“SupernovA
(Part II)”
Quando Nathaniel
giunse davanti
a loro, ingnaro di ciò che stesse accadendo,
iniziò a parlare a ruota libera,
non facendo caso alle loro facce scure e al chiaro disagio di Sam.
“Potete
finalmente parlare
in pace! – sollevò il braccio, mostrando il
bracciale – Che mi sono perso?”
Fu Rider a
prendere parola
e non lo fece con toni amichevoli: “Ti sei perso che tu e il
tuo amichetto Sam
siete usciti fuori di testa!”
Tentennando con
la testa,
Sam replicò agghiacciato: “Amichetto? Ma come
parli?”
Nathaniel
accennò un
sorriso confuso, fissando Sam ed Eric: “Che sta succedendo?
E’ un nuovo gioco,
questo?”
Allora Sam
allungò il
telefono sotto il suo sguardo e Nathaniel non potè che
rimanere pietrificato,
mentre anche Eric diceva la sua.
“Come
avete potuto farci
questo? Stiamo colando a picco se non ve ne siete accorti!”
“Volevamo
scoprire chi
fosse A, all’epoca.
Ancora non
sapevamo fosse Brakner e le cose ci sono sfuggite di mano!”
provò a
giustificarsi Nathaniel, meno teso rispetto a Sam.
“Sfuggite di mano??? –
urlò Rider, a dir poco allibito - Diciamo
anche che avete perso completamente il cervello! Come vi è
venuto in mente di
dire ad un carcerato che… - titubò, dubbioso -
Non so neanche cosa gli avete
detto!”
Con un filino di
voce, fu
Sam a rendere noti i fatti: “…Tutto! Gli abbiamo
detto dell’omicidio, di
Albert, di A…Ci
dispiace!”
A bocca aperta,
Eric e
Rider si guardarono esterrefatti.
“Io
non ci sto credendo…”
aggiunse quest’ultimo, dopo il silenzio che era calato.
“Sentite,
sto per rimediare
a questa cosa, ok? Jasper ha incontrato un Francese quella notte e noi
l’abbiamo incontrato ieri in un locale. Grazie alla sua
testimonianza,
forniremo un alibi solido a Jasper e lui uscirà di
prigione!” continuò
Nathaniel.
Fu la volta di
Sam, mentre
quelli nemmeno riuscivano a guardarli: “E terrà la
bocca chiusa su tutto!”
Rider, a quel
punto, si
lasciò sfuggire una risata: “Ma fate sul serio?
– per poi reagire con toni
aggressivi – Avete forse dimenticato chi ha fatto finire
Jasper in prigione?
Eh? Questa cosa non piacerà ad A e
non permetterò che voi due roviniate i miei piani per
salvarci il culo!”
Eric si
voltò verso Rider,
confuso: “Quale piano?”
Ma Sam prese
parola prima
di lui: “Vuole entrare di nuovo nella panic room. Stasera,
mentre Brakner,
Lindsay e Morgan saranno distratti dall’evento!”
“E
quando pensavi di
dircelo?” domandò Nathaniel, mentre Rider guardava
male Sam.
“Voi
pensate solo ad
esserci, d’accordo? Io al contrario di voi, so mantenere un
segreto!” ribatté
in maniera distaccata, come se ora fossero estranei per lui.
“Oh,
Rider, ne sono sicuro!
– Nathaniel fu stufo del suo tono – Oltre a
mantenere i segreti, hai anche un
ottimo istinto e dei piani geniali!”
“Che
vorresti dire, scusa?”
“Dico
solo che ogni volta
che tu hai un piano, noi finiamo per essere investiti sotto un treno,
affogare
nelle fogne o soffocare in una camera blindata!”
“Almeno
io cerco di fare
qualcosa di buono rispetto a voi, invece che andarmene in giro a fare
la
coppietta gay ed un threesome con un Francese!”
“Rider,
ti ricordo che è
stato A a renderci una coppietta gay, come dici tu!”
puntualizzò Sam, offeso.
“Ma
per favore, come se la
cosa ti dispiacesse. Tu ADORI questa mossa di A,
sbavi per Nat da sempre e non ti sembra neanche vero che tutto
questo stia accadendo!”
Sam, a quel
punto, gli tirò
uno schiaffo, stanco delle sue parole forti, che lo ferirono
profondamente.
“Non
rivolgermi mai più la
parola, Rider!” lo fissò dritto negli occhi,
voltandosi e andandosene via con
gli occhi gonfi di lacrime.
Rider non
poté che restare
immobile, accusando il colpo.
“Sei
proprio uno stronzo. –
aggiunse Nathaniel, furioso – Ecco la persona che sei in
realtà!”
Eric si
sentì in dovere di
difenderlo: “E voi, Nat? Cosa siete, invece? Ormai non siamo
più un gruppo, io
non mi sento più parte di un gruppo…Da tempo,
ormai! Tu e Sam pensate solo a
voi stessi o non avreste mai fatto tutto questo da soli senza dirci
nulla! – lo
fissò negli, cercando di fargli capire la gravità
delle loro azioni – Nat,
avete messo nelle mani di un estraneo tutti i nostri segreti, tutta la
nostra
vita: LA NOSTRA LIBERTÀ; che ogni giorno cerchiamo
disperatamente di non
perdere per colpa di questo mostro!”
“E’
stato un errore,
quello, ve lo giuro! – disse con il cuore in mano - Pensavamo
di poter
risolvere le cose per conto nostro e non darvi anche questa
preoccupazione, ma A non ci
dà un secondo di tregua e voi
lo sapete quanto me che questo gioco sta diventando pensante e senza
fine! –
aveva gli occhi lucidi, ormai – Guardate cosa sta facendo a
me: non dormo come
una persona decente da almeno una settimana e ho paura anche a bere un
semplice
bicchiere d’acqua per paura che ci abbia messo dentro
qualcosa!”
Con freddezza,
fu Rider a
concludere la conversazione: “A sta
facendo qualcosa a tutti noi, non solo a te. Pensi che io riesca a
dormire? Che
A non possa mettere qualcosa nel
bicchiere anche a me? – fece un breve stacco, notando che non
aveva nulla da
dire in contrario – Non fare la vittima, Nat,
perché lo siamo tutti. Ora,
l’unica cosa che puoi fare, è presentarti al ballo
di stasera e fingere di non
sapere che uno di noi entrerà nella panic room per mettere
fine a questa
storia!”
Insieme ad Eric,
poi,
scavalcarono Nathaniel, diretti verso l’entrata della scuola.
Quest’ultimo,
però, ebbe un’ultima cosa da dire a Rider e lo
fece con uno sguardo assai
serio.
“Buona
fortuna, allora!”
Quello si
voltò giusto un
attimo, cogliendo l’ironia: ovvero che non ce
l’avrebbe fatta a battere A.
*
Nell’aula
della redazione
scolastica, poco più tardi, Sam stava chiacchierando con
Brianna, mentre tutti
gli altri erano divisi in gruppi ad occuparsi di qualcosa.
“Quindi
ce l’hai già una
macchina con cui scattare le foto?”
“Si
si, ne ho molte a casa.
Un tempo facevo molte fotografie, ho vinto anche un premio una
volta.” Spiegò
lui.
Brianna
annuì, non molto
convinta: “Oh, ma certo, forse mi ricordo. Doveva essere il
secondo o terzo
anno…”
“Secondo!”
confermò.
“Beh,
allora mi fido della
tua professionalità. In pratica dovrai scattare qualche foto
qua e là, ma le
più importanti sono quelle del Re e della Reginetta del
ballo!”
“Naturalmente!”
rise,
seguito da lei.
“Fai
più foto possibili
e…mi dispiace che tu non possa goderti la serata come
avresti voluto..” disse
mortificata.
Quello
agitò la mano,
rasserenandola: “No, tranquilla, tanto non ci sarei venuto
con nessuno…”
“Ah,
no? – ne fu sopresa –
Pensavo saresti venuto con Nathaniel, E’ per caso successo
qualcosa?”
“Ehm…Diciamo
che lui non si
sente ancora pronto per questo passo. – rise, poi –
In fondo, non è il ballo di
fine anno questo. Possiamo anche saltarlo, no?”
Quella
annuì, comprensiva:
“Naturalmente!”
Sam, poi, colse
l’occasione
per dirle un’altra cosa: “Ascolta, Brianna, volevo
dirti che ti ringrazio per
avermi preso in considerazione per le foto. Dopo quello che
è successo tra i
miei amici e la scuola, non me l’aspettavo!”
“Il
passato è passato, Sam.
– gli sorrise – E poi sono certa che non eri
davvero tu a parlare in quel
video, ma Anthony che influenzava le tue parole…Ogni
cattiveria partiva solo ed
unicamente da lui. E vi costringeva ad essere come lui.”
“Credimi,
non ero io.”
aggiunse, quasi in dovere.
Brianna gli
sorrise ancora
una volta: “Tranquillo, è tutto a posto. Almeno
con me. Tu pensa solo a fare
delle belle foto e divertirti!” e se ne andò,
congedandosi con un occhiolino.
Sam si
sentì improvvisamente
meglio, nonostante fosse ancora triste per la lite con Rider ed Eric.
Alle sue
spalle, in quell’istante, arrivò Nathaniel, che lo
prese per un braccio,
voltandolo.
“Ehi,
hai un minuto?”
Tornando allo
stesso stato
d’animo di prima, lo salutò con tono spento:
“Ehi, com’è finita poi con Rider
ed Eric?”
“Ci odiano ancora, ma almeno avremo salvato un innocente
dalla galera. Alla
fine sta pagando per qualcosa che abbiamo in qualche modo commesso noi,
no?”
“Nat,
non farla sembrare
improvvisamente un’opera di bene per non darla vinta a Rider.
Non te n’è mai
fregato nulla di Jasper, forse solo a me tra tutti voi….La
verità è che abbiamo
commesso un errore, fine della storia!”
“Non
mi interessa? – quasi
urlò, allibito - Sono andato a casa di un estraneo, ieri
notte!”
“Per
salvare noi, non
Jasper!”
“L’ho
fatto sia per noi che
per lui!” ribadì.
“Ok,
l’hai fatto per tutti
quanti, ma… Com’è andata?”
“Lo
vedo dopo a pranzo, non
potevo passare al dunque dopo cinque minuti. Dobbiamo andarci
piano!”
Sam, a quel
punto, fu
curioso di sapere i dettagli nottata: “Per caso
avete…fatto…???”
“Sesso?
– completò,
lasciandolo sulle spine per qualche secondo –
Ehm…a dire il vero, pensavo
saremmo andati a letto appena arrivati a casa sua e
invece…mi ha preparato una
cioccolata calda, continuando a guardarmi dalla testa ai
piedi…”
L’altro
non riusciva a
capire: “Insomma, avete fatto sesso o no?”
“No,
ma…mi sono dovuto
togliere i vestiti!”
“Ehm…
- strabuzzò gli
occhi, sempre più confuso – Che cosa sarebbe
allora, sesso con gli occhi?”
“No,
niente sesso! –
precisò, seccato – Ha voluto solo che io gli
facessi da modello!”
“Modello per
cosa?”
“Per un quadro!”
“Dipinge?”
ne restò
meravigliato.
“Ha
molti quadri nel
soggiorno di casa sua, tutti ritratti di corpi maschili nudi. Tra due
settimane
ha una mostra e dice che si è sentito ispirato da me,
così mi ha chiesto di
posare per lui in varie circostanze!”
Sam si
lasciò scappare una
piccola risata: “C-che tipo di circostanze?”
“Non
so, nel suo
appartamento che mangio una mela, nel parco che leggo un libro tutto
nudo sotto
ad una quercia…cose così, sono quadri
particolari!”
“E ti
ha chiesto lui di
vedervi a pranzo?” domandò, abbastanza a bocca
aperta.
“Vuole
pagarmi, ma in
qualche modo cercherò di trovare un modo per dargli
ciò che vuole e avere in
cambio ciò che vogliamo noi!”
Non molto
contento di
questa vicenda, assai bizzarra da metabolizzare, Sam
continuò con le sue
perplessità: “Ok, ma sa quanti anni hai,
almeno?”
“Gli
ho detto che ne ho
ventidue e ci ha creduto. Non sembro un diciassettenne, alla
fine!”
L’altro
sospirò, stanco e
demoralizzato: “A questo punto, fai quello che devi. Voglio
solo una fottuta
vacanza dopo tutta questa maledetta storia di A!”
Nathaniel,
vedendolo in pena,
gli mise una mano sulla spalla e con l’altra gli
sollevò il mento con
tenerezza: “Ehi, non badare a quello che ha detto Rider.
E’ stressato come
tutti noi e magari ha esagerato…”
“Non
so… - si mise a
braccia conserte, ancora avvilito – Mi sento ancora molto
ferito, non me
l'aspettavo da Rider che mi parlasse in quel modo. Per un attimo ho
rivisto
Anthony in lui.”
“Già,
anch’io, ma… - lo
afferrò per le spalle, attirando il suo sguardo sul suo viso
– Anche se in
questo momento siamo divisi da questo litigio, rimaniamo comunque un
gruppo con
lo stesso obbiettivo: sconfiggere A!
Ok? Vedrai che ci perdoneranno!”
“E
saremmo noi a dover
essere perdonati? Dopo quelle parole?”
“Un
po’ ce le siamo
meritate, abbiamo messo a rischio anche la loro vita! E’
normale che abbiano
reagito così, anche noi due avremmo reagito così
se la situazione fosse stata
inversa.”
Sam
se ne convinse: “Forse
hai ragione, nemmeno io l’avrei presa tanto bene, ma al
momento non voglio
vederli.”
“D’accordo,
ti capisco, ma
dobbiamo essere tutti presenti stasera. Glielo dobbiamo!”
L’altro
annuì: “Si si, sarò
comunque qui, mi occupo delle foto!”
Nathaniel
rimase
leggermente di sasso: “…Ah, non avevo capito
che…”
“Non
te l’avevo detto?”
“Ehm…forse
o forse no. Con
tutto quello che succede è difficile ricordarsi le cose come
queste!” sembrò
deluso e Sam lo percepì.
“Nat,
per caso volevi…???”
“Chiederti
di venire al
ballo? Perché no! – sorrise – Ormai
l’abbiamo superato lo scoglio più duro con
la scuola. Non siamo più una novità!”
“Mi
dispiace…” Sam
s'imbronciò.
“Verrò
da solo, non
preoccuparti. – gli sorrise ancora - Anzi, ci
verrò con mia zia Courtney!”
“D’accordo,
va bene. Allora
ci vediamo stasera, sperando che Rider ce la faccia!”
“Speriamo!”
esclamò,
provando ad essere positivo. I due si guardarono un’ultima
volta, un accenno di
sorriso e poi si divisero lungo quel corridoio.
*
Più
tardi, nel pomeriggio,
Rider era in soggiorno, con un taccuino poggiato sul tavolino, che
riportava un
elenco di numeri. Egli li stava provando uno alla volta, barrandoli
subito dopo
aver messo giù il telefono. Sembra assai seccato.
“Ehm,
pronto, Brenda? Sono
Rider Stuart e mi chiedevo se avessi già un accompagnatore
per il ballo… Ah, ci
vai con lui?...Ok ok, capisco, non ti preoccupare! – rise
– Buona serata, grazie
lo stesso!” e mise giù, amareggiato, barrando
anche il suo numero, sbuffando
davanti al taccuino, che non aveva altri numeri utili.
Improvvisamente,
alle sue
spalle, arrivò suo padre. I suoi passi sul parquet lo
rivelarono
immediatamente.
“Come
mai nessuno ha
ritirato la posta stamattina?” esordì con in mano
svariate lettere prese dalla
cassetta della posta.
“Mamma
non ritira mai la
posta, lo sai che è sempre di fretta, mentre Lindsay a
malapena sa che esiste
una cassetta delle lettere per ogni abitazione…”
“E
tu che scusa hai?”
domandò, sollevandosi gli occhiali dalla punta del naso.
“Cerco
una ragazza che mi
accompagni all’Homecoming, ma… -
sollevò il taccuino con i numeri barrati – Non
ho avuto molta fortuna!”
Robert
sospirò, scuotendo la
testa, in pena per il figlio: “Ahh, noi
Stuart…Intelligenti, ma mai vincenti!”
“Non
dirmi che anche tu
avevi difficoltà al liceo! – rise, mentre il padre
faceva già delle smorfie a
confermarlo – Ho visto le tue foto da adolescente,
Papà, non eri niente male!”
“Beh,
gli uomini della
nostra famiglia hanno sempre portato gli occhiali. All’epoca
non era molto fico
portarli, rendeva i miopi, come me, tanti giovani Clarke Kent assai
goffi e
poco ambiti dalle ragazze…”
Rider
rise ancora: “Guarda che
ancora oggi, portare gli occhiali, è ancora da goffi Clarke
Kent o non sarei
qui a pensare di flirtare con una lampada da soggiorno per la
disperazione!”
“Molti
modelli di
Abercrombie portano gli occhiali, lo sai?” tentò
ancora di sollevare la sua
autostima in modo teatrale.
“Papà,
io non sono un
modello di Abercrombie. – sorrise rassegnato - A stento ho
mezzo addominale e
non sono nemmeno altissimo!”
“Allora
cambia, Rider!
Nulla è impossibile, basta solo spostare alcuni frammenti
del nostro essere per
avere una nuova combinazione!”
Rider
ci rifletté su, per
nulla incline al discorso ed un sorriso spensierato: “A me
piace la
combinazione che sono, stranamente…”
“E
io sono fiero di
sentirlo. – gli sorrise - Noi genitori non vogliamo che
cambiate, in realtà, ma
vi sosteniamo comunque…”
Improvvisamente,
dopo
quelle ultime parole, il sorriso di Rider sfumò, colto un
pensiero che voleva
esternare.
“…Se
Lindsay un giorno ti
dicesse di essere incinta, cosa le diresti, considerata la sua
età?”
Spiazzato
dalla domanda,
provò a rispondere con un’iniziale vena
sarcastica: “Sperando che tua sorella
non sia davvero incinta, lei direi che…Dovrebbe tenerlo!
E’ fatta, non si torna
più indietro. Hai creato qualcosa che è destinato
ad essere e non puoi
sopprimere l’esistenza di qualcuno come nulla fosse. Le direi
anche di non
darlo in affidamento, perché un figlio non si abbandona mai,
a meno che…”
Rider
restò a guardare
incantato suo padre, catturato dalle sue parole, ma quando si
bloccò, gli venne
spontaneo capire cosa avesse: “A meno che?”
Cercò
di riprendersi,
leggermente provato: “Ehm, niente, è solo un tema
molto forte. Molti anni fa mi
è capitato di assistere ad un abbandono, in un altra
famiglia: un bambino!”
Quello
tentò di ricordare
invano: “Non ricordo di questa vicenda, di che famiglia
parli?”
“Non
puoi ricordare…avevi
solo quattro anni! Era
il figlio di un
nostro vicino!"
Curioso,
Rider
volle saperne di più: "E che fine ha fatto questo bambino?"
Robert
sembrò
restio a volerne parlare: "Ehm, aveva molti problemi e così
i suoi
genitori hanno dovuto allontanarlo!"
"Mi
sembra
una storia assai familiare, sai?" pensò, strabuzzando gli
occhi.
"Ha
ispirato
uno dei miei libri!"
Rider
si ricordò,
schioccando le dita: "Ah, sì, Il
bambino al di là del cancello?”
Suo
padre annuì
forzatamente, quasi a disagio, mentre l'altro continuava.
"Deve
averti
colpito molto questo bambino per ispirarti un libro."
"Ogni
tanto
lo lasciavano da noi e giocava con te e Lindsay." accennò un
sorriso.
Non
più così
interessato, Rider alzò dal divano: "Beh, forse è
meglio che vada ora. Ho
un evento a cui partecipare da solo!"
L'altro,
però,
sembrò avere una buona notizia per lui: "Ah, dimenticavo,
sta arrivando
Tasha!"
"Ehm..
Tasha,
mia cugina?" domandò confuso.
"Sì,
l'ha
chiamata Lindsey. Pare che all'Homecoming ci sarà un vecchio
ragazzo che
frequentava al liceo."
Rider
non poté che
sorridere di felicità: "Sono a posto, allora. Tasha mi
adora, verrà al
ballo con me senza pensarci due volte!"
Suo
padre annuì
con ovvietà: "Per questo te lo sto dicendo!"
"Grazie
per
avermelo detto dopo undici chiamate umilianti! - esclamò
sarcasticamente,
dirigendosi verso il corridoio, esterno al soggiorno - Vado a
prepararmi,
ciao!"
"Buona
serata, figliolo..." gli fece un cenno, tornando a guardare le lettere
che
aveva in mano. Un espressione malinconica, legata al racconto di poco
prima,
regnava ancora sul suo volto.
*
Nathaniel
si
presentò all'appuntamento con Edward, che lo stava
aspettando da almeno
mezz'ora, seduto ad uno dei tavolini esterni al ristorante, leggendo il
giornale. Poggiando lo zaino alle spalle della sedia, si sedette
rapidamente
con il fiatone.
"Ciao,
eccomi, scusa il ritardo!"
Edward
si accorse
di lui solo quando sentì la sua voce e subito mise via il
giornale, guardando
l'orologio.
"Pensavo
non
venissi più, ero già nel pallone per la paura di
aver perso il mio modello
migliore!"
Nathaniel
rise,
sgranando gli occhi: "Addirittura il migliore?"
Quello
sorrise:
"Evidentemente la mia fama non mi precede, del resto Rosewood
è una città
così disconnessa. Comunque sia, sono un pittore abbastanza
rinomato e so quando
un soggetto è migliore di un altro."
"Rinomato?"
ripeté la parola che l'aveva più colpito.
"Sì,
ho fatto
molte mostre a New York!"
"Ouh,
quindi
sei abbastanza conosciuto!" esclamò abbastanza sorpreso,
pensieroso.
"Volevo
parlarti del prossimo posto da usare come scenario. Appena fuori da
Rosewood ho
visitato un bellissimo parco, molto illuminato di notte. All'interno
c'è questa
sontuosa fontana molto larga..."
Quello
lo fermò
subito: "Un parco, hai detto? Dovrei posare nudo in un parco
pubblico?" sussultò con poco entusiasmo.
"Non
ci sarà
nessuno quando ci andremo noi. Dovrai soltanto sdraiarti lungo il bordo
circolare della fontana e naturalmente...ti pagherò molto
per questa
seccatura!"
Nathaniel,
a quel
punto, sospirò, mettendolo al corrente di una cosa: "Ehm,
ascolta, prima
che sia troppo tardi, volevo dirti che in realtà...ho
diciassette anni!"
L'altro
rimase
assai impassibile: "E allora?"
"Ma...
- la
sua reazione lo spiazzò - non sei sorpreso?"
"Ieri
sera,
quando sei andato in bagno, il tuo portafoglio è caduto
dalla tasca dei
pantaloni. Immaginavo avessi mentito sulla tua età, chiunque
lo farebbe per soldi,
così per curiosità ho dato un'occhiata ai tuoi
dati anagrafici!"
Anche
se Nathaniel
aveva mentito sulla sua età per altri motivi, lo fece
passare per quello:
"In effetti...Scusa!" sorrise mortificato.
"Non
stiamo
facendo nulla di male, non siamo stati a letto o altro. E, come ti ho
detto,
non ci sarà nessuno in quel parco a tarda notte. Faremo
velocemente."
"Bene!
-
annuì, mostrandosi tranquillo - Quando ci andiamo?"
"Che
ne dici
di stasera?" propose a bruciapelo.
"Purtroppo
non posso, ho l'Homecoming!" mostrò i denti stretti,
mortificato.
"Domani?"
Nathaniel
sorrise:
"Domani è perfetto!"
L'altro
ricambiò,
sollevando il menù: "Ok, ordiniamo? Da quando sono qui ho
bevuto solo
mezzo bicchiere di vino ed ho bisogno di carboidrati!"
"Certo!"
esclamò prendendo anche il suo menù.
*
Sam
stava salendo
allo studio di Wesam, mentre controllava le chiamate perse, sperando
che non ce
ne fosse una di Jasper dal carcere. Quando fu davanti alla porta, mise
la mano
a pugno, pronto a bussare; ad un certo punto, però, non
bussò, prendendosi un
attimo e ripensando alla lite con Rider: la vicenda lo rattristava
ancora
molto. Scacciati tutti i pensieri, finalmente pronto, la porta si
aprì ancora
prima che il suo pugno toccasse la porta.
Sam
si ritrasse,
sorpreso. Wesam si affacciò.
“Oh,
eccoti! -
controllò l’orologio – Ti aspetto
già da cinque minuti. Dai entra!”
L’altro
deglutì,
abbassando lo sguardo, un tono mortificato: “Ehm…
- si grattò il capo –
Ascolta, oggi non posso davvero entrare, sono venuto a dirtelo di
persona
perché non conosco il tuo numero. Se l’avessi
chiesto a mio padre, mi avrebbe
sicuramente fatto mille domande,
perciò…”
“Bastava
cercarlo
nell’elenco telefonico, ma… - era confuso, quasi
preoccupato dal suo aspetto
assai titubante e malinconico –
Che
succede?”
“Niente,
è solo
che sono nello staff dell’Homecoming e devo correre a casa a
preparare
l’attrezzatura: mi occuperò delle foto!”
spiegò, sbattendo le palpebre come
fosse un tick, un tono altalenante e nervoso.
Wesam
restò
alquanto interdetto, ma non poté che assecondarlo:
“D’accordo, Sam. Va bene!”
Sam
accennò un
sorriso di ringraziamento, indietreggiando e pronto ad andarsene:
“Non mi dire
niente, ma puoi non dire a mio padre che ho saltato anche questa
seduta? Vorrei
evitare un’altra discussione con lui.”
“Finirò
per essere
pagato per un lavoro che non sto facendo!” esclamò
sarcastico.
“E’
l’ultima
volta, te lo prometto!” concluse, mettendo il piede sul primo
gradino.
Wesam
lo fermò al
volo, ricordandosi una cosa: “Ah, Sam, aspetta!”
Quello
tornò sul
pianerottolo: “Sì?”
“Ho
una cosa per
te! – tirò fuori il telefono dalla tasca
– Immagino ti farà piacere!”
Lui
si avvicinò,
curioso, mentre quello gli mostrava qualcosa: una foto di lui e Cameron
che si
baciano fuori dal locale.
Sam
inclinò la
testa, strabuzzando gli occhi: “C-che sarebbe questo? Che
significa?”
“Una
prova da
mostrare alla tua amica!”
“Chi
ha scattato
la foto?”
“Un
tipo a cui
l’ho chiesto!”
Sam se ne restò sbigottito: “E hai baciato Cameron
solo per farmi un favore?”
“Tecnicamente
ha
mentito sulla sua età, quindi niente crimine per
l’inconsapevole adulto! –
sorrise – Devo dire che non è stato difficile,
quel Cameron passa da un fiore
all’altro con molta facilità!”
“Beh,
sì…” non
sapeva cosa dire.
Wesam,
non riuscendo
a capire se Sam era contento o arrabbiato, cercò di
giustificarsi: “Ascolta, so
quanto ci tenevi a questa prova da mostrare alla tua amica,
perciò spero che tu
non mi giudichi male…”
“Ouh,
no! –
esclamò, tranquillizzandolo – L’ho
apprezzato molto, invece. Per Cameron è
sicuramente routine andare con chiunque e di qualunque età,
probabilmente…”
“Ti
mando la
foto?”
Sam,
allora, prese
la penna di Wesam dalla tasca della sua camicia e poi prese la sua
mano,
scrivendo il suo numero sul palmo della sua mano.
Wesam
lo fissò,
quasi incantandosi, mentre l’altro alzava lo sguardo ogni due
cifre che
scriveva, incrociando il suo.
Quando
finì, ce ne
fu ultimo, che lo imbarazzò a tal punto che dovette
arretrare nuovamente.
“Io
devo proprio
andare adesso. Puoi mandarmi la foto su quel numero, ok?”
Quello,
accennando
un sorriso, fermo davanti alla porta, annuì: “O lo
faccio o mi sono fatto
sporcare la mano di inchiostro per nulla!”
Sam
si fermò
nuovamente, mostrandosi improvvisamente mortificato: “Ah,
Wesam, a proposito di
ieri…Perdonami se ti ho lasciato in quel modo!”
Quello
apprezzò,
pur restando neutro nell’espressione:
“…Niente scuse, puoi fare quello che vuoi
in un locale pieno di ragazzi. E poi non ho quindici anni, Sam. Di
certo la mia
vita non ruota di fronte a queste sciocchezze. Ho comunque passato una
bella
serata.”
Sam
annuì,
sentendosi stupido: “Ah, ok allora! – gli fece un
cenno con la mano – Ciao!”
L’altro
gli
sorrise soltanto, continuando a fissarlo finché non
scomparve in fondo alle
scale. Immediatamente, la sua espressione cambiò di colpo,
diventando seria.
Richiuse
la porta,
tornando nel suo studio, aggiornando la sua agenda.
“Puoi
uscire, se
n’è andato!” esclamò, mentre
scriveva.
La
porta del
bagno, alle sue spalle, si aprì: a rivelarsi, fu il padre di
Sam.
“Come
mai non ha
fatto la seduta?” domandò Carter, mentre
l’altro si voltava, alquanto
distaccato, quasi infastidito dalla sua presenza.
“Tuo
figlio è
nello staff dell’Homecoming, non l’hai
sentito?”
“No,
non l’ho
sentito! Dovevi farlo entrare!”
“Ah!
– esclamò con
enfasi – Quindi non solo mi mandi nei locali a rimorchiare
dei minorenni.
Adesso li devo anche molestare?”
“Sei
coperto per
tutto quello che stai facendo e lo sai!”
“Non
mi piace
lavorare per la polizia in questo modo. Hai attirato tuo figlio in quel
locale
con una falsa email, ti rendi conto?” replicò.
Carter
si avvicinò
quasi ad un palmo dal suo naso: “Tu non lavori per la
polizia, ma lavori per
me!”
“E
fino a quanto
dovremmo spingerci, se posso chiedere.” restò
lì davanti a lui, non temendolo.
L’altro
fece un
passo indietro, più calmo: “Conosco mio figlio da
tutta la sua vita e so che
c’è qualcosa che non quadra, qualcosa che lo sta
spaventando a morte al punto
che non sembra più la stessa persona di prima.”
Wesam
deglutì,
sospirando. Poi prese la sua agenda e la diede in mano a Carter.
“Nella
seduta di
ieri, Sam è uscito fuori per parlare con qualcuno. Quelle
che vedi scritte sono
alcune parole chiave della conversazione.”
L’uomo
era
letteralmente inquietato da ciò che stava leggendo, mentre
l’altro volle sapere
a cosa stesse pensando.
“Chi
è Jasper? Lo
conosci?”
“Ehm…
- si grattò
il capo, fingendo di non saperlo – Non ne ho idea, forse
dovresti scoprire di
più!” concluse, sudando freddo, puntando lo
sguardo in vari punti della stanza,
molto pensieroso.
Poco
convinto dal
tono di quello e il suo comportamento, tralasciò:
“E A? Hai idea di cosa
possa significare?”
“Non
lo so, forse
è l’iniziale di un nome o è legato a
qualche numero…” rispose distrattamente.
“Sai,
ho avuto come
la sensazione che Sam stesse parlando di A
come se si trattasse di una persona. In genere,
però, non parli di quella
usando la sua iniziale. A meno che…”
Carter
lo fulminò
con lo sguardo, il tono aggressivo: “A meno che,
COSA?”
L’altro
sgranò gli
occhi, non aspettandosi questa reazione: “…Niente,
interpretavo solo la cosa.
Se parli di qualcuno utilizzando la sua iniziale, significa che non
vuoi che si
sappia chi sia o che non vuoi che qualcuno ascolti quel nome.”
L’uomo,
sempre più
nervoso, decise di andarsene: “Ascolta, qualunque cosa ti
dica Sam, tu devi
dirmela subito! E non fare mai parola di quello che ti dice con
nessuno,
eccetto me. Intesi?”
“A
chi dovrei
dirlo? Verrei radiato dall’albo, c’è la
privacy sulle sedute che tengo con i
miei pazienti!”
Carter
non
rispose, limitandosi ad una lunga occhiata che lo tradì,
perché Wesam riusciva
a capire ogni comportamento umano; soprattutto i pensieri.
Immediatamente
l’altro uscì dallo studio, senza nemmeno salutare
o aggiungere altro.
Wesam
si sedette
alla scrivania, digitando su Google le parole: “Jasper +
processo”.
Ciò
che uscì,
furono articoli legati all’omicidio di Anthony Dimitri e suo
padre e
all’arresto di Jasper Laughlin, sotto accusa di omicidio.
A
quel punto,
l’uomo si tirò indietro con la schiena, fissando
la parete. In qualche modo,
intuì che Carter intendeva di non far parola con nessuno,
riferendosi alla
polizia.
*
Più
tardi, al
Brew, Eric controllava l’orologio in continuazione. Da dietro
al bancone,
continuava a guardare la strada, attraverso i vetri delle porta
d’ingresso,
come se stesse aspettando qualcuno. Improvvisamente, quella porta si
aprì ed
entrò Julie; solo che non era sola, ma in compagnia del
Professor Palmer.
Quelli
si
diressero verso il bancone, lui li accolse con un largo sorriso.
“Salve,
signorina
Orlando! – poi fissò l’uomo –
Professor Palmer!”
“Ciao,
Eric!”
esclamò lei, ricambiando il sorriso. Palmer gli fece un
cenno.
“Volete
prendere
un tavolo?”
“Sì,
ehm… - ella
si voltò verso l’uomo – Sebastian, tu va
pure a sederti. Ordino io! – gli
sorrise – Ormai so cosa ti piace!”
L’altro
le
sorrise, assai invaghito. Eric spostò lo sguardo fra i due,
notando la loro
intesa.
“D’accordo,
sorprendimi su quanto mi conosci!” e si allontanò,
cercando un tavolo.
Quando
furono
soli, Julie si avvicinò ancora di più al bancone
ed Eric cambiò tono,
bisbigliando.
“Devi
aiutarci,
Julie!”
“Che
c’è, Rider ha
deciso che sono di nuovo dentro?”
“No,
ma mentre tu
continui ad avere appuntamenti caldi con il nostro professore, noi ci
siamo
divisi!”
Inizialmente
seccata dalla battutina, volle saperne di più:
“Avete litigato?”
“Sam
ha diciamo
violato una regola che Rider imponeva con te e ha detto troppo ad una
persona.
Quasi tutti noi abbiamo perso il bracciale e temiamo che A
ci ascolti di nuovo.”
“Quindi?”
rispose
indifferente, cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Quindi
aiutaci,
non hai qualcosa che faccia al caso nostro?”
“Ti
ricordo che A ha rubato
metà delle mie cose in quel
sotterraneo!”
“Oh,
andiamo,
abbiamo visto il tuo appartamento: hai molta più roba di
quella!” insistette,
non bevendosela.
Quella
si arrese,
sbuffando: “D’accordo, al ballo di stasera vi
porterò qualcosa!”
“Con
chi ci
vieni?”
“Con
Sebastian,
con chi se no?”
“Fai
sul serio con
lui?”
L’altra
rispose con
gli occhi a cuoricino: “E’ un uomo così
pieno di interessi, galante e
soprattutto molto affascinante. Perché non venire con
lui?”
“Ascolta,
ti parlo
per esperienza personale: non inoltrarti troppo in una relazione con A nei paraggi!”
“A perseguita voi, non me.”
“A perseguita qualsiasi cosa si muova
intorno a noi, Julie!”
“Beh,
fin’ora mi
ha solo derubata. Evidentemente mi teme!”
“Fossi
in te, non
lo direi ad alta voce!”
Julie,
per nulla
intimorita, si aggiustò la borsa sulla spalla,
indietreggiando: “Noi siamo al
tavolo, Pam sa già cosa prendiamo di solito! – gli
fece un occhiolino – A
stasera!”
Eric
annuì,
l’espressione poco positiva. Ad un certo punto, il suo
sguardo volse nuovamente
verso la porta: fuori si era appena fermato un taxi, un uomo assai
familiare ne
uscì.
Improvvisamente
lo
riconobbe, sgranando gli occhi: era suo padre. Con il grembiule
addosso, Eric
corse fuori dal Brew, attraversando la strada come un cieco, troppo
felice per
fermarsi. Mentre stava prendendo la sua valigia dal bagagliaio assieme
al
tassista, Eric si fece sentire alle sue spalle.
“Papà!”
urlò di
gioia, facendolo voltare.
“Eric!
– gli
sorrise – ma che…”
Ma
non gli diede
il tempo di finire, che gli saltò addosso, abbracciandolo
forte. Intanto il
taxi stava ripartendo.
L’altro
rise,
quasi soffocato, la valigia accanto alle gambe.
“Accidenti,
Eric,
non sono stato in Iraq!”
Finalmente
si
staccò, mantenendo un sorriso gioioso: “Lo so, ma
è così bello riavere un
padre!”
“Strano
abbraccio,
dev’essere stato un mese infernale per voi. –
suppose, stranito - Anche
se tua madre, al telefono, sembrava
molto serena ultimamente.”
“Beh,
ora è più
felice da quando lavora da Valeriè!”
Mentre
ne parlava,
quel sorriso scomparve, come quando cerchi di mantenere la schiena
dritta, ma
poco dopo sei già incurvato, senza accorgertene. Suo padre
fece caso a quel
cambio di espressione.
“Se
ora state
bene, allora cosa c’è?”
“Niente,
è solo
che ora studio e…” fece in modo che seguisse il
suo sguardo, sugli abiti che
indossava.
“Mmmh…o
hai
trovato un lavoro o mi sono perso una nuova moda!”
Eric
rise: “Lavoro
al Brew, un grembiule non farà mai tendenza se non lo
indossa Nicki Minaj o
Justin Bieber!”
A
quel punto,
l’uomo prese la valigia dal manico, alzandola da terra:
“Non so, c’è qualcosa
di diverso in te!”
Quello
scosse la
testa, confuso: “Sono sempre io!”
“Quell’abbraccio
che mi hai dato… - ci rifletté su, rimasto
colpito - E’ come se avessi urlato
in una spiaggia deserta, sperando che qualcuno ti sentisse. Che io, ti
sentissi.”
Lui
rise ancora
una volta, esternando quanta più serenità
possibile: “Mi sei solo mancato,
Papà.”
L’uomo,
alla fine,
se ne convinse: “Beh, d’accordo…Anche
voi siete mancati a me. E ho molte
novità!”
Eric
rimase a
fissarlo, curioso, mentre attraversavano finalmente la strada.
Saliti
all’appartamento,
Jennifer era ormai attaccata al collo del marito da diversi minuti,
quasi in
lacrime per la gioia. Eric restò a braccia conserte, vicino
alla porta, a
guardarli, di nuovo posseduto da un sorriso.
“Daniel,
sono così
felice. Non hai idea di quanto sia stata dura accettare tutti questi
cambiamenti…” sussurrò quella, mentre
lui la staccava dolcemente.
“Ora
sono qui, non
dovete più preoccuparvi di nulla! –
spostò lo sguardo tra i due – Sedetevi, ho
alcune cose da dirvi!”
E
quelli,
guardandosi, eseguirono, mettendosi comodi sul divano. Lui, davanti a
loro,
iniziò a parlare.
“Il
lavoro a
Riverton, inizialmente, non si prospettava qualcosa di migliore
rispetto al
posto che avevo qui. Per voi, però, ho accettato. Quello che
non vi ho detto, è
che le mie capacità hanno parecchio impressionato gente che
lavora ai piani
alti e…”
Con
gli occhi
sgranati, Jennifer era lì che voleva sapere e non sopportava
quella suspense:
“E…???”
“Ho
ricevuto una
grossa promozione, un’offerta che proprio non mi aspettavo.
In definitiva, sono
nel consiglio di amministrazione di questa nuova azienda
emergente.” concluse
con il sorriso di un vittorioso.
Jennifer
si portò
una mano alla bocca, guardando Eric, pronta ad esplodere.
“Esattamente…quanto
ci siamo rimessi in sesto?” chiese la donna, ancora incredula.
“La
nostra vita
tornerà quella di un tempo. Anche migliore!”
Quella
gli saltò
addosso, in festa: “Oh mio Diooo!”
Eric
stava ancora
metabolizzando: “Ok, ma…con quello che
è successo con la società del Signor.
Lincoln? Non sanno niente?”
“Sanno
tutto, sono
stato onesto. Hanno detto che chiunque, in quelle condizioni, avrebbe
tentato
quelle manovre.”
“Fantastico,
ma io
dovrei tornare giù al Brew!” esclamò,
avvicinandosi alla porta.
Suo
padre, però, lo
fermò: “Aspetta, ti perdi la parte
migliore!”
“C’è
una parte
migliore di questa?” domandò sua moglie, ancora in
fibrillazione.
“Verrete
a vivere
tutti a Riverton con me!”
A
quella notizia,
Eric restò letteralmente a bocca aperta, mentre la madre
sembrò apprezzare
anche questa.
“I-io
non so
davvero cosa dire, mi sembra un sogno!”
Eric,
ovviamente,
contestò il suo entusiasmo: “Ma, Mamma, hai il tuo
lavoro da Valerìe, che
adori!”
Quella
fece un
gesto con la mano che stava a simboleggiare una cosa da poco, con
disgusto:
“Che fingevo, di adorare! Rachel è tipo Miranda de
Il diavolo veste Prada e io ingoio
la mia voglia di mandarla a quel
paese dal primo giorno!”
Di
stucco, Eric
sembrò quasi contrario a questo brusco cambiamento:
“Ma io ho il lavoro al
Brew, la scuola, i miei amici…”
“Potrai
lavorare
in un Brew di Riverton, andare in una nuova scuola e avere nuovi
amici!”
suggerì Daniel con facilità, mentre Jennifer era
al suo fianco, al settimo
cielo.
L’altro
rispose in
maniera irritata: “Non esiste un Brew a Riverton e nemmeno i
miei amici!”
Suo
padre percepì
immediatamente il suo palese disappunto e reagì con
fermezza: “Voi siete la mia
famiglia, Eric. E la mia famiglia va dove ci sono io! Quando avrai una
famiglia
anche tu, capirai questo concetto!”
Mettendo
il muso,
Eric aprì la porta, pronto ad uscire: “Siamo
proprio tornati alle origini, eh!
Peccato che questa vita non mi piace più e che iniziavo ad
adorare questa!” e
uscì, sbattendola, sotto lo sguardo sbigottito dei genitori.
Quando
fu tra le
scale, intento a tornare al suo posto di lavoro, ricevette un messaggio.
“Prova
a lasciare
Rosewood e l’incubo si sposterà a
Riverton.”
-A
Eric
si fermò
bruscamente, guardandosi alle spalle e appoggiandosi alla balaustra per
guardare
in alto, sugli altri piani. Agghiacciato e non vedendo nessuno, non
capì come
la sua conversazione con i suoi genitori fu ascoltata.
*
Molto
più tardi,
quasi alla fine del pomeriggio, Rider, nella sua stanza, teneva stretto
tra le
mani il telefono di Eric, mentre l’amico era davanti alla
finestra più teso che
mai.
“Quindi
te ne vai
così? – Rider cercò di metabolizzare la
cosa, per poi sottolineare un cavillo –
Lo sai che non puoi farlo, A deve
ancora capire chi di noi è coinvolto nel misterioso crimine
commesso da
Anthony. Per non parlare dell’obbligatoria legge del
contrappasso che dobbiamo
scontare per aver investito Albert con la macchina!”
L’altro
si voltò
bruscamente e nervoso, conoscendo perfettamente la situazione:
“E che cosa vuoi
che faccia? Che dica a mio padre di non trasferirci a Riverton
perché un pazzo
vuole fare una collana con i miei denti se provo a lasciare la
città?”
“Beh,
A non ha aggiunto questo nel
messaggio!”
“Non
importa,
Rider. Se la punizione non è un dente staccato,
sarà sicuramente un dito, i
capelli rasati a zero o qualche altra cosa da malati!”
“Quindi
sei sicuro
che A non fosse nascosto nelle
scale?”
“Non
ho visto
nessuno, forse siamo tornati ai vecchi tempi, prima di conoscere Julie.
Magari
quando è entrato ieri in casa mia la scorsa notte, ha
lasciato qualche
microfono nascosto!” esclamò assai provato.
“Sono
stanco di
questi microfoni nascosti, sai?” pensò Rider,
seccato.
“E
lo dici a me?”
marcò con le sopracciglia sollevate.
Improvvisamente,
il telefono vibrò tra le mani di Rider, che distrattamente
guardò il contenuto
del messaggio appena ricevuto.
“Alexis
ti ha
mandato una foto… - gli passò il telefono
– E’ a casa tua ed è davvero
sexy!”
“E’
con mia madre
che prova l’abito per stasera!”
Lesse
poi il
messaggio:
“Grigio
tu, grigio io: ora abbiamo
gli abiti coordinati. Ti aspetto per stasera. Baci, A.”
Rider
notò subito
l’angoscia che aveva negli occhi: “Che farai con
lei?”
“La
lascio dopo il
ballo, non ho altra scelta…” rispose con il
magone, mentre guardava la foto di
Alexis felice e raggiante con il suo vestito indosso.
Quel
silenzio che
seguì, fu poi interrotto da strani rumori provenienti
dall’altro lato della
parete.
Eric
sollevò lo
sguardo dal telefono, domandando cosa fosse: “Che succede?
Cos’è questo
rumore?”
“E’
solo la mia
cuginetta Tasha che lancia scarpe contro il muro. A proposito, lei
sarà la mia
accompagnatrice: sorpresa!” rimase sul letto a gambe
incrociate, con un
espressione che forzava l’entusiasmo.
“E
perché lancia
scarpe contro il muro?”
“Perché
quelle che
ha scelto un’ora fa in boutique non le piacciono
più. E, a quanto pare, non ama
nemmeno i gusti di Lindsey!” spiegò scialbo,
introducendo alcune
caratteristiche di sua cugina.
“Sembra
molto
esigente!” pensò Eric.
“Non
solo è
esigente, ma stasera mi userà anche per far ingelosire un
ragazzo che
frequentava al liceo e che sarà al ballo!”
marcò l’assurdo, sollevando le
sopracciglia.
“Suppongo
che
questo ragazzo non sappia che siete cugini!”
“Supponi
bene,
anche se Tasha tende a sopravvalutarmi troppo. Non rappresento questa
grande
minaccia! – ironizzò, alzandosi, diretto verso la
porta – Dai, vieni, te la
presento!”
L’altro,
però, lo
fermò per un braccio, cambiando del tutto argomento:
“Ehi, aspetta! – catturò
la sua attenzione – E’
una cosa seria
quella con Nathaniel e Sam? Insomma, io non sono più
così arrabbiato con loro. A ci
mette sotto pressione ogni
giorno…Dovevamo aspettarcelo che alcuni di noi avrebbero
ceduto prima o poi,
no?”
Rider
divenne
subito serio, non appena nominati gli altri due:
“Sì, Eric, è una cosa seria!
Talmente seria che non riesco a concepire che abbiano ceduto in maniera
così
stupida.”
“Quindi
non vuoi
più parlare con loro?”
“L’unica
cosa che
ci lega, ora, è solo A.
Se mai
parlerò nuovamente con loro, sarà solo per
parlare di quel mostro!” e dopo una
una lunga occhiata seria con l’amico, aprì la
porta ed entrambi lasciarono la
stanza.
1
*
Parcheggiato
in un
viale, Carter Havery teneva d’occhio un’abitazione
con molta preoccupazione in
volto, mentre stringeva in mano una lattina di birra che stava
consumando poco
a poco; continuava ad essere tormentato da ciò che suo
figlio nascondeva e che
poteva compromettere la sua intera vita.
Improvvisamente,
una macchina entrò nel viale e parcheggiò proprio
davanti a quella abitazione:
si trattava di Chloe.
La
ragazza scese
dall’auto, aprendo la portiera posteriore e tirando fuori il
suo abito,
rinchiuso nella plastica. Carter mandò giù
l’ultimo sorso di birra e buttò la
lattina sul sedile accanto, scendendo dall’auto.
A
passo rapido,
raggiunse la ragazza, che ormai si stava avviando verso il portico di
casa sua,
senza essersi accorta della sua presenza.
Carter,
quasi alle
spalle, la chiamò.
“Ehi,
Chloe!”
Quella
si voltò,
abbastanza sorpresa: “Signor Havery… Che ci fa
qui?”
“Stai
per andare
al ballo, vero?” chiese, sforzando un sorriso, come se
volesse fare un po’ di
conversazione prima di arrivare al punto.
“Ehm...direi!”
rise per l’ovvietà, ancora confusa dalla sua
visita.
“Ci
vai con Sam?”
L’altra
titubò,
raccontando una bugia: “In verità ci va con
un’altra ragazza, molto carina!”
Carte
alzò la
mano, fermandola: “No, tranquilla, non
c’è bisogno di mentire. So già che Sam
è
gay!”
Stupita,
sgranò
gli occhi: “Lo sa? Allora perché mi ha chiesto se
ci andavo con lui?”
“Come
amici, intendevo…
- poi fece caso alla sua reazione – Strano che Sam non ti
abbia detto che me
l’ha detto. E’ per questo che va dallo
psicoterapeuta, portava dentro questo
peso.”
“Ehm,
in verità me
l’ha detto, ma con tutti gli impegni che ho avuto, devo
averlo scordato per un
secondo…” mentì ancora, mentre dentro
di sé si sentiva seccata per essere stata
esclusa da Sam ancora una volta.
Quello
non se la
bevette: “Sicura? Va tutto bene fra voi? E’ da
molto che non ti vedo a casa
nostra a fare qualche maratona di uno dei vostri telefilm
preferiti!”
L’altra
si grattò
il capo, trovando l’ennesima scusa: “Ho i corsi
alla Hollis, sono davvero
estenuanti! – spiegò, angustiata, facendo caso,
subito dopo, all’orario – Ora,
comunque, devo proprio andare!”
Carter,
però, era
affamato di risposte e non la lasciò andare via, fermandola
per un braccio.
“Chloe,
perché ti
sei allontanata da mio figlio?”
Quel
gesto risultò
quasi aggressivo, più che disperato. Lei non potè
che sbigottire di fronte a
tutto ciò: “Di che sta parlando,
gliel’ho già detto!”
Il
nervosismo e la
paranoia dell’uomo furono sempre più evidenti:
“Eravate sempre uniti e ora non
sai nemmeno che Sam mi ha rivelato di essere gay….Ti sei
allontanata per
qualcosa che ti ha detto? Ti sei spaventata per qualcosa che hai
scoperto su di
lui?”
“Io
non so nulla
di tutto questo, Signor Havery. So solo che Sam è strano e
che non sembra più
la stessa persona di prima. – poi lo fissò dritto
negli occhi, confusa dalle
sue parole – Perché dovrei aver paura di
lui?”
Nemmeno
Carter aveva
una risposta a quella domanda; o forse conosceva la risposta, ma non
era in
grado di dirla alta voce: “I-io non saprei…Ho
notato che è strano, come dici
tu!”
“Se
ha dei
problemi, sono sicura che lo psicoterapeuta potrà aiutarlo.
Ora, però, devo
proprio andare!” si liberò dalla presa
dell’uomo, voltandogli le spalle ed
entrando in casa.
Quello
rimase lì
impalato, divorato da un unico pensiero, riguardo quella telefonata tra
Sam e
Jasper Lauglin scoperta da Wesam: complici nell’omicidio dei
Dimitri?
*
La
sera del ballo
era ormai giunta, Sam era davanti all’ingresso della scuola,
con la sua Canon
al collo, che scattava foto alle coppie che arrivavano poco a poco. Si
potevano
sentire la musica e le risate, provenire dall’interno;
ciò fece sbuffare Sam, che
non vedeva l’ora di poter entrare anche lui.
Improvvisamente
arrivò qualcun altro, un gruppo di quattro persone. Quando
Sam si voltò a
vedere chi fosse, non fu molto entusiasta di apprendere che si
trattavano di
Rider ed Eric, accompagnati da Alexis e Tasha. Anche loro ebbero una
reazione,
nel vederlo; Eric era a disagio, mentre Rider impassibile e serio.
Tasha,
ovviamente,
si fece subito protagonista della scena, fiondandosi verso
l’ingresso senza
aspettare: “Io vado dentro a cercare voi sapere chi,
perciò fatela voi la foto!
Addio!”
Alexis,
sapendo
che Sam era loro amico, pensò di lasciarli tra loro,
alzandosi il vestito
lungo: “Io la raggiungo, ho visto una fiaschetta nella sua
borsa, perciò vado a
salvarla!”
“Grazie!
– esclamò
Rider – E ricordale che stasera sono io il suo accompagnatore
e non sé stessa
ubriaca!”
Eric,
però, non la
lasciò andare senza farle l’ennesimo complimento:
“Ehi, sei bellissima!”
Quella
sorrise:
“Anche tu…” poi si voltò e
riprese a camminare, facendo un cenno a Sam, quando
gli passò accanto.
Quest’ultimo
fece
finta di guardare altrove, mentre Eric si avvicinava, Rider alle sue
spalle:
“Ehi, Nat è arrivato?”
“Ci
conosciamo?”
replicò Sam.
Rider
non stette
in silenzio, infastidito da quel tono: “Ti stiamo parlando
solo per A, ok?”
“Sta
per arrivare,
Rider. Rilassa il tuo cervello!” continuò Sam,
guadagnandosi uno sguardo
fulminante.
Proprio
in
quell’istante, arrivò anche Nathaniel, in
compagnia di sua zia Courtney
attaccata al braccio di Pete.
“Uh,
c’è l’amico secco
di Nathaniel che fa le foto! – esclamò quella,
euforica, tirando l’uomo – Vieni
Pete, facciamoci una foto come se fossimo sul red carpet!”
Eric
e Rider si
fecero subito da parte, mentre Sam si dedicava a fare la foto ai due,
super
sorridenti.
Scattata,
Courtney
si voltò verso il nipote.
“Nat,
noi
entriamo, ti aspettiamo dentro!”
“Ok!”
rispose
quello, avvicinandosi a Sam.
Quando
rimasero
soli, una certa distanza si interponeva tra i due gruppi. Gli sguardi
si
incrociavano a tratti.
“Era
ora che ti
facessi vivo!” Rider spezzò il silenzio, arrogante.
“Guarda
che sono
in orario!” replicò Nathaniel, calmo, mentre Sam
lo scrutava dalla testa ai
piedi, trovandolo molto elegante.
“Beh,
quando sei
l’unico a portare il bracciale anti-A,
hai una certa responsabilità, non credi?”
continuò quell’altro.
Sam
si infastidì:
“Non starai esagerando, adesso? Sei arrivato due minuti
fa!”
Quello,
roteando
gli occhi seccato, si avvicinò di più a loro,
così come Eric, bisbigliando:
“Non fissatemi quando saremo dentro. Tenete
d’occhio mia sorella, Brakner e
Morgan. Per il resto, ci penso io, non seguitemi per nessun
motivo!”
“Sam
mi ha detto
della bombola d’ossigeno, non è troppo pensante da
portare?” domandò Nathaniel
a Rider.
“Non
è così
enorme, ce la posso fare. Appena inizierà il ballo,
approfitterò della
confusione per sgattaiolare via, poi tornerò qui nel
parcheggio a prendere il
borsone!”
“C’è
anche un
borsone? Che altro c’è dentro?” fu il
turno di Eric.
“Tanti
piani B! Si
presume ci sia una seconda porta da aprire e se
c’è un codice, dovrò ricorrere
ad altre opzioni!”
Sam,
allora,
sbigottì nel riflettere su quali possano essere queste
opzioni: “Non avrai mica
una bomba in quel borsone, vero?”
Quello,
però, fu
vago: “Posso solo dirvi che la mia carta di credito ha
risentito di queste
piccole spese!” concluse, allontanandosi da loro, pronto ad
entrare.
Il
suono di un
messaggio appena ricevuto, riempì l’aria: era
arrivato sul telefono di Sam.
Rider
tornò
indietro, mettendosi accanto ai suoi amici intorno al telefono.
“Supernova…”
-A
Eric
fu il primo ad esprimere il suo disappunto: “Supernova? Che
significa?”
Anche
gli altri erano assai confusi. Rider preferì non dare retta
a quel messaggio,
staccandosi dal gruppo.
“Sono
stanco dei suoi messaggi senza senso. Sta solo delirando
perché noi siamo qui a
parlare e non può sentire quello che ci diciamo!”
esclamò di spalle, mentre
percorreva l’entrata.
Anche
Eric decise di andare: “Beh, io vado da Alexis…
Buona fortuna a tutti noi per
stasera, allora…” e se ne andò, dopo
che quelli avevano fatto un cenno con la
testa.
Mentre
lo guardavano entrare, Sam espresse un suo pensiero: “Eric
dovrebbe aspettare a
lasciare Alexis. Magari le cose vanno secondo i piani e vinciamo
noi!”
Nathaniel
lo fissò, serio: “O magari non vanno secondo i
piani e vince A!”
Quella
prospettiva mise angoscia a Sam, che preferì non pensarci
più.
“Vedo
che non sei venuto con altre persone…”
“La
scuola sa che sto con te, perciò non voglio
tradirti!” esclamò accennando un
sorrisino.
“E
tua
zia? Magari si aspettava che ci venissi con una bella ragazza. Non temi
che
possa scoprire di noi, qui?”
Molto
tranquillo, spiegò: “Le ho detto che ero ancora
provato dalla storia delle pillole
e che avevo bisogno di una pausa dall’universo femminile di
cui stavo per far
parte. Per quanto riguarda il fatto che possa scoprire di noi, a lei
non
importa se mi piacciono i ragazzi o le ragazze. Cioè,
all’inizio è sempre un
colpo, ma… - cercava di trovare le parole, con molta
spensieratezza - lei mi
accetterebbe comunque, qualsiasi forma io abbia.”
Intenerito
dal suo modo di parlare della zia, puntualizzò ugualmente la
realtà: “Ma a te
non piacciono i ragazzi, Nat. Perché permettere che creda a
qualcosa che non
sei?”
Quello
ci rifletté, sorridendo ancora per quelle domande
così pressanti: “Sai, è quasi
come una recita, questa…Entro sempre più dentro
questa parte, che mi sembra
quasi vera. – rise, mentre quello lo ascoltava fin troppo
attentamente – Buffo,
vero?” concluse, avanzando.
“Entri
di già?” gli domandò l’altro,
ancora confuso da quel discorso.
“Dobbiamo!”
esclamò senza voltarsi.
Sam
lo
raggiunse, poi, ma non prima di fermarsi ancora a pensare
all’ambiguità di quel
discorso, che non lasciava intendere nulla; o almeno, non totalmente.
*
[Canzone
corrente: Dua lipa – Be the one]
Sam
era davanti al piccolo bar allestito in un angolo della palestra, ormai
irriconoscibile per via delle scenografie, l’aggiunta di un
palco, i drappeggi,
i lustrini, la postazione Dj e le luci; gli studenti, ex studenti e
altri
invitati, muovevano qualche passo in pista con i loro bicchieri in mano
e una
risata che accompagnava i vari gruppetti che si erano formati.
Finalmente
il drink arrivò, ma prima che lui potesse sorseggiarlo per
fare una pausa dalle
foto, qualcuno gli bussò alla spalla.
Sam
si
voltò, sorpreso: era Chloe.
“Ehi,
ti stavo cercando…”
Quella,
però, sembrava assai furibonda.
“Ah,
mi stavi cercando? E per cosa?”
“Perché
volevo mostrarti questo! – tirò fuori il telefono,
mostrando la foto di Cameron
che bacia Wesam – Non volevo ferirti quando ti ho detto
quella cosa su Cameron.
Cercavo di proteggerti!”
“Sam,
dannazione, lo sapevo! – urlò indignata, isterica
– Non avevo bisogno di
sentirmelo dire da te, ok?”
“Ma
allora… - era confuso, mentre spaziava con lo sguardo
– Perché sei venuta al
ballo con lui?”
“Perché
ero stanca di essere Chloe friendzoned e tu lo sai meglio di chiunque
altro.
Scegliere di venire con lui, il ragazzo più popolare della
scuola, è come
cancellare un pezzo della mia storia dalla mente di tutti. Ora che
Anthony non
c’è più, non c’è
più niente che mi ricolleghi a quella ragazza etichettata
come
patetica sfigata che viene rifiutata da tutti i belli a cui va
dietro.”
“Tu
non sei patetica!”
“E
invece lo sono ancora, Sam. Mi ci sento, quando il tuo migliore amico
non ti
dice di aver fatto coming out con suo padre. – ne
parlò con gli occhi lucidi,
il magone evidente – Perché mi hai tenuta allo
scuro di una cosa così
importante? Sarei dovuta essere la prima a saperlo e invece sono sicura
che i
primi a saperlo sono stati i tuoi nuovi e strettissimi amici. Ormai non
sono
più l’unica, come un tempo…”
Sam,
anziché essere triste per lei, si soffermò
stupidamente su un altro dettaglio:
“Come l’hai scoperto?”
Quella
accennò un sorriso malinconico, per niente stupita dalla sua
insensibilità:
“Persino tuo padre non sa più chi sei. E,
comunque, lo scoperto da lui!”
rivelò, per poi andarsene.
“Chloe,
aspetta!” cercò di inseguirla, ma ormai era
scomparsa tra la folla, che aveva
già riempito la pista nel mentre.
Lui,
però, non si arrese finché non andò a
sbattere contro il petto di un uomo. Con
sua grande sorpresa, era Wesam.
“E
tu
che ci fai qui? – domandò, staccandosi rapidamente
- Sei ovunque!”
“Ho
solo accompagnato una mia amica, fa la professoressa qui!”
Mentre
guardava la folla, Sam lasciò perdere Chloe, rilassandosi un
attimino, ma
restando comunque triste per quella spiacevole discussione.
“…Comunque,
che professoressa?”
“Miranda
Crox!”
“Ouh,
certo, la conosco…Però insegna nelle classi
dell’ultimo anno!”
Wesam,
allora, mise una mano al lato della bocca, si avvicinò e
bisbigliò: “Non dirlo
in giro, ma è una paziente!”
“Davvero?”
pensò, meravigliato.
“Vive
con tre gatti che ha chiamato Do, Re e Mi ed è ossessionata
dalle sue storie
d’amore passate!”
“Beh,
è un’insegnante di musica, c’era da
aspettarselo! – rise – E poi, Taylor Swift
ne ha fatto una carriera di successo sulle sue storie
d’amore, perciò chissà!”
L’altro
scoppiò in una risata spontanea, dimenticandosi di tutti i
dubbi che aveva su
Sam dalla visita di suo padre: “Ti va se ci avviciniamo al
bar a bere qualcosa?
Male che vada sono il tuo psicoterapeuta che ti sta dicendo che la
seduta del
martedì è spostata a
venerdì!”
Sam
lo
fissò a lungo, un sorriso furbetto: “Ammiro la tua
sfacciataggine…a volte penso
che lavori per mio padre, visto che non hai per niente paura di finire
in
galera!”
Wesam
reagì con una risata isterica: “E’ solo
un drink, non ti terrò mica la mano!”
E
alla
fine si avviarono; ormai Sam stava iniziando ad abituarsi alla sua
presenza e
forse la trovava anche piacevole.
*
[Canzone
corrente: Awolnation - Woman Woman]
Eric
e
Alexis si stavano avvicinando alla pista, pronti a ballare la nuova
canzone
della serata. Julie, facendosi strada tra i ragazzi, si
avvicinò a loro,
prendendo Eric per il polso.
“Ehi,
vieni un attimo con me!” lo prese alla sprovvista, tirandolo.
Alexis,
strabuzzando gli occhi, lo trattenne, rivolgendosi alla donna:
“Scusami?!”
Eric
cercò subito di chiarire la situazione: “Ehm,
Alexis, lei è la nostra
consulente scolastica. – Julie le sorrise forzatamente,
voleva fare in fretta -
Doveva darmi una cosa, perciò…”
“Già,
ci vorranno due minuti!” aggiunse quella.
Alexis,
però, sembrò ancora infastidita e restia a
mollare il suo ragazzo: “Ma c’è il
ballo delle donne, ognuna deve portare il proprio accompagnatore in
pista e
ballare intorno a lui!”
“Beh,
sono
una donna anch’io. Vorrà dire che ci perderemo i
primi minuti!” continuò
Alexis, tirando Eric verso la sua parte.
Il
ragazzo si liberò finalmente dalla stretta della sua
ragazza, mettendole una
mano sulla spalla, dolce: “Faccio in un secondo,
d’accordo?”
Quella
annuì in maniera sforzata, non nascondendo il suo broncio,
mettendosi a braccia
conserte.
Eric
e
Julie si allontanarono, osservati ancora da lei con occhio sospettoso.
Usciti
dalla pista, raggiunsero Nathaniel, in piedi in un angolo a fissare
qualcuno
con insistenza, mentre faceva girare il ghiaccio nel suo drink con
lente
rotazioni del polso.
Julie,
incurante della sua distrazione, cominciò a parlare,
mettendo le mani dentro la
sua borsa: “Ho quello che volevate, ora vi spiego come si
usa.”
“No,
Nathaniel non sa niente ancora e nemmeno gli altri. – le
disse, per poi girarsi
verso l’amico, ancora distratto –
Nathaniel!”
Quello
finalmente diede retta ai due, ritrovandosi subito confuso:
“Che c’è? Perché
siete qui?”
“Che
stavi guardando? - Eric decise di seguire il suo sguardo, accorgendosi
di Sam
dall’altro lato della pista – Ah, guardavi lui
e… - non riconobbe la persona di
cui era in compagnia – Chi è
quell’uomo?”
“Il
suo psicoterapeuta!” esclamò, fulminando
l’uomo con lo sguardo, mentre mandava
giù l’ultimo sorso del drink.
“E
che
ci fa qui il suo psicoterapeuta?” trovò strano.
“Bella
domanda!” replicò, assai seccato. Eric
notò un sentimento di gelosia nella sua
voce e nella sua espressione.
Intanto,
Julie, aveva tirato fuori uno strano arnese.
“E’
molto semplice da usare, c’è un tasto on/off e
dovete semplicemente passare la
parte con la piastra di metallo su una superficie o su voi stessi, in
modo da
scoprire se avete cimici addosso o altro con cui A
potrebbe spiarvi!”
Quella,
poi, lo mise in mano ad Eric, che lo scrutò attentamente.
“Sembra
quasi che tu abbia spaccato a metà una piastra per capelli e
ci abbia dato solo
un pezzo!”
“Infatti
quella è una piastra per capelli del 2007 spaccata a
metà! – confermò –
Ovviamente l’ho modificata per un altro tipo di scopo che
chiaramente non è
lisciare i capelli!”
“Interessante!”
annuì Eric, impressionato, mentre Nathaniel non batteva
ciglio.
“Bene,
allora io torno da Sebastian. Non rompetela, ci ho lavorato tre
ore!” li
avvertì, lasciandoli soli.
Mentre
le ragazze della scuola continuavano a ballare divertite intorno ai
loro
accompagnatori, i due continuarono a parlare.
“Meglio
che dai quel coso a Rider, lui ha un borsone. –
suggerì Nathaniel – Non
possiamo mica tenerla in mano tutta la sera. Penserebbero che siamo dei
terroristi o chissà cosa!”
“No,
è
meglio che Rider non sappia che ho chiesto un favore a Julie o
perderebbe la
calma. Deve essere concentrato per entrare nella panic room.”
Sottolineò,
nascondendo la piastra alle sue spalle.
“Quindi
hai chiesto quel favore a Julie per poter fare riunioni segrete con
Rider senza
di noi?”
Per
quanto Nathaniel ne fosse convinto,
Eric
smentì: “L’ho fatto perché
potresti perdere il bracciale anche tu, ok? E poi
non dovresti parlare come se io e Rider fossimo i cattivi della
situazione,
quando siete stati voi a tradirci!”
L’altro
sospirò, roteando gli occhi: “Ma non vi abbiamo
traditi! E’ stato un errore,
solo questo!”
Eric
tornò a guardare la folla, più calmo:
“Beh, poco importa, perché mio padre è
tornato e presto dovrò…”
Ma
non
poté completare, perché giunse davanti a loro
Tasha, leggermente brilla.
“Mi
serve un ragazzo con cui ballare e Rider non fa che stare dietro a
Lindsey e
fissare persone a caso. – spiegò, annoiata, per
poi riacquistare subito il sorriso
- Voi siete suoi amici, no? Chi viene con me?”
Eric,
basito, intervenne: “Ehm, Tasha, sono Eric! Siamo venuti qui
insieme!”
Quella
lo fissò meglio: “Ah, già...
– borbottò delusa – Quindi tu non sei
nemmeno
disponibile perché stai con Ariel!”
“Alexis,
volevi dire!” la corresse, mentre quella aveva già
gli occhi su Nathaniel.
“Tu
sei da solo dall’inizio, se non ricordo male. – lo
squadrò dalla testa ai piedi
– E sei anche carino!”
“Ehm…grazie?”
le sorrise, trovandola una tipa strana.
“Ok,
andiamo a ballare!” lo prese di getto per un braccio,
trascinandolo via da
Eric.
Quando
furono in pista, lei iniziò a ballare intorno a lui come
stavano facendo le
altre. Nel contempo gli diceva delle cose, in maniera molto lussuriosa.
“Sai,
sono venuta qui perché c’era un ragazzo che un
tempo frequentavo. Ovviamente ha
scelto un’altra all’epoca, ma io non sono stata
così facile da dimenticare.”
“E
allora?” cercò di capire.
“Allora,
volevo fargli vedere cosa si è perso.”
“Volevo?”
notò che usava l’imperfetto.
“Già,
volevo! – gli sorrise, uno sguardo intenso – Ora mi
interessi tu!” e lo prese
per la camicia, stampandogli un bacio in bocca. Quello
allargò le braccia,
subordinato all’impeto del suo gesto.
Sam,
che stava ridendo a qualcosa che gli stava dicendo Wesam, li vide e si
distrasse per un secondo da quella conversazione.
Quando
si staccarono, Nathaniel mise subito in chiaro le cose.
“Mi
dispiace darti una brutta notizia, ma sono gay!”
“Tu
non sei gay! – esclamò, accompagnando la frase con
una risata – E se lo sei,
allora saprò che il mio destino è morire a
ventotto anni come Amy Winehouse!”
“Non
scoprirai tutto questo in una notte. Un dubbio ha bisogno di molto
più tempo
per essere estirpato!” replicò, divertito dalla
sfrontatezza della ragazza.
“Allora
vorrà dire che mi vedrai più spesso!”
sorrise lei, sicura di sé stessa. L’altro
rise, trovandola particolare.
*
Ad
un
certo punto della serata, la musica venne abbassata e Violet Rhimes
salì sul
palco con un microfono, chiedendo attenzione. Assieme a lei, anche un
ragazzo.
“Buonasera
a tutti, spero che la serata sia di vostro gradimento fino ad ora. Ne
approfitto anche per salutare gli ex studenti tornati qui per
l’Homecoming… -
sorrise loro, sparsi qua e là – Come tutti sanno
dai volantini che ho
distribuito, ho una sorpresa per l’intero istituto.”
Fece
cenno al ragazzo che era alle sue spalle, di farsi avanti.
“Lui
è
Brett Rhimes, mio cugino. E’ un informatico, lavora a New
York in una società
di videogames, e su mia richiesta, diverso tempo fa, ha sviluppato un
applicazione chiamata Second
Rosewood…”
Brett
aveva un telefono in mano e alle loro spalle, si accese lo schermo led
gigante
attaccato alla parete: mostrava la loro stessa scuola in 3D. Violet si
apprestò
a spiegare, mentre suo cugino continuava ad usare il telefono;
ciò che faceva,
lo si poteva vedere sullo schermo gigante.
“Second Rosewood ricrea
perfettamente la nostra scuola in un
mondo del tutto virtuale, al quale possiamo accedere tramite degli
avatar. – si
voltò verso il led – Come potete vedere, Brett sta
creando il primo avatar, ma
potete farlo anche voi, scaricando l’applicazione dal sito
della scuola. Lo
scopo di Second Rosewood è quello di
rivoluzionare il modo di
socializzare all’interno delle scuole. Molti di noi tendono
ad estraniarsi dai vari
gruppi o a non avere il coraggio di farsi avanti, Second
Rosewood permette
a
queste persone di socializzare con più facilità,
in modo da annullare
completamente il timore di poterlo fare nella vira reale. Inoltre,
tramite
questa applicazione, si potrà essere a scuola tutto il
tempo, anche se non lo
si è fisicamente. Se magari avete dimenticato di appuntare
dei compiti o non
avete capito la lezione, potrete entrare in Second Rosewood e cercare
il
professore o la professoressa per chiedere, oppure formare dei gruppi
di
studio; serve anche a questo.”
Gli
studenti, però, sembrarono ancora molto scettici.
Brett
prese parola, subito dopo: “Il bello di questa applicazione
è che potete
parlare. Il riconoscimento vocale, avanzatissimo, replicherà
ciò che avete detto
in scrittura: in questo modo, i messaggi saranno istantanei e non
dovrete
perdere tempo a scrivere. In più, non dovrete preoccuparvi
di aggiungere punti
interrogativi o esclamativi, basterà dare il giusto tono
alla frase. Mentre per
gli emoticon, basterà assumere un’espressione
felice, triste, tutte quelle che
conoscete e la fotocamera interna dei vostri telefoni
catturerà tutto e lo
trasformerà, appunto, in emoticon. Insomma, poi ci saranno
delle opzioni per
attivare queste funzionalità.”
Ora,
erano
tutti impressionati. Nathaniel e Sam, intanto, stavano raggiungendo
Eric,
ascoltando con attenzione. Rider restò dall’altro
lato della sala.
Violet
si apprestò a concludere.
“Spero
che, se la cosa funzioni qui, Second
Rosewood possa
diventare anche di
dominio in altre scuole. E, infine, volevo aggiungere che…
ho pensato a questa
iniziativa per Albert Pascali, che, per chi non lo conosce,
è uno studente che
frequentava questa scuola, scomparso circa un mese e mezzo fa e mai
più
tornato. – si commosse – Non aveva amici, non aveva
nessuno qui a scuola; tutto
perché era difficile socializzare e…qualcuno, in
particolare, non glielo
permetteva. – fu determinata e decise nelle sue ultime parole – Questo non
deve più accadere. La nostra
scuola deve diventare migliore e rendere tutti partecipi. Nessuno
verrà più
tagliato fuori!”
In
quel momento, la palestra si riempì di applausi e consensi,
mentre Sam, Rider,
Nathaniel ed Eric provavano un immenso disagio e i loro sguardi erano
quasi
sempre bassi.
“E’
possibile accedere all’applicazione tramite il codice della
carta studenti,
registrarsi è semplice! – aggiunse ancora
– Ora, buon proseguimento di serata,
e che la musica esploda!” concluse, sorridendo a tutti.
E
la
musica, effettivamente, esplose a tutto volume, costringendo tutti a
ballare
all’impazzata.
Eric
fu il primo a commentare quel discorso: “Direi che non
è male come iniziativa!”
“Sarebbe
dovuto essere così dall’inizio. Ora è
troppo tardi!” pensò Sam, ancora avvilito
per ciò che avevano fatto ad Albert; il discorso
riaprì vecchie ferite.
“Anthony
non avrebbe permesso tutto ciò. Avrebbe fatto il bullo sia
nella realtà che in
Second Rosewood!” urlò, per la musica troppo forte.
“A
proposito di vita reale… - cominciò Eric con tono
serio – Prima all’ingresso non
vi ho detto una cosa...”
“Ovvero?”
domandò Sam, curioso quanto Nathaniel.
“Oggi
è tornato mio padre da Riverton e a quanto pare ha ricevuto
una buona offerta
di lavoro… - spiegò, molto cauto – In
definitiva, vuole che ci trasferiamo lì
con lui. Per sempre!”
Gli
altri due sgranarono gli occhi.
“M-ma…
- balbettò Sam – Cioè, te ne vai
così?”
Quello
si lasciò sfuggire un sorriso, scuotendo la testa:
“Pensate davvero che A mi
lasci abbandonare la città come
nulla fosse?”
“A, lo sa?” percepì
Nathaniel dal suo tono.
Quello
alzò il telefono, con il messaggio: “A quanto
pare, sì!”
Sam
si
mise a braccia conserte, fissando con rabbia Brakner,
dall’altra parte della
palestra, che sorrideva al tiro a segno mentre dava un peluche ad una
ragazza
che aveva vinto.
“Siamo
come delle scimmie chiuse in gabbia. Ed è lui ad avere la
chiave!”
“Non
per molto… - replicò Nathaniel, facendo cenno ai
due di guardare al centro
della pista – Rider si sta muovendo, approfitta della
confusione.”
Eric
si voltò, allora: “Bene, dividiamoci. Teniamo
d’occhio quei tre, mentre Rider è
nella panic room!”
Nathaniel
annuì: “Ok, mando io i messaggi a Rider. Sono
l’unico ad avere ancora il
bracciale, quindi i miei sono protetti da hackeraggio!”
Mentre
quello si allontanava, Sam si apprestava a fare lo stesso, ma non prima
di
chiedere una cosa a Nathaniel: “Sbaglio o hai baciato
Tasha?”
“E
lei
che ha baciato me, molto ubriaca! – precisò
– E tu, sbaglio o parlavi con il
tuo psicoterapeuta al bar?”
“E’
lui che ha parlato con me e mi ha invitato al bar!”
“Ti
segue ovunque, non lo noti? Se non fossi tremendamente convinto che
Brakner è A, penserei
che lo sia lui!”
Sam
volle tagliare corto: “Forse è meglio tenere
d’occhio gli obbiettivi, non
possiamo distrarci proprio ora!”
“Non
potrei essere più d’accordo!”
esclamò, dopo quella lunga serie di frecciatine.
I
due
si allontanarono l’uno dall’altro.
*
Nel
parcheggio, Rider stava recuperando il borsone dalla sua macchina. Un
messaggio
di Nathaniel lo aggiornò sulla situazione:
“Hai
campo libero, fai presto.
–NAT (nel caso avessi cancellato il mio numero)”
Restò
a fissare lo schermo a lungo, come se in quel momento provasse
finalmente
dispiacere per quella lite che gli aveva divisi. Subito dopo
tornò in sé e
roteò gli occhi, chiudendo il bagagliaio e tornando verso la
scuola con il
borsone stretto alla mano sinistra.
*
[Canzone
corrente: I ain’t your mama –
Jennifer Lopez]
Eric,
nei pressi del tiro a segno, stava tenendo d’occhio Brakner.
Alexis lo
raggiunse alle spalle.
“Ehi,
eccoti! – quello si voltò, lei abbastanza seccata
– Ti ho cercato, ma dov’eri?”
“Ehm,
scusa, ero andato a parlare un attimo con i miei amici! –
spiegò, mentre
cercava di non distogliere lo sguardo da Brakner – Tu da dove
vieni?”
“Tasha
sta dando i numeri, ero venuta a dirti che la accompagno in bagno a
vomitare,
nel caso in cui ti saresti chiesto dove fossi finita!”
Molto
distratto, sembra quasi che la stesse cacciando: “Mmh, ok ok!
Io resto qui,
vai!”
Basita
per qualche istante, non si soffermò più di
tanto: “Ehm, ok!” e se ne andò.
In
quell’esatto istante, Eric ricevette un messaggio che lo
lasciò senza fiato.
“Oh
mio Dio!” esclamò, per poi fissare Brakner. Poi
Lindsey e subito dopo Morgan.
Sembravano tutti e tre distratti a fare qualcosa e non riusciva a
capire che
l’avesse mandato di loro.
A
quel
punto, pensò che i suoi amici dovessero vedere
immediatamente ciò che aveva
ricevuto.
Non
appena Nathaniel se lo vide arrivare davanti, non poté fare
a meno di chiedersi
che cosa stesse accadendo: “Ehi, non dovresti tenere
d’occhio Brakner?”
“Dov’è
Sam? – lo fulminò con uno sguardo serio
– Dovete vedere una cosa!”
Quello
arrivò proprio in quel momento, insospettito dalla loro
riunione: “Ehi, tutto
bene? Non dovevamo osservare Lindsey, Morgan e Brakner?”
Eric
non perse tempo e tirò fuori il telefono, preparandoli a
ciò che stava per
mostrare loro: “Non ci crederete mai, ma A
mi ha mandato un estratto della cartella Rosewood-riservato!”
Entrambi
sgranarono gli occhi, Nathaniel gli intimò di girare il
telefono: “Che aspetti,
facci vedere!”
E
lui
eseguì, mentre loro si raccoglievano attorno a lui.
“Non
hai trovato una
soluzione per restare a Rosewood? Anthony ha qualche suggerimento per
te!”
-A
(Segreto
N°39)
Il
signor Lincoln tradisce sua moglie con la sua migliore
amica, nonché segretaria del suo ufficio. Probabilmente la
relazione va avanti
da anni, ma ho iniziato lo stage da circa tre mesi, qui in azienda, e
li ho
visti insieme parecchie volte. Intimi. Una volta, nel parcheggio
sotterraneo.
Gli ho anche filmati con il telefono.
Sua
moglie è venuta qui una volta, è sembra non
sospettare nulla. Credo che impazzirebbe nello scoprirlo; mi ha dato
l’impressione di essere una donna abbastanza dura.
Scoperto
da: Quentin Weller
Eric,
Nathaniel e
Sam erano alquanto confusi e molte cose stavano passando per la loro
testa. Un
secondo messaggio attirò nuovamente la loro attenzione.
“Se
non hai idee
migliori, puoi usare questo. Ricorda: non ti lascerò andare
da nessuna parte!”
-A
“Ragazzi,
il
Signor Lincoln è l’ex capo di mio padre.
L’ha praticamente licenziato in tronco
e screditato con tante altre aziende. – scosse la testa,
incredulo – A vuole che
usi in qualche modo questa
informazione per restare qui, ma non capisco come?”
“Forse
vuole che
lo ricatti, affinché restituisca il posto a tuo
padre!” pensò Nathaniel.
Eric,
voltandosi
verso Sam, notò che quel messaggio l’aveva colpito
particolarmente.
“Che
ti prende?”
gli domandò
“Io
conosco
Quentin Weller!”
Nathaniel
sgranò
gli occhi: “Cosa? Come?”
Mentre
lo
raccontava, nemmeno lui se ne capacitava di tale coincidenza:
“Una volta,
Anthony mi ha chiesto di scoprire se un certo Quentin Weller fosse gay,
ma non
sapevo come fare a scoprirlo. Una sera, poi, l’ho trovato per
caso in un sito
per gay e aveva la web-cam accesa, così gli ho scritto e
poi…Beh, da cosa nasce
cosa e siamo usciti insieme! – esclamò,
chiedendosi che nesso ci fosse –
L’unica a sapere di questa cosa è Chloe,
gliel’ho raccontato ad inizio
semestre!”
Nathaniel
cercò di
analizzare la cosa: “Un secondo, avete notato che il segreto
è scritto in prima
persona? Solo che questa prima persona è chiaramente
Quentin, non Anthony.
Questo vuol dire che Quentin ha parlato con Anthony e lui appuntava
ciò che
diceva…”
Eric
cercò di
seguire il discorso: “Pensi che Anthony abbia chiesto a Sam
di indagare sulla
sessualità di Quentin per poterlo ricattare,
in cambio di questa informazione?”
“Ma
certo! –
esclamò Sam
con ovvietà – Quentin non
era dichiarato e mi raccontò che non sapeva come fare coming
out, che aveva
paura. Ciò che non mi spiego è come faceva
Anthony a sapere che Quentin
lavorasse nell’azienda del Signor Lincoln come stagista. Io
non gliel’ho
detto!”
“In
ogni caso,
l’ha scoperto! – esclamò Eric, senza
ragionarci più di tanto - E ha costretto
Quentin a farsi dire tutto quello che sapeva sul Signor
Lincoln… - in
quell’istante, fu colto da un espressione di sorpresa
– Credo che volesse
aiutarmi, perché lui era l’unico a cui avevo
raccontato del licenziamento di
mio padre.”
“Quindi
questo
Rosewood-riservato sarebbe una sorta di…banca dati dei
segreti?” si chiese Sam.
Con
tutti quei
dubbi, Nathaniel sentì di dover mettere i suoi amici al
corrente di
qualcos’altro: “Ragazzi, c’è
una cosa che non vi ho detto. Ieri sera, mentre
Cameron mi accompagnava al locale, mi ha detto di aver dato dei soldi
ad
Anthony per un progetto!”
“Progetto?
– Eric
non capì – Perché Cameron avrebbe
dovuto dargli dei soldi? Non mi risulta
fossero amici fino a quel punto!”
“In
pratica, Anthony
sapeva che Cameron è gay. Ovviamente non gli ha chiesto un
soldo, ma gli ha
parlato di questo progetto che aveva e dei soldi che gli servivano.
Cameron
ebbe quasi la sensazione che serviva dargli quei soldi per mantenere il
silenzio e così glieli diede.”
Sam,
allora, si
intromise: “Un secondo, ma…pensate che questo
progetto sia collegato a
Rosewood-riservato? Insomma, quello di Quentin è il segreto
numero trentanove,
quindi vuol dire che ce ne sono altri!”
“Probabilmente
c’è
un nesso e l’unico che può scoprire quale,
è Rider!” pensò Eric.
Improvvisamente,
Nathaniel iniziò a perdersi con lo sguardo tra la folla:
“Un momento, ho perso
Morgan…Dov’è finito?”
Dopo
qualche
secondo, Sam sembrò averlo individuato: “Eccolo,
è vicino a Colton e… - aguzzò
la vista, stranito – Lisa Nelson è venuta al ballo
con il fratello di Violet?”
“Rider
direbbe che
Violet l’ha restaurata a dovere da quelle ridicole treccine
per ricreare la
bella e la bestia!” commentò Eric, mentre tutti e
tre guardavano verso quella
direzione.
“Forse
sono solo
amici! – pensò Nathaniel – Ormai sono
tutti amici gli ex bersagli di Anthony!”
A
Sam, allora,
sorse un dubbio: “Chissà se ci sono anche loro su
Rosewood-riservato. Ricordate
quando Anthony prendeva in giro Colton perché aveva una
cotta per Brianna, ma
lei non l’avrebbe mai guardato per via della sua pelle
bianca? Beh, Violet se
ne stava in mensa a guardare in silenzio, mentre ora è una
sorta di paladina
della giustizia che non risparmia nessuno…”
“Mi
sembra
evidente che Violet ha uno scheletro nell’armadio, che ora
non ha più paura che
spunti fuori!” aggiunse Nathaniel, trovando sensato il
ragionamento di Sam.
Insieme
continuarono a guardarli, tenendo la situazione sotto controllo.
*
Nel
frattempo, Rider,
si trovava nel seminterrato, davanti alla panic room. Spostò
rapidamente la
pila di scatole, rivelando la tastiera. Compose la password, digitando
“MISS
MARPLE”.
Dopo
qualche
secondo, la password venne confermata e poté tirare un di
sollievo. La porta si
aprì e prese rapidamente il borsone, entrando.
Percorse
il
piccolo corridoio e i sensori di movimento aprirono anche
l’altra porta: era
finalmente dentro la panic room.
A
quel punto, si
guardò attorno, meditando, Una frase di Sam, tratta dalla
volta precedente
nella panic room, gli tornò alla mente:
“Un
armadio vuoto? Chi cavolo porta un armadio qua
dentro per non metterci nulla?”
Rider
si precipitò
vicino a quell’armadio, aprendo le porte: era ancora vuoto.
Improvvisamente,
fece presa su una delle porte e mise l’altra mano dietro
l’armadio, tirandolo
verso di sé.
Ora
non c’era più
nulla a nasconderla, era riuscito a trovare la porta nascosta
dall’armadio.
Sorrise.
“Bingo!”
Sfortunatamente,
c’era un’altra password da inserire per poterla
aprire; la tastiera era proprio
al centro della porta.
Rider
si avvicinò,
sfiorando la superficie con il palmo della mano, bussando su di essa.
“E’
una porta
d’acciaio molto sottile… - sorrise ancora
– Lo sapevo!”
Scoperto
questo,
si precipitò al borsone, tirando fuori una fiamma ossidrica
portatile e una
maschera per proteggersi il viso. Quando tornò davanti alla
porta, pronto a
tagliarla, si soffermò a guardare la tastiera, provando poi
a digitare una
password che pensava potesse aprire anche quella porta.
Subito,
gli diede
errore: aveva riprovato con Miss Marple.
Senza
perdere
altro tempo, girò la manopola della bombola e poi accese la
fiamma. Iniziò a
tagliare. Ci sarebbero voluti sicuramente diversi minuti per
quell’operazione.
*
[Canzone
corrente: YOMBE – Vulkaan]
I
ragazzi erano
ancora in giro che tenevano d’occhio la situazione. Un nuovo
messaggio, però,
li costrinse a riunirsi.
“Cos’è
un ballo senza
un degno finale? Se lo dite a qualcuno, il tempo si
dimezzerà: trovate un altro
modo per salvarli.”
-A
In
allegato, la
foto di una bomba con un timer di trenta minuti.
Questo,
naturalmente, non lasciò indifferente nessuno di loro.
Soprattutto Sam, il più
spaventato di tutti.
“E’
uno scherzo,
vero? Ditemi che sta scherzando!”
Nathaniel
prese il
telefono di Sam dalle sue mani, notando qualcosa di strano:
“Ehi, la foto della
bomba che ha mandato a me non è uguale alla tua.”
Eric
mostrò la la
foto della bomba che aveva ricevuto anche lui: “Nemmeno la
mia è uguale alla
vostre!”
Sam
sgranò
letteralmente gli occhi: “Ci sono tre bombe?”
“Shhh!
– lo zittì
Nathaniel per paura che qualcuno li sentisse - …Anche
quattro, se Rider ha
ricevuto lo stesso messaggio!”
“Ok,
mi viene da
pensare che A sapesse che Rider
sarebbe entrato di nuovo nella panic room! - esclamò Eric
– Forse teme che
troviamo qualcosa di compromettente su di lui e vuole farla
finita!”
Spaventato,
Sam
non sopportò una parola di più: “Ok,
stavolta chiamo mio padre, la polizia,
chiunque! Fino ad ora non l’abbiamo fatto per ovvi motivi, ma
adesso c’è in
gioco molto di più: le nostre vite e quelle di tutti
quanti!”
Si
apprestò,
allora, ad andare a fare la telefonata. Nathaniel lo bloccò
per un braccio.
“NO!
– gli urlò –
E se fosse una messa in scena e non ci fosse alcuna bomba? La polizia
scoverebbe Rider nella panic room e troverebbe tutti i nostri video.
Magari è
proprio una trappola ideata da quel folle e vuole che ci
caschiamo!”
“Ok,
ma non
possiamo godere del beneficio del dubbio, potrebbe essere
vero!” ribatté Sam.
“Nat,
ha ragione,
non possiamo rischiare la vita di tutte queste persone!”
“Allora
trovate un
modo per scovare quelle bombe, senza coinvolgere la polizia!”
suggerì, teso
quanto loro.
Sam
ci rifletté,
trovando quella soluzione: “Julie! –
sussultò - Facciamoci aiutare da lei!”
“Già!”
sussultò
anche Eric, d’accordo.
Il
minuto
seguente, l’avevano già trascinata fuori dalla
palestra, lontana dalla musica e
dalle persone.
“Ragazzi,
Sebastian non starà al telefono per molto. Vuole vincermi il
peluche dell’orso
sulla tavola da surf e non posso mancare!” disse ignara, non
notando i loro
volti pallidi.
Nathaniel
fu il
più diretto: “Ci sono
tre
bombe nella
scuola, forse quattro!”
Quella
tacque per
qualche secondo, per poi scoppiare a ridere: “Certo, e io
sono Michelle Obama.
Sul serio, ragazzi, cosa c’è ancora? Sbaglio o vi
ho già dato quello che
volevate?”
Nessuno
di loro
proferì parola, le loro facce erano sempre pià
pallide e per nulla scherzose, e
quella iniziò ad assumere un’espressione
più seria.
“Ok,
questa cosa
non è affatto divertente!”
Sam
prese parola: “Ti
sembra che stiamo scherzando? Da quando conosco A
non so nemmeno cosa vuol dire scherzare!”
Julie,
allora,
sbigottì: “Un secondo, A,
la vostra
psicopatica A, ha messo qui a
scuola
quattro bombe?”
Intervenne
Eric:
“Per questo ti abbiamo chiamata, c’è un
timer di trenta minuti che
probabilmente è già partito. Devi aiutarci a
trovarle prima che…”
L’altra
lo fermò
subito: “Un momento, un momento: TROVARLE? Non sono mica
uscita dal programma Dynamo: magie
impossibili! -
trovò assurdo – Dobbiamo chiamare la polizia,
far uscire tutti di qui: ORA!”
“E’
quello che ho
detto anch’io!” si aggregò Sam, subito
fulminato da Nathaniel.
“NO,
non
possiamo!” urlò.
“SCUSAMI?!
– urlò
Julie a sua volta – Perché diavolo non dovremmo
chiamare la polizia? – spostò
lo sguardo fra tutti e tre – Che cosa possiede A
su di voi da terrorizzarvi a tal punto da non voler
coinvolgere
la polizia nemmeno in una situazione del genere?”
“Non
possiamo
dirtelo, Rider ci ucciderebbe!” replicò Nathaniel
con fermezza.
Julie
li fissò
tutti ancora una volta, scuotendo la testa: “Va bene, avete
vinto…Niente
polizia, ma dobbiamo far uscire tutti quanti. Immediatamente!”
“Cosa
facciamo? A dimezzerà
il tempo se lo diciamo a
qualcuno!” chiese Eric, nervoso.
“Aspetta,
l’avete
detto a me! – esclamò Julie - Questo vuol dire che
abbiamo ancora meno tempo!”
Sam
si mise le
mani nei capelli: “Oh mio Dio, che cosa facciamo? Come
facciamo a far uscire
tutti senza dire della bomba?”
Nathaniel
sollevò
il capo, notando gli erogatori sul soffitto: “E se
accendessimo un fuoco?”
Anche
gli altri
sollevarono il capo e Julie appoggiò la sua idea:
“Ce ne sono molti in
palestra, potrebbe funzionare. Andate nell’aula di chimica e
accendete un fuoco
nel cestino. Per fare più in fretta, salite su un banco e
avvicinate il più possibile
il cestino al sistema termosensibile in cui è racchiuso:
attiverà tutti gli
erogatori contemporaneamente.”
Quelli
annuirono,
iniziando a correre.
*
Nel
frattempo, Rider, aveva ritagliato tutta la porta con la fiamma
ossidrica. Dopo
essersi alzato la maschera di protezione e spento la fiamma, diede un
forte
calcio alla porta; quella precipitò al suolo,
dall’altro lato, rivelando la
stanza segreta. Per qualche secondo, restò lì
impalato a scrutare da fuori,
riuscendo ad intravedere una sorta di frigorifero capovolto in
orizzontale o
così gli parve. Sembrava non ci fosse molto lì
dentro, dal punto in cui si
trovava: doveva entrare per vedere meglio.
Subito
dopo, si voltò e tirò un grosso respiro e
constatando che il sistema di
aerazione funzionava ancora.
“Bene,
riesco a respirare. Forse non mi servirà la bombola
lì dentro!”
E
tornò al borsone, rimettendoci dentro la fiamma ossidrica e
la maschera.
Recuperò una penna USB, poi, prima di risollevarsi
velocemente e correre dentro
l’altra stanza; non si accorse, però, del suo
telefono che stava vibrando
dentro al borsone: due chiamate perse e un messaggio.
Da
Sam:
“Ci
sono delle bombe sparse per la
scuola, lascia perdere la panic room. Con Julie abbiamo trovato un modo
di far
uscire tutti quanti dall’edificio. Non tornare indietro, usa
direttamente la
botola. Rispondi se hai ricevuto il messaggio!”
*
Sam
stava facendo
il palo davanti all’aula di chimica, il telefono in mano.
Saltellava per il
nervosismo. Dentro, Eric era in piedi sopra il banco che teneva il
cestino in
alto, fumante; Nathaniel gli reggeva le gambe, in modo che non cadesse.
“Ragazzi,
fate in
fretta. Non c’è più tempo!”
intimò loro, Sam. La porta era aperta e poteva
vederli.
Sudato,
Eric replicò
istericamente: “Termosensibile un corno, non funziona questo
coso!”
“Alza
di più il
cestino, ti tengo, non preoccuparti!” lo rassicurò
Nathaniel.
“Ma
non posso
alzarmi più di così!”
ribatté quello.
“Alzati
sulle
punte, Eric!” gli suggerì Sam, da fuori.
Sospirando
per lo
stress della situazione, seguì il consiglio e si
alzò sulle punte. Il fumo
ormai colpiva completamente il congegno e finalmente tuonò
in un sottile
allarme. L’attimo seguente gli erogatori dell’aula
si azionarono.
“Ce
l’abbiamo
fatta!” sorrise Nathaniel, mentre l’altro scendeva
dal banco.
Sam,
che non
riuscì a gioire di quel successo, osservava il telefono
preoccupato.
“Ragazzi,
Rider
non mi ha ancora risposto. Forse dovremmo…”
Nathaniel,
però,
lo prese per un polso: “Dovremmo uscire, adesso. Ok?
– cercò di fargli entrare
in testa la cosa – Rider userà la botola, non
appena vedrà quel messaggio. E
poi l’ha detto lui stesso che le panic room resistono anche
ad un esplosione,
no?”
Eric,
intanto,
aveva rimesso il cestino a posto e con lo sguardo aveva individuato un
baker
con dentro del liquido trasparente che sembrava acqua: lo verso nel
cestino per
spegnere la carta bruciata, poi si avvicinò ai suoi amici.
“Nathaniel
ha
ragione, probabilmente stiamo per saltare in aria da un momento
all’altro.
Rider è al sicuro!”
Convinto,
ma non
al cento per cento, annuì e quelli iniziarono a correre. Gli
erogatori si
azionarono anche nei corridoi, bagnandoli.
*
[Canzone
corrente: Monsters – Ruelle]
In
palestra, il ballo
degli ex alunni continuava indisturbato. Julie raggiunse Sebastian al
bar,
molto agitata, ma senza darlo a vedere.
“Ehi,
eccoti.
Dov’eri finita? Ero al telefono e poi quando mi sono girato
non c’eri più!” le
sorrise, ingenuamente.
“Ehm,
sì, niente,
ero alla toilette! – esclamò, parlando a scatti
nervosi – Comunque, ero davanti
allo specchio e mi sono accorta di aver lasciato il mio lucidalabbra in
macchina. Possiamo andare a prenderlo?”
Quello
sollevò le
sopracciglia: “Eh? Vuoi andare fino al parcheggio per un
lucidalabbra?”
“Odora
di fragola,
sai? A te piace la fragola, no?” rise istericamente, cercando
di convincerlo.
“Sì,
ma…” titubò,
ma la sua espressione seguente annunciò la sua evidente resa.
Proprio
in
quell’istante, però, anche in palestra si
azionarono gli erogatori e i
conseguenti allarmi.
Tra
i partecipanti
prese il sopravvento il panico e la confusione, l’acqua che
stava bagnando
tutti:
“Che
sta succedendo?” – “Vedete un
incendio?” – “Io non
vedo nulla, dov’è?” –
“Le uscite di emergenza, presto!” –
“Seguitemi da questa
parte!”
Julie
si rivolse a
Sebastian, fingendo una faccia mortificata: “Sembra che
dovremmo andarci per
forza nel parcheggio!”
“Guarda
che stavo
per dirti di sì!” le sorrise, malgrado la
situazione.
Mentre
tutti
correvano, passando di fianco a loro, ancora fermi a guardarsi, lei
sorrise a
lui in maniera dolce e conquistata: “Ah,
sì?”
“Già,
proprio
così! – esclamò, tendendole la mano
– E ora dammi la mano e usciamo da qui!”
E
quella eseguì, mentre
fradici, uscivano assieme agli altri.
*
Contemporaneamente,
nella mensa, una persona incappucciata, stava battendo una chiave
inglese
contro i tubi del gas. Dopo tanta insistenza, riuscì a
forarne uno, facendolo
fuoriuscire in grosse quantità, per poi scappare a gambe
levate.
*
Eric,
intanto, era
andato a cercare Alexis nei bagni, ricordandosi che era lì
assieme a Tasha;
infatti le trovò proprio là dentro.
“Ehi,
Alexis,
dobbiamo uscire di qui!” esordì, mentre quelle
erano davanti al lavandino e quella
stava aiutando Tasha a sciacquarsi la faccia.
“Che
succede? – lo
scrutò dalla testa ai piedi - Perché sei tutto
bagnato?”
“Mmmh,
tutto
bagnato! - commentò Tasha, barcollando accanto alla ragazza
e ridacchiando come
una stupida – Anche Nathaniel, lo è?”
fantasticò.
“Smettila,
Tasha!
– la riprese quella, per poi rivolgesi nuovamente ad Eric
– Allora?”
“C’è
un incendio,
dobbiamo uscire!” rivelò.
D’un
tratto la
porta del bagno si chiuse e si udì un giro di chiave. Eric
corse subito vicino
ad essa, abbassando il manico più volte, invano.
“Ehi!!!
– sbatté
la mano contro la porta – Aprite!”
Alexis
si avvicinò alle sue spalle, spaventata: “Eric, ma
che sta succedendo? C’è un
incendio e qualcuno pensa di chiuderci qui dentro?”
Tasha,
che ancora non si stava rendendo conto di nulla, disse: “I
bagni del liceo
hanno una chiave? Da quando?”
Eric
non le diede retta, così come Alexis, puntando delle piccole
finestrelle appena
sotto il soffitto. Alexis seguì il suo sguardo.
“Quelle
si abbassano completamente, no? Altrimenti non ci passiamo.”
“Nel
bagno dei maschi le ho viste completamente abbassate, una volta. Sono
praticamente uguali!”
“Allora,
ok! Abbassiamole!” annuì quella.
Lui
si avvicinò alla parete, unendo le mani, incastrando le dita
fra loro: “Vieni,
ti faccio da scala. Le abbassi e poi ci passi. Poi ti mando
Tasha!”
Quella
arrivò alle loro spalle, disorientata: “Dove mi
mandi, tu?”
Alexis
mise il piede sulle mani di Eric e si sollevò fino alla
finestrella. Iniziò
lentamente ad abbassarla.
“Fortuna
che non sono bassa, eh?”
“Già!”
esclamò l’altro, reggendola a fatica.
*
Nel
frattempo, Nathaniel e Sam giunsero all’ingresso della
palestra. Gli erogatori
si erano appena spenti.
“Sono
usciti tutti, credo.” constatò Sam, davanti ad uno
scenario di distruzione per via
del caos della folla che è fuggita.
Nathaniel
contemplava altro, nel corridoio in cui si trovavano:
“Dobbiamo uscire anche
noi, c’è un’uscita di emergenza
là giù!” gliela indicò.
L’altro
annuì, iniziando a seguirlo. Improvvisamente, un messaggio
lo fece fermare.
“Nat,
aspetta. E’ A!”
gli fece sapere,
dopo aver letto.
Quello
tornò indietro, seccato: “Che cosa vuole,
adesso?”
Sam
gli mostrò il messaggio.
“Siete
sicuri che vi salverete tutti e quattro? Magari uno di
voi potrebbe rimanere…bloccato!”
-A
Alzati
gli occhi dallo schermo del telefono, i due si guardarono e Nathaniel
capì
immediatamente quello che Sam stava pensando.
“NO,
Sam! Ok? NO!” gli disse, categorico.
“E’
chiaro che si riferisce a Rider, non possiamo lasciarlo lì
dentro e uscire!”
“Non
capisci che è una trappola? A non
può rinchiudere Rider lì dentro,
c’è una botola! E quella botola si apre
manualmente!”
“E
se avesse bloccato quella botola in qualche modo e Rider non riuscisse
ad
aprirla?” continuò Sam, preoccupato.
“Si
aprirà, ora usciamo!” lo prese per i polsi,
tirandolo.
“NO!
– si liberò, indietreggiando – Non me ne
vado senza Rider. Anche se in questo
momento ce l’ho a morte con lui, non lo lascio lì
dentro da solo!” e iniziò a
correre via.
Nathaniel
lo afferrò nuovamente per un braccio.
“Sam,
smettila, non sei l’eroe di un tuo telefilm! Morirai per
davvero, ok? Niente
pietre magiche che ti riportano in vita, niente morte scampata per un
soffio
come accade a tutti i protagonisti di una storia… -
penetrò nei suoi occhi con
uno sguardo fulminante e malinconico – Cesserai di esistere
per sempre e io non
posso lasciarti andare.”
“Perché
dovrei esistere in un mondo in cui non posso neanche vivere la mia
vita? Tanto
vale rischiare!”
Nathaniel
perse la testa, e lo scosse violentemente, per le spalle:
“Smettila, cazzo! Non
parlare come se fosse un film, non è un film!”
Quello
restò impassibile alla sua aggressività,
sussurrandogli altre parole: “Cessa di
esistere con me o vattene via!”
I
due si guardarono ancora una volta per diversi secondi, le pupille di
Nathaniel
che si muovevano veloci e il cuore stretto in una morsa. Lo prese e lo
baciò,
disperato. Staccò le sue labbra, poi, tenendolo ancora
stretto per gli abiti,
gli occhi chiusi, naso a naso, fronte a fronte.
“L’ha
detto anche Rider, non aspettavi
altro…
– pianse, un’espressione sofferente - Mi vuoi? Sono
tuo, Sam. Sono tuo, ma, ti
prego, esci con me adesso!”
Sam
lo staccò da sé, gli occhi gonfi di lacrime e
rabbia. Gli tirò uno schiaffo,
trovandolo ripugnante.
“Non
sono tuo. Non giocare con me, non farlo mai più. Non usare
questi stratagemmi
per farmi fare quello che vuoi, solo perché sai che sono
innamorato di te.”
Quello
aveva la mano sulla guancia, dolorante, il volto girato
dall’altra parte per la
vergogna del suo gesto. Sam indietreggiò, guardandolo male e
corse via, verso
la parte opposta alla via d’uscita.
Nathaniel
finalmente si voltò a guardarlo e una lacrima gli scese
lungo il viso. Restò lì
in piedi, senza seguirlo.
*
Usciti
tramite le finestrelle del bagno, Eric e Alexis aiutarono Tasha a
risollevarsi
dai cespugli e tenendola ognuno per un braccio, iniziarono ad
allontanarsi
dall’edificio.
“Dove
stiamo andando? – rise, stordita e stanca – Da
Nathaniel, vero?”
“Dio,
ma come fa ad essere la cugina di Rider? –
commentò Alexis, mentre barcollavano
loro stessi per via di lei che faticava a camminare – Sono
completamente
diversi!”
“Beh,
ho un cugino brutto che vive in una fattoria. Questo discorso vale
più per i
fratelli, no?” replicò Eric, prendendosi quasi una
testata da Tasha, che a
tratti si addormentava.
“Anche
sua sorella è come Tasha, se non peggio!”
“Senti,
raggiungiamo il parcheggio, e mettiamola in macchina!”
suggerì.
*
Dopo
aver corso a lungo, Sam si fermò, piegandosi in due,
tossendo. Subito dopo annusò
l’aria, poi ebbe la sensazione di avere qualcuno alle spalle
e si voltò: c’era
Nathaniel.
“Ti
chiedo scusa, ok? – cominciò, mortificato per come
si era comportato – Sto
letteralmente rischiando la mia vita in questo momento,
perciò facciamo in
fretta a salvare Rider!”
L’altro
lo ascoltò, ma si distrasse nuovamente ad annusare
l’aria: “…Senti anche tu
questo odore? Diventa sempre più forte!” la sua
vista iniziò a sfocarsi, tant’è
che li sgranava, scuoteva la testa.
Anche
Nathaniel iniziò a rendersi conto che l’aria aveva
qualcosa di diverso: “…Ma
questo è gas!”
“Oh
mio Dio, forse lo stiamo respirando da prima… - si
allarmò Sam, avvicinandosi
verso di lui, stordito e barcollante – Le bombe…il
gas…Ecco cosa intendeva A con
Supernova!” e svenne addosso a lui.
I
due crollarono sul pavimento, completamente privi di sensi.
*
Ignaro
di cosa stesse succedendo al piano superiore, Rider stava esaminando la
stanza
segreta della panic room. Le prime cose che lo lasciarono inquieto,
furono
alcune macchie di sangue sul pavimento e una telecamera sopra un
treppiedi
puntata contro la parete. Quando si avvicinò per vedere se
ci fosse registrato
qualcosa, si accorse che mancava la scheda di memoria.
Si
guardò ancora attorno, notando il congelatore sulla sua
destra: acceso e
funzionante. Terrorizzato da quello che poteva essere il contenuto, si
avvicinò
con cautela.
Deglutendo
malamente, la mano sulla fessura d’apertura, aveva il cuore
che batteva
all’impazzata. Quando finalmente trovò il
coraggio, aprì la porta del congelatore
e ci trovò dentro un sacco nero per cadaveri. Il suo volto
impallidì alla sola
vista e la cerniera era aperta: non c’era nulla dentro.
Rider
non sapeva se essere sollevato o preoccupato: se dentro ci fosse stato
un
cadavere, perché toglierlo?
“…E
se sapesse che sarei entrato qui?” pensò, tra
sé e sé.
Richiuse
la porta del congelatore, attirato poi dalla bacheca con il vetro
oscurato,
fissato sulla parete. Si avvicinò, incuriosito. Mise le mani
sul vetro, avvicinando
la faccia per vedere cosa ci fosse dentro; sfortunatamente,
però, non si vedeva
nulla.
Fu
in quel momento, che si accorse di un tasto, al lato, che
spostò immediatamente
su on: una lucetta si accese all’interno della bacheca e
Rider poté vedere cosa
c’era all’interno.
Il
contenuto lo lasciò letteralmente sconvolto, oltre che
confuso: A ci aveva attaccato
dentro delle foto
della sua famiglia. Alcuni erano scatti singoli di lui, sua madre, suo
padre e
Lindsey. Altri, dell’intera famiglia durante alcuni brunch o
domeniche al club.
Furono
solo due foto a colpirlo più di altre: una era quella di suo
padre, sbarrata
con una croce rossa. L’altra mostrava suo padre, ma
più giovane. Era in
compagnia di una donna con un impermeabile rosso, ma quella era di
spalle e non
ne potè vedere bene il volto. Erano davanti ad un ristorante
chiamato:“L’ombrello
matto”.
Sempre
più confuso, era curioso di saperne di più e
voleva quella foto a tutti i
costi. Si guardò attorno e c’era
un’estintore attaccato alla parete. Lo prese e
con quello ruppe la bacheca, staccando quella foto.
Girò
la foto, scorgendone la data assai sfuocata ma comprensibile.
“Agosto
1998? - lesse, stranito, prima di tornare a fissare la foto –
Chi diavolo è
questa donna?”
Affamato
di risposte, si voltò verso l’unica cosa rimasta
da guardare: il computer di A.
Non
ci mise molto a trovare i loro video, le cartelle avevano nomi ben
precisi.
Prima di cancellare tutto, mise la USB per spostare altri file come Rosewood-riservato .
Quando
spostò i video dell’omicidio di Albert e anche
quelli girati fino a casa di
Anthony, dove appiccarono l’incendio, apparve una schermata.
“Questi
elementi verranno inoltrati alla polizia di Rosewood se cancellati.
Sicuro di
voler continuare?”
SI
- NO
“Cosa?
– sussultò – No, non può
essere!” si mise le mani nei capelli, per poi provare
a spostare i file sulla USB.
Ancora
un’altra schermata, apparve.
“Questi
elementi verranno inoltrati alla polizia di Rosewood se copiati su
altro
dispositivo. Sicuro di voler continuare?”
SI
– NO
“Mi
prendi in giro??? – urlò – Ha messo un
virus a tutti i file! – tirò un colpo
sul tavolo con la mano – MERDA!”
Per
diversi secondi, non fece che respirare rumorosamente per la rabbia del
momento.
Quando si riprese, più calmo, uscì dalla stanza,
recuperando il telefono dal
borsone per dare notizie di sé ai compagni.
Trovò
immediatamente il messaggio di Sam.
Da
Sam:
“Ci
sono delle bombe sparse per la
scuola, lascia perdere la panic room. Con Julie abbiamo trovato un modo
di far
uscire tutti quanti dall’edificio. Non tornare indietro, usa
direttamente la
botola. Rispondi se hai ricevuto il messaggio!”
Sgranò
gli occhi: “…Cazzo!” e si
sollevò in piedi, non sapendo cosa fare.
Quando
lo comprese, corse nuovamente dentro la stanza e si
precipitò nuovamente
davanti al computer.
“Se
Maometto non va alla montagna, allora la montagna andrà da
Maometto, brutto
figlio di puttana!” esclamò, iniziando a staccare
i fili del computer fisso per
portarlo via con sé.
*
All’esterno,
diversi metri lontani dalla scuola, c’erano tutti i
partecipanti al ballo.
Brakner era lì che stava chiamando i vigili del fuoco per un
sopralluogo. Eric,
Tasha e Alexis li avevano appena raggiunti tutti.
Lindsey,
non appena vide sua cugina, corse verso di lei, felice di vederla.
“Oh
mio Dio, Tasha, mi sono spaventata a morte. Dov’eri
finita?”
Quella,
però, era svenuta e in braccio ad Eric. Avvinghiata al suo
collo, sorrideva
come se stesse facendo un bel sogno.
“Ti
risponderà dopo una flebo di sobrietà,
forse!” intervenne Alexis, abbastanza
seccata.
“Qualcuno
di voi a visto mio fratello? – domandò loro,
fissando soprattutto Eric – Sono
in questo parcheggio da dieci minuti e non l’ho visto per
niente.”
Eric,
però, non sapeva cosa rispondere:
“Ehm…forse…”
Ma
non poté completare, perché un evento inaspettato
colse tutti di sorpresa: la
scuola esplose quasi in un fumo atomico.
L’espansione
dei gas prodotta da essa generò un’onda
d’urto tale da far cadere tutti a
terra. Alcuni frammenti dell’edificio precipitarono nelle
vicinanze, riuscendo
a colpire qualcuno.
Appena
dopo il boato, seguirono le urla e l’incredulità.
Le chiamate alla polizia e le
ambulanze, le mani davanti alla bocca per lo shock di quello scenario,
la corsa
a risollevare chi si era ferito.
Eric,
risollevandosi e lasciando Tasha a terra, si accertò delle
condizioni di
Alexis: “Ehi, stai bene?”
Quella,
aiutata a rialzarsi, stringeva gli occhi per il dolore: “Mi
sono sbucciata il
gomito! – esclamò, per poi voltarsi a guardare
l’edificio in fiamme – Ma che
cavolo è successo?
Ed
Eric, che lo sapeva benissimo, non poté che restare in
silenzio.
Improvvisamente, poco lontana dalla folla, una ragazza urlò
a squarciagola,
attirando l’attenzione di tutti quanti.
“Oh
mio Dio, qui c’è un corpo! Qui
c’è un corpo!”
L’identità
di quel corpo, avrebbe lasciato di sicuro tutti sconvolti…
*
Dall’altra
parte della scuola, sempre a diversi metri di distanza, Nathaniel era
disteso sull’asfalto.
Improvvisamente, emise un colpo di tosse, respirando di nuovo.
Quando
riaprì lentamente gli occhi, si trovò davanti lo
scenario della scuola in
fiamme e polveri sui vestiti. Alla sua destra, poi, notò
Wesam praticare il
massaggio cardiaco a Sam e quello lo sconvolse ancora di più.
“Oh mio
Dio…” borbottò, pietrificato.
Wesam,
ora, stava praticando il bocca a bocca, buttando aria nei suoi polmoni
e poi
riprese con il massaggio cardiaco.
“Forza,
forza! Avanti, Sam!” urlò, stremato e sudato.
Finalmente
quello tossì, il cuore riprese a battere. Nathaniel, a bocca
aperta e occhi
sgranati per tutti quei secondi che precedettero il rinsavimento
dell’amico,
tirò un sospiro di sollievo e si scambiò un
sorriso con Wesam.
“Grazie
a Dio, eh? – si rivolse a Nathaniel – Ma che ci
facevate ancora lì dentro?”
“Ci
hai tirati fuori tu?” rispose con un’altra domanda,
curioso.
“Non
riuscivo a trovare Sam tra la folla, così sono rientrato a
cercarlo. Quando vi
ho visti svenuti, non sapevo come tirarvi fuori e la puzza di gas stava
per
mettere fuori gioco anche me. Per fortuna c’era un vostro
amico lì con me e mi
ha aiutato e, sempre per fortuna, eravamo vicini ad una delle uscite di
emergenza.”
“Un
amico? Quale amico? Rider?”
Wesam
si guardò attorno, a quella domanda: “Non saprei,
era qui fino a qualche minuto
fa. Dev’essersi allontanato per chiedere
aiuto…”
Nathaniel
restò a fissarlo, sperando che quel qualcuno fosse Rider e
che si fosse
salvato. Sam si stava riprendendo lentamente.
SCENA
FINALE
120
secondi prima dell’esplosione…
Rider
stava calando il borsone con dentro l’unità di
sistema del computer, tramite
una corda, lungo la botola che partiva dalla panic room. Quando la
borsa toccò
il pavimento, lasciò cadere la corda, e si
preparò a scendere anche lui.
Dopo
essere sceso di qualche piolo lungo la scala, chiuse la porta della
botola.
Arrivato a metà della discesa, la terra e le pareti
tremarono violentemente,
causa dell’esplosione appena avvenuta. Rider cadde dalla
scala, precipitando a
terra, accanto al borsone.
Dolorante,
stringeva gli occhi, la schiena rigida per il colpo. Riuscì
a girarsi su un
fianco, cercando di risollevarsi, mentre emetteva dei piccoli lamenti.
All’improvviso,
sentì qualcosa rotolare a terra vicino a lui. Quando
aprì gli occhi, vide una lattina
dalla quale uscì del gas fumogeno che lo costrinse a
tossire. Più lontano, una
figura incappucciata che si stava avvicinando a piccoli passi verso di
lui,
mentre lentamente perdeva i sensi…
CONTINUA
NEL DECIMO CAPITOLO