – sbottò Mirajane, esasperata e sconvolta. – Gajeel oggi ne ha viste troppe. E anche noi. Non è una cosa facile da digerire, ed è normale che lui voglia evitare di uccidere Levy. Lasciamogli il tempo di riflettere.
Gli altri sembrarono soppesare positivamente la sua richiesta, e alla fine annuirono. Del resto, non se ne parlava nemmeno di rispondere a Mirajane.
- Possiamo almeno vedere la spada? – chiese Lucy.
 
Gajeel li condusse attraverso il salone, la sala giochi e poi l’armeria. Era andato a posizionare la Spada nel suo legittimo posto prima di sedersi per mangiare.
Sperava che almeno potesse tornare a portargli fortuna.
I suoi compagni sciamarono attorno alla teca come un gruppetto di bambini in un museo.
Gajeel spalancò gli occhi quando iniziarono a brillare, assomigliando più a degli angeli che a dei fantasmi.
- Che vi prende?! – esclamò, di fronte ai loro sospiri rilassati. Sembrava che un peso enorme fosse stato tolto dalle loro spalle.
- La Spada, Gajeel – mormorò Lucy, sorridendo.
- Ci dà pace – aggiunse Mirajane.
Il ragazzo guardò la faccia inebetita di Natsu e Gray, che sorridevano come due innamorati senza spina dorsale.
- Ma che state dicendo?! – chiese lui bruscamente, attraversandoli per avvicinarsi. La Spada brillava di una luce tenue, sprigionando un leggero potere.
- È così piacevole. A Juvia sembra di poter dormire per sempre – mormorò Juvia con la voce impastata dal sonno.
Gajeel era perplesso. A lui quella spada non faceva alcun effetto. Girandosi scorse Levy, accanto alla porta. Il suo atteggiamento era antitetico rispetto a quello degli altri.
Strano, perché anche lei era uno spirito come loro.
Quando le pose una muta domanda con gli occhi, lei scosse le spalle, a disagio: - Non ho dei ricordi molto positivi legati a quella spada. Mi va meglio restare qui.
Lui annuì e tornò a guardare i suoi amici. – Ma perché reagite così? È bella, certo, ma non siete esagerati?
- Non puoi capire, Gajeel – mormorò Mirajane. – Si chiama Spada dello Spirito, no? A noi… fa bene. Ci dà serenità.
Il ragazzo scosse la testa e rinunciò a capire per quale motivo i ragazzi sembravano diventati dei figli dei fiori. – Bene, peace and love a tutti, ora sparite che siete inquietanti.
Chiuse il coperchio della teca, come avrebbe dovuto essere per quegli ultimi due anni, e augurò la buonanotte agli altri, che restarono a fissare la teca.
Gajeel uscì dalla stanza tenendo d’occhio Levy, che si agitava spostando il peso da un piede all’altro. Era irrequieta, e nemmeno quando in passato gli chiedeva il permesso di dormire con lui si innervosiva tanto.
Quando si allontanò giurò di aver visto sul suo volto un sorriso che di dolce non aveva nemmeno l’ombra.
 
Quella notte Gajeel si girò più e più volte nel letto, senza riuscire a dormire. Nemmeno stare fermo ad ascoltare il respiro regolare di Levy, il suo confortante calore, lo aiutava.
Rimuginava su quello che aveva visto quel giorno, su quello che aveva ricordato, sul suo futuro. Se avesse fatto la cosa giusta, uccidendo per sempre lo spettro, si sarebbe privato di Levy: del suo fantasma che gli teneva compagnia, del suo corpo che chi notte lo aiutava a dimenticare gli incubi, ma avrebbe liberato tutti gli abitanti di Fairy Tail dalla loro non-esistenza.
Voleva essere egoista, ma al tempo stesso non voleva esserlo. Era così difficile fare la cosa giusta.
Quando si assopì, sognò Levy.
 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~

- Gajeel…
Come sempre non riesco a parlare, ma sento il mio cuore accelerare come non mi capita più da tempo quando lei parla. Percepisco solo quello. Il mio cuore. Il resto del corpo non so nemmeno se esista.
- Gajeel, salvami. Salva tutti. Ricordati chi sono.
Ringhio di frustrazione, ma nessuno mi sente.
- Uccidi quella giusta…
Aspetta, cos…
 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~

Gajeel si svegliò di soprassalto, urtando il braccio di Levy. Il suo fantasma non c’era. Strano.
Il ragazzo si alzò sbuffando, e attraversò lentamente il corridoio per raggiungere la cucina. Rabbrividì. Per la prima volta si sentì solo in quel castello abbandonato. Infestato dai fantasmi. Gli veniva da ridere per l’assurdità di quella situazione. Levy era sempre, sempre stata con lui. Ma senza lei, senza le voci degli altri o le televisioni dimenticate accese da qualche nottambulo che si addormentava sulla poltrona, la villa sembrava solo pronta a divorarlo.
In teoria la Spada avrebbe dovuto proteggere Fairy Tail, quindi ora che era tornata al suo posto la villa era al sicuro.
Forse.
Gajeel si godé la pace finché poté, ma quando bevve un bicchiere d’acqua, in cucina, mille domande iniziarono a tormentarlo. Prima tra tutti, quella del sogno.
Cosa diamine voleva dire Levy pregandolo di uccidere quella giusta? Quella giusta chi? Non doveva uccidere lei?
- Non riesci a dormire, figliolo?
Gajeel sobbalzò come un gatto quando sentì la voce alle sue spalle. Seduto sui banconi da lavoro, Makarov se ne stava bello placido immerso nel buio della notte. Happy e Lily dormivano ai suoi fianchi, muovendo le code a scatti.
- Ma che…?! Vuoi forse uccidermi, nonnetto? – sibilò, posando con forza il bicchiere sul tavolo.
Il vecchio rise sommessamente. – Oh no, no, ci mancherebbe. Poi chi ci salverebbe?
Gajeel chiuse forte gli occhi e strinse i pugni a quella sottesa richiesta.
- Tutto bene, figliolo?
Il ragazzo riaprì gli occhi di scatto e inchiodò lo sguardo a quello di Makarov, che lo fissava tranquillamente da sotto le sopracciglia cespugliose e bianche come la neve. – Certo. Cosa potrebbe non andare bene? Dopo due anni vissuti nella completa ignoranza scopro che sono un orfano e che vivevo nel castello di un riccone come te, che però tutti i miei amici sono morti, uccidendosi l’un l’altro a causa di strani possedimenti. Come se non bastasse vengo a sapere che la mia ragazza non è morta, ma il suo corpo fa robe strane tipo respirare e non decomporsi nonostante sia stata trafitta al cuore. Ciliegina sulla torta, recupero l’ultimo frammento della mia bucherellata memoria e capisco che la mia ragazza contiene lo spirito che ha ammazzato tutti gli altri, e che quindi per liberarli da questo limbo devo uccidere lei. Ripeto: secondo te che cosa potrebbe andare male?
Makarov sospirò, senza scomporsi. Aveva assistito alla sfuriata di Gajeel senza mai incurvare le spalle o mostrare compassione. – Non posso capirti, figliolo. Quello che è successo a noi è tragico, ma quello che tu stai vivendo è un dramma senza precedenti. Avrei tanto voluto vedervi invecchiare, finché non mi avreste seppellito. Come vi ho visti crescere, volevo esserci anche ai vostri matrimoni, volevo tenere in braccio i miei nipotini, volevo andarmene da questo mondo sorridendo, circondato dall’amore di tutti voi. Ma non è stato così, purtroppo. Sono stato ucciso da uno spirito che ha reso la mia morte amara, perpetrandola da una delle vostre mani. Ho passato la mia esistenza ad accudirvi, insegnandovi ad ascoltare il vostro cuore, ma alla fine non sono stato in grado di darvi la cosa più importante. Un futuro.
La rabbia di Gajeel sfumò, si sgonfiò come un palloncino che non viene chiuso bene.
- Non sai quante volte al giorno, quante volte ogni minuto mi maledico per non aver dato retta a Levy quando mi diceva che quella spada era davvero sacra. Ero cinico. Io, io che raccontavo ai miei bambini le favole ogni sera, che insegnavo loro a credere all’esistenza delle fate, a cercarle per vedere se avevano la coda o no. Io sono stato cinico e per questo avete pagato tutti voi. Marcire all’inferno per tutta l’eternità non espierebbe le mie colpe, per questo voglio solo morire. Egoisticamente, vorrei che tu impugnassi una spada e la uccidessi subito. Ma non è più il mio tempo, per le decisioni. Ora siamo tutti nelle tue mani. E, comunque vadano le cose, noi saremo con te, Gajeel.
Il ragazzo alzò lo sguardo e si rese conto solo in quel momento delle presenze eteree che affollavano la cucina. Mirajane, Erza, Lucy, Juvia, Kana, persino Evergreen, Laki, Lisanna e tutte le altre ragazze, sue compagne. Sue sorelle. Piangevano silenziosamente. Gli altri lo osservavano con comprensione, tutti, persino Natsu e Gray, Laxus, Gerard, Makao, Wakaba, Elfman, Jet e Droy, Warren, Nab, Visitor.
- Se sceglierai di non uccidere Levy, noi ti appoggeremo. Ma nel momento in cui sarai vecchio, avrai vissuto una vita felice e appagante, magari lontano da qui, in un altro stato forse, ricordati di noi. Ricordati della ragazza che hai amato e vieni a liberarci. Noi attenderemo, in base alla tua volontà. Però non lasciarci qui per sempre. Con i secoli rischieremmo di diventare come quello spirito mostruoso che ha compiuto questa strage – continuò Makarov, sommessamente. – L’eternità non è bella come credono i vivi. Non se non puoi viverla nel modo in cui hai sempre desiderato.
Gajeel finì di bere e osservò i suoi compagni uno ad uno. Nessuno lo accusava, nessuno lo stava spronando ad uccidere Levy. Lo avrebbero appoggiato qualsiasi cosa avesse deciso di fare.
Anche se avesse voluto vivere da egoista.
D’un tratto si sentì terribilmente in colpa all’idea di far passare loro una vita orribile solo per poter stare al fianco di un fantasma.
Salutò tutti con un cenno della testa e uscì dalla cucina. In sala da pranzo, iniziò a correre a rotta di collo verso la camera da letto. La sua vecchia, quella in cui dormiva prima di traferirsi in quella di Levy. Quella in cui lei si dirigeva sempre per chiedergli se poteva dormire con lui.
Passò la notte ad ascoltare il suono del suo respiro, fissando il soffitto alla ricerca delle risposte che lui non aveva.
Si addormentò solo alle prime luci dell’alba, quando la luce filtrò tra il groviglio dei suoi pensieri e concesse serenità alla sua mente stanca.
 
Passò una settimana prima che Gajeel prendesse una decisione.
Aveva vissuto gli ultimi mesi aspettando, aspettando di scoprire che cos’era successo, fino in fondo. E ora aspettava di scegliere cosa fare della sua vita.
Gajeel scoprì così che ci sono diversi tipi di attesa, ma tutti quanti sono accomunati da una caratteristica in comune: lo schifo.
Aspettare faceva veramente, ma veramente schifo.
 I fantasmi non facevano più colazione con lui, e se lo incrociavano lo salutavano con imbarazzo per poi dileguarsi. Gajeel si chiedeva se erano arrabbiati con lui perché ancora non li aveva liberati, dando loro una vera morte, ma Levy lo rassicurò: non avevano contatti con lui perché temevano di forzarlo a fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.
- Che?! – aveva chiesto lui, confuso.
- Hanno paura di influenzare le tue decisioni – aveva chiarito Levy. – Magari ti convincono a fare qualcosa di cui potresti pentirti per il resto della vita.
Gajeel era rimasto zitto, ma aveva iniziato a pensare che se doveva passare la sua esistenza ad essere evitato dai suoi compagni forse non aveva nemmeno senso rimanere in quel castello.
Mira era l’unica che ogni tanto gli teneva compagnia, oltre a Levy. Ma la ragazza era strana. Silenziosa e irrequieta.
Gajeel iniziava a pensare che quella vita pesasse anche a lei, e che desiderasse solo la morte dopo aver salvato tutta Fairy Tail. Quando il ragazzo le espresse le sue supposizioni, lei non le negò. Invece sorrise enigmaticamente. Quella risposta mancata lo gelò dentro.
I giorni trascorsero lenti e inesorabili, mentre Gajeel si sentiva sempre più solo, vuoto, e privo di senso. Come il suo comportamento. Iniziò a passare sempre più tempo in armeria, accanto alla Spada dello Spirito, sperando che desse fortuna anche a lui e gli facesse capire cosa doveva fare. Ogni tanto qualcuno lo affiancava e osservava la spada con desiderio e pace, pregustando la serenità che avrebbe sperimentato se solo fosse stato liberato da quella vita forzata e innaturale.
Levy restava sempre fuori, a volte accampando qualche scusa strana e altre volte sparendo per tutto il tempo in cui lui rimaneva in armeria.
- Agli altri piace restare vicino alla Spada – le aveva detto una volta Gajeel. – So che è legata a brutti ricordi, ma magari può farti stare meglio.
- No, grazie. So che la Spada ha fatto del bene, e che è irrazionale temerla, ma proprio non riesco a stare accanto a lei.
Gajeel aveva scosso le spalle e non aveva più sollevato l’argomento.
Si era ritrovato sempre più spesso ad osservare la ragazza in silenzio, cercando di cogliere un guizzo di vita, una scintilla d’amore che lo convincesse che Levy fosse felice di quella situazione. Ma ciò che vide fu solo lo sguardo nostalgico che la ragazza lanciava al suo corpo ogni notte, quando Gajeel andava a dormire, o quando la lavava e la cambiava.
Chi era lui per far soffrire tutti quanti? Levy era infelice. I suoi compagni erano infelici. E lui? Come poteva essere contento lui?
Ben presto capì che quella non era vita, per nessuno di loro. Non poteva costringere Levy a stare tutta la vita accanto a lui, mentre il suo corpo le ricordava quello che non poteva più avere. Non poteva essere gioioso accanto a lei, che sembrava spegnersi ogni giorno di più.
A volte dobbiamo mettere da parte i nostri desideri, per fare del bene agli altri. Solo così sapremo che in realtà facciamo del bene anche a noi stessi.
Gajeel non poteva immaginarsi una vita senza Levy, ma non poteva nemmeno immaginare una vita vissuta in quel modo. Sarebbero impazziti tutti. E lei non lo meritava.
Probabilmente sarebbe vissuto da solo fra quelle mura fino alla fine dei suoi giorni. Magari avrebbe rifondato l’orfanotrofio. Soldi, ne aveva, essendo l’unico erede vivo di Makarov. Avrebbe evitato di essere un completo eremita, con dei bambini da accudire.
Fu con quei pensieri in mente che, una settimana dopo aver rimesso la spada al suo posto, Gajeel si piantò nel soggiorno e chiamò a gran voce tutti quanti.
- Va bene – esordì quando una folla di modeste dimensioni si fu raggruppata di fronte a lui. – Lo farò. Vi libererò e… ucciderò Levy – mormorò, lanciando un’occhiata alla ragazza.
Dopo alcuni istanti di silenzio sbigottito, la gilda esplose in urla di giubilo e contentezza, e i fantasmi festeggiarono fino a notte fonda, coinvolgendo anche Gajeel.
Lui si lasciò portare via dalla felicità della massa solo perché sapeva che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero fatto festa tutti insieme, come ai vecchi tempi.
Il vino gli alleggerì le membra, la gioia dei suoi amici gli liberò la mente, e il sorriso di vittoria e commozione di Levy gli fece volare il cuore.
La cosa giusta e la cosa facile non sono mai la stessa, purtroppo.
 
Il giorno successivo fu un susseguirsi di ricordi.
La mattina Gajeel si svegliò e la prima cosa che vide fu Levy, sorridente, che gli baciava la fronte.
Da troppo tempo non riceveva un buongiorno così dolce.
- Che fai? – le chiese borbottando, celando il piacere che quei contatti leggeri gli provocavano.
- Approfitto del tempo che ci rimane insieme. Quando pensi di…?
Gajeel intuì che la domanda in sospeso doveva rimanere tale, così non la spronò a finire di parlare. – Domani. Penso che farò domani. Ho bisogno di un giorno ancora con te e con gli altri.
Levy annuì gravemente, prima di posargli un bacio sulla labbra. – Mi mancherai.
Lui sbuffò, percependo uno strano e poco familiare nodo in gola. – Non è vero. Sei tu che mancherai a me.
Lei annuì ancora, conscia del fatto che lei avrebbe cessato di esistere e basta. Un sonno senza sogni. Quello di cui tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo bisogno.
A volte abbiamo compassione per coloro che sono morti, proviamo pena per la vita che non hanno potuto vivere. Ma quelli che portano il peso della loro vita mancata sono le persone che li hanno amati, e che devono vivere con la loro assenza.
Non è mai chi muore a soffrire.
- Ti volevo chiedere di sposarmi, sai? – le chiese lui poco dopo, prendendola alla sprovvista. – L’anello dovrebbe essere ancora nell’armadio, sepolto sotto alcune felpe.
Levy sgranò gli occhi, colta alla sprovvista. – Tu… cosa?
- Te lo avrei chiesto dopo quell’assurda festa in costume ottocentesco – continuò lui, fissando il soffitto mentre si lasciava trasportare dai ricordi. Era rientrato in pieno possesso della sua memoria. – Quale occasione più adatta? Avevamo anche i vestiti a tema. Finito di fare festa saremmo venuti in camera e tu mi avresti fregato una felpa, come al solito. E avresti trovato una scatoletta sotto il primo maglione.
Levy lo fissava in silenzio, gli occhi lucidi di emozione.
- L’avresti presa in mano con aria incuriosita, come se fosse un enigma da risolvere o una nuova lingua da studiare. L’ho vista così tante quell’espressione… e ogni volta mi ha fatto innamorare di più. Poi l’avresti aperta, avresti trattenuto il fiato e il tuo cervello avrebbe cercato di capire cosa fare. Rimetterla giù e far finta di nulla? Girarti e chiedermi cosa significasse? Uscire dalla stanza chiamando Lucy? Ma io non ti avrei permesso di fare nulla. Mi sarei avvicinato e ti avrei abbracciata, e chinandomi ti avrei chiesto se volevi sposarmi.
- E poi? – incalzò Levy quando, alcuni istanti dopo, Gajeel non diede segno di voler finire il racconto.
Il ragazzo piegò il collo e fissò Levy, sdraiata su di lui. Avrebbe tanto voluto sentire il suo corpo contro il suo. – Poi niente, avremmo fatto sesso come dei conigli fino al mattino.
Levy sgranò gli occhi e boccheggiò, spiazzata. – Ga-Gajeel! – balbettò indignata quando riuscì a recuperare un filo di voce.
Il ragazzo scoppiò a ridere di gusto, mentre il viso di Levy diventava rosso e viola d’indignazione. – Sei proprio un pervertito, hai rovinato tutto.
Lui continuò a ridere. Con il tempo aveva imparato che quello era il modo migliore per mettere Levy in imbarazzo. Aveva perfezionato le tecniche.
- Dài, Gamberetto, sai che non dico sul serio. Prima ti avrei spogliata lentamente, ti avrei infilata in quel bel vestitino rosso degno di un sexy-shop e poi ti avrei spogliata di nuovo. E avremmo fatto l’amore lentamente, con le candele, per poi farci una doccia e addormentarci abbracciati.
Il rossore sulle gote di Levy non accennava a calare, soprattutto perché la scena che Gajeel stava dipingendo era totalmente verosimile, ma almeno la rabbia era sbollita completamente. – Hai probabilmente ragione su tutta la linea, tranne che sul vestitino rosso.
Gajeel arricciò le labbra, pensieroso. – Te lo concedo. Ma solo se ammetti che lo avresti indossato a sorpresa la notte successiva.
Levy sbuffò e si sedette dandogli le spalle per celare un sorriso consapevole. Sentì il letto scricchiolare sotto il suo peso mentre lui si sedeva accanto a lei. – Se non lo ammetti inizio a ricordarti tutte le volte in cui hai fatto la ninfomane pervertita. Come quando hai voluto convincermi a studiare il kamasutra per poi applicarlo e…
- Lo ammetto! Basta! Lo ammetto – sbottò lei, agitata, guardandosi attorno con il terrore negli occhi.
Gajeel ridacchiò e sollevò una mano per accarezzarla, prima di lasciarla cadere, impotente.
- Vorrei farlo con te un’ultima volta – mormorò in imbarazzo. – Anche solo dormire con te. Non così, con il tuo corpo che scalda a mala pena le lenzuola. Come in passato, quando tu leggevi fino a tardi e io mi svegliavo per rubarti il libro e farti dormire. E tu per ripicca mi tenevi sveglio in modi poco casti. O quando restavamo al buio e tu mi raccontavi il libro che stavi leggendo, e la mattina ci svegliavamo e restavamo in silenzio sotto al calore delle coperte, fingendo di dormire.
Levy non poté impedire alle lacrime di solcare il suo viso come un piccolo ruscello che cerca la via per arrivare al mare. Che cerca la libertà dalla sofferenza che portiamo dentro.
- In primavera ci mettevamo per terra nel bosco, e mentre io dormivo tu leggevi. Io per rilassarmi contavo il numero di volte in cui le pagine frusciavano perché tu le giravi, e cercavo di capire cosa stesse accadendo concentrandomi sul tuo respiro. Quando aprivo gli occhi scoprivo di aver ceduto al sonno, ma non ero l’unico perché tu finivi sempre col dormire sopra i libri. E Lily si posizionava accanto a noi, scuro come un’ombra e sempre pronto a farci da protettore.
Come se si fosse sentito preso in causa, il gatto saltò sul letto e miagolò, facendo ridere Levy tra le lacrime.
A volte i ricordi sono più dolorosi dell’assenza.
Gajeel fissava le lacrime di Levy, desiderando di potergliele asciugare. Poi voltò lo sguardo e strinse i pugni. – Cosa devo fare?
- Mh? – mormorò lei, senza capire.
- Prendo la Spada dello Spirito e ti… colpisco? Dove capita o qualche punto preciso?
- No!
Il terrore nel tono di voce di Levy lo fece sussultare leggermente, e per un istante si illuse di averle fatto cambiare in qualche modo idea. Magari non voleva più andarsene e lasciarlo solo.
- Non toccare quella spada. Sei matto? Levatela dalla testa!
Gajeel aggrottò le sopracciglia. – Perché non devo ucciderti con quella?
- Pronto, genio? Quella Spada separa il corpo dallo spirito. Il mio corpo è ancora vivo, e se mi trafiggi con quella resterò per sempre un fantasma, come gli altri. Solo che non ci sarà più nulla da uccidere, e resteremo fantasmi per tutta l’eternità.
Il ragazzo la guardò senza battere ciglio. – Scusa una cosa… no aspetta. Fammi pensare perché questa roba metafisica è complicata.
Lo spirito era dentro di lei. Il suo corpo conteneva due anime. E la Spada dello Spirito le aveva unite. Non poteva quindi anche separarle, liberando il loro assassino? Ma se le avesse separate, Levy sarebbe morta mentre lo spirito sarebbe vissuto. Oppure il corpo sarebbe morto e le due anime si sarebbero separate, andando ad aggiungersi alle file dei fantasmi di quella casa?
- Che grandissimo schifo. Cosa ti succede se ti trafiggo con la Spada dello Spirito?
Levy lo osservò, riflettendo. – Ci separiamo. Io e lo spirito. Però il mio corpo non reggerà più il colpo come la prima volta. Io morirò, anima e corpo, mentre lui sarà libero.
Versione peggiore di questa non poteva esistere. – Perfetto, niente Spada dello Schifosissimo-Spirito. Invece se ti colpisco con una spada normale?
- Muoio e basta. Moriamo tutti e due. Mi porto lo spirito dietro, come sarebbe dovuto accadere due anni fa. Ho solo ritardato l’inevitabile per dare a te un po’ di tempo.
La paura svanì dal viso di Levy con quell’ultima affermazione. Lui si era convinto. Tutto sarebbe andato per il meglio.
Il silenzio regnò sovrano per alcuni istanti eterni, facendo scoprire a Gajeel che in realtà l’assenza di suono è rumorosa e assurdamente opprimente.
- Vai a mangiare, Gajeel – suggerì Levy. – Voglio vederti in forze prima di andarmene. Voglio pensare che starai bene anche senza di me. Me lo devi promettere.
- Non posso fare promesse impossibili.
Lei chinò la testa e si asciugò una lacrima prima che lui potesse vederla. – Vivi anche per me, però. Questo puoi promettermelo?
Gajeel chiuse gli occhi e immaginò di posarle un bacio sulle labbra. Quell’illusione di un ricordo che non gli apparteneva sarebbe stata la sua più grande nostalgia. Il suo rammarico.
- Vivrò con te, non per te. Ti porterò con me per sempre. Ovunque, ogni giorno.
Si alzò senza aggiungere altro e si diresse in cucina per mangiare, anche se la sua fame sembrava solo il fantasma di una gioia che languiva nel suo cuore.
 
Il resto della giornata fu un susseguirsi di echi del passato. La mattina Gajeel fece il possibile per esaudire gli ultimi desideri dei suoi amici fantasmi, anche se per un paio d’ore fu monopolizzato da Erza che lo obbligò a lucidare le sue armature. Gli strappò la promessa di non venderle, nemmeno ai musei più prestigiosi.
Sembrava che tutti avessero qualcosa da chiedergli, giuramenti da fargli fare, certezze da solidificare.
Quando la morte ci ghermisce le membra, non abbiamo più la certezza di nulla. Ecco perché cerchiamo verità negli altri. Proviamo a realizzare quello che non abbiamo potuto fare, come per dimostrare a noi stessi che la nostra vita non è stata vana, e che vivremo nelle gesta di chi verrà dopo di noi.
In realtà, la vita stessa è un’illusione, e prima o poi anche la storia viene dimenticata, mentre l’amore si affievolisce e nel cuore ci rimane solo l’amaro ricordo della sofferenza che l’assenza genera, velenosa come fiele.
Nel pomeriggio, invece, l’umore generale sembrò risollevarsi e Gajeel poté finalmente gettare sul tavolo il taccuino delle promesse. Ne aveva troppe da mantenere, ma era certo che almeno avrebbero dato un senso alla sua vita. Per un po’.
- Vi ricordate quando Gray e Natsu si sono procurati un trauma cranico facendo la lotta, da piccoli? – chiese Mirajane di punto in bianco.
Laxus ridacchiò, mentre gli altri annuivano e sorridevano. – Colpa mia. Avevo detto loro che la testa è in realtà un cocomero e quando si rompe esce il succo del frutto, il più buono del mondo. Si erano fissati con i cocomeri.
Molti ragazzi scoppiarono a ridere mentre Gray e Natsu facevano i duri per non lasciar trasparire l’imbarazzo.
- Non fa ridere – sbottò Makarov, accigliato. – Ho passato una settimana con quelle due pesti, all’ospedale. E Natsu ha continuato a credere alla storia del cocomero, provando in ogni modo a rompersi la testa.
Il ragazzo in questione aggrottò le sopracciglia, pensieroso. Si era dimenticato di quella storia, ma tutti lo conoscevano abbastanza bene da sapere che si stava ancora chiedendo cosa ci fosse dentro il suo cranio.
- Elfman era un piagnone. Una volta ha pianto persino quando gli si è tolto un cerotto da un taglio invisibile – intervenne Gray per distogliere da sé l’attenzione.
- Piangere da piccoli è da veri uomini! – ribatté l’altro, per nulla offeso.
Gajeel iniziò a lasciarsi trasportare da quel cicaleccio allegro, mentre a sprazzi scoppiavano risate seguite da pacche sulla schiena, o prese in giro affettuose. Lily gli si era accoccolato in grembo e sonnecchiava piano, ma il ragazzo aveva notato che lui, come Happy, ogni tanto lanciava un’occhiata torva a Levy.
- E quando abbiamo beccato Laxus e Mirajane in cucina? – esclamò Lucy, rossa come un pomodoro. Probabilmente qualcuno l’aveva messa in imbarazzo.
Gajeel si ricordava di quella volta. Stava entrando in cucina con Levy, Natsu e Gray, Lucy e Juvia per una prova di coraggio basata sul cibo. All’epoca solo lui e Levy erano ufficialmente stati sgamati. Dopo la notte estiva in cui avevano rotto ogni barriera tra di loro, Levy non era più sgattaiolata via da camera sua la mattina presto, temendo di essere vista. No. Lei e Gajeel avevano iniziato ad uscire indisturbati dalla camera di uno dei due, con la faccia tipica di chi si è appena svegliato. Il ragazzo all’inizio lanciava occhiatacce minacciose a tutti quelli che li fissavano stupiti, chiedendo bruscamente: “Che vuoi?”. Poi aveva rinunciato, e all’iniziale stupore si erano sostituiti i commenti maliziosi. Nessuno l’avrebbe mai ammesso, ma erano tutti entusiasti per loro.
Non erano rimasti a lungo i soli, comunque, perché Mirajane e Laxus erano stati sorpresi da sei paia di occhi, in cucina. Erza e Gerard li avevano seguiti a ruota, beccati in armeria e parecchio svestiti.
Gajeel ringraziava sempre per la fortuna che aveva avuto: i malcapitati che avevano sorpreso Erza avevano avuto gli occhi pesti per giorni. Gerard inoltre, in una bella notte di baldoria, si era ubriacato al punto da rivelare che Erza la loro prima volta era terroizzata. Nonostante i libri a luce rosse che leggeva, nonostante le proposte velatamente sporche, la donna indomita che tutti temevano aveva avuto paura di fare l’amore con Gerard. Per fortuna lei era ancora all’oscuro del fatto che, ormai, lo sapevano tutti.
- Mi ricordo – intervenne proprio Erza, scuotendo la testa con disappunto. – Mirajane non ha potuto mettere piede in cucina per un mese a causa del suo atteggiamento deplorevole.
- Senti chi parla… - borbottò la diretta interessata.
- Io e Lucy non siamo mai stati beccati. Quindi ho vinto! – esultò Natsu saltando sul divano e ruggendo la sua gioia.
- È pensiero comune a tutti noi che tu sia asessuato, Natsu – spiegò il Master.
Natsu non riuscì a far tacere le risate di scherno dei suoi amici nemmeno sotto minaccia, e alla fine fu costretto a sedersi, perché lo sguardo di fuoco di Erza gli stava per incendiare la maglietta.
- Vi immaginate se ci fossimo sposati? – chiese Lucy poco dopo.
- Tanti piccoli Gray per la casa – mormorò Juvia, sognante.
- La casa piena dei… vostri… figli – biascicò Makarov, terrorizzato all’idea.
In realtà, non aver potuto veder crescere i figli dei suoi nipoti, o figli, era il suo più grande rimpianto.
Biska guardò con un sorriso triste Asuka, grata di averla vista crescere, seppure per poco.
La felicità che aveva fatto volare via quelle ore, mentre il buio oscurava il sole, si spense come una candela rinchiusa in un bicchiere di vetro.
Avevano ricordato quello che avevano passato, solo momenti gioiosi e pieni di vita, ma nessuno poteva evitare di far caso alla presenza invisibile che gravava sulle loro teste: i ricordi di quello che non avevano avuto.
Gajeel non voleva un addio triste. Non voleva proprio un addio, a dire il vero. Ma un addio depresso e fiacco era proprio l’ossimoro di Fairy Tail.
- Grazie, Gajeel, per averci fatto sentire vivi in questi ultimi mesi – intervenne Erza, parlando a nome di tutti. – Sei molto coraggioso. Noi non ci saremo più, finalmente saremo in pace, ma sarà tuo l’onere di sopportare la mancanza di tutti. Quindi grazie, grazie per il tuo sacrificio. È stato un dono conoscerti. E conoscere tutti voi, ragazzi.
La voce di Erza, la Titania, si ruppe sull’ultima parola, e le lacrime trovarono l’accesso al mondo esterno.
Tutti lo ringraziarono in coro, salutando Gajeel e salutandosi tra loro. Natsu, Gray e lui si insultarono con gli occhi lucidi, prima di cedere e abbracciarsi, scatenando ancora di più le lacrime dei più sensibili. Makarov aveva pianto tanto da convincere Juvia che se fosse stato vivo si sarebbe disidratato.
Quando fu rimasto solo con Mirajane, perché anche Levy era fuggita in preda all’emozione, Gajeel si rese conto che il peggio doveva ancora venire, nella sua vita.
È peggio sapere la data della propria morte, così da salutare chi amiamo e riempir loro il petto di angoscia, o andarsene senza sapere come né quando, illudendosi di essere immortali?
I suoi amici avevano sperimentato entrambi i casi, e mai li aveva visti così distrutti.
Forse, la cosa migliore sarebbe non morire e basta.
Facile, no?
- Non sai che gioia è stata per noi scoprirti vivo dopo due anni, Gajeel – disse Mira, che gli si era avvicinata in silenzio. Del resto, che rumore poteva fare un fantasma?
Gajeel sbuffò una minuscola risata priva di divertimento. – Immagino.
- Dico sul serio. Hai visto Natsu e Gray questa sera. Ricordi cosa ripeteva sempre Natsu? ‘Rivali, non nemici’. Siamo una famiglia. Se uno di noi sta male è nel nostro DNA fairytailiano l’ordine di scoprire dov’è. Temevamo che fossi ridotto come Levy, con il corpo in quello stato comatoso, disperso chissà dove. Del resto non vedevamo nemmeno te.
Gajeel annuì, stanco dopo quella giornata intensa. Non ricordava nemmeno cosa Mira gli avesse detto.
- Sii coraggioso Gajeel. Vorrei dirti di vivere per tutti noi, ma ora più che mai devi vivere per te stesso. So che sarà dura.
Voleva dirle che no, non lo sapeva. Ma Mira era sempre stata gentile, una buona amica davvero, e non voleva farla sentire male.
- Però ricordarci. Almeno questo. Ogni tanto, non tutti i giorni. Magari a Natale, o quando cade il nostro compleanno, anche se so benissimo che non te ne ricordi nemmeno uno. Te li rammentavo tutti io, quando era il momento.
Gajeel sorrise un pochino. Nel senso che increspò un lato della bocca. Insomma, lo mosse di due millimetri. In realtà i compleanni li ricordava tutti, ma era diventata un’abitudine familiare quella di aspettare che fosse Mira a farglieli presenti.
- Buonanotte, Gajeel. Ci vediamo domani. E grazie, grazie davvero.
La sua uscita di scena fu così improvvisa e invisibile che Gajeel si chiese se l’avesse solo immaginata. Magari si era immaginato tutti quei mesi. Ma un sogno non poteva durare così a lungo.
E a proposito di sogni, Levy continuava a tormentarlo con la sua voce anche di giorno.
- Uccidi quella giusta…
Che.
Grandissimo.
Schifosissimo.
Oscenissimo.
Levy avrebbe avuto altri sinonimi… CASINO.
Con un ringhio frustrato il ragazzo si alzò e iniziò a correre, senza chiudere le porte dietro di sé. Voleva andare a correre il pomeriggio, ma l’immersione nel passato lo aveva distratto.
Tutto era cominciato con una corsa, per cui tutto sarebbe dovuto finire con una corsa. No?
La verità era che voleva solo sentire i muscoli bruciare, così che il sangue potesse affluire nei muscoli e abbandonare il suo cervello sovraccarico.
Non capiva più niente.
L’indomani sarebbe rimasto solo con due gatti, tra cui quello di Natsu. Avrebbe dovuto uccidere la donna che amava e vivere per tutti quelli ai quali stava offrendo finalmente la libertà. Doveva ammettere che voleva essere al posto loro, per lasciare a qualcun altro il fardello della vita.
A volte era così difficile vivere, quando non si avevano più motivi per farlo.
Forse era per quello che gli avevano strappato quella promesse. Per dargli abbastanza motivi.
Finalmente i tendini, i polpacci e le cosce cominciarono a scaldarsi e lavorare, mentre il respiro si sintonizzava su un ritmo stabile che gli forniva la colonna sonora di cui aveva bisogno.
Sgombera la mente, Gajeel.
Lo stava facendo. Oh, sì, eccome se lo stava facendo.
Lo fece finché vide delle luci in lontananza. Due luci tremolanti che lo scrutavano come due occhi da gatto attraverso il bosco.
Si bloccò di colpo senza nemmeno rendersene conto, ricevendo uno scossone al ginocchio che lo fece imprecare.
Lui conosceva quel posto nel bosco. I ricordi diventavano nitidi mano a mano che si avvicinava. Non aveva mai visitato quella zona nei mesi precedenti, ma c’era già stato. Però la via era bloccata da alcuni alberi caduti che formavano un intrico di tronchi e rami che avrebbe fatto un lavoro migliore di una falciatrice assassina se qualcuno ci fosse passato in mezzo.
Così Gajeel fu costretto a prendere una strada più lunga, tornando indietro corricchiando.
Passò accanto al ciliegio su cui era stato con Levy, dove aveva trovato la Spada dello Spirito, e quasi non notò la presenza che si godeva la luna.
Quasi.
Questa volta, il ragazzo fu più dolce nell’inchiodare.
Una ragazzina se ne stava seduta su un masso vicino all’imponente ciliegio, fissandolo con curiosità e gentilezza. Probabilmente aveva tredici anni, forse meno. I capelli biondi erano lunghissimi e Gajeel li avrebbe scambiati per un mantello fatto di luce lunare se non si fossero mossi in maniera uniforme. Sembravano dotati di vita propria. Gli occhi chiari sembravano due piccole lucciole nel buio.
Il ragazzo restò impalato. Gli sembrava familiare quella bambina. Ma dove l’aveva già vista?
Lei alzò la mano per salutarlo e gli regalò un sorriso dolce.
Gajeel, impacciato, ricambiò il saluto.
Circa.
La ragazza allungò il braccio, facendo frusciare il lungo vestito bianco, e gli indicò la direzione che Gajeel doveva prendere. Che fosse un angelo?
Lui la ringraziò con un cenno del capo e riprese a correre nella direzione indicata.
Non era un angelo.
A giudicare dal modo in cui il suo corpo evanescente si fondeva con gli alberi alle sue spalle, Gajeel avrebbe giurato che fosse un fantasma.



MaxB
Probabilmente vi siete tagliati le vene. Mi disp, il cap così mi piace troppo... ehehe^^
Mi piacciono le cose depressive... oddio.
Be' non ho nulla da dire, solo un piccolo appunto: ho cercato di rendere le cose chiare, almeno il più possibile, e il cap prossimo sarà MOLTO corto. Corto ma molto denso. Devo renderlo corto.
Forse no, però. Mah, vedremo dai.
Siamo ufficialmente a 100 pagine su 130, quindi abbiamo quasi finisciuto (?).
A presto,
MaxB
  
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