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Autore: voiceOFsoul    19/07/2016    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ho i brividi. Il genere dei Guns N' Roses, di cui il gruppo di Tommaso è cover band, non mi ha mai esaltato più di tanto, ho sempre amato di più altri generi, eppure devo ammettere che sono stati davvero bravi a tenere la serata. Adesso, voglio dire proprio in questo istante, ho la pelle d’oca per l’atmosfera che hanno creato con la loro versione di November Rain. Non ricordo che l’avessero suonata la prima volta che li ho visti, ma anche se lo avessero fatto non deve essere stato così. Certe sensazioni non sono facili da lavare via e dimenticare. Tommaso, che ha avuto il viso raggiante per tutta la serata, adesso canta ad occhi chiusi e con il volto contratto.

'Cause nothin' lasts forever and we both know hearts can change.
And it's hard to hold a candle in the cold November rain.

La sua voce, prima netta e potete, si fa sottile e vibrante, tanto che sembra spesso spezzarsi, dando al testo una drammaticità accentuata che non può non far venir la pelle d’oca. Mi distraggo per un attimo a guardare la sala e noto che tutti sono immobili a fissarlo, come se fossero stati congelati nel tempo da un incantesimo.

If we could take the time to lay it on the line
I could rest my head just knowin' that you were mine, all mine

Quando il chitarrista entra a fare di nuovo il suo assolo, tutte le luci si spengono tranne un faro che resta puntato su di lui. Tommaso fa qualche passo indietro. Lo seguo mentre piano raggiunge la parete, posizionandosi dove la luce non può raggiungerlo. Passa le mani tra i capelli, poi le chiude sul viso. Dal movimento ampio delle spalle si capisce che sta facendo dei grandi respiri.
La ragazza alla batteria lo punzecchia con una della bacchette, lui asciuga il viso da quello che credo non sia solo sudore e le sorride. Torna al centro del palco, chiude di nuovo gli occhi e ricomincia a cantare.

'Cause nothin' lasts forever  
Even cold November rain
 
Il brano termina, ma Tommaso non apre gli occhi e rimane appoggiato in silenzio al microfono. Mentre iniziano gli applausi, a cui forse sono abituati, gli altri componenti della band lo raggiungono ed è solo allora che pare svegliarsi. Li guarda, si stampa un sorriso in faccia e ringrazia tutti.

Una parte di me, forse la più masochista, sapeva che mi avrebbe fatto bene cantare questa canzone. Giacomo ha cercato in mille modi di convincermi a evitarla, ha perfino mandato Steve a farmi un discorsetto buttandola sull’evitare questo tipo di canzoni per una serata in un pub. Non ho desistito e ho avuto ragione.
Non posso negare a me stesso che è stata dura, una vera lotta. Dopo tutto, questa era la nostra canzone. Ironico come fosse già scritto il nostro destino e non ce ne fossimo mai accorti. A chi ci chiedeva perché l’avessimo scelta, proprio questa così triste, proprio questa così diversa dall’amore eterno che uno si augura, rispondevamo sempre che era stata lei a scegliere noi, l’eccezione che conferma la regola. Nothin' lasts forever, even cold November rain ...ma noi sì, saremmo durati per sempre.
Ad ogni parola sentivo acuire dentro di me il dolore come la punta rovente di un lungo ago che si faceva largo sempre più in profondità nel mio cuore. Tanto che per un attimo, durante uno degli assoli di Giacomo, ho pensato di non farcela, di scendere dal palco e ammettere di aver sbagliato. Quando Emma mi ha richiamato con le sue bacchette, ho capito che dovevo portare a termine quello che avevo iniziato, anche se avrebbe significato lasciare che quell’ago incandescente mi torturasse fino a non poter più respirare. Quando tutto è finito, però, l’ho sentito chiaramente ritrarsi, sfilandosi dal mio petto e lasciando libero il cuore di battere al suo normale ritmo e ai polmoni di riempirsi d’aria. Adesso va meglio.
Quando da ragazzino mi sono lussato la spalla cercando di parare un rigore buttandomi a peso morto sul cemento credendo di essere in una puntata di Holly e Benji, ho chiesto al dottore di lasciarla stare lì come era dato che non faceva male. Lui disse che rimetterla a posto era necessario, anche se farlo avrebbe fatto molto male, altrimenti non avrei mai più potuto utilizzare il braccio normalmente. Resistei un po’ ma quando iniziò a imbottirmi di paroloni tecnici che finirono con “complicazioni che potrebbero portare all’amputazione”, acconsentii immediatamente. Strinsi i denti e sofrii cercando di non urlare. Ricordo che serrai le palpebre talmente forte che gli occhi mi fecero male per un paio d’ore. Il dolore fu atroce, ma istantaneo. Qualche secondo dopo che il dottore ebbe finito la sua manovra, io avevo di nuovo il mio braccio al pieno della sua mobilità e il dolore non c’era più.
Il principio oggi è lo stesso. Avevo il cuore lussato, rimetterlo a posto ha fatto male, un dolore straziante, ma era necessario per poterlo usare di nuovo e non rischiare di doverlo amputare.
Apro gli occhi e guardo i miei ragazzi, Emma, Steve e Joshua, Bree e i suoi grandi occhi lucidi che si notano anche a questa distanza, tutti quelli venuti qui oggi ad ascoltarci. Qualcuno sembra anche emozionato ed è fantastico! Sorrido e riprendo in mano il microfono.
«Grazie. Grazie a tutti!»

Tutto è finito. Questo è il momento in cui, se tutto fosse come un paio di settimane fa, mi fionderei a baciare Simona. Il solo pensiero adesso mi fa venire la nausea. Le altre tradizioni, però, non si disdegnano mai. Lasciamo gli strumenti sul palco e voliamo al bancone, dove Steve ci ha già preparato il solito: hamburgher doppio strato con carne selezionatissima e una pinta di birra appena spillata. Emma è rimasta sul palco a smontare la sua batteria, ne è gelosissima e non vorrei immaginare cosa succederebbe se qualcuno disgraziatamente la toccasse. Giacomo lascia il panino intatto sul piatto e afferra la pinta, per precipitarsi da lei ad aiutarla. Credo che sia segretamente cotto di lei davvero. In questi giorni l’ho visto comportarsi con lei come non ha mai fatto con nessuna ragazza. Adesso, ad esempio, di solito sarebbe già a sondare il terreno per beccare la tipa da rimorchiare, mentre ora è lì ad aiutarla senza neanche aver mangiato.
A sondare il terreno, invece, ci sono io e ho in mente non una ragazza qualsiasi ma un viso ben preciso. L’ho vista poco prima di iniziare a cantare e ho provato una sensazione di vertigine che non provavo da tantissimo tempo. Mi sono sentito un ragazzino di quattordici anni, uno di quelli impacciati e timidi dei miei tempi. Ho cercato per tutto il tempo di evitare di guardarla ancora perché avevo stupidamente paura di dimenticare le parole. Ho sentito chiaramente risuonare nelle orecchie la voce di Steve ripetere che devo giocare la mia partita: o il mondo è davvero più piccolo, o il destino ha deciso che tra le mie carte deve esserci lei.

«Che ne dite di andare?»
Non appena sento Marco dirlo, mi invade una strana tristezza.
«Dai, Marco. È Venerdì, non fare il guastafeste e vai a prendere un'altra birra per tutti.» Diego deve essere ubriaco per dire una cosa del genere, non ho alcun dubbio.
Marco sbuffa e cerca di spiegare che per lui il sabato è un giorno lavorativo come molti altri, Sara cerca di convincerlo a restare ancora un po’ e non comportarsi da vecchio bacucco, Diego ride come non faceva da giorni. Osservo intorno a noi, molta gente sta già andando via, chi a casa come vorrebbe fare Marco, chi a continuare il venerdì in giro. Nonostante questo, tutti i tavoli sono ancora pieni, ma al bancone si è liberato spazio. Ci sono solo i membri della band che stanno riempendo lo stomaco. Tommaso, come prevedibile, è insieme a loro.
«Mentre voi finite di litigare, io vado a prendere i posti al bancone!» annuncio senza neanche guardarli.
Cerco di bilanciare la velocità del passo, per fare in fretta senza dare l’impressione di star correndo da lui. Mi siedo a uno sgabello di distanza e poggio con molta disinvoltura il cappotto sui due sgabelli alla mia sinistra. Faccio finta di non notarlo e resto, stavolta con molta poca spontaneità, immobile a guardare il vuoto davanti a me, mentre in realtà sto studiando le sue mosse dalla mia visione periferica. Sta osservando la sala alle nostre spalle, ancora una volta non mi ha notato.
«Prendi qualcosa?» mi dice improvvisamente il barista, il biondo nuovo.
Trasalgo a tal punto che rischio di perdere l’equilibrio.
«Non credevo di fare così paura!» mi prende in giro lui.
Vedo Tommaso girarsi verso di me e sorridere.
«No, scusa. Ero solo sovrappensiero.» farfuglio, sentendo le guance già arrossite per la vergogna.
«Allora, che ti porto?»
«Quattro birre alla spina: due bionde, una scura e una rossa.»
 Il biondo mi fa l’occhiolino e si volta verso le spillatrici.
«Ci vai giù pesante anche stasera, devo ammettere.» la voce di Tommaso è molto vicina.
Quando mi volto, infatti, lo ritrovo seduto sullo sgabello che avevo lasciato vuoto. Cerco di non sorridergli ma non riesco a evitarlo.
«Devo riprendermi da una serata un po’ deludente.» scherzo.
«Addirittura deludente! Che sarà mai successo?» mi regge il gioco.
«La band che ha suonato stasera era brava, ma il cantante se la tirava un po’ troppo secondo me. Non mi ha guardato per tutta la sera. Eppure io sono una grande fan, credo di meritare un po’ di rispetto.»
«Lo conosco quello, è proprio un cretino. Non dovresti dargli peso.» Ride.
Credo di non averlo mai visto ridere o forse l’ho solo dimenticato. Le sue labbra si distendono, mostrando dei denti bianchi anche alla luce dei neon e sollevando le guance, nella destra si crea una piccola fossetta, gli occhi verdi si stringono fino quasi a scomparire.
«Ecco a te.» il barista poggia i quattro bicchieri stracolmi davanti a me. «Tom, tu vuoi qualcosa?»
«No, grazie. Sto a posto così.» Nel dirlo, però, allunga la mano verso il mezzo hamburgher ancora sul piatto, lo afferra e lo addenta.
«Hai già pensato alle birre, sei fantastica.» Diego mi si catapulta addosso, mi da un bacio sulla guancia, afferra il bicchiere con la birra scura e scompare di nuovo.
«Credo che il tuo coinquilino sia impazzito.» dice Sara sedendosi insieme a Marco accanto a me. Prende le due bionde. «Ho l’impressione che dovrai guidare tu per tornare a casa, sai dove ha le chiavi?»
«Sì, le ho già io.» le do una piccola gomitata per farla girare verso di me.
«Oddio!» dice guardando Tommaso, poco discretamente, dritto negli occhi. «Beh ...sì ...io ...Ciao!» e si volta definitivamente verso il suo fidanzato.
Ok, questa non so proprio come recuperarla stavolta. Fortuna che c’è poca luce, perché devo già essere rossa come un peperone arrostito.
«Anche la tua amica è una fan?» mi chiede non nascondendo quanto se la ride sotto i baffi.
«Scusaci, siamo tutti un po’ su di giri.»
«Meglio su di giri che sotto un camion, no?»
Non capisco cosa centri, ma sorrido assecondandolo.

Il pub sta iniziando a svuotarsi. I ragazzi hanno iniziato a smontare il resto dell’attrezzatura. Steve fa il bravo maritino portando a casa Bree e lasciando Joshua a chiudere la serata.
«Ram, noi andremmo. Marco davvero non ce la fa più.» le dice l’amica. «Stiamo portando Diego con noi, ok? Sicura di non voler venire?»
«La lasci in buone mani, non preoccuparti.» le dico, senza pensarci più di tanto e me ne pento subito dopo. Non deve essere rassicurante sentirlo dire da un estraneo.
«Tranquilla Sara. Il tempo di finire il panino e vado via anche io. Ti mando un messaggio appena rientro così non stai in pensiero.»
«Attenta, eh.» le da un bacio sulla nuca e li vediamo uscire.
Ram morde il panino ancora quasi integro.
«Come sta tua figlia?» mi chiede a bocca ancora piena.
Per un attimo la domanda mi lascia interdetto, poi ricordo perché me lo sta chiedendo. «Bene, alla fine era solo un falso allarme.»
«Per fortuna!»
«E il tuo capo?»
«Bene anche lui.»
Dà un altro morso al panino e, per la prima volta questa sera, cala il silenzio tra di noi. Non so che dire, cosa si fa in questi casi? Non sono pratico. Sono fuori dalla piazza da prima ancora di esserci entrato, non ho mai fatto queste cose. Giacomo, lui sì, che ci sa fare. Mi volto a cercarlo, ma mi accorgo che non posso disturbarlo: è seduto ad un tavolino insieme ad Emma e pare che lei per la prima volta lo guardi senza sentori d’omicidio negli occhi.
«Posso farti una domanda?»
La voce di Ram mi fa concentrare di nuovo su di lei. Ha di nuovo le guance rosse e non sembra più sorridente. Possibile che abbia fatto qualcosa per spezzare l’atmosfera? Mi ha beccato a guardare Emma e crede che la stessi puntando?
«Certo, dimmi.»
«Prometti che non la prenderai male?»
«A che ti riferisci?»
«Alla domanda che sto per farti. Non voglio che tu mi risponda per forza, capirei se non volessi rispondermi.»
«Hai paura che scappi di nuovo in bagno come l’ultima volta?» cerco di sdrammatizzare la sua aria tanto seria. «Giuro che stavolta non farò la ragazzina isterica. Davanti ai miei ragazzi devo mantenere un certo contegno, sai?»
Sorride, ma c’è sempre quell’aria strana intorno a lei.
«È che non vorrei sembrarti invadente. So che certe cose sono personali e forse non dovrei neanche notarle...»
«Ram, fermati un attimo.» istintivamente le prendo la mano.
Lei si zittisce e mi guarda fisso mordendosi il labbro. Wow, ha sempre avuto gli occhi così grandi? E le sue labbra hanno sempre avuto questo aspetto così morbido e invitante?
«Qualsiasi cosa sia, puoi chiedermela.»
Fa scivolare la mano fuori dalle mie, si porta un ricciolo dietro l’orecchio e fa un piccolo sospiro.
«Si tratta di ...della tua …sì, della tua fidanzata, moglie, non so cosa sia.»
«O cosa era.»
Mi guarda dubbiosa.
«Simona è la madre di mia figlia ed era mia moglie. O meglio, lo è ancora legalmente, ma non stiamo più insieme.»
«Oh, mi dispiace.»
«Sì, dispiace a tutti.»
«Scusa, non volevo essere banale.»
«Non sei banale. Credo sia normale la tua reazione, dire che ti dispiace per una cosa brutta è normale, no?»
Si limita ad annuire. Finisco la birra rimasta nel bicchiere.
«Mia figlia si chiama Rose. Ha otto mesi. Vuoi vederla?»
Ram annuisce di nuovo, ma stavolta illuminandosi nuovamente di un piccolo sorriso. Esco lo smartphone dai jeans e glielo porgo.
«Ma è stupenda!»





Cliccando sul link potrete ascoltare November Rain dei Guns N' Roses. Questa è la canzone che dà il titolo al capitolo e lo accompagna per quasi tutto lo svolgimento, contribuendo a intensificarne l'atmosfera. Inoltre, è indubbiamente un capolavoro :)
   
 
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